lunedì 3 dicembre 2018

SOROS / LA STRENUA E CONTINUA DIFESA GRIFFATA REPUBBLICA


Repubblica scende l'ennesima volta in campo per difendere l'onore e il prestigio del "miliardario-filantropo di sinistra", George Soros, una vera icona secondo il quotidiano diretto da Mario Calabresi.
Stavolta la story è incentrata sulla bagarre che si è scatenata negli Usa tra Facebook e lo stesso Soros. Nel mirino dell'inviato speciale in bretelle dagli Usa, Federico Rampini, è finita la numero due di Facebook, Sheril Sandberg, una delle più note giornaliste americane, stimata per le sue qualità investigative.
Ecco cosa scrive il bretellato, riportando quanto riferisce un articolo del New York Times (non si è neanche scomodato più di tanto, Rampini, per scrivere la paginata pro Soros di Repubblica): "Fu lei in persona – scrive il super corrispondente – a commissionare 'fango' su Soros, per il solo fatto che il miliardario-filantropo di sinistra aveva osato criticare Facebook. Tutto ebbe inizio a gennaio, all'ultimo World Economic Forum di Davos. Vi partecipavano sia Sandberg che Soros. Lui criticò pubblicamente Facebook e Google, li definì pericolosi per la democrazia, invocò nuove regole e maggiori controlli sui giganti oligopolisti dell'economia digitale".
Ma eccoci al cuore della singolar tenzone. Riprendono le trombe di Rampini anti Sandberg: "Ma la Sandberg anzichè ripondere nel merito (alle accuse di Soros, ndr), chiese ai suoi collaboratori di indagare su Soros, sui suoi moventi, su eventuali interessi finanziari. Per esempio, se stesse effettuando 'vendite allo scoperto' in Borsa per arricchirsi dopo aver fatto scendere il titolo di Facebook. In cerca di prove per accusarlo di aggiotaggio, insomma: perchè se uno ti critica deve essere un delinquente che ci specula sopra".


Federico Rampini. In alto, Soros

Non basta. Il prode Rampini non ha terminato la genuflessione nei confronti del suo magnate-filantropo: "Soros risultava indigesto da tempo ai vertici dei social media, ma tutte le sue campagne si svolgevano alla luce del sole, per esempio finanziando un'associazione che si chiama 'Free from Facebook' e denuncia da tempo i pericoli di questa rete sociale".
Non è certo finita, ci sono altre cartucce nel cinturone del pistolero Rampini: "Sandberg ha fatto ingaggiare una nota società di relazioni pubbliche legata alla destra repubblicana, Definers Public Affairs, che ha cominciato una campagna anti Soros, rispolverando anche argomenti antisemiti. Proprio come si usa fare nel campo dei suprematisti bianchi, per i quali Soros è il capro espiatorio ideale, il regista del 'complotto giudaico-plutocratico' di hitleriana memoria".
E il tric trac finale: "Quando sul NYT cominciarono ad uscire le prime rivelazioni, Zuckerberg  e l'intero vertice aziendale fecero quadrato intorno alla Sandberg per difenderla. E lei cominciò ad accumulare bugie su bugie".
"La Sandberg sapeva tutto fin dall'inizio e fu la vera regista".
Sorgono spontanee un paio di domande. Sulle 'prodezze' di Soros, a cavallo della sua Open Society Foundation tanto umanitaria, se ne conoscono in dettaglio di tutti i colori e da un bel pezzo.
Dalla narrazione rampiniana, invece, sembra sia tutto spuntato fuori oggi come il cavolo a merenda.
Secondo punto. Ma conosce qualcosa mister Rampini del giornalismo d'inchiesta? Sa che è l'anima della vera informazione, e non i lecchinaggi di palazzo? Cosa c'è di strano se lady Sandberg ha sguinzagliato i suoi reporter a caccia di notizie sulle tante acrobazie finanziarie dal magnate? Sui suoi giganteschi affari? Sulle sue malefatte internazionali? Sa mister Rampini che Soros con una mano finanzia le Ong e con l'altra cerca di divorarsi interi Paesi pezzo pezzo, come da qualche anno sta cercando di fare con la Macedonia, mentre l'Italia potrebbe entrare presto nel suo mirino?
Finalmente qualcuno cerca di alzare i veli sull'impero Soros. Anche se a Rampini non piace…

