venerdì 