sabato 9 giugno 2018

Con la sua scelta del Primo Ministro, il Presidente italiano ha fatto un regalo all’estrema destra


La difesa dello status quo da parte di Sergio Mattarella ha assicurato il successo delle politiche razziste e populiste
L’Italia dovrebbe passarsela bene. A differenza della Gran Bretagna, esporta molto e più verso il resto del mondo rispetto a quanto importa, mentre il suo governo spende meno(esclusi i pagamenti degli interessi) rispetto alle tasse che riceve. Tuttavia, dopo due decenni persi, l’Italia è in stagnazione e la sua popolazione in stato di ribellione.
Mentre è vero che l’Italia ha un serio bisogno di riforme, coloro che attribuiscono la responsabilità della stagnazione alle inefficienze e alla corruzione a livello nazionale, devono spiegare perché l’Italia è cresciuta così velocemente nel dopoguerra fino all’entrata nell’eurozona. Il suo governo e il suo ordinamento politico erano più efficienti e virtuosi negli anni ’70 e ’80? A malapena.
La ragione singolare per le difficoltà dell’Italia è la sua appartenenza a un’unione monetaria progettata in maniera spaventosa, l’eurozona, in cui l’economia italiana non riesce a respirare e i governi tedeschi consecutivi si rifiutano di apportare riforme.
Nel 2015 il popolo greco ha eletto un governo progressista ed europeista, con il mandato di chiedere un nuovo accordo all’interno dell’eurozona. Nell’arco di sei mesi, sotto la guida del governo tedesco, l’Unione Europea e la sua banca centrale ci hanno schiacciato. Qualche mese più tardi, alla domanda del quotidiano italiano Corriere della Sera, se pensavo che la democrazia europea fosse a rischio, ho risposto: “La Grecia si è arresa, ma è stata la democrazia europea a essere ferita a morte. A meno che gli Europei non si rendano conto che la loro economia è gestita da pseudo-tecnocrati non eletti e irresponsabili, i quali commettono un errore madornale dopo l’altro, la nostra democrazia rimarrà un’invenzione della nostra immaginazione collettiva.”
Da allora, il governo pro-establishment del Partito Democratico italiano ha attuato, una dopo l’altra, le politiche richieste dai burocrati non eletti dell’UE. Il risultato è stato più stagnazione. E così, a marzo, un’elezione nazionale ha consegnato un’assoluta maggioranza parlamentare a due partiti anti-establishment che, nonostante le loro divergenze, hanno condiviso dubbi sull’appartenenza all’eurozona e l’ostilità verso i migranti. Era il raccolto pieno di rabbia per le prospettive assenti e la speranza appassita.
Dopo alcune settimane del genere di mercanteggiamento post-elettorale, comune in Paesi come l’Italia e la Germania, i leader del Movimento Cinque Stelle e della Lega, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno stretto un accordo per formare un governo. Ahimè, il Presidente Sergio Mattarella ha usato i poteri conferitigli dalla costituzione italiana,per impedire la formazione di quel governo e, invece,ha consegnato il mandato a un tecnocrate, un ex dipendente dell’FMI che non ha alcuna possibilità di voto di fiducia in Parlamento.