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Dopo la morte di Khashoggi, Trudeau non bloccherà una vendita di armi da 12 miliardi di dollari ai Sauditi, perché i soldi la spuntano sempre sull’omicidio


Ad almeno 5.000 miglia di distanza dalla città in cui il suo corpo è stato sepolto in segreto (intero o a pezzettini) dai suoi assassini sauditi, l’omicidio di Jamal Khashoggi ora irrita la coscienza (e i cordoni della borsa) di un’altra nazione. Perchè il Canada, patria del pensiero libero e democratico (sopratutto con Justin Trudeau), si trova di colpo a dover gestire l’eredità del predecessore (conservatore) del brillante e giovane Primo Ministro, insieme ad una semplice questione di coscienza o soldi: deve Trudeau stracciare un accordo militare con l’Arabia Saudita, risalente al 2014, del valore di 12 miliardi di dollari?
Quando Ottawa aveva deciso di vendere i suoi veicoli blindati leggeri (LAV) nuovi di zecca al regno saudita, i Sauditi erano già famosi per tagliare teste e sostenere furiosi e ben armati Islamisti. Ma Mohammed bin Salman non era ancora diventato l’erede al trono di questa pia nazione. I Sauditi non avevano ancora invaso lo Yemen, tagliato la testa ai suoi leaders sciiti, imprigionato gli stessi principi della famiglia reale, rapito il Primo Ministro libanese e smembrato Khashoggi.
Così, il governo conservatore canadese di Stephen Harper non si era fatto scupoli per rifilare i suoi LAV (come vengono chiamati questi mostriciattoli corazzati) a Riad, specificatamente per il “trasporto e la protezione” dei funzionari governativi.
Ora, difficilmente si può accusare Trudeau di essere un sostenitore del regime saudita. In agosto, gli uomini di Mohammed bin Salman avevano ordinato l’espulsione dell’ambasciatore canadese a Riad e avevano bloccato gli accordi commerciali con il Canada, dopo che il Ministro degli Esteri di Trudeau aveva protestato contro l’arresto nel regno [saudita] di alcuni attivisti per i diritti delle donne. I Canadesi avevano rilasciato false dichiarazioni, avevano affermato i Sauditi, che, per quanto riguarda le false dichiarazioni, avrebbero presto raggiunto una fama degna di un film dell’orrore holliwoodiano. Trudeau si è ritrovato sul libro nero dei Sauditi, insieme a Washington, perché, solo due mesi prima, Trump lo aveva definito debole e disonesto.”
Naturalmente, appena Khashoggi è stato fatto fuori nel consolato saudita di Istanbul, l’anima liberale del Canada ha iniziato a mobilitarsi. Sicuramente, ora Trudeau deve stracciare l’accordo del 2014 che riguarda tutti quei luccicanti mezzi corazzati che Harper aveva venduto ai Sauditi in quell’anno. Purtroppo, alcuni giorni fa si è scoperto che l’accordo comprendeva quella che il governo Trudeau ha descritto come una ‘clausola sulla cancellazione dell’accordo’ che, nel caso la transazione riguardante i veicoli blindati non venisse completata, costerebbe ai Canadesi miliardi di dollari.
Economicamente parlando, la cosa può anche avere un senso, fino ad un certo punto, ma, con tutto quello in cui sono coinvolti i Sauditi, c’è anche il fattore “opps!”
Perchè è venuto fuori, ahimè, che questi innocui LAV canadesi sono stati filmati nel 2017 nella provincia orientale dell’Arabia Saudita mentre soffocavano una rivolta di civili sciiti. Il Ministero degli Esteri canadese, che ora si chiama (e questo è un capolavoro di ironia) “Global Affairs Canada,” ha sospeso le esportazioni di armi e ha aperto un’indagine “completa ed approfondita.” Al giorno d’oggi abbiamo tutti familiarità con le “indagini complete ed approfondite,” come quella che i Sauditi stanno portando avanti con entusiasmo sulla scomparsa di Khashoggi, sepolto di nascosto; ovviamente, la versione canadese di questo tipo di inchiesta ha concluso che i veicoli provenienti dal Canada erano stati sottoposti a “modifiche” successive all’esportazione.
Adesso, chi dirige lo spettacolo a Riad è Mohammed bin Salman e ad Ottawa lo presenta Trudeau. Ma ora è arrivato, ancora una volta, il fattore saudita “opps!”
