
L'arresto dei colpevoli e la pista del petrolio
C'è un superpoliziotto da romanzo nella tragica storia del delitto Matteotti, di cui avrebbe scoperto anche il mandante politico se non fosse stato fermato a un passo dalla verità dagli "ordini superiori" impartiti proprio da quest'ultimo, il Capo del Governo, e dittatore in pectore, Benito Mussolini.
"Epifanio Pennetta, colui che dopo l'assassinio di Matteotti aveva fatto catturare pressochè tutta la banda in 48 ore", lo definisce in uno dei suoi libri sul Fascismo lo storico francese Luc Nemeth. Dopo due mesi di misteri, polemiche e depistaggi, che avevano portato finanche alle clamorose dimissioni da Capo della Polizia di uno dei gerarchi più in vista del regime, il quadrumviro della Marcia su Roma Emilio De Bono, l'inchiesta condotta dal commissario Pennetta aveva portato al ritrovamento del cadavere del deputato socialista, il 16 agosto 1924, nel bosco della Quartarella, e prima ancora all'arresto degli esecutori materiali del rapimento, avvenuto il 10 giugno a Roma sul Lungotevere Arnaldo da Brescia: Amerigo Dumini, il capo della banda dei sequestratori, fermato dalla Polizia la sera del 12 giugno alla Stazione Termini, gli altri tre picchiatori fascisti e i complici "eccellenti" Filippo Naldi e Filippo Filippelli, quest'ultimo direttore del "Corriere italiano", che aveva fornito la sua automobile, la Lancia Kappa, per il rapimento del deputato socialista.