venerdì 11 dicembre 2020

Elezioni negli Stati Uniti: lettera del generale Dominique Delawarde

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Invece di chiedersi chi sarà dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali USA, il generale Delawarde si stupisce del rifiuto dei media di non prendere in considerazione le frodi, sebbene siano evidenti.

Cari amici, molti di voi mi hanno chiesto cosa penso dei fatti che stanno accadendo negli Stati Uniti dal giorno delle elezioni presidenziali, il 3 novembre scorso. In quanto esperto d’intelligence e conoscitore degli Stati Uniti mi sono state rivolte molte domande, che posso ricondurre a due questioni più generali:

1 – C’è stata frode elettorale e l’ipotesi di un colpo di Stato per rovesciare il risultato elettorale è credibile?

2 – Se Biden l’8 dicembre dovesse essere eletto e il 20 gennaio 2021 intronizzato, che conseguenze dobbiamo attenderci?

Cerco di rispondere con chiarezza secondo le linee che seguono.

Conflitto d’interesse di chi scrive?

Prima d’abbordare la mia lettera, è importante che voi verifichiate se ci sono conflitti d’interesse che potrebbero condizionare le mie opinioni.

La risposta è no. Dal 1995 al 1998 ho vissuto negli Stati Uniti, nel Kansas, sotto l’amministrazione democratica (Clinton), un periodo di cui serbo eccellente ricordo. Ho soggiornato spesso negli USA, prima e dopo questa vicenda professionale, per visitare la mia numerosa famiglia che ci vive: tre sorelle e i loro 48 discendenti diretti, tutti cittadini statunitensi sparpagliati in diversi Stati governati sia da Democratici sia da Repubblicani. Ho visitato 46 dei 50 Stati dell’Unione. Nell’estate 1998, in uno Stato guidato dai Democratici, mi è stata conferita la Meritorius Service Medal. Non sono iscritto ad alcuno dei principali partiti francesi (LR, PS, RN, Insoumis, LRM-Modem, EELV).

La mia severità, talvolta espressa con veemenza, è sempre rivolta alle governance democratiche o repubblicane degli Stati Uniti, mai al popolo che, come molti altri, è generoso e sincero, ma ingenuo e manipolato. Sono diventato molto cauto, persino ostile, nei confronti della NATO. Dal 1990, grazie agli incarichi che ricoprivo, ne ho potuto osservare le derive [1].

L’esperienza nell’intelligence mi ha portato ad attribuire sempre minore credibilità alla stragrande maggioranza delle agenzie di stampa e dei media mainstream, in particolare occidentali [2].

Non apprezzo affatto l’azione e/o la potente nonché nociva influenza delle lobby internazionali, finanziarie, mediatiche, comunitarie o di altra natura.

Messe in chiaro le cose, entro nel vivo dell’argomento.

Il contesto pre-elettorale delle presidenziali americane

Dopo la sconfitta di Hillary Clinton del 2016, gli Stati Uniti si sono profondamente divisi in due campi inconciliabili, adesso impegnati in una battaglia all’ultimo sangue. Contrariamente a quel che generalmente si pensa in Francia e nel resto d’Europa, le due fazioni non sono i Repubblicani e i Democratici, che non sono altro che la punta dell’iceberg, bensì i sostenitori di due concezioni del mondo opposte: i “sovranisti” e i “mondialisti”. I mondialisti sono in gran parte Democratici, ma se ne trovano anche, sebbene in minor misura, fra i Repubblicani.