I LAV, come si è saputo in seguito, erano stati equipaggiati in segreto con torrette e mitragliatrici e questi veicoli erano stati utilizzzati nel 2017 in un’operazione in cui erano stati uccisi 20 civili, Ma, ecco che arriva il deus ex machina che batte tutti, il rapporto di Global Affairs aggiungeva (con ulteriore ed inconscia ironia) che non si era verificata nessuna violazione dei diritti umani, che le forze saudite “si erano sforzate di ridurre al minimo le perdite fra i civili” e che l’uso della forza (i lettori lo avranno ormai immaginato) era stato “proporzionato ed appropriato.”
Grazie a Dio, i Sauditi da quei veicoli sparavano con le mitragliatrici e non stavano attaccando i loro nemici con coltellacci e seghe da ossa.
Ma ora, e qui la vecchia metafora calza stranamente a pennello, Trudeau si è ritrovato con il coltello piantato nella schiena. Si fa avanti un certo Ed Fast, un parlamentare canadese dell’opposizione conservatrice, che, quando aveva ricoperto la carica di Ministro per il Commercio Internazionale di Ottawa, aveva contribuito a condurre in porto l’originale e redditizia vendita di armi ai Sauditi. Lui non ha nulla a che vedere con le minuzie del contratto. Le penali erano state volute dalla General Dynamics Land Systems, [l’azienda] che aveva assemblato in Ontario queste sciagurate macchine.
Inoltre, durante lo scorso fine settimana, Fast aveva aggiunto che il contratto andrebbe rispettato; il Canada dovrebbe invece punire i Sauditi confiscando le proprietà dei cittadini sauditi che si rendono colpevoli di violazioni dei diritti umani e terminare le importazioni di greggio saudita. E incrementare il trasbordo di petrolio canadese dall’Alberta, che confina con la Columbia Britannica, dove, opps!, Fast, guarda caso, fa il parlamentare.
Nessuno più dei Sauditi avrebbe potuto apprezzare meglio una cosa del genere. Perchè Fast, da buon recidivo, ha minimizzato alla grande l’omicidio Khashoggi. Ha descritto la decapitazione del giornalista saudita ad Istanbul e la sua sepoltura in segreto da parte dei Sauditi come una “questione” e una “situazione.” “Questione” intesa come “problema,” suppongo. Secondo il punto di vista di Fast, la mancata consegna delle armi non “punirebbe” realmente i Sauditi perchè, e ci risiamo, Riad non farebbe altro che rifornirsi di mezzi corazzati da altre nazioni.
Dennis Horak, un ex-ambasciatore canadese in Arabia Saudita (è strano come gli ex-ambasciatori occidentali a Riad abbiano l’abitudine di battere la grancassa per i Sauditi), aveva annunciato che la cancellazione [del contratto] “sarebbe servita solo a punire più di 3.000 lavoratori canadesi… che avrebbero visto i loro posti di lavoro, ad alta specializzazione, tipici della classe media, sparire a causa di una presa di posizione che non avrebbe avuto nessuna conseguenza sull’Arabia Saudita.” Un simile messaggio sarebbe stato “sprecato per la dirigenza saudita.” Vendere veicoli blindati non era un favore ma una “transazione commerciale.” Quello che dovremmo fare, aveva detto Horak al Toronto Star, è “parlare direttamente” con loro: “Impegnarci, piuttosto che disimpegnarci.”
Chi potrebbe mai credere che questo Horak sia lo stesso ambasciatore che, solo lo scorso agosto, i Sauditi avevano cacciato da Riad, dopo che il Ministro degli Esteri canadese aveva protestato per l’arresto, nel regno, degli attivisti per i diritti delle donne? Per l’amor di Dio, vuole forse ritornarci?
Non è difficile scoprire gli aspetti morali (o immorali) di questa storia. Le armi hanno sempre la meglio sull’omicidio. I nostri ragazzi della “classe media” e le loro famiglie (perché, fortunatamente, non ho notato molte donne fra i dirigenti delle aziende produttrici di armi) devono avere la sicurezza del posto di lavoro, qualunque sia il costo da pagare in termini di convitati di matrimonio yemeniti uccisi, ospedali rasi al suolo o giornalisti decapitati. E, neanche due settimane dopo aver appreso che i consolati sauditi possono svolgere attività molto più ambiziose del rilascio dei certificati di divorzio, la realtà delle cose è già riuscita a smussare gli scrupoli anche delle nazioni occidentali più liberali. In modo che “questioni” e “situazioni” non interferiscano nelle “transazioni commerciali” dell’economia globale.
Robert Fisk
Fonte: www.independent.co.uk

