domenica 17 ottobre 2010

Il Principe di Sansevero

Raimondo di Sangro (1710 - 1757 - quest'anno cade l'anniversario della sua nascita - n.d.A.) fu il settimo principe della casata di Sansevero di Sangro, che ebbe come capostipite e primo principe (1587) Gianfrancesco (Cecco) di Sangro.

L'antichissima stirpe dei conti dei Marsi e di Sangro, vantava una discendenza borgognona dallo stesso Carlo Magno; infatti, lo stemma dei di Sangro è lo stemma dei discendenti dei duchi di Borgogna, che fondevano le stirpi carolingia, longobarda e normanna. Legata al potente Ordine Benedettino, la Casa di Sangro vanterà, oltre ad abati ed altissimi prelati, anche i santi Oderisio, Bernardo e Rosalia.


Legati da vincoli di parentela con la potente casata furono quattro pontefici:

Innocenzo III (1198-1216)
Gregorio IX (1227-1241), che istituì la famigerata Santa Inquisizione contro la ammissione della quale nel regno di Carlo di Borbone si batté proprio il lontano discendente Raimondo di Sangro;
Paolo IV Carafa (1555-1559);
Benedetto XIII (1724-1730). 

Il padre, Antonio di Sangro, libertino, invaghitosi di una ragazza di Sansevero, ne fece uccidere il padre che si opponeva alla relazione. Accusato da Nicola Rossi, sindaco di Sansevero, fuggì alla Corte di Vienna dove diventò amico dell'Imperatore e continuò a dichiararsi innocente.

La Magistratura pugliese - forse corrotta - archiviò il caso e don Antonio poté rientrare nei suoi feudi dove si vendicò del suo principale accusatore facendolo uccidere. Per sfuggire alla condanna riprese la fuga che si concluse a Roma ove Antonio di Sangro prese i voti e si ritirò in convento.

Il giovane Raimondo venne quindi affidato alle cure dei nonni paterni che, a 10 anni, lo mandarono a studiare presso la Scuola Gesuitica di Roma, ove restò fino al compimento dei 20 anni, acquisendo una cultura di molto superiore alla media che, unita alla sua naturale propensione allo studio (salvo la grammatica a causa della quale perse un anno), ne fece uno dei "geni" del Settecento napoletano ed europeo.

La sua cultura superiore si impose, infatti, su quella della stragrande maggioranza della aristocrazia napoletana, considerata rozza ed ignorante. Appassionato di araldica e geografia (in cui eccellette), studiò retorica, filosofia, logica, matematica e geometria, scienza, fisica, greco, latino, ebraico e, portato per le lingue straniere, mantenne a proprie spese un sacerdote che gli impartì lezioni di tedesco. Il suo "genio" si fece presto apprezzare, tanto che, per una rappresentazione scolastica, in cui c'era da smontare rapidamente un palco teatrale per consentire nello stesso spiazzo esercizi di equitazione, superò "primi Ingegneri e valentuomini" chiamati a risolvere il problema "inventando" un palco che "coll'aiuto di alcuni argani e di alcune nascoste rote" spariva in pochi minuti.

Nel 1730, all'età di 20 anni, Raimondo rientrò a Napoli, sede stanziale della sua famiglia, avendo acquisito l'anno precedente, a seguito della morte del nonno paterno, il titolo di VII° Principe di Sansevero. Nello stesso anno per procura, giacché viveva nelle Fiandre, sposò una cugina quattordicenne, Carlotta Gaetani, che conobbe però, a causa delle continue guerre europee, solo sei anni dopo il matrimonio (nel 1736) quando lo raggiunse a Napoli.

Tra le sue opere si ricordano un Vocabolario dell'arte militare di Terra (la cui redazione durerà ben otto anni per fermarsi alla lettera "O"), un Manuale di esercizi militari per la fanteria che ottenne il plauso del re Federico II di Prussia, e trattati vari sulle fortificazioni.