Avesse Mattarella rifiutato a Salvini la carica di Ministro degli Interni, indignato per la promessa di espellere 500.000 migranti dall’Italia, sarei stato costretto a schierarmi a suo favore. Ma no, il Presidente non si dimostrato esitante. Nemmeno per un attimo ha considerato di porre il veto all’idea di un Paese europeo che dispiega le sue forze di sicurezza per fare una retata di centinaia di migliaia di persone, ingabbiarle e costringerle a salire su treni, autobus e traghetti, prima di mandarli chissà dove.
No, Mattarella ha scelto di scontrarsi con la maggioranza assoluta dei deputati per un altro motivo: la sua disapprovazione nei confronti del Ministro delle Finanze designato. Perché? Poiché il suddetto signore, pur essendo pienamente qualificato per l’incarico, e nonostante la sua dichiarazione di attenersi alle regole dell’UE, in passato aveva espresso dubbi sull’architettura dell’eurozona e caldeggiava un piano per l’uscita dall’UE, ove fosse necessario. Era come se Mattarella avesse dichiarato che il buonsenso, richiesto a un futuro Ministro delle Finanze, costituiva un motivo per la sua esclusione dall’incarico.
Ciò che colpisce è l’assenza, in qualsiasi parte del mondo, di un economista ragionevole che non condivida la preoccupazione per l’architettura difettosa dell’eurozona. Nessun prudente Ministro delle Finanze trascurerebbe di sviluppare un piano per l’uscita dall’euro. In effetti, so da fonte autorevole che il Ministero delle Finanze tedesco, la Banca Centrale Europea e tutte le maggiori banche e società abbiano piani per la possibile uscita dell’Italia, così come della Germania, dall’eurozona. Mattarella ci sta dicendo che al Ministro delle Finanze italiano è proibito ideare un piano di tale risma?
Al di là del suo fallimento morale nell’opporsi alla misantropia su scala industriale della Lega, il Presidente ha preso una grave cantonata dal punto di vista tattico: è caduto proprio nella trappola di Salvini. La formazione di un altro governo “tecnico”, sotto il burocrate dell’FMI, è un regalo fantastico al partito di Salvini.
Salvini sta segretamente smaniando al pensiero di un’altra elezione – che non combatterà come un populista misantropo e divisivo quale egli è, ma come difensore della democrazia contro lo Stato profondo. Ha già scalato gli alti valori morali con parole incitanti: “L’Italia non è una colonia, non siamo schiavi dei Tedeschi, dei Francesi, dello spread o della finanza.”
Se Mattarella trae conforto dal fatto che i precedenti Presidenti italiani sono riusciti a mettere in piedi governi tecnici, che hanno svolto il lavoro dell’establishment (con tale “successo” che il centro politico del Paese è imploso), si sbaglia di grosso. Questa volta, a differenza dei suoi predecessori, non ha la maggioranza parlamentare per approvare un bilancio o addirittura per dare al suo governo prescelto il voto di fiducia. Così, il Presidente è costretto a convocare nuove elezioni che, per gentile concessione della sua deriva morale e della sua cantonata dal punto di vista tattico, restituiranno una maggioranza ancora più forte alle forze politiche xenofobe italiane, forse in alleanza con l’indebolita Forza Italia di Silvio Berlusconi.
E allora come la mettiamo, Presidente Mattarella?
Yanis Varoufakis è co-fondatore di DiEM25 (Democracy in Europe Movement). È anche l’ex Ministro delle Finanze della Grecia

