domenica 7 ottobre 2018

Fermate la prima pagina. Mancano i reporter


La morte di Robert Parry ad inizio anno è parsa un addio all’era dei reporter. Parry è stato “un pioniere del giornalismo indipendente”, ha scritto Seymour Hersh, con cui condivideva molte cose.
Hersh ha svelato il massacro di My Lai in Vietnam e il bombardamento segreto della Cambogia, Parry ha denunciato Iran-Contra, una cospirazione di droga e armi che ha lambito la Casa Bianca. Nel 2016, i due hanno prodotto separatamente prove schiaccianti che il governo di Assad in Siria non aveva usato armi chimiche. Di questo non furono mai perdonati.
Allontanato dal “mainstream”, Hersh è costretto a pubblicare i suoi articoli al di fuori degli Stati Uniti. Parry ha creato un suo sito Web di notizie indipendenti, il Consortium News, in cui, nell’ultimo pezzo scritto dopo aver subito un infarto, fa riferimento a come il giornalismo veneri le “opinioni approvate” mentre “le opinioni non approvate vengono spazzate via o denigrate a prescindere dalla loro qualità”.
Benché il giornalismo sia sempre stato una specie di prolunga dell’ordine costituito, qualcosa è cambiato negli ultimi anni. Il dissenso tollerato quando entrai a far parte di un quotidiano nazionale britannico negli anni ’60 è regredito in una simbolica clandestinità mentre il capitalismo liberale si sta spostando verso una forma di dittatura aziendale. Questo è un cambiamento sismico, con i giornalisti che controllano il nuovo “pensiero di gruppo”, come lo chiamava Parry, divulgandone miti e distrazioni e perseguendone i nemici.
Basta vedere la caccia alle streghe contro rifugiati e immigrati, il volontario abbandono da parte dei fanatici “MeToo” della nostra più antica libertà, la presunzione di innocenza, il razzismo anti-russo, l’isteria anti-Brexit, la crescente campagna anti-Cina e l’insabbiamento di un preavviso di guerra mondiale.
Con molti se non la maggior parte dei giornalisti indipendenti esclusi o espulsi dal “mainstream”, un angolo di Internet è diventato una fonte vitale di divulgazione e analisi basata sulle prove: vero giornalismo. Siti come wikileaks.org, consortiumnews.com, ZNet zcomm.org, wsws.org, truthdig.com, globalresearch.org, counterpunch.org e informationclearinghouse.com sono fonti indispensabili di lettura per chi cerca di dare un senso a un mondo in cui scienza e tecnologia progrediscono splendidamente mentre la vita politica ed economica nelle preoccupanti “democrazie” regredisce dietro la facciata mediatica di uno spettacolo narcisistico.
Cè un solo sito in Gran Bretagna che propone costanti ed indipendenti critiche ai media. È l’eccezionale Media Lens, in parte perché i suoi fondatori, redattori, ed unici scrittori, David Edwards e David Cromwell, fin dal 2001 hanno concentrato lo sguardo non sui soliti sospetti, la stampa dei Conservatori, ma sul modello rispettabile di giornalismo liberale: la BBC, il Guardian, Channel 4 News.
Il loro metodo è semplice. Meticolosi nella ricerca, sono rispettosi ed educati quando chiedono perché un giornalista, lui o lei, ha scritto un articolo fazioso, o non ha svelato fatti essenziali o li ha distorti.
Le risposte che ricevono sono spesso sulla difensiva, e a volte brutali; alcuni (articolisti) diventano isterici, come se si fosse sollevato un coperchio su una specie protetta.
Si può dire che Media Lens abbia frantumato il silenzio riguardo al giornalismo aziendale. Come Noam Chomsky ed Edward Herman in Manufacturing Consent, rappresentano un Quinto Potere che smonta e smitizza il potere dei media.
Per quanto li riguarda, ciò che è particolarmente interessante è che nessuno dei due è giornalista. David Edwards è un ex insegnante e David Cromwell è un oceanografo. Eppure, la loro comprensione della moralità del giornalismo – un termine usato raramente; chiamiamola vera obiettività – è una qualità che esalta i comunicati di Media Lens online.
Penso che il loro lavoro sia eroico e metterei una copia del loro ultimo libro appena pubblicato, Propaganda Blitz, in ogni scuola di giornalismo che fornisce servizi al sistema aziendale, come fanno tutte.
Prendiamo il capitolo Smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale, in cui Edwards e Cromwell descrivono il ruolo essenziale dei giornalisti nella crisi che sta affrontando il pionieristico servizio sanitario britannico.
La crisi del NHS [National Health Service, o Servizio Sanitario Nazionale] è il prodotto di una fabbricazione politico-mediatica nota come “austerità”, con il suo linguaggio ingannevole e subdolo di “risparmi di efficienza” (il termine usato dalla BBC per tagliare la spesa pubblica) e “scelte difficili” (la distruzione intenzionale delle fondamenta della vita civile nella Gran Bretagna moderna).