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

sabato 1 dicembre 2018

[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 30 nov 2018


Réseau Voltaire
Focus




En bref

 
Confirmation de notre version de l'incident de Kertch
 

 
La marine ukrainienne viole l'espace maritime russe
 

 
Les clauses secrètes de l'accord gazier entre Chypre, la Grèce, l'Italie et Israël
 

 
Contre-proposition russe au « Deal du siècle »
 

 
Le mouvement des Gilets jaunes s'étend en France, en Belgique et en Bulgarie
 

 
L'UE créée sa propre école d'espionnage
 

 
La Jordanie tente de relancer le projet d'un acqueduc mer Rouge-mer Morte
 

 
La médiation russe pour l'Iran avec Washington et Tel-Aviv
 
Controverses
Fil diplomatique

 
Discours d'installation du Haut Conseil pour le Climat
 

 
Déclaration de la Russie sur l'incident militaire en Crimée
 

 
Déclaration de la Russie à propos de la mer d'Azov
 

 
Communiqué des ministères des Armées français et allemand relatif au SCAF et au MGCS
 

 

« Horizons et débats », n°26, 26 novembre 2018
Les migrations, armes de guerre
Partenaires, 26 novembre 2018
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venerdì 30 novembre 2018

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 30 nov 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Confermata la nostra versione dell'incidente di Kertch
 

 
La marina ucraina vìola lo spazio marittimo russo
 

 
Le clausole segrete dell'accordo sul gas tra Cipro, Grecia, Italia e Israele
 

 
Controproposta russa all'«Accordo del secolo»
 

 
Il movimento dei Gilet Gialli si estende in Francia, Belgio e Bulgaria
 

 
La UE istituisce una propria scuola di spionaggio
 

 
La Giordania tenta di rilanciare il progetto di un acquedotto Mar Rosso-Mar Morto
 

 
La mediazione russa per l'Iran con Washington e Tel Aviv
 

 
Gli Emirati organizzano il summit mondiale sulla tolleranza
 
Controversie

 
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Blog Emanuela Orlandi: La nostra genetista forense è pronta ad esami paralleli su quei resti



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Maria Antonietta Gregori "Solo l'esame del DNA può darci delle certezze e comunque noi faremo effettuare altre analisi in parallelo e alla luce del sole, dalla nostra Genetista Marina Baldi"
"La nostra genetista forense è pronta ad esami paralleli su quei resti"



Buona lettura
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Ma non dovevamo togliere le sanzioni alla Russia?