Traduzione Con la sua scelta del Primo Ministro, il Presidente italiano ha fatto un regalo all'estrema destra

venerdì 8 giugno 2018

Maddalena a Mattarella: arrendersi ai mercati è un crimine

Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte CostituzionaleDi fronte alla scelta di Mattarella di negare a Paolo Savona la nomina ministeriale ho provato disorientamento e abbattimento. Dal punto di vista strettamente costituzionale poteva dire "io non firmo", perché l'articolo 90 della Costituzione conferisce al presidente potere di nomina. Ma nel caso di specie, dopo aver consentito a Di Maio e Salvini di fare un programma di governo e dopo aver dato l'incarico a Conte, la contrarietà a un singolo ministro per un fatto individuale trovo sia perlomeno politicamente inammissibile, comunque contraria alla volontà del popolo italiano e al corpo elettorale, che si è espresso chiaramente per cambiare il sistema. Gli italiani hanno espresso un voto antisistema, invece Mattarella – chiamando Cottarelli, che proviene dal Fmi – ha voluto ribadire il suo apprezzamento per il sistema neoliberista. Su questo il presidente sbaglia: tutto si può dire, tranne che il sistema neoliberista abbia portato dei buoni frutti. Ha aumentato le disuguaglianze in tutto il mondo. Ha cominciato Pinochet, che ha distrutto il Cile. Poi c'è stata la Thatcher in Inghilterra, dove il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli mai visti. Il neoliberismo è stato applicato da Reagan e poi soprattutto da Clinton negli Stati Uniti (che ora hanno reagito non confermando la Clinton e votando Trump: dalla padella alla brace).
Il sistema valido è quello keynesiano, che permise agli Usa di superare la Grande Depressione degli anni Trenta. Si tratta di distribuire il denaro alla base della piramide sociale cioè ai lavoratori, facendo sì che i negozi aprano e le imprese assumano, in un circolo virtuoso. Invece, secondo la tesi neoliberista lanciata all'inizio degli anni '60 da un certo Milton Friedman della Scuola di Chicago, bisogna concentrare la ricchezza nelle mani di pochi e bisogna estromettere lo Stato dall'economia – cioè, il popolo intero non può partecipare all'economia come comunità statale: non si possono dare aiuti alle imprese, ci vuole una forte competività. Questo crea le premesse per cui il lavoro diventa merce, e quindi si tradisce l'idea stessa di Stato-comunità che è in Costituzione. La comunità è formata dal popolo, che contribuisce alla comunità col suo lavoro, dal territorio che offre i mezzi di sostentamento e le fonti di ricchezza necessarie per il progresso materiale e spirituale della società. La sovranità lascia al popolo l'appartenenza, a titolo di sovranità, del territorio, nonché la possibilità di decidere. Mi sembra che tutti gli elementi dello Stato-comunità vengano attaccati dal pensiero neoliberista, e mi spiace molto.
Lo spread? Noi legittimiamo – non so in base a quale principio giuridico – l'azione speculativa, che è vietata dal nostro codice. E' una sopraffazione, la speculazione: non è che possiamo dire che i mercati sono liberi di fare quello che vogliono. Quando gli Stati si sottomettono ai mercati, compiono un crimine fortissimo: i governanti devono appunto governare il mercato, non esserne governati. Il mercato fa i suoi interessi, e la speculazione non è lo strumento per fare i nostri. E' vietata, la speculazione: può recare danno e farci morire tutti. E' vietata dall'articolo 501 del codice penale, che punisce chi rompe la stabilità dei prezzi delle merci. Questa sottomissione al mercato, da parte dei governi di tutto il mondo – specie del mondo occidentale – è un errore madornale. Avere un mercato aperto non significa dare accesso a leggi di mercato arbitrarie. Il mercato dovrebbe seguire una sola legge naturale, quella della domanda e dell'offerta. In realtà, oggi tende solo ad appropriarsi dei beni altrui. Noi abbiamo dato tutto, ormai. Ci hanno tolto tutto: sono rimasti solo i nostri immobili privati, qualche piccola industria. Dobbiamo dare anche questo? Mi pare assurdo. E l'assurdità sta proprio in questo assecondare il pensiero neoliberista, e soprattutto l'azione – non legittima, per usare un eufemismo – che opera la finanza. La speculazione Paolo Savonafinanziaria è costituzionalmente illegittima: non è possibile darle legittimità. La riteniamo una cosa intoccabile, quasi sacra, quando in televisione stiamo a sentire com'è andata la Borsa.