Quanto alle traduzioni, dalla "stamperia" del Principe nacquero Il Conte di Gabalis, ovvero ragionamenti sulle Scienze Segrete ... , ad opera dello abate francese Villars de Montfaucon; testo che - per il suo contenuto esoterico - portò al Principe una nuova accusa di miscredenza da parte dei Gesuiti, costringendolo a negare che l'opera fosse uscita dalla tipografia con il suo placet; I viaggi di Ciro, da Les voyages de Cirus dello scozzese Michel Ramsay (massone e iscritto alla stessa loggia del Montesquieu), con cui si auspica che la nobiltà partenopea sia presa da ben maggiore fervore illuministico.

Fu attraverso S. Bernardo che la Casa si legò all'Ordine Templare. Questo lo troviamo nel cammino iniziatico celato nella cappella di famiglia, quella Pietà dei Sangro di Sansevero, capolavoro dello ultimo barocco napoletano, voluta dal principe che rinnovò una precedente cappella come tempio di famiglia, chiamando a Napoli gli scultori Queirolo e Corradini accanto ai napoletani Sammartino, Celebrano, Persico e i pittori F. M. Russo e C. Amalfi.

Artisti che si limitarono ad eseguire la particolare iconografia ideata dal principe, che fornì anche marmi e colori alchemici. Scrive Gennaro Aspreno Galante, fonte assolutamente attendibile nel 1872: "egli costruì il cornicione ed i capitelli dei pilastri con un mastice da lui formato che parea madreperla ..." Le bellissime sculture della cappella Sansevero, che ornano i sepolcri degli antenati, soprattutto dei genitori del principe, sono perfette espressioni di una simbologia massonica templare rosacrociana di tale pregnanza ed impatto visivo che lasciano, anche nel visitatore profano, l'impronta indelebile di un messaggio che se pur non recepisce, avverte con forza.

Non tutti sanno che la zona sulla quale sorge il tempio della Pietà dei Sangro faceva parte del quartiere nilense, abitato dagli Alessandrini d'Egitto, dove, nel tempio, si venerava la statua velata della dea Iside.  La cappella, questo fondamentale Libro di Pietra, della conoscenza, sorge quindi sul luogo di forze; scelto dai primi sacerdoti alessandrini custodi della tradizione egizia di Neapolis. Nel suo palazzo, legato da un passaggio aereo (oggi purtroppo distrutto e dal quale si scendeva nella cappella), il principe volle la sua officina di alchimista-scienziato, dove sperimentò dalla impermeabilizzazione dei tessuti a quel Lume Eterno che avrebbe dovuto per sempre rifulgere nella cripta sotterranea ai piedi del Cristo morto.

Tutta la simbologia del tempio desangriano si ispira all'antica simbologia del Ripa (uno studioso che aveva fissato i canoni simbolici della Fortuna, Fortezza, Sapienza, Fede, Astronomia, Matematica e così via. Spesso figure femminili con oggetti simbolici come caducei, cornucopie, fiori, cuori, fiammelle, libri, compassi, genietti, il tutto rigorosamente spiegato nel suo testo usato per secoli dagli illustratori e dagli artisti in genere) con innovazioni che l'antico testo iconografico non contemplava come nel caso del Cristo velato.

Purtroppo poco è giunto ai nostri giorni di quanto era contenuto nella casa del principe di Sansevero (e che si trova minutamente descritto nelle varie edizioni della Breve Nota di quel che si vede in casa del Principe di Sansevero Raimondo di Sangro; edite tra il 1766 e il 1769 e conservate nella Biblioteca Nazionale di Napoli, delle quali le prime due, del 1766 e del 1767, sono introvabili).

La stessa famiglia del principe - impaurita dalla censura papale e della abiura del principe - consegnò alcuni elenchi di fratelli massoni al pontefice, e volendo far placare il gran rumore che si era fatto intorno a questa abiura (che fece temere anche la vendetta di massoni ritenutisi traditi e abbandonati dallo stesso Gran Maestro), distrusse tutto quanto potesse collegare la memoria di Raimondo al mondo occulto. Ne fecero le spese tutte quelle realizzazioni scientifiche che avrebbero potuto di molto affrettare la scoperta di molti ritrovati odierni già ottenuti alchemicamente dal Sansevero.