Il 24 settembre 2019, alla tribuna dell’assemblea generale dell’ONU, Donald Trump ha enunciato senza mezzi termini a quale campo appartiene; ha esposto la sua visione del mondo e dichiarato guerra ai mondialisti con queste parole: «Come il mio amatissimo Paese, anche tutte le nazioni presenti in quest’aula hanno una storia, una cultura, un’eredità che hanno a cuore: valori che meritano di essere difesi e celebrati, che conferiscono a ogni Paese una forza e un potenziale peculiari. Il mondo libero deve abbracciare le proprie fondamenta “nazionali”. Non deve cercare di farne tabula rasa per poi soppiantarle…» [3]

Ha aggiunto: «Se volete la libertà siate fieri del vostro Paese, se volete la democrazia siate gelosi della vostra sovranità, se volete la pace amate la vostra nazione. I capi di Stato avveduti mettono al primo posto sempre l’interesse del proprio Paese. Il futuro non è dei mondialisti, il futuro appartiene ai patrioti. Il futuro appartiene alle nazioni indipendenti e sovrane, che proteggono i cittadini e accettano le peculiarità che rendono ogni Paese speciale e unico».

Tutti possono capire perché il tenore dei discorsi di Trump abbia potuto suscitare l’adesione di larga parte della popolazione statunitense: a novembre 2020 oltre 73 milioni di voti per Trump, ossia 10 milioni più del 2016, allorquando aveva ottenuto meno di 63 milioni di suffragi… Per chi credeva che Trump fosse in declino, l’aumento del 15% dei voti è stato una sorpresa, quanto lo fu la sua elezione nel 2016. Lo schieramento mondialista, che non può ovviamente accondiscendere a un simile discorso programmatico, è disposto a fare qualsiasi cosa pur di sbarrare la strada alla rielezione del presidente uscente. Il campo dei mondialisti, maggioritario nello Stato Profondo (Deep State), avente il controllo della finanza e dei GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft e Twitter), nonché della pressoché totalità dei media mainstream e delle agenzie di stampa anglosassoni ed europee, coordina l’azione dei propri “bracci armati” per cercare di sloggiare Trump dalla Casa Bianca.

Il presidente Trump però non è né stupido né isolato. Ha un forte sostegno popolare; il suo partito ha la maggioranza in senato e alla Corte Suprema; inoltre i Repubblicani governano 27 dei 50 Stati dell’Unione. Alla Camera dei rappresentanti i Repubblicani hanno ridotto (per il momento) di 12 seggi lo scarto con i Democratici. Trump ha sostituito la maggior parte dei giudici federali; ha resistito a due tentativi dello Stato Profondo e dei Democratici di destituirlo (l’affare Russiagate, montato di sana pianta nel 2016 e fallito perché palesemente falso – i giudici e l’opinione pubblica hanno finito con l’accorgersene – e il tentativo di destituzione della Camera dei rappresentanti del 2019 arenatosi in Senato…).

Del resto, Trump dimostra lucidità dichiarando nel suo ultimo discorso elettorale del 2 novembre in Carolina del Nord: «Se c’è una cosa che ho fatto durante il mandato, è mettere in luce la disonestà dei media». I media mainstream non hanno mai smesso di suscitare e sostenere le iniziative contro Trump [4].

Le elezioni del 3 novembre 2020 sono arrivate in un contesto di estrema tensione, al termine di una campagna elettorale in cui entrambe le parti non si sono risparmiate tiri mancini.

Durante la campagna elettorale i media e gli istituti di sondaggio sono stati onesti oppure hanno cercato di manipolare l’opinione pubblica?

I media mainstream USA, come del resto quelli europei, non brillano per onestà, pluralismo e imparzialità. Controllati da un pugno di miliardari, difendono le cause e gli interessi dei padroni, membri attivi o semplicemente collaboratori dello Stato Profondo. Non disdegnano alcun mezzo, incluse le più spudorate menzogne. Enfatizzano tutto quel che può danneggiare l’avversario, ossia Trump; nascondono tutto quello che può danneggiare il candidato con cui sono schierati, ossia Biden. I giornalisti possono far carriera solo se sottostanno a questo sistema e/o si autocensurano. Oggi siamo in uno stato di “guerra d’informazione” elettorale [5]. I comuni mortali hanno molta difficoltà a informarsi correttamente [6].