Nel rifiutare Savona, Mattarella ha detto di voler tutelare i piccoli risparmiatori italiani? Su questo sono completamente in disaccordo, tant'è vero che lo spread è salito. Non si possono assecondare i mercati, che agiscono in base a principi egoistici. Noi abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale per controllare i mercati, ma lo stesso trattato internazionale sul commercio si è votato a favore della speculazione finanziaria. A mio avviso, la scelta di Sergio Mattarella – che rispetto, come persona – è completamente sbagliata. Ha buttato a mare un percorso che era durato 85 giorni. Lo stesso Savona gli aveva offerto una soluzione, dichiarandosi a favore dell'Europa: un'Europa con più uguaglianza tra gli Stati. La finanza agisce in modo malevolo, come la criminalità organizzata: se alla criminalità organizzata vai a dire "io faccio il tuo interesse", quella fa il suo interesse e ti uccide lo stesso. Ci stanno uccidendo ugualmente, infatti: non si tratta, col nemico criminale. La trattativa Stato-mafia? Allora furono le stragi a portarci alla trattativa, adesso è la guerra economica cavalcata soprattutto dalla Germania. L'unica nostra salvezza è attuare la Costituzione. Anche se dovessimo andare verso una "decrescita felice", come afferma Latouche, sarebbe preferibile: manterremmo le nostre cose e non saremmo esposti alla schiavitù. Perché a questo punto ci tolgono tutto il territorio ed è finita la comunità italiana – com'è avvenuto in Grecia, dove i cittadini fanno i camerieri per gli stranieri a cui hanno svenduto le loro case.
Ho capito da tempo che nel pensiero neoliberista c'è un meccanismo pratico che prevede la creazione del denaro dal nulla e la commercializzazione di denaro fittizio, come quello dei derivati. Tutto a favore delle multinazionali e contro gli interessi del popolo italiano. Addirittura l'ultimo Gentiloni ha approvato il decreto legislativo incostituzionale "taglia-foreste", destinate ad alimentare le centrali a biomassa dei nostri grandi imprenditori. Nell'ordinamento italiano è stato recepito il bail-in, cioè: se falliscono le banche, pagano i depositanti. Bella roba: questo è il sistema neoliberista, adottato dal Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona. Si tenga presente che, sui trattati europei, prevale la Costituzione della Repubblica italiana: a partire dal 1973, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha più volte affermato che nell'ordinamento italiano non possono entrare le norme comunitarie contrarie ai diritti fondamentali, ai diritti dell'uomo e ai principi fondanti della Costituzione repubblicana. Il diritto al lavoro è un diritto fondamentale: come facciamo a sostenere questo sistema economico predatorio neoliberista e Gentiloniridurre il lavoro a merce? Dobbiamo ripristinare il diritto, e l'ha fatto l'Islanda con grande successo – nazionalizzando tutti i fattori della produzione. Se invece in Italia andiamo avanti così, sensa nazionalizzare niente, è sicuro che moriremo tutti.
La finanza ci annienta con denaro fittizio: i derivati sono diventati 20 volte il Pil di tutti gli Stati del mondo. Noi italiani cosa siamo, degli imbecilli? Li potremmo far crollare abrogando leggi insulse che abbiamo approvato, facendo il male nostro. Addirittura i nostri rappresentati al Parlamento Europeo hanno detto sì al Ttip e al Ceta, cioè o trattati euro-atlantici che pretendono il risarcimento del danno se le multinazionali non riescono a piazzare in Italia i loro prodotti, che producono magari tumori. Per contro, quando sta succedendo potrebbe aiutare gli italiani a rendersi conto che devono essere uniti e opporsi al sistema predatorio e neoliberista. Evitando le delocalizzazioni, le liberalizzazioni e le privatizzazioni, e nazionalizzando il più possibile, gli italiani devono riprendersi il territorio che ci è stato tolto. Tornando al Quirinale: chi ha consigliato male il nostro presidente vuole il male dell'Italia, non in bene degli italiani. Il meccanismo neoliberista si fonda su precisi passaggi. Primo, creazione del denaro dal nulla. Derivati, cartolarizzazioni, Jobs Act, project-bond e tante altre cose, fatte con leggi incostituzionali. Quindi: privatizzazioni, liberalizzazioni. Nel 1990 abbiamo privatizzato tutte le banche pubbliche, primo atto assolutamente inconcepibile. Poi nel '92 abbiamo privatizzato l'Ina, l'Eni, l'Enel e l'Iri, con tutte le sue industrie. Ci siamo spogliati di tutto: il popolo italiano non produce più niente, è emarginato dall'economia. Come facciamo a pagare i nostri Mattarelladebiti? Anche quelli sono diventati una prestazione impossibile, ai sensi del codice civile. In un sistema predatorio, ogni giorno ci impoveriamo di più, ogni giorno il debito cresce.
Poi addirittura questi signori pretendono che il debito diminuisca mettendo denaro da parte: ma il denaro non basta più neppure per arrivare a fine mese, è il sistema che deva cambiare. Questo sistema poi finisce con le svendite: tutto il settore alimentare se l'è preso la Francia insieme a quello della moda, il settore meccanico se l'è preso la Germania, mentre la Cina s'è preso il settore agricolo. Siamo mancanti di tutto, e manteniamo ancora questo sistema? Per fortuna la gente sta capendo che bisogna cambiare, sente che questo sistema fa male. E i due partiti che hanno avuto più voti sono stati antisistema. Vogliamo un altro sistema? Questo dovrebbe chiarito, alle prossime elezioni: vogliamo ancora il sistema predatorio che ci fa morire o vogliamo il sistema produttivo che ci fa vivere? Non ci sono più destra, sinistra e centro: sopra c'è la finanza speculativa e sotto ci sono gli schiavi, ci siamo noi. E gli schiavi ci sono anche negli Stati Uniti, in Cile, in Sudamerica, in Germania, in Francia. Bisogna rivitalizzare il senso della comunità