Resta la inquietante testimonianza delle sue macchine anatomiche, conservate dal principe in una apposita stanza del suo palazzo dall'indicante nome d'appartamento della fenice; ed oggi in quella cripta ovale, che don Raimondo aveva prevista imitante una grotta naturale, necessaria per la meditazione degli apprendisti e poggiante su terra battuta, senza pavimentazione, per non impedire quelle vibrazioni naturali provenienti dal luogo isiaco sottostante e sorretta da otto pilastri (numero fondamentale della ritualità templare che si ripete spesso nell'armonia numerica della cappella stessa) che dovevano definire il posto delle sepolture degli avi intorno al mistero Magistrale del Cristo velato.

Queste due preparazioni sono un vero e proprio testo medico-anatomico, costruite su due scheletri (maschile e femminile) strutturando organi induriti; da preparati distillati dal Maestro con ricostruzioni; di sostegno ottenute e colorate con materiali alchemici sempre provenienti dalla officina del Sansevero.

Ancora un ultimo accenno allo scomparso passaggio che il principe aveva voluto per discendere dal palazzo alla cappella, e che presentava sui due lati un orologio dotato di un particolare impianto di carillon a campane ospitato nel tempietto rituale (che ancora si trova in alcune, interessanti, costruzioni antiche), particolare faro per indicare a chi aveva occhi ed orecchie il sito iniziatico.

Il tempietto era ottagonale ed otto erano le colonne che ne reggevano la cupoletta; il mirabile meccanismo ideato dal principe, che vi era nascosto, permetteva di eseguire qualsiasi motivo percuotendo col pugno una serie di grossi tasti rotondi che corrispondevano ai vari suoni delle campane. Anche questa meraviglia meccanica del genio creativo minore del principe fu abbattuta dai famigliari dopo la sua morte per far sedimentare l'imbarazzante ricordo della fama stregonesca del parente grande iniziato.

Il personaggio di questo racconto fu, ed ancora è considerato stregone, diavolo, folle omicida.

In realtà era persona di grande acume ed intelletto quando da giovane nel 1744, per esempio, in qualità di colonnello del reggimento di Capitanata liberò, alla testa delle sue truppe, la città di Velletri che era stata occupata dall'esercito del generale austriaco Lobkowitz. Questo permise di conquistare Napoli a Re Carlo e creare la dinastia dei Borboni di Napoli.

Lui era odiato dai suoi rivali anche per questo motivo.

Forse anche per questo, nella parte ignorante della aristocrazia napoletana si diffusero le dicerie malevole sopra riportate, secondo le quali, con tono leggermente folkloristico si continua a sostenere che: "Nonostante abbia tolto il disturbo da oltre due secoli, ancora oggi a Napoli, quando lo sentono nominare c'è chi si fa furtivamente il segno della croce."

Lo immaginate chi passa davanti all'antica dimora di famiglia che compie questo gesto nella Napoli moderna e attuale? Manca solo il rito scaramantico!

In verità, la sua presenza a Napoli non è ingombrante più di quella di tanti altri personaggi che furono dediti ad attività d'Alchimia ed Essoterismo in altri luoghi d'Italia. La sua leggenda nasce da verità scomode, ma vedremo che il personaggio resta interessante ed anche affascinante quando sarà levato il velo della leggenda e di lui resta la storia, la sua vita anche se costellata da scelte che possono parere oltraggiose e folli e probabilmente lo sono in parte.