Da quattro anni questi media USA, regolarmente ripresi dai “fratelli” europei, non hanno mai smesso, 24 ore su 24, sette giorni su sette, di screditare agli occhi dell’opinione pubblica USA, nonché del resto del mondo, l’immagine di Trump. Nei mesi precedenti l’elezione si sono basati su sondaggi largamente distorti per far credere al popolo statunitense e al mondo – come tentarono di fare anche nel 2016 – che l’elezione era “piegata” e che un’ondata democratica avrebbe sommerso il Paese. Per fare solo un esempio, in Florida durante i quattro giorni precedenti lo scrutinio i sondaggi davano Biden vincente per uno a cinque. Ha vinto invece Trump per 3, 4 punti. Lo scarto tra gli ultimi sondaggi e il risultato è tale da non poter essere giustificato con il margine d’errore; si spiega soltanto con le menzogne manipolatrici, interessate e… spudorate. Sondaggi e articoli mendaci dilagavano in quasi tutti gli Stati dell’Unione. Il giorno della votazione, i risultati di Trump e del partito Repubblicano hanno rivelato la portata delle menzogne manipolatrici dei media e dei sondaggi pre-elettorali.

L’ipotesi di frode in alcuni Stati-chiave è credibile?

Sono intimamente convinto di sì. Secondo me ci sono troppi indizi concordanti perché il branco “mediatico” occidentale possa riuscire a convincermi del contrario. Il presidente russo fa bene ad aspettare la proclamazione ufficiale dei risultati, l’8 dicembre, per congratularsi con il vincitore [7].

Ecco gli elementi che mi fanno dubitare della correttezza della votazione.

1 – C’è stata una curiosa, se non sospetta, precipitazione della schiera mediatica USA – cui ha fatto immediatamente seguito il branco “fratello” della UE, che sappiamo da chi è controllato – a voler imporre un vincitore quando ancora non erano noti i risultati di cinque o sei Stati. È risaputo che i media convenzionali USA sono di parte, nonché i più feroci avversari di Trump. Ne conosciamo la consueta abitudine di criticare, contestare, modificare, non riconoscere, rimettere in causa i risultati elettorali che non convengono loro (Siria 2014, Venezuela 2018, Bolivia 2019, Bielorussia 2020, per citarne alcuni). Conosciamo anche la loro propensione a promuovere, addirittura imporre il candidato che fa loro comodo, anche quando largamente minoritario (Francia 2017, Bolivia 2019, Bielorussia 2020, Navalny, che in Russia rappresenta ben poca cosa, ma che i media ci propinano come lo sfidante numero uno di Putin).

2 – C’è poi l’operato inusuale di Google, Facebook, Youtube, Twitter che, agendo di concerto e contemporaneamente, censurano puramente e semplicemente il presidente in carica degli Stati Uniti. Un’evidente combutta di queste grandi società di servizio – che sappiamo da chi sono controllate – nient’affatto “naturale”, né democratica…

3 – Mai nella storia degli Stati Uniti il voto per posta è stato tanto massicciamente utilizzato: vi ha fatto ricorso il 42% degli elettori, cioè oltre 64 milioni. Nel mondo intero si riconosce che è una modalità di voto che favorisce la frode elettorale.
Nel 1975 la Francia ha soppresso il voto per posta perché supposto favorire la frode [8].

È strano, sia detto incidentalmente, che deputati della maggioranza LREM (La République en marche, il partito del presidente Emmanuel Macron, ndt) cerchino proprio ora di ripristinare in Francia il voto per corrispondenza, approfittando dell’opportunità del COVID [9].
Intendono rendere nuovamente legale in Francia la possibilità di frode elettorale per riempire le urne delle loro circoscrizioni ed essere rieletti alle prossime votazioni?

Affermare che non c’è stata negli USA la benché minima frode elettorale, quando si sono contati ben 64 milioni di voti postali, non è plausibile. Senza riprendere l’insieme delle frodi denunciate dai Repubblicani, elencate in un articolo riportato da Profession Gendarme [10] , citerei un solo esempio, riconosciuto dai Repubblicani e dai Democratici, quindi non contestabile né contestato.