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giovedì 7 giugno 2018

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 1 giugno 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Tiri di mortaio da Gaza
 

 
Sayyd Qutb era massone
 

 
Negoziazioni segrete tra Iran e Israele
 

 
La Knesset potrebbe appoggiare ufficialmente la creazione di un Kurdistan
 

 
Germania, Stati Uniti e Regno Unito disponevano del Novtichok
 

 
Lo Stato Profondo USA e la campagna di Trump
 

 
Il Canada impedisce ai venezuelani che vivono sul suo territorio di eleggere il loro presidente
 
Controversie

 
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mercoledì 6 giugno 2018

BILDERBERG / ECCO I PARTECIPANTI AL SUMMIT DI TORINO


Parte a Torino il super summit dei Bilderberg, giunto al suo sessantaseiesimo appuntamento. Si tiene da 7 al 10 giugno. E finalmente si alza il sipario sul nome dei partecipanti, come al solito coperto dal più totale riserbo fino a 48 ore dall’apertura dei lavori.
Ecco gli italiani in pista, in ordine alfabetico e con le qualifiche, per ciascun nome, dettagliate dall’organizzazione.
Alesina Alberto, economista, docente alla Harvard University
Caracciolo Lucio, direttore Limes
Cattaneo Elena, docente all’Università di Milano
Colao Vittorio, Ceo Vodafone
Elkan JohnFiat
Gruber Lilli, Editor chief, Anchor La 7
Mazzacurato MarianaUniversity College Londra
Parolin Pietro, cardinale, Segretario di Stato Vaticano
Rossi Salvatore, direttore Bankitalia

Elena Cattaneo. Nella foto in alto Lilli Gruber
Sono 128 i partecipanti in arrivo, a Torino, da 23 paesi. Si tratta di politici, economisti, finanzieri, imprenditori, docenti universitari e tutto quanto rappresenta il gotha a livello di potere mondiale.
Tra i pezzi da novanta spicca su tutti un nome, quello dell’inossidabile Henry Kissinger. Gli tengono compagnia, fior tra fiori, l’ex commissario Ue e oggi ai vertici di Goldaman Sachs Josè Manuel Barroso; il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg; l’ex generale a stelle e strisce e oggi al timone di Kkr Global Institute David Petraeus.
Passiamo ai temi che verranno affrontati dei ‘grandi’ della Terra.
Il Populismo in Europa”; “Il futuro del lavoro”; “L’intelligenza artificiale”; “Il libero commercio”; “La leadership mondiale degli Usa”; “La Russia”; “Arabia Saudita e Iran”.
Il primo argomento è di particolare attualità, alla luce degli ultimi risultati elettorali, in pole position quello italiano con il trionfo gialloverde che ha destato non pochi allarmi a livello europeo.
Sorge spontanea una domanda. Come mai tra i media di casa nostra si è alzata una totale cortina di silenzio intorno all’ormai storico appuntamento?
Forse per non dar fastidio ai manovratori?
O per seguire l’ultimo consiglio impartito da Emma Bonino nel salotto di Lilli Gruber, Otto e mezzo, cioè di non paragonare mai più quei santi radunati alla convention Bilderberg ai bad boys del Ku Klux Klan?

UE: Un Nazismo Senza Militarismo


DI PAOLO SAVONA

«L'Italia è in una nuova condizione coloniale…. siamo in presenza di un fascismo senza dittatura e, in economia, di un nazismo senza militarismo».

(Paolo Savona) Presentiamo ai lettori alcuni significativi stralci del libro di Paolo Savona "Come un incubo come un sogno" (Rubbettino) in libreria nei prossimi giorni. Sarà chiaro perché gli euroinomani lo detestano e Mattarella non vuole nominarlo ministro.

Risultati immagini per "Come un incubo come un sogno"