Dopo la scoperta di numerosi documenti (tra cui molti autografi del Principe), si ripresenta alla attenzione come un uomo dalle notevoli conoscenze, uno scienziato, inventore di particolari macchine idrauliche e pirotecniche, un uomo di vasta cultura: era un alchimista. Presso l'Archivio Notarile di Napoli sono stati rinvenuti alcuni documenti, tra cui il testamento olografo, mentre altri sono stati ritrovati presso una Collezione privata ed il lavoro è stato portato avanti dalla studiosa Clara Miccinelli.

Il Principe unificò le Logge Massoniche napoletane sotto un unico indirizzo, quello Scozzese. Qualche suo biografo gli attribuisce la immissione in Italia della Massoneria stessa, ma questo non corrisponde al vero. Così facendo, le sue propagandate idee di Libertà e di rinnovamento, finiranno per rivolgersi però ad una Elite esclusiva, con la introduzione degli Alti Gradi (previsti dal Rito Scozzese).

Vi appartenevano i personaggi dei ceti più alti: le classi nobiliari, militari, ecclesiastiche e perfino di Corte.
"I fondamenti egualitari e libertari a cui si erano ispirate le prime logge napoletane della Massoneria Inglese, erano quindi fagocitate dalle pratiche occultistiche e alchemiche a cui erano iniziati i "fratelli"..." Nello 'Statuto' scritto di suo pugno, all'art.12 si definisce la somma di 40 ducati d'oro (più tre mensili per ogni adepto) da versare all'atto della iscrizione, quindi una cifra che non molti potevano permettersi. L'art. 8 imponeva l'elezione ad  8 Eletti per la Loggia dei Gradi Superiori, più naturalmente la figura del Gran Maestro, quindi 9 e questo ricorda i primi fondatori dell'Ordine del Tempio (i Nove Cavalieri Templari).

G. C. Lacerenza ci descrive il 'messaggio' che Raimondo dè Sangro ha voluto trasmetterci. "Trovare la pietra, nascosta nella luce, sublimando la luce nascosta. Quanto ai modi per realizzarlo, egli con la sua consueta liberalità ha voluto benevolmente indicarceli nella sua Cappella gentilizia, per il disinganno e l'educazione degli animi volti ad ottenere il completo dominio sul proprio destino, esponendone i misteri con sincerità e zelo; anche un pizzico di pudicizia, però, velata."

Vediamo di capire questa Cappella, che il Principe volle abbellire e utilizzare per criptarvi il suo sapere ermetico. Essa fu costruita nel 1590 nel giardino del palazzo della famiglia dè Sangro - al quale era collegata da un cavalcavia che rovinò nel 1889 - per volere di Gian Francesco, per ospitarvi le tombe di famiglia. Rinnovata dal figlio Alessandro nel 1608-'13, fu decorata da Raimondo. In tutta la Cappella ci sono, infatti, stupende sculture che raffigurano i personaggi della nobile famiglia ognuna con un proprio elogio, oltre a marmi policromi ed affreschi (la "Gloria dello Spirito Santo") eseguiti da Francesco Maria Russo nel 1749 per ornare la volta, e che da allora non hanno mai necessitato di restauro: colori ancora vivi che il Principe stesso realizzò con bile, vescica, urina ed interiora d'animali. 


Lavori di rinforzo alla volta furono in realtà eseguiti negli anni 1988/'90 a causa del terremoto del 1980 e sarebbe stato scoperto anche un locale collegato a cunicoli e profonde grotte.

Nel maggio 1990 dei ladri trafugarono un dipinto ovale con l'effigie del principe, che era collocato tra due putti di gesso vicino all'altare, ma l'opera fu recuperata nel luglio 1991 e ci si accorse che qualcuno aveva tentato di 'restaurarla' di nascosto: purtroppo per gli 'ignoti', l'esecutore del dipinto aveva usato dei colori talmente particolari 'oloidrici' (a base di acqua e olio) - da una formula ideata dallo stesso Raimondo - da rendere inefficace qualsiasi tentativo.

Ad occhi ignari, la Cappella appare come una stupenda sintesi della arte Barocca, con finissimi marmi e stucchi pregevoli, ma c'è qualcosa da tenere presente.

 IL CRISTO VELATO

Nello Archivio Notarile di Napoli è stato rinvenuto il contratto tra il Principe e Giuseppe Sammartino (1720-1793), scultore e artista famoso per la sua abilità. In questo contratto egli si impegna ad eseguire l'opera di una "statua raffigurante Nostro Signore Morto al Naturale da porre nella cappella Gentilizia del Principe,  un Cristo Velato steso sopra un materasso che sta sopra un panneggio e appoggia la testa su due cuscini, apprè del medesimo vi stanno scolpiti una Corona di spine tre chiodi e una tenaglia"; il Principe si impegnava altresì di procurare il marmo e realizzare una "sindone, una tela tessuta la quale dovrà essere depositata sovra la scultura, dopo che il Principe l'haverà lavorata secondo sua propria creazione e cioè una deposizione di strato minutioso di marmo composito in grana finissima sovrapposta al telo; Il quale strato di marmo da usa idea, farà apparire per la sua finezza il sembiante di Nostro Signore dinotante come fosse scolpito di tutto con la statua".

Il Sammartino si impegnava inoltre a ripulire detta 'Sindone'per renderla un tutt'uno con la statua stessa. E a non svelare a nessuno la 'maniera escogitata dal Principe per la Sindone ricovrente la statua". Loro concordarono che l'opera sarebbe stata  attribuita al Sammartino.

Guardiamo con meraviglia questo capolavoro. Canova avrebbe pagato - per sua ammissione - qualsiasi prezzo per averlo, ma essa era invendibile. Il velo non è di marmo, bensì di stoffa finissima marmorizzata mediante un procedimento alchemico, al punto da costituire una unica opera con la scultura del Sammartino!

La studiosa Miccinelli, la cui ricerca sarà il filo conduttore di questa ricostruzione, avrebbe rintracciato il documento contenente la 'ricetta' per fabbricare questo 'marmo a velo.

Il significato della opera lo abbiamo in una iconologia "geroglifica" che mostra il connubio tra arte ed alchimia e ci pone vari interrogativi.

E' messo in rilievo il talento al servizio della dottrina ermetica del Principe dè Sangro. Volendo realizzare una delle immagini più enigmatiche della simbologia cristiana, in altre parole la Sindone, egli voleva richiamare la 'nuova veste di gloria' che avvolgerà il corpo risorto di coloro che riusciranno a trovare la perfezione nella 'pietra filosofale'? Nel Rosarium Philosophorum è proprio l'immagine del Cristo, che risorge avvolto nel manto glorioso, a concludere la Grande Opera.

IL DISINGANNO

Altra Statua 'ermetica' presente nella Cappella Sansevero, è questa del Queirolo, in cui vediamo che una fitta rete avvolge un uomo (suo padre) che si dibatte tentando di liberarsi, e accanto a lui un genio alato (il LUME) che gli sta indicando il cammino da compiersi: il piede scalzo poggia su un globo (il mondo) che raffigura l'ignoranza terrena per confluire verso la sapienza propria degli Illuminati. Simbologia che rappresenta l'Uomo che deve liberarsi dalla rete del peccato e dell'illusione per ottenere il controllo di se stesso, finalmente purificato e perfetto.

LE MACCHINE ANATOMICHE

Raimondo dè Sangro era ossessionato dall'immortalità e a tal proposito si dedicava a vari esperimenti. Nella cripta della cappella si conservano, in un armadio, due corpi alquanto singolari: sono definiti 'macchine anatomiche'. Sono due scheletri, uno di sesso maschile e uno femminile, con la caratteristica di avere ancora la rete sanguigna che sarebbe stata 'solidificata' con un procedimento inventato dal Principe. Pare accertato che egli iniettò, nel 1739, una soluzione alchemica nei due corpi già cadaveri acquistati dal medico palermitano Giuseppe Salerno, suo 'complice'. I corpi sarebbero ricoperti da una cera (d'api?) colorata e montata su armature di ferro e spago. L'obiettivo doveva essere quello di conservare i corpi per l'eternità, mummificandoli, ma il sistema fallì e le carni si deteriorano e solo il sistema cardiocircolatorio rimase integro.

MISTERI E LEGGENDE

Nel 1753, Raimondo dè Sangro riuscì ad ottenere una sostanza artificiale assai simile al sangue animale; inoltre pare che conoscesse il segreto per fare 'trasudare' le statue in maniera tale che un liquido simile alle lacrime fuoriuscisse dai marmi di cui erano costituite. Il fenomeno sarebbe ancora oggi palese in una delle statue angeliche poste di fianco all'altare, che addirittura presenterebbe delle tracce d'erosione. Per di più la luce attraversa questa statua, facendola sembrare trasparente: questo era un altro procedimento scoperto dal Principe: rendere semi-trasparente il marmo.

L'opinione popolare lo investì a volte di capacità diaboliche. E' molto probabile che il suo spirito romantico e le idee Illuministe lo portarono ad interessarsi di molti campi del Sapere: gli vengono attribuite molte invenzioni (delle quali non vi sono testimonianze tangibili): dal 'lume terno, alle 'stoffe mai viste', alla cera fatta senza api, al sistema per rendere potabile l'acqua marina; si vocifera che  sapesse ridurre in polvere i marmi e metalli e perfino (esiste un disegno) ideò una carrozza anfibia o macchina del mare.

La leggenda narra di una sua efferatezza che lo vuole omicida di 7 cardinali e con le ossa e la pelle dei quali avrebbe costruito 7 seggiole. (Notiamo il 'simbolismo' del numero sette).

Il racconto del momento della sua morte si addice in pieno alla sua fama. Egli avrebbe incaricato i propri servi di tagliarne a pezzi il corpo dopo morto, metterlo in una cassa costruita apposta, dopodichè egli sarebbe uscito ricomposto dopo tre giorni. Le cose andarono male, poiché la famiglia all'oscuro del macabro intento, credendo di trovarvi dei tesori, aprì la cassa prima del tempo stabilito dal Principe in precedenza e questi, destato dal 'sonno' fece per sollevarsi ma ricadde, lanciando un urlo dannato.

Questa è solo leggenda, ma per gli appassionati e gli studiosi di mitologia impossibile non vedervi la trasposizione simbolica del mito della resurrezione di Osiride.

La Miccinelli riporta nel suo libro, una scoperta che il Principe descrive in una lettera sottoposta a perizia calligrafica e ritenuta autentica datata 14 novembre 1763 indirizzata al barone H. Theodor Tschudy (cadetto del reggimento di Svizzeri al servizio del Re di Napoli ed esponente della Massoneria), che era suo amico. In essa vi sono dei passaggi scritti attraverso un codice a traslitterazione, quindi criptati, un codice detto "rosacruciano". La Miccinelli ne fornisce la chiave di lettura.

Da quello che è riportato, si evince che il Principe scoprì la radioattività' naturale, a metà del '700. Infatti, con almeno 150 anni di anticipo sui coniugi Curie, scoprì che il 'raggio-attivo' (come lo definì profeticamente) proveniente da un minerale, la 'pechbenda', che lui indicava con termine vago ("sostanze cristalline, luminescenti al buio color di pece e d'olive che ebbi in dono da S.M. di Prussia ... che io purgai da silicio, rame e varie impurità in crogiolo e in vari cammini alchemici ...") e che si estraeva proprio in Boemia (dalle cui miniere si estrasse a metà ottocento il materiale grezzo da cui i Curie isolarono il radio), aveva un effetto mortale sui viventi (aveva provato sulle farfalle) che si poteva 'schermare' con piombo (chiamato "Saturno").

Ecco come è riportata: "Allorquando ebbi incontro con Supremo Fr.S.Germain, per Gabalì / a lui mostrai la scoperta di quelle sostanze(che sapete)/ cristalline/ luminescenti al buio di color pece e d'olive/ (ch'ebbi in gentile dono da S.M. di Prussina) ch'io purgai da/ piombo, silicio, rame e varie impurità. Le quali subirono/ in crogiolo concentrato nei vari cammini alchemici. Esse procurarono la morte di farfalle chiuse in ampolle con/ coverchi forati. Infrapponendo lastra di Piombo/ tra ampolle e sostanze, le farfalle non morirono./ Saturno blaccava raggio e affluvio mortali./ Il fenomeno è al pari di raggio-attivo, simile a quello osservasi nel Sole".

Dalla officina tipografica del Principe, diretta da Morelli, stampò uno strano opuscolo. Era intitolato: Lettere del signore Don Ramondo di Sangro, Principe di San Severo, di Napoli, sopra alcune scoperte chimiche. Tali lettere erano indirizzate al signor cavalier Giovanni Giraldi fiorentino e riportate ancora nelle Novelle letterarie di Firenze del 1753. Nella prima di queste lettere il Principe narra d'una sua meravigliosa scoperta. "Nel suo laboratorio chimico aveva dato fuoco a una certa materia da lui composta dopo quattro mesi d'indagini e di prove: s'era accesa quella materia e accesa durava senza mai perder nulla del suo volume e del suo peso." Don Raimondo di Sangro aveva dunque trovato il fuoco eterno, il fuoco nascosto, l'Esch tamun degli ebrei!

 LA TIPOGRAFIA

La sua passione gli portò dei successi come la tipografia simultanea a più colori (irrealizzabile con le cognizioni della epoca) alla balistica, alle proprietà dei metalli, alla decifrazione di linguaggi esoterici usati degli Indios del Perù, a preparati che indurivano le materie molli metallizzandole e pietrificandole (alcuni marmi esistenti nella sua celebre cappella sono di origine alchemica) o rendevano a freddo plastico il ferro e altri metalli.

In particolare sui paesi dellaAmerica Latina si può dire che pubblicò, nel 1750, un testo meglio noto come Lettera apologetica, ma il cui titolo completo è Lettera Apologetica dell'Esercitato accademico della Crusca contenente la difesa del libro intitolato Lettere di una Peruana per rispetto alla supposizione de' Quipu scritta dalla Duchessa di S… e dalla medesima fatta pubblicare, in cui trattò del criterio di traduzione dei "quipu", ovvero cordicelle colorate annodate a differenti altezze che erano usate dalle popolazioni dell'America Latina per scambiarsi messaggi segreti. Chi invece sia la "Duchessa di S…" è ancora oggi un mistero; secondo una teoria potrebbe trattarsi di Mariangela Ardinghelli, nel cui salotto napoletano si riunivano gli eruditi dell'epoca.

Ma esiste un mistero che Raimondo di Sangro si è portato nella tomba. Nel 1790 di fronte al tribunale romano della Inquisizione il conte di Cagliostro affermò che tutte le sue conoscenze alchemiche gli furono insegnate anni addietro a Napoli da «un principe molto amante della chimica.» I giudici non gli vollero credere e non diedero peso alle sue parole. Forse il nome di quel principe venne anche pronunciato, ma non lo possiamo sapere visto che tutti gli atti di quel processo furono dichiarati segreti e si trovano ancora oggi sotto chiave da parte della Reverenda Camera Apostolica.

Del processo di Cagliostro, che si concluse con la condanna e l'internamento dell'imputato nella rocca di San Leo, ci è rimasto solo un compendio fatto ad uso e consumo della Inquisizione. Chissà, se solo il Vaticano volesse, forse si potrebbe scoprire che il creatore, il militare, l'artista, il matematico, il filosofo e chi lui è veramente stato nella persona di Raimondo di Sangro fosse stato anche il maestro del ben più noto Cagliostro. Ma questa pagina di storia è ancora tutta da scrivere.

Articolo pubblicato dal sito Partecipiamo
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tramite ANTICORPI di ANTICORPI il 16/09/10

di C. Cozzolino


 
 

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