Fra le tante promesse elettorali che sembrano finite nel dimenticatoio, c'è anche quella di togliere le sanzioni alla Russia. Sia Salvini sia Di Maio si erano dichiarati a favore di una rimozione delle sanzioni, non per motivi ideologici, ma "perchè danneggiano l'economia italiana".
Che fine hanno fatto queste promesse?
Ieri lo stesso ministro degli esteri russo Lavrov ha concesso un'intervista a El Paìs, dichiarando: "Questa mitologica "minaccia russa" viene imposta agli europei primariamente dall'esterno. Le sanzioni alla russia sono state imposte all'Europa sotto ordini diretti di Washington. Secondo alcune stime, la perdita complessiva da parte delle nazioni europee a causa delle sanzioni è stata di oltre 100 miliardi di dollari. E' importante che i politici europei si rendano conto di questo."
Forse se ne renderanno anche conto, ma da noi di questo argomento da tempo non si sente più parlare. Non avevamo un ministro degli esteri, da qualche parte? Che fine ha fatto?
Inoltre, da ieri sono tornate in funzione le sanzioni americane contro l'Iran, che tendono a bloccare completamente l'esportazione iraniana di petrolio. A noi per ora verrà concesso - Deo gratias - di continuare a commerciare con loro per altri sei mesi, ma poi il divieto dovrebbe diventare tassativo per tutti.
E' possibile che non ci sia un solo politico italiano che abbia il coraggio di sollevare il nostro vero problema, che non è tanto la dipendenza (burocratica) da Bruxelles, quanto piuttosto la dipendenza (strategica e geopolitica) dai voleri e dagli umori degli Stati Uniti d'America?
Massimo Mazzucco
luogocomune.net

giovedì 29 novembre 2018

Paul Craig Roberts – Cosa c’è veramente in gioco in queste elezioni


Un amarissimo articolo di Paul Craig Roberts sulle elezioni americane di medio termine ci presenta una situazione devastante in cui il presidente Trump appare completamente sopraffatto sul piano della politica internazionale dall’establishment contro cui ha fatto campagna elettorale e contro cui ha vinto le elezioni presidenziali. Ora la questione è se i “deplorabili” che l’hanno votato suggelleranno in maniera definitiva la vittoria dell’establishment – complice il lavaggio di cervello realizzato dai media –  o se sosterranno Trump imponendo, forse, una sterzata a questa deriva. 


Paul Craig Roberts, 6 novembre 2018

Non finisco mai di stupirmi della spensieratezza degli americani. I lettori mi mandano email in cui mi domandano perché mai sostengo Trump, che è il candidato dell’establishment. Se Trump fosse il candidato dell’establishment, perché l’establishment avrebbe passato due anni a cercare di distruggerlo?

Non riuscire a fare due più due è una cosa davvero straordinaria. Trump ha dichiarato guerra all’establishment durante tutta la campagna presidenziale e nel suo discorso inaugurale.

Come scrissi all’epoca, Trump ha grandemente sovrastimato il potere del presidente. Si aspettava che l’establishment, e i suoi dipendenti, si piegassero alla sua volontà, ma non conosceva Washington, né sapeva chi nominare per sostenere i suoi obiettivi. È stato totalmente sconfitto nella sua intenzione di normalizzare i rapporti con la Russia. Invece, ci troviamo di fronte alla Russia e alla Cina che si preparano alla guerra.

In altre parole, lo stesso risultato che avrebbe ottenuto Hillary.

Trump è stato così tormentato dall’establishment che ha problemi a pensare chiaramente. È stato il primo candidato non-establishment eletto dai cosiddetti “deplorabili”, da chissà quanto tempo. Bisogna tornare parecchio indietro nella storia per trovarne uno. Forse Andrew Jackson. Jimmy Carter e Ronald Reagan non rispecchiavano la scelta delle istituzioni democratiche e repubblicane, e l’establishment dominante si  mosse rapidamente per bloccare entrambe le presidenze. L’establishment democratico incastrò e rimosse sia il responsabile del bilancio di Carter che il capo dello staff, privando Carter di quelle competenze di cui aveva bisogno per il suo programma. L’establishment repubblicano riuscì a piazzare nei posti di potere dell’amministrazione Reagan persone fedeli a Bush, smussando così il suo programma economico riformista e la sua determinazione a porre fine alla guerra fredda. Ho combattuto entrambe le battaglie per Reagan, e ne porto ancora i lividi.