COME CI FICCAMMO NEI GUAI…
«Il mancato perseguimento degli obiettivi conduce a uno stato permanente di tensione all’interno dell’Europa per le ingiustizie che implica: i cittadini non sono tutti uguali nei diritti, ma solo nei doveri. L’esprit d’Europe si attenua e vengono meno le componenti sociali della pace, la vera forza che ha
trainato all’inizio l’idea di Europa. I motivi di questa situazione sono due: l’unione non era ancora maturata nella coscienza dei popoli europei finendo con il peggiorarla per le cattive performance registrate nei momenti di crisi e perché le istituzioni create confliggevano con gli obiettivi. La scelta fu decisa da un’élite che procedette illudendo il popolo con le promesse contenute nell’articolo 3 riportato. Per l’euro, invece, la volontà delle élite divergeva e fu necessario un compromesso che assegnò compiti limitati all’eurosistema e condusse a una sua nascita prematura rispetto all’indispensabile unione politica. Le preoccupazioni erano dovute al fatto che l’assegnazione di poteri più ampi alla Banca centrale europea non avrebbe garantito un’inflazione contenuta e poteva condurre a una mutualizzazione dei debiti pubblici, entrambi aspetti che la Germania non intendeva accettare. Fu un atto di debolezza dovuto alla fretta».
ITALIA COLONIA (TEDESCA)…
«Al di là dei difetti in materia “economica”, i modi in cui l’Ue è nata, con poca preparazione dei cittadini europei e in assenza di un referendum in molti dei paesi firmatari, sono la manifestazione più chiara della filosofia politica più ingiusta e pericolosa per l’affermarsi della democrazia: quella che gli elettori non sanno scegliere, mentre sarebbero capaci di farlo per loro conto solo gruppi dirigenti “illuminati” che, guarda caso, coincidono con quelli al potere. Tra questi Paesi vi è l’Italia, dove la Costituzione decisa dai padri della Repubblica contiene la più chiara violazione del principio democratico, quello che i trattati internazionali non possono essere oggetto di referendum. Conosciamo le origini di questa grave
limitazione, ma esse non valgono più dalla caduta del comunismo sovietico; torna comodo tenersi la proibizione per imporre la volontà dei gruppi dirigenti economici e politici. Posso testimoniare personalmente che i sostenitori del Trattato di Maastricht, in particolare per quanto riguarda la cessione della sovranità monetaria, erano coscienti dei difetti insiti negli accordi firmati, ma la sfiducia che essi avevano maturato sulla possibilità di collocare l’Italia nel nuovo contesto geopolitico hanno indotto il Parlamento a seguire i loro consigli, compiendo un atto che sarebbe potuto essere favorevole al Paese se l’assetto istituzionale dell’Ue avesse condotto a un’unione politica vera e propria e non avesse i gravi difetti di architettura istituzione e di politeia indicati…Poiché l’unione commerciale e monetaria non ha condotto all’unione politica come sperato, questi gruppi dirigenti ci hanno lasciato un’eredità negativa che, sommandosi ai difetti culturali e politici del Paese, fa scivolare l’Italia in una nuova condizione coloniale, quella stessa sperimentata dalla Grecia».
FASCISMO SENZA DITTATURA…
«L’Italia era impreparata nel 1992 ed è ancor più impreparata oggi, per le difficoltà che si sono accumulate e perché ha capito con quali compagni di strada si è messa. Non accuso la sola dirigenza italiana della scelta errata, ma anche quella europea, che era ben conscia, anche spingendosi oltre la realtà fattuale, che l’Italia non fosse preparata per stare nella moneta unica così come era stata concepita. Nella riunione del 24 marzo 1997, tenutasi a Francoforte, l’Italia era fuori dall’euro, nonostante Ciampi, ministro del Tesoro del governo Prodi, avesse varato il 30 dicembre precedente una manovra fiscale di 4.300 miliardi di lire, imponendo quella che è ricordata come “eurotassa” per rientrare nei parametri fiscali concordati. L’Italia aveva chiesto inutilmente di prorogare l’avvio dell’euro, ma la Germania si oppose. Un anno dopo, il 28 marzo, l’Italia venne accettata nel gruppo di testa dei Paesi aderenti all’euro. Non si conosce che cosa sia esattamente successo nel corso di quell’anno; forse ha contato l’impegno della diplomazia monetaria, dove la Banca d’Italia svolgeva un ruolo importante, o forse il fatto che, fatti bene i calcoli, i Paesi-membri hanno compreso che, tenendoci fuori, avrebbero patito la nostra concorrenza sul cambio e, accettandoci, avrebbero bardato il nostro sviluppo. Ora la nuova sovranità da espugnare è quella fiscale con le stesse modalità che hanno ispirato la cessione della sovranità monetaria, ossia secondo una visione di parte, pregiudiziale, del suo funzionamento, accompagnata dalla solita dichiarazione che servirebbe a migliorare il benessere generale. Essa non sarebbe un passo verso un’unione dove i cittadini godono