venerdì 21 dicembre 2018

Noi ricordiamo la Grande Guerra, mentre i Palestinesi la stanno Vivendo


C’è stato qualcosa di incredibilmente familiare nel modo in cui abbiamo commemorato quella che abbiamo definito la fine della  Prima Guerra Mondiale, avvenuta cento anni fa. Non sono state solo le cascate di papaveri o i nomi che ci suonavano familiari – Mons, Somme, Ypres, Verdun – ma essenzialmente il silenzio quasi totale su tutti i Morti della prima guerra mondiale, come se i loro occhi non fossero stati dello stesso colore dei nostri, come se il colore della loro pelle non fosse stato lo stesso della nostra, come se la loro sofferenza continuasse ancora dai giorni della Grande Guerra fino ad oggi.
Persino quei pochi inserti della Domenica che hanno provato ad allontanarsi dal fronte occidentale hanno toccato appena quelli che sono i postumi della guerra nella nuova Polonia, nella nuova Cecoslovacchia, nella nuova Jugoslavia e nella Russia bolscevica, accennando appena alla Turchia. Non si è detta una sola parola sulle grandi carestie – che hanno causato 1,6 milioni di morti – degli arabi del Levante, provocate dai saccheggi  dei turchi o dal blocco messo dagli alleati nella prima guerra mondiale. Ancora più sorprendente è che non sono riuscito a trovare nemmeno un riferimento ai grandi crimini contro l’umanità avvenuti durante la prima guerra mondiale – né l’assassinio degli ostaggi belgi compiuti dalle truppe tedesche nel 1914, né il  genocidio armeno di un milione e mezzo di cristiani civili nel 1915 compiuto dall’alleato turco-ottomano della Germania.
Chi ha parlato  della Dichiarazione di Balfour, quel documento scritto nel 1917 durante la Prima Guerra Mondiale  sul Medio Oriente, in cui si prometteva una patria in Palestina per gli ebrei e che contemporaneamente ha condannato gli arabi palestinesi (che all’epoca erano la maggioranza in Palestina) a quello che io chiamo  un refugeedom ? E chi ha parlato dell’accordo Sykes-Picot del 1916, quello che spaccò il Medio Oriente e tradì la promessa dell’indipendenza araba? E chi ha parlato dell’avanzata del Generale Allenby su Gerusalemme, colui che – oggi  sembra dimenticato da tutti i nostri amati commentatori –  per primo fece uso di gas in Medio Oriente? Siamo così toccati dalla ferocia della storia moderna in Siria e in Iraq, che dimentichiamo – o non sappiamo – che gli uomini di Allenby spararono proiettili di gas contro l’esercito turco a Gaza.
 Nei cimiteri di guerra alleati della prima guerra mondiale in Medio Oriente e in Europa ci sono decine di migliaia di tombe musulmane – algerini, marocchini, indiani – eppure non ne ho visto una sola foto e nemmeno una dei lavoratori cinesi che morirono sul fronte occidentale mentre trasportavano munizioni per le truppe britanniche, né dei soldati africani che combatterono e morirono per la Francia sulla Somme. Solo in Francia, sembra che il presidente Macron abbia ricordato questo momento saliente del conflitto, nel modo migliore che ha potuto, perché durante la Grande Guerra , oltre 30.000 uomini delle Comore, Senegal, Congo, Somalia, Guinea e Benin sono morti per la Francia.
C’era un monumento che li ricordava a Reims. Ma i tedeschi lanciarono un feroce attacco razzista contro le truppe nere dei francesi che parteciparono all’occupazione della Germania post-prima guerra mondiale per lo stupro delle donne tedesche e per evitare di “mettere in pericolo il futuro della razza tedesca”. Tutto falso, naturalmente, ma nel momento in cui le legioni di Hitler invasero la Francia nel 1940, la propaganda nazista aveva fatto il suo lavoro contro questi stessi uomini. Più di 2.000 soldati francesi neri furono massacrati dalla Wehrmacht nel 1940 e il monumento fu distrutto. È stato appena ricostruito e inaugurato appena in tempo per il centenario dell’Armistizio.
Poi c’è lo scherno sulle tombe dei morti. Dei 4.000 marocchini – tutti musulmani – inviati nel 1914 alla battaglia della Marna sopravvissero solo 800, altri morirono a Verdun. Dei 45.000 soldati marocchini del Generale Hubert Lyautey, ne furono uccisi 12.000 durante quella guerra. Ci volle una piccola rivista francese, Jeune Afrique, per raccontare che le tombe di molti dei morti marocchini ancora oggi sono segnate con la stella e la mezzaluna del califfato turco-ottomano. Ma i marocchini, benché facessero notoriamente parte dell’impero ottomano, stavano combattendo per la Francia contro i turchi, alleati della Germania. La stella e la mezzaluna non sono mai state il simbolo ufficiale dei musulmani. In ogni caso, i Marocchini al tempo della Grande Guerra già avevano una loro bandiera.
Ma naturalmente, il vero simbolo della Prima Guerra Mondiale con tutti i suoi effetti continuativi e sanguinosi si trova in Medio Oriente. I conflitti in quella regione – in Siria, in Iraq, in Israele, a Gaza, in Cisgiordania e nel Golfo – possono far risalire la loro genesi fino alla nostra titanica Grande Guerra. L’accordo Sykes-Picot ha diviso gli arabi. La guerra – solo pochi giorni dopo la disfatta di Gallipoli –  permise ai turchi di distruggere la minoranza cristiana che viveva in Armenia. I nazisti, ad ogni modo, amavano Mustafa Kemal Ataturk perché aveva “purificato” le minoranze interne. Quando Ataturk morì, il giornale del partito Volkischer Beobachter listò la sua prima pagina di nero. La divisione del Libano e della Siria e il loro sistema di amministrazione settario furono inventati dai francesi dopo essersi assicurati il mandato postbellico per governare il Levante. La rivolta in Iraq, dopo la prima guerra mondiale contro il dominio britannico fu in parte alimentata dal disgusto per la Dichiarazione di Balmour.
Maliziosamente, sono andato a scavare nella biblioteca dei vecchi libri di storia del mio defunto papà – quelli sulla Grande Guerra, terza battaglia della Somme, 1918 – e ho trovato degli scritti di Winston Churchill che, con rabbia e tristezza, parla degli “olocausti” degli armeni (usò esattamente questa parola) ma non riuscì a vedere nessun futuro per il mondo arabo nemmeno nella sua The Great War, in quattro volumi che scrisse nel 1935. La sua unica disquisizione sull’ex impero ottomano ancora fumante si trova in una appendice di due pagine a pagina 1.647, dal titolo: “Memorandum sulla pacificazione del Medio Oriente”.
Ogni mattina i palestinesi si svegliano, oggi, in mezzo alla polvere e al lerciume dei campi di Nahr el-Bared, di  Ein el-Helwe o di Sabra e Chatila in Libano. Per loro non fu nel 1915 che la penna di Balfour mise il suo graffio stridente sotto il documento di espropriazione, ma è stato solo la scorsa notte. Per questi rifugiati, che vivono ancora nei loro tuguri e nelle loro baracche, mentre voi state leggendo queste parole, la prima guerra mondiale non è finita mai.
Nemmeno oggi. Oggi, nel centenario della “fine” della prima guerra mondiale.
Robert Fisk   scrive per l’Independent, dove è stato originalmente pubblicato questo articolo
19.11.2018
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte  comedonchisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque Primario

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