Trump è un outsider eletto dai “deplorabili”, quella classe media i cui posti di lavoro sono stati delocalizzati dalle multinazionali americane, a beneficio esclusivo dei dirigenti e dei grandi azionisti. Alcuni personaggi hanno svenduto la classe media americana, che sta scomparendo.

Nel resto del mondo, i veri alleati di Trump sono i presidenti di Venezuela, Bolivia, Nicaragua, l’ex presidente dell’Ecuador, e l’ex presidente dell’Honduras, che è stato rovesciato dal “primo presidente nero americano”, e la cui conseguenza è la carovana che si sta spostando verso il confine degli Stati Uniti. L’establishment è riuscito a confondere Trump in modo tale da fargli dichiarare la guerra dell’establishment contro i leader non-establishment in America Latina.

Ma allora, che importanza hanno le elezioni americane di medio termine?

Ci diranno se “i deplorabili” sono stati sottoposti al lavaggio del cervello dalle prostitute dei media dell’establishment e quindi non sosterranno Trump nelle elezioni della Camera e del Senato. Se i democratici, la cui politica è la Politica dell’Identità, conquistano la Camera e / o il Senato, Trump sarà reso completamente impotente. L’establishment spera di lanciare un chiaro segnale a tutti i futuri candidati presidenziali perché non facciano mai più appello al popolo contro gli interessi acquisiti dell’establishment.

In America la democrazia è una truffa. È l’oligarchia a governare, e il popolo, indipendentemente da come e quanto soffra sotto il dominio dell’oligarchia, deve sottomettersi e subire. Non più candidati alla presidenza, per favore, che rappresentino il popolo. Questa è la lezione che l’establishment spera di impartire alla marmaglia popolare nelle elezioni di medio termine.

Se l’America avesse dei media indipendenti, l’elezione dovrebbe riguardare la pericolosa situazione creata da Washington e che ha portato due paesi  potenti militarmente a prepararsi alla guerra con gli Stati Uniti. Questo è l’avvenimento più serio della mia vita. Tutto ciò per cui il presidente Reagan ha lavorato è stato rovesciato per gli interessi materiali del potere e per il profitto del complesso militare e della sicurezza.

Se l’America avesse dei media indipendenti, le elezioni riguarderebbero lo stato di polizia americano che – basato sulle menzogne sull’11 settembre, sulle armi di distruzione di massa, sull’uso delle armi chimiche, sulle bombe nucleari iraniane, sull’invasione russa dell’Ucraina – è stato accettato dagli ignavi americani. I responsabili di queste menzogne, che hanno causato pesantissimi crimini di guerra, per i quali le amministrazioni statunitensi dovrebbero essere incriminate, sono ricchi e prestigiosi. Il resto di noi ha sperimentato la perdita delle libertà civili e della privacy. Siamo tutti sottomessi allo stato di polizia.
Se l’America avesse dei media indipendenti, l’elezione riguarderebbe la deindustrializzazione degli Stati Uniti. Oggi, come chiarisce questo articolo, la delocalizzazione della produzione e dell’industria americana ha ridotto l’esercito americano a essere dipendente dai fornitori cinesi.
E l’amministrazione Trump crea problemi con la Cina!