degli stessi diritti ma per consentire una buona performance dell’euro e del mercato unico che causa una divisione tra essi. L’uomo al servizio delle istituzioni e non viceversa, una concezione sovietica dietro il paravento della liberaldemocrazia. Semmai si decidesse di farlo — e i gruppi dirigenti italiani, la stessa cultura accademica prevalente sono pronti ad accettarlo — si rafforzerebbero ancor più le forme di coordinamento obbligatorio, di tipo burocratico, diminuendo quello spontaneo garantito dal mercato unico creato con gli Accordi di Roma del 1957. Il problema dell’Ue non è l’autonomia delle sovranità fiscali nazionali, peraltro già vincolate dai parametri di Maastricht e rafforzate con il fiscal compact, ma l’assenza di un’unione politica in una delle forme conosciute di Stato. Spiace doverlo evidenziare, ma, cavalcando l’ideale elevato di porre fine alle guerre tra Paesi europei, non potendo procedere per via politica, i gruppi dirigenti hanno deciso di seguire una soluzione dove i principi democratici non hanno accoglienza. La conseguenza di questa scelta ha i contenuti di un fascismo senza dittatura e, in economia, di un nazismo senza militarismo».
SE QUALCOSA NON FUNZIONA SI CAMBIA…
I gruppi dirigenti apprezzano l’inversione dei rapporti di forza favorevole che l’Ue stabilisce tra loro e il popolo, in particolare i lavoratori, con i media che esaltano quasi quotidianamente “le magnifiche e progressive sorti” dell’Unione europea per il Paese, anche se esse non emergono dalla realtà. L’enigma (peraltro di facile soluzione) è a quale parte del Paese si riferiscono? Purtroppo la risposta è quella parte che già sta bene e sa difendersi, essendo in larga maggioranza. Siamo tornati indietro di secoli nelle conquiste raggiunte nella convivenza civile democratica. Poiché una politica monetaria comune non si adatta a tutte le esigenze o condizioni di fatto dei Paesi che aderiscono alla moneta unica, l’aggiustamento dovrebbe essere attuato con adeguate politiche fiscali, le quali, come si è ricordato, sono restate nelle mani dei singoli Paesi, ma sono vincolate da limiti ben precisi posti ai deficit del bilancio pubblico e al livello del debito sovrano sul Pil. Soprattutto per i Paesi, come l’Italia, che fin dall’inizio avevano una posizione squilibrata rispetto a questi due parametri fiscali (oltre il 7% nel deficit di bilancio e oltre il 100% nel rapporto debito pubblico/Pil), gli spazi per queste politiche sono di fatto attribuiti in modo asimmetrico, positivi per chi rientra nei parametri concordati, negativi per gli altri. L’ingiustizia è innata negli accordi (…) Non c’è verso di convincere i leader dell’Unione europea di seguire il principio di Franklin Delano Roosevelt che se qualcosa non funziona, si cambia. Ma il cambiamento richiede preparazione scientifica, fantasia creatrice e coraggio per intraprenderlo. Nell’Ue le forze della conservazione prevalgono. La storia economica brevemente percorsa suggerisce che è necessario mutare le politiche riguardanti gli investimenti, soprattutto pubblici, e la tutela del risparmio operando sui tassi dell’interesse e sul rischio, nonché il funzionamento del sistema monetario internazionale ed europeo, affrontando con adeguate politiche i divari di produttività tra aree geografiche, settori produttivi e dimensioni di impresa. Se non lo fa, la società prima o dopo si vendicherà, seguendo i movimenti di protesta non perché siano preparati ad affrontare il problema, ma solo perché insoddisfatti delle politiche seguite dai partiti tradizionali».
IL RISCHIO CHE ARRIVI LA TROIKA…
«Non ho mai chiesto di uscire dall’euro, ma di essere preparati a farlo se, per una qualsiasi ragione, fossimo costretti volenti o nolenti (il piano B da me invocato). Ritengo che uscire dall’euro comporti difficoltà altrettanto gravi di quelle che abbiamo sperimentato e sperimenteremo per restare. Il problema consiste nel fatto che non abbiamo né piano A, né B. Il piano A dell’Italia è quello della Ue con le conseguenze indicate. Ho il timore che il piano B sia quello di consegnare la sovranità fiscale alla “triade” (Fmi-Bce-Commissione) se le cose peggiorano, infilandoci nella soluzione greca. Il Paese è in un vicolo cieco. Le autorità hanno il dovere di approntare e attuare due diversi piani, quello necessario per restare nell’Ue e nell’euro, e quello per uscire se gli accordi non cambiano e i danni crescono. Invece si insiste nella loro inutilità essendo l’euro irreversibile e si è disposti a pagare qualsiasi costo pur di stare nell’eurosistema. La prima dichiarazione viene fatta a voce alta, la seconda raramente, ma viene comunque pensata dagli ideologi dell’Ue e dell’euro, ben sapendo che questo costo non verrebbe pagato da loro, ma da una minoranza, sia pure di dimensione significativa».
Paolo Savona
Fonte: sollevazione.blogspot.it 