Secondo quanto da lei stessa ammesso al New York Times, Abigail Bowen, supervisora delle elezioni della contea di Shiawassee, nel Michigan, è stato aggiunto, secondo lei per errore, uno zero di troppo nel conteggio dei voti per Biden. Invece di scrivere 15.371, qualche suo collaboratore ha inserito uno zero, facendo lievitare i consensi a 150.371. Sulla tastiera del computer lo zero non è vicino né al 5 né al 3: difficile sostenere che si tratti di un errore involontario… Bowen afferma di aver notificato l’errore 20 minuti dopo e di averlo in seguito corretto. Fortunatamente qualcuno s’è accorto dell’errore, che sembra proprio essere volontario…

In questo caso l’errore è stato corretto, certo, ma la rettifica non dissipa altri interrogativi: quanti di questi “errori”, o errori del medesimo tipo, sono stati rilevati, notificati e corretti?
Quanti di questi errori sono stati convalidati e quindi conteggiati?
Un candidato, che sia Democratico o Repubblicano poco importa, ha diritto al riconteggio ogniqualvolta lo scarto in uno Stato dell’Unione sia dell’1% o addirittura inferiore? Non è forse così che si fa in tutte le democrazie degne di questo nome? Spetta ai media proclamare il vincitore prima che i voti siano convalidati?

In cinque Stati, chiamati swing states, lo scarto è inferiore all’1%: Arizona, Georgia, Wisconsin, Pennsylvania e Nevada [11]. In questi Stati Trump era in testa, ma in tutti Biden è balzato in vantaggio per alcune migliaia di voti quando, alla fine dello spoglio, è opportunamente, miracolosamente e improvvisamente arrivato un quantitativo massiccio di voti inviati per posta, a lui molto, ma molto favorevoli.

Secondo il mio parere, l’avrete capito, il voto postale è una porta spalancata alla frode. Quando il ricorso a questo tipo di voto è massiccio, la frode può essere rilevante e ampiamente sufficiente a rovesciare un risultato entro un margine dell’1%. È infinitamente poco probabile che non ci siano stati brogli. Mi guardo bene dal dire a vantaggio di chi siano andati e non sono sicuro che se ne possano avere un giorno le prove. Constato semplicemente che i proni media USA ed europei – cui piacerebbe rifiutare a Trump il diritto al riconteggio, alle inchieste, alle verifiche ma che, quando si tratta di altri Paesi, sono particolarmente attenti alla legalità dello spoglio e con facilità gridano alla “frode elettorale” – non si sollevano. Non bastava che la Francia e i suoi giornalisti – che si prendono gioco del presunto perdente perché si chiama Trump – dessero di sé l’immagine di una “mediocrazia”, occorreva che diventassero anche una “mediacrazia” che ci vuole imporre non solo i presidenti, ma anche quel che dobbiamo pensare su ogni argomento?

Affronto ora la seconda domanda.

Se l’8 dicembre il “mondialista” Biden dovesse essere eletto e il 20 gennaio 2021 intronizzato, cosa devono aspettarsi il pianeta, l’Europa e la Francia?