Se l’America avesse dei media indipendenti, le elezioni riguarderebbero i 20 anni di crimini di guerra USA e NATO / UE contro Serbia, Afghanistan, Iraq, Somalia, Libia, Pakistan, Siria e Yemen, e il sostegno degli Stati Uniti e della NATO ai crimini di guerra di Israele contro quel che resta del popolo palestinese, e il sostegno USA e NATO / UE al regime neonazista stabilito dal regime di Obama in Ucraina che commette crimini di guerra contro le province separatiste russe, le cui popolazioni si rifiutano di accettare il rovesciamento da parte di Washington del governo ucraino democraticamente eletto e l’instaurazione di un regime neo-nazista da parte del “primo presidente nero americano”.
Se l’America avesse dei media indipendenti, le elezioni riguarderebbero la demonizzazione orchestrata dell’Iran. Quello stupido totale nominato da Trump a Segretario di Stato ha appena dichiarato (l’idiota non dovrebbe essere autorizzato ad aprir bocca) che Washington porterà alla rovina l’Iran a meno che il governo non accetti di comportarsi come uno stato normale.
Cosa intende dire Pompeo con “uno stato normale”? Vuol dire uno stato che prende ordini da Washington. L’Iran non ha invaso alcun paese. Il governo al potere è la continuazione del governo che rovesciò lo scià, un dittatore imposto all’Iran da Washington quando Washington e Londra rovesciarono il governo democraticamente eletto dell’Iran.
Ciò che l’infame Pompeo sta dicendo è che l’Iran deve sparire, perché l’Iran, come la Siria, sta ostacolando l’espansione di Israele nel sud del Libano, perché Iran e Siria riforniscono la milizia di Hezbollah, che per due volte ha respinto le invasioni israeliane del Libano meridionale. Il tanto decantato esercito israeliano è buono solo per uccidere donne e bambini nel ghetto disarmato di Gaza.

Se l’America avesse dei media indipendenti, qualcuno chiederebbe a Pompeo che cosa esattamente sta facendo l’Iran che giustifichi il recesso unilaterale di Washington dall’Accordo nucleare iraniano, in opposizione alle firme europee, russe e cinesi, e l’imposizione di sanzioni che nessun altro paese del pianeta, tranne Israele, sostiene?

Ma, naturalmente, l’America non ha media indipendenti. Ha una collezione di puttane conosciute come NPR, Washington Post, New York Times, CNN, MSCBS, Fox News, ecc.

Senza un’informazione onesta e indipendente, non c’è responsabilità di governo. L’America non ha media onesti e indipendenti. Pertanto, in America non c’è responsabilità di governo.

“I deplorabili” si trovano di fronte a un dilemma. Il presidente che hanno eletto è stato sorpassato dall’establishment e non può rappresentarli. Invece, Trump consegna ai suoi sostenitori il guerrafondaio John Bolton come consigliere per la sicurezza nazionale e il guerrafondaio Pompeo come Segretario di Stato USA. Avrebbe anche potuto nominare Adolf Hitler. In effetti, Hitler era una persona più ragionevole.

Quindi, di nuovo, in America si sta svolgendo un’elezione in cui non si discute di nessuna delle cose importanti.

A meno che il popolo americano non si sollevi in una ribellione armata, come popolo libero è finito, e, naturalmente, non potrà insorgere. Non tanto perché la polizia e tutte le agenzie del governo sono state militarizzate, quanto perché il Marxismo Culturale ebraico e la Politica dell’Identità del Partito Democratico hanno disorganizzato il popolo americano, e tutti si scontrano gli uni con gli altri. Il Marxismo Culturale e la Politica dell’Identità hanno diviso la popolazione americana in vittime e carnefici. I veri carnefici e le vere vittime non fanno parte del quadro, una costruzione utile a un’agenda ideologica. Non è l’oligarchia il carnefice, ma il maschio bianco che vota Trump. Non sono i multi-miliardari la fonte dell’oppressione, ma la forza lavoro manifatturiera e industriale marginalizzata. Questa ex forza lavoro è bianca e nera, ma la Politica dell’Identità del Partito Democratico mette neri e bianchi gli uni contro gli altri.

La mia conclusione è che l’America è condannata. Le persone, con poche eccezioni, non sono abbastanza intelligenti per continuare ad esistere. Forse l’esito delle elezioni di oggi cambierà la mia opinione. Se il voto va all’establishment, tutto è perduto.

Fonte:
vocidallestero.it