martedì 5 giugno 2018

Attenzione: pericolo imminente nel Bacino dei Caraibi

Le incredibili reazioni all’articolo da noi pubblicato di Stella Calloni sul progetto del SouthCom contro il Venezuela mettono a nudo la frattura della sinistra latino-americana. Qualora il Pentagono passasse all’azione, non c’è nulla di buono che si possa prevedere per la Resistenza. Eppure è un fatto che le forze armate USA si stano preparando a distruggere Stati e società del bacino dei Caraibi, così come stanno facendo nel Medio Oriente Allargato da 17 anni.
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L’ammiraglio Kurt Tidd, comandante in capo del SouthCom, e il presidente Donald Trump.
Due settimane fa abbiamo pubblicato un articolo, estremamente importante, sul piano del SouthCom contro il Venezuela [1].
Il SouthCom è il comando regionale delle forze armate statunitensi in America Latina.
L’articolo è di Stella Calloni, personalità che dagli anni Ottanta non ha mai smesso di denunciare i complotti orditi dagli Stati Uniti contro le popolazioni durante la guerra fredda, insieme ai servizi segreti di Cile, Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay: l’ “Operazione Condor”. Calloni, che negli anni Settanta fu una resistente alle dittature, oggi è reputata il migliore storico in materia [2] ed è da trent’anni amica di quasi tutti i dirigenti della sinistra latino-americana.
Eppure quest’icona, tanto rispettata, in molti Paesi è stata violentemente criticata da organizzazioni di sinistra. In mancanza di argomentazioni, la contestazione si discosta dai fatti per mettere in causa l’autrice.
Quel che sta accadendo oggi in America Latina è estensione di quel che abbiamo vissuto in Europa dal 2002, dopo la pubblicazione del mio libro sugli attentati dell’11 settembre [3]: le organizzazioni di sinistra negano i piani e le azioni degli Stati Uniti anche quando se ne forniscono le prove. Cercano di mettere a tacere quelli che lanciano l’allarme su un pericolo imminente. Paradossalmente, il messaggio viene preso sul serio da organizzazioni di destra, un tempo legate a Washington.
L’articolo di Stella Calloni è importante, non solo perché prova quel che il SouthCom sta facendo contro il presidente Nicolas Maduro, ma soprattutto perché dimostra che il Pentagono non sta pianificando un “cambiamento di regime”. Qui non si tratta, come negli anni Settanta, di rovesciare Salvador Allende e di sostituirlo con il generale Pinochet. Si vuole distruggere lo Stato del Venezuela, schiacciare chavisti e ogni tipo di opposizione per impedire a chiunque di governare e affermare così l’incontrastata volontà di Washington.
Di fronte all’articolo di Calloni, non conta essere di sinistra o di destra. Ciascuno è chiamato ad agire in prima persona. Oggi non conta tanto lo scombussolamento che vive il Venezuela: il problema principale non è più economico, bensì militare. Si tratta della questione del Popolo di fronte alle potenze transnazionali, della Nazione di fronte all’aggressione straniera.
Conosciamo il piano del SouthCom [4] e vediamo le truppe disporsi in ordine di battaglia. La circostanza che il presidente Trump vi si opponga esclude per ora la deflagrazione, ma dobbiamo comunque prepararci.
Dobbiamo trarre le conseguenze da quel che da 17 anni sta accadendo nel Medio Oriente Allargato [5]. Laddove la stampa mondiale ha affrontato i disordini e le guerre in Afghanistan, Iraq, Libano, Palestina, Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein, Siria e Yemen come un’epidemia di violenza, noi invece dobbiamo capire che la guerra non è più contro un determinato Paese, bensì risponde a una strategia straniera riguardante un’intera regione. È già accaduto negli anni Settanta con l’Operazione Condor.
Soprattutto – e questo è un fatto nuovo – dobbiamo renderci conto che non esiste Paese in cui il conflitto sia terminato. Gli Stati Uniti non provocano disordine per issare un partito al potere. La loro priorità non è più il furto di risorse naturali, bensì la distruzione delle strutture dello Stato e delle relazioni sociali [6], anche a costo di far precipitare popoli nella barbarie: questo è il mezzo più sicuro per inibire ogni possibilità di resistenza organizzata.
Le guerre imperialiste moderne sono molto diverse da quelle della Guerra Fredda. Sovvertono i nostri punti di riferimento intellettuali e ci costringono a ripensare la nostra comprensione del mondo.
Indipendentemente da ogni valutazione morale, dobbiamo prendere atto che il Pentagono sta mettendo in opera la strategia dell’ammiraglio Arthur Cebrowski [7], sintetizzata dal suo amico Donald Rumsfeld nella locuzione «guerra lunga» e dal presidente Bush nell’espressione «guerra senza fine».