Biden è anziano: il prossimo 20 gennaio compirà 79 anni. Ed è noto quanto non sia nel pieno delle facoltà mentali. Per questa ragione, se venisse eletto potrebbe governare solo sotto l’influenza di qualcuno; prenderebbe decisioni su consiglio e sotto lo “stretto controllo” dell’entourage, emanazione del Deep State, composto da “mondialisti” duri e puri. Sarebbe del resto lo stesso entourage che l’ha aiutato a battere Trump e che governerà di fatto gli Stati Uniti. D’obbedienza “neoconservatrice”, questo entourage è spiccatamente filoisraeliano e votato a un’egemonia assoluta degli USA sul pianeta. Un approfondito studio delle biografie, ascendenze, relazioni e comunità d’appartenenza dei suoi componenti sarebbe molto rivelatore ma, ahimè, poco sorprendente: sono anche qui da noi. Bisogna dunque attendersi una moltiplicazione delle ingerenze aggressive USA nel Vicino e Medio Oriente (Libano, Siria, Iraq, Iran), naturalmente a vantaggio d’Israele, nonché alle frontiere con la Russia, nel Mar della Cina e in Sudamerica. Questa nuova squadra di governo, braccio armato del Deep State creerà, se già non esistono, i pretesti e strumentalizzerà la nebulosa terrorista – come ha sempre fatto in passato – per aiutarlo a giustificare le ingerenze. Trump è riuscito a ridurre gradualmente e considerevolmente i bombardamenti USA sul pianeta (47 mila bombe nel 2017, 16 mila nel 2018, 12 mila nel 2019 e 928 a gennaio e febbraio 2020, ultimi dati noti) [12]. Ha fatto rientrare molti soldati di stanza nel Vicino e Medio Oriente. Durante il suo primo mandato la coalizione occidentale ha ucciso molte meno persone che durante i mandati del predecessore. Se un’équipe mondialista s’installa alla Casa Bianca, potremmo constatare un’inversione di tendenza già dalla prossima primavera. Il sangue ricomincerebbe a scorrere… La NATO continua a non capire che dovrebbe e avrebbe interesse a mettere fine alla propria deriva.

La cattiva notizia è che un’amministrazione Biden cercherebbe d’implicare NATO, Regno Unito, Francia e Unione Europea in tutt’i tiri mancini che gli strateghi neoconservatori s’inventeranno [13]. Per la Francia una cattiva notizia è anche la dipendenza economica (debito e CAC40 [indice di borsa, ndt]) e il crescente servilismo nei confronti degli USA e delle sue élite formate per questo non le permetteranno di respingere le sollecitazioni USA a unirsi alle coalizioni di circostanza, formate in nome di discutibili cause.

La buona notizia è che da una parte all’altra dell’Atlantico i popoli cominciano ad aprire gli occhi. Non se ne dispiacciano i media, i politici e l’opinione pubblica manipolata: il “sovranista” Trump ha ottenuto, come detto, il 15% dei voti in più del 2016, cioè 73 milioni. I suoi sostenitori hanno in mano la Corte Suprema e il Senato, governano la maggioranza degli Stati e s’avvicinano alla parità alla Camera dei rappresentanti. I suoi partigiani sono altresì maggioritari nelle campagne statunitensi, pur residuando le grandi città saldamente in mano ai democratici…

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In blu le contee democratiche, in rosso quelle repubblicane.
Fonte: New York Post

Non sarà perciò semplice governare gli Stati Uniti e fare quanto si vuole, tanto più che l’economia USA è in stallo e il debito abissale. E non sarà semplice nemmeno governare l’Europa occidentale, prossima al fallimento, con popolazioni sull’orlo della rivolta, PIL in diminuzione e budget della Difesa, lo si voglia o no, disastrati.

In simili condizioni la saggezza dovrebbe suggerire d’occuparsi in modo appropriato degli affari in casa propria, prima di giocare agli sceriffi del pianeta. Saggio sarebbe anche non interferire nelle faccende di Stati sovrani, con il falso pretesto di lottare contro un terrorismo che abbiamo largamente contribuito a creare e mantenere, grazie a una politica estera catastrofica (Libia, Siria, Iraq, Yemen, Iran, Russia, Bielorussia, Venezuela, Brasile, Bolivia tra gli altri) e con prese di posizione ufficiali irresponsabili, che decine di Paesi del pianeta percepiscono insultanti (la vicenda delle caricature di Maometto).

Presto o tardi una coalizione occidentale, governata da mondialisti aggressivi, si prenderà un brutto colpo sul muso; esterrefatta scenderà dal piedestallo e abbasserà la cresta. Le popolazioni moltiplicheranno le marce bianche, le cerimonie funebri, le manifestazioni rumorose, ostentative, contro un nemico che si avrà provocato. Si conteranno e piangeranno i morti. È sufficiente osservare la brillante campagna condotta dai governi dei Paesi della coalizione nella “guerra contro il coronavirus” per intuire che non vinceremo nemmeno la prossima…

Traduzione
Rachele Marmetti
Giornale di bordo

www.voltairenet.org

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