domenica 24 marzo 2019
sabato 23 marzo 2019
SANGUE INFETTO / IL 25 MARZO A NAPOLI LA “STORICA” SENTENZA
Processo per il sangue infetto. A Napoli la sentenza verrà pronunciata il 25 marzo dal presidente della sesta sezionale penale del tribunale, Antonio Palumbo.
Una sentenza "storica", dal momento che le prime indagini risalgono a quasi 40 anni fa, il processo è cominciato a Trento 20 anni fa, poi trasferito a Napoli dove è ricominciato tre anni fa, aprile 2016.
Il capo di imputazione è man mano scalato da strage ad epidemia colposa ed infine ad omicidio colposo plurimo. La Voce ha scritto decine e decine di inchieste e articoli su quella tragedia largamente annunciata. Fin dal 1977…
BIG PHARMA & C.
Alla sbarra l'ex re mida della sanità ministeriale, Duilio Poggiolini, ed alcuni ex funzionari del gruppo Marcucci, da sempre oligopolista nella importazione, lavorazione e distribuzione di emoderivati.
Patriarca storico di quelle aziende Guelfo Marcucci, passato a miglior vita proprio alla vigilia del processo. Nel quale non sono mai entrati né il timoniere della corazzata di famiglia Kedrion, ossia il rampollo Paolo Marcucci, né tantomeno la sorella Marilina (ad inizio 2000 coeditore dell'Unità e oggi primattrice nella Fondazione che organizza il Carnevale di Viareggio) ed Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato e una carriera politica decollata sotto le protettive ali dell'ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo.
Grande amico della dinasty dei Marcucci e storicamente legato a Poggiolini (con il quale ha condiviso la condanna penale e civile per la Farmatruffa, con un risarcimento da 5 milioni di euro a testa), neanche Sua Sanità è mai entrato in questo processo, né come imputato e nemmeno come teste: quando ad esempio è stata chiamata a verbalizzare davanti alla sesta sezione del tribunale di Napoli anche la Dc Maria Pia Garavaglia, che gli è poi succeduta sulla poltrona di ministro.
Appena 9 le parti costituite in giudizio: malati o familiari di alcune vittime.
Ma la "strage del sangue infetto" conta almeno 5 mila caduti sul campo degli emoderivati killer. Una cifra superiore, ad esempio, rispetto a quella registrata in Inghilterra, dove si contano circa 3 mila vittime.
Paradosso nei paradossi, a Napoli il processo riguarda solo le case farmaceutiche nostrane – in particolare quelle del gruppo Marcucci – perché le azioni penali riferite alle case estere è stato archiviato e con ogni probabilità potrà ricominciare, non si sa in quale o in quali procure, dopo la conclusione di questo procedimento.
Tutto il processo è ruotato intorno ad un interrogativo base: riuscire a dimostrare il nesso causale tra l'assunzione (o le assunzioni) di emoderivati e l'insorgenza delle patologie che hanno condotto in molti casi alla morte.
I CONFLITTI DEL SUPER TESTE
Un nesso che la difesa delle parti civili – ossia gli avvocati Stefano Bertone ed Ermanno Zancla – hanno dimostrato carte, documenti scientifici e perizie alla mano. E sono anche riusciti a provare la validità scientifica di "re-infezioni" e "sovra-infezioni". Proprio come quando un plotone di esecuzione ti uccide più volte.
Di diverso avviso il pubblico ministero, Lucio Giugliano, che fin dalla prima udienza ha chiesto l'assoluzione per alcuni imputati e nella sua requisitoria finale ha chiesto l'assoluzione di tutti gli imputati perché "il fatto non sussiste".
Ovviamente dello stesso avviso i legali degli imputati – in prima fila Alfonso Stile e Massimo Di Noia – che non vogliono sentire parlare di prescrizione ma chiedono una assoluzione piena nel merito (la stessa che chiede il pm).
Fin dalla prima udienza il pm Giugliano ha richiesto una perizia tecnica d'ufficio che – durata diversi mesi – ha partorito un vero e proprio topolino. La perizia, infatti, si è basata in modo particolare sulle tesi di un ematologo milanese, che poi è stato anche il primo teste di questo processo, maggio 2016, ossia Piermannuccio Mannucci.
Un teste in palese conflitto di interessi, visto è stato consulente (pagato) di Kedrion ed ha partecipato (gettonato) a svariati simposi nazionali e internazionali organizzati dalla stessa Kedrion.
Gli avvocati di parte civile hanno chiesto lo stralcio della posizione di Mannucci, accusato di falsa testimonianza.
Quando in udienza è stato chiesto all'ematologo meneghino da dove provenissero mai – a suo sapere – quegli emoderivati, così ha risposto: "Mi dicevano (il riferimento è ai funzionari delle aziende Marcucci, ndr) che era di fonte certa, sicura, proveniendo dai campus universitari americani e dalle casalinghe statunitensi". Alice nel Paese delle Meraviglie…
SANGUE DAL CARCERE
In successive verbalizzazioni due testi hanno fornito versioni opposte.