L’ “Austerità” è un’invenzione. La Gran Bretagna è un paese ricco con un debito dovuto dalle sue banche disoneste, non dalla sua gente. Le risorse che avrebbero comodamente finanziato il Servizio Sanitario Nazionale sono state rubate sotto gli occhi di tutti dai pochi autorizzati ad eludere ed evadere miliardi di sterline in tasse.
Usando un vocabolario di eufemismi corporativi, il Servizio Sanitario, finanziato con denaro pubblico, viene volutamente abbattuto dai fanatici del libero mercato per giustificare la sua svendita. Il partito laburista di Jeremy Corbyn potrebbe sembrare contrario, ma lo è veramente? La risposta è, molto probabilmente, no. Poco di tutto ciò è accennato nei media, e tanto meno spiegato.
Edwards e Cromwell hanno esaminato minuziosamente la legge sull’assistenza sanitaria e sociale del 2012, il cui innocuo titolo nasconde le sue catastrofiche conseguenze. La legge, sconosciuta alla maggior parte della popolazione, mette fine all’obbligo legale dei governi britannici di fornire l’assistenza sanitaria universale gratuita: la base su cui il Servizio Sanitario Nazionale [NHS] è stato istituito dopo la seconda guerra mondiale. Le compagnie private ora possono insinuarsi nel NHS, pezzo dopo pezzo.
Dov’era la BBC mentre questo importante progetto di legge stava passando in Parlamento? Si chiedono Edwards e Cromwell. Con un impegno statutario a “fornire un ampio respiro” nell’informare adeguatamente i cittadini su “questioni di ordine pubblico”, la BBC non ha mai informato della minaccia posta a una delle istituzioni più care della nazione. Un titolo della BBC diceva: “La legge che dà potere ai GP [General Practitioners, o Dottori di Base] passa”. Questa è stata pura propaganda di stato.
C’è una sorprendente somiglianza con la copertura della BBC dell’illegale invasione dell’Iraq voluta dal primo ministro Tony Blair nel 2003, che ha prodotto un milione di morti e altrettanti diseredati. Uno studio dell’Università del Galles, a Cardiff, ha rilevato che la BBC rifletteva la linea del governo “in modo schiacciante” mentre sminuiva i resoconti sulla sofferenza dei civili. Uno studio di Media Tenor ha collocato la BBC in fondo ad una lista di emittenti occidentali nella copertura televisiva degli avversari dell’invasione. Il tanto decantato “principio” dell’imprenditoria della corporation non è mai stato preso in considerazione.
Uno dei capitoli più significativi di Propaganda Blitz descrive le campagne diffamatorie congegnate dai giornalisti contro dissidenti, politici anticonformisti e informatori. La campagna del Guardian contro il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è la più inquietante.
Assange, le cui epiche rivelazioni su WikiLeaks hanno portato fama, premi di giornalismo e regalie al Guardian, è stato abbandonato quando non era più utile. Poi fu sottoposto ad un violento – e vigliacco – assalto mediatico di una specie che raramente ho visto.
Senza un soldo per WikiLeaks, un libro del Guardian ha portato ad un redditizio accordo cinematografico con Hollywood. Gli autori del libro, Luke Harding e David Leigh, descrivono arbitrariamente Assange come individuo dalla “personalità danneggiata” e “insensibile”. Hanno anche svelato la password segreta che lui aveva dato al giornale in confidenza, progettata per proteggere un file digitale contenente i cablogrammi dell’ambasciata americana.
Con Assange ora intrappolato nell’ambasciata ecuadoriana, Harding, fuori tra gli agenti di polizia, gongolava sul suo blog che “Scotland Yard potrebbe avere l’ultima risata”.
L’opinionista del Guardian, Suzanne Moore, ha scritto: “Scommetto che Assange si sta rimpinzando di porcellini d’india, è proprio un enorme stronzo”.
Moore, che si professa femminista, si è in seguito lamentata del fatto che, dopo aver attaccato Assange, avesse subito “ignobili abusi”. Edwards e Cromwell le hanno scritto: “È un vero peccato, ci spiace sentirlo, ma come descriverebbe il chiamare qualcuno ‘enorme stronzo’? Ignobile abuso?”.
Moore rispose di no, aggiungendo: “Vi consiglierei di smettere di essere così dannatamente paternalisti”.
Il suo ex collega del Guardian James Ball scrisse: “È difficile immaginare la puzza dell’ambasciata ecuadoregna a Londra più di cinque anni e mezzo dopo che Julian Assange si è trasferito lì”.
Tale ottusa malvagità appariva su di un giornale descritto dalla sua editrice, Katharine Viner, come “ponderato e progressista”. Qual è la radice di questa vendicatività? È la gelosia, un riconoscimento perverso che Assange ha ottenuto più primati giornalistici di quanti ne possano vantare i suoi cecchini in una vita? È lui che si rifiuta di essere “uno di noi” e svergogna chi ha da tempo venduto l’indipendenza del giornalismo?
Gli studenti di giornalismo dovrebbero analizzare tutto ciò per capire che la fonte delle “bufale” non è solo il trollismo, o il tipo di notizie alla Fox, o Donald Trump, ma un giornalismo auto-referenziale con una falsa rispettabilità: un giornalismo liberale che finge di sfidare il corrotto potere statale ma che, in realtà, lo corteggia, protegge e collude con esso. L’amoralità degli anni di Tony Blair, che il Guardian non è riuscito a riabilitare, ne è l’eco.
“[È] un’era in cui le persone desiderano nuove idee e nuove alternative”, ha scritto Katharine Viner. Il suo scrittore politico Jonathan Freedland ha bollato il desiderio dei giovani che hanno sostenuto le modeste politiche del leader laburista Jeremy Corbyn come “una forma di narcisismo”.
“Come ha fatto quest’uomo…”, ha ragliato Zoe Williams del Guardian, “ad ottenere il ballottaggio?” Un coro di precoci ciarlatani del giornale si unì a lei, dopo di che si accodò per cadere sulle proprie spade spuntate quando Corbyn per poco non vinceva le elezioni generali del 2017 nonostante i media.
Storie complicate sono riportate in una formula quasi settaria di pregiudizi, dicerie e omissioni: Brexit, Venezuela, Russia, Siria. In Siria, solo le indagini di un gruppo di giornalisti indipendenti sono andate contro corrente, rivelando la rete di sostegno anglo-americano ai jihadisti, compresi quelli collegati all’ISIS.
L’obiettivo, favorito da una campagna “psyops” finanziata dal Foreign Office britannico e dall’Agenzia statunitense per l’aiuto internazionale, è quello di ingannare il pubblico occidentale e accelerare il rovesciamento del governo di Damasco, a prescindere dall’alternativa medievale e dal rischio di guerra con la Russia.
La campagna di Siria, istituita da un’agenzia di Pubbliche Relazioni di New York chiamata Purpose, finanzia un gruppo noto come i Caschi Bianchi, che falsamente afferma di essere “la Difesa Civile della Siria” e che viene visto acriticamente sui notiziari televisivi e sui social media mentre sta in apparenza salvando vittime di bombardamenti, che filmano e modificano essi stessi, anche se è improbabile che ciò sia detto agli spettatori. George Clooney è un loro fan.
I Caschi Bianchi sono appendici dei jihadisti con cui condividono i recapiti. Le loro belle uniformi e attrezzature sono fornite dai loro finanziatori occidentali. Che le loro “imprese” non siano messe in discussione dalle principali agenzie di stampa è un’indicazione di quanto sia profonda l’influenza nei media del PR di stato. Come Robert Fisk ha notato di recente, nessun reporter “mainstream” riferisce sulla Siria, dalla Siria.
In ciò che pare come una severa critica, una reporter del Guardian con sede a San Francisco, Olivia Solon, che non ha mai visitato la Siria, è stata autorizzata a diffondere il lavoro investigativo sostenuto dai giornalisti Vanessa Beeley e Eva Bartlett sui Caschi Bianchi come “diffuso online da una rete di attivisti anti-imperialisti, teorici della cospirazione e troll con il sostegno del governo russo”.
Questo abuso è stato pubblicato senza consentire una singola correzione, per non parlare del diritto di risposta. La pagina dei commenti del Guardian è stata bloccata, come documentato da Edwards e Cromwell. Ho visto la lista di domande che Solon ha mandato a Beeley, che si legge come un foglio di denuncia alla McCarthy: “Sei mai stata invitata in Corea del Nord?”.
Gran parte del [giornalismo] mainstream è sceso a questo livello. Il soggettivismo è tutto; slogan e indignazione sono una prova sufficiente. Ciò che conta è la “percezione”.
Il generale David Petraeus, quando era comandante dell’esercito USA in Afghanistan, dichiarò quella che chiamava “una guerra di percezione … condotta continuamente usando i mezzi di informazione”. Ciò che veramente importava non erano i fatti, ma il modo in cui venivano raccontati negli Stati Uniti. Il nemico non dichiarato era, come sempre, un pubblico informato e critico a casa.
Nulla è cambiato. Negli anni ’70 incontrai Leni Riefenstahl, la regista di Hitler, la cui propaganda incantò il pubblico tedesco.
Mi disse che i “messaggi” dei suoi film non dipendevano da “ordini dall’alto”, ma dal “vuoto sottomesso” di un pubblico disinformato.
“Questo includeva la borghesia liberale e istruita?” Chiesi.
“Tutti” disse lei. “La propaganda vince sempre, se glielo permetti.”
John Pilger
Fonte: comedonchisciotte.org 

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