L'ematologo e scrittore Elio Veltri (autore del recente "L'Italia non è un paese per onesti", in cui un capitolo è dedicato ai traffici del sangue e dei suoi derivati) ha dichiarato che quei prodotti arrivavano dagli Stati Uniti, dall'Asia e dall'Africa.
Il regista americano Kelly Duda, autore dodici anni fa di uno choccante docufilm "Fattore VIII", ha illustrato i suoi due anni di lavoro e descritto per filo e per segno una delle fonti base di provenienza. Le carceri statunitensi, in particolare quello di Cummings, nell'Arkansas.
Un docufilm della BBC dello stesso anno (2007) ha illustrato i medesimi scenari.
Risale invece addirittura a 42 anni fa, luglio 1977, la prima inchiesta della Voce su quegli emoderivati: inchiesta in cui si parlava dei campi di raccolta organizzati nell'ex Congo belga dalle aziende del gruppo Marcucci, che proprio in quegli anni – metà/fine '70 – vedevano germogliare le loro fortune.
P.S. Grandi assenti, nei tre lunghi anni di processo partenopeo, i media. Si contano sulle dita di una (1) mano i nomi dei giornalisti che hanno fatto capolino nell'aula 212 del tribunale penale di Napoli.
C'è da sperare che almeno in occasione della sentenza si possa vedere qualcuno. Per rendere Memoria – oltre che Giustizia – alle migliaia di vittime della strage per il sangue infetto.
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PROCURA DI ROMA / I “MISTERI” DEL DOPO PIGNATONE
Valzer di nomine nelle procure italiane. Oltre un centinaio nei prossimi mesi, con un Csm super impegnato a ridisegnare la mappa del potere giudiziario in Italia.
Nel suo fresco numero l'Espresso, con un'inchiesta della firma antimafia Lirio Abbate, punta i riflettori e sciorina una sfilza di nomi e papabili per i prossimi, delicati incarichi, procura per procura.
Si parte, of course, dalla più bollente del nostro Paese, quella di Roma. Così dettaglia Abbate: "L'epicentro del terremoto è Roma. Giuseppe Pignatone andrà in pensione a maggio e il posto è già stato bandito per evitare di lasciarlo scoperto a lungo. I candidati sono tredici. Oggi piazzale Clodio non è più il 'Porto delle nebbie'. Pignatone lascia a chi erediterà il suo ruolo una grande responsabilità. Vale a dire, continuare a tenere alto il livello della giustizia a Roma senza troppo rispetto per i potenti, come mai prima di lui era stato fatto nella Capitale. Qui sono state squarciate zone grigie, si è puntato dritto alle mafie, nazionali e internazionali" e via continuando con le grandi imprese targate 'Mafia Capitale'.

Un paradiso in terra, la procura capitolina, un Eden dove finalmente i cittadini possono trovare i portoni spalancati per ospitare la Giustizia, quella vera. Altro che il famigerato 'Porto delle Nebbie'!
A questo punto, prima di lasciare la procura tra inni e fanfare, non resta a Pignatone che risolvere qualche problemino lasciato ai posteri.
Prendiamo il caso Alpi. E' fresca del 4 febbraio la firma apposta da Pignatone all'ennesima richiesta di archiviazione per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La richiesta è del pm Elisabetta Ceniccola, che ancora una volta chiede al gip di turno (per un anno è stato Andrea Fanelli, chissà chi è il prossimo) di archiviare la "pratica". Nonostante le clamorose evidenze emerse dal processo di Perugia, che un anno e mezzo fa non solo ha liberato dalla galera (vi ha trascorso 16 anni da innocente) Hashi Omar Assan, ma ha anche descritto il "depistaggio di stato" messo in atto da inquirenti e forze dell'ordine per proteggere e far scappare in Inghilterra il teste fasullo Ali Rage, alias Gelle.
Prima di lasciare Roma perchè il capo Pignatone non spiega la "non inchiesta" della sua procura, che si configura a questo punto come l'ennesimo depistaggio? Alla faccia di ogni ipocrita volontà di far Giustizia?
Passiamo all'eterno mistero che ancora avvolge la sparizione di Emanuela Orlandi e della sua amica Mirella Gregori. Mesi fa è sembrato che si aprisse uno squarcio, con il ritrovamento di misteriose ossa in Vaticano. Poi niente, erano ossa stravecchie.
Ma circa un anno fa avevano fatto capolino altre verità molto più clamorose: ossia tracce di una documentazione top secret e conservata nella super cassaforte del Vaticano, in cui venivano messe nero su bianco tutte le spese sostenute per nascondere Emanuela per un anno – a metà dei '90 – in una residenza gestita da alcune suore a Londra.
Come mai quella pista non è stata mai battuta? Perchè la procura capitolina ha paura di ficcare il naso in Vaticano? Perchè si genuflette davanti ad ogni ostacolo? Misteri.
Come di misteri è avvolto, ancora oggi, il giallo sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini. Senza che la procura di Roma alzi un dito, neanche mezzo.
Due anni fa l'avvocato della famiglia, Stefano Macioti, ha chiesto la riapertura dell'inchiesta basandosi su una prova inoppugnabile: quella del DNA, il cui test ha dimostrato come sulla scena del delitto non si trovasse solo Ignoto 1, ossia Pino Pelosi, ma anche un secondo e forse un terzo soggetto (Ignoto 2 e Ignoto 3). A questo punto Macioti ha semplicemente chiesto che quel test del DNA venisse esaminato e il caso venisse riaperto. Facile come bere un bicchier d'acqua.
Pensate che qualcosa si sia mosso? Neanche un battito d'ali. Il pm del caso, Francesco Minisci, s'è tuffato negli impegni sindacali, diventando presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati e certo non aveva tempo da perdere in bazzecole del genere.
D'accordo il capo Pignatone? Perchè non fa sapere qualcosa prima di godersi la dorata pensione?
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giovedì 21 marzo 2019
Pedofilia e abusi, come uscire dall’«11 settembre» ecclesiale?
Quel che è venuto alla luce in varie parti del mondo a partire dal 2002 ha determinato una serie di scosse telluriche in tante diocesi e conferenze episcopali. La necessitàdi una conversione profonda e di un cambiamento di rotta. Il summit in Vaticano dal 21 al 24 febbraio.
Abusi su bambini e ragazzi da parte di preti e religiosi. Abusi a centinaia, a migliaia. Praticamente sempre coperti, insabbiati, non denunciati. Permettendo così all’abusatore di continuare a delinquere. «L’11 settembre della Chiesa» l’ha definito chi certo non può essere considerato un catastrofista: l’arcivescovo Georg Gänswein, già segretario di Benedetto XVI. Lo scandalo della pedofilia paragonato al grande attacco terroristico del 2001 agli Stati Uniti. In altri termini, un evento spartiacque, dopo il quale nulla potrà essere come prima. Esagerato?
Nella prospettiva di un comune fedele italiano, forse sì. Quel che è venuto alla luce dal 2002, con l’inchiesta del quotidiano «Boston Globe» (raccontata nel film Spotlight, vincitore dell’Oscar), in poi ha determinato una serie di scosse telluriche in molte diocesi e conferenze episcopali. Ha abbattuto vescovi, arcivescovi e cardinali; ha mandato in bancarotta Chiese locali; Usa, Belgio, Austria, Australia, Irlanda, Cile… immaginate – è un incubo che non si concretizzerà, ma utile per provare a comprendere lo sconcerto di una comunità ecclesiale – che tutti i vescovi italiani vengano rimossi, com’è accaduto di recente in Cile, per il loro silenzio sui casi di pedofilia, coperti, insabbiati, silenziati. Una tragedia. Che non riguarda solo né principalmente i singoli protagonisti, ma la credibilità della Chiesa. Il suo annuncio. Il Vangelo.
Come uscire dall’11 settembre ecclesiale? Nessuna guerra, se non interiore alla ricerca del male da estirpare. Ma una conversione sì. Un esercizio di sincerità – persino «spietato» – sì. E la ricerca di un cambiamento di rotta. Perché alla diagnosi deve sempre seguire la terapia. E questa che colpisce la Chiesa non è una banale febbriciattola.
Per questo motivo nell’agosto scorso papa Francesco ha scritto una «Lettera al popolo di Dio» (a tutti i battezzati, nessuno escluso, perché un peccato grave di alcuni membri riguarda l’intero corpo e nessuno può chiamarsi fuori) e ha convocato dal 21 al 24 febbraio in Vaticano un summit, a cui parteciperanno i presidenti delle Conferenze episcopali nazionali e i capi dei dicasteri.
«La prima regola per guarire è accettare di essere malati». E la malattia che esplode oggi ha origini antiche. La prima denuncia formale risale addirittura al 1051 a opera di Pier Damiani. Senza conseguenze. I Papi dell’epoca, come Gregorio VII, intervengono per arginare la corruzione del clero, ma ignorano la pedofilia. Emblematica ma tristissima è la vicenda di Giuseppe Calasanzio, fondatore degli Scolopi. La Controriforma è fatta di ombre e luci. Calasanzio è una luce che forze oscure tentano di spegnere. Venuto a sapere senza ombra di dubbio che un suo confratello, Giuseppe Cherubini, abusa degli alunni («orchi in tonaca e saio»), lo rimuove. Ma Cherubini gode di potenti protezioni in Vaticano. Calasanzio viene a sua volta inquisito e imprigionato. Basta poco, a quel tempo, anche solo la frequentazione di Galileo… Chi prende il suo posto a capo degli Scolopi? Cherubini, l’orco. Calasanzio sarà riabilitato e canonizzato. Ma l’episodio rimane.
di Umberto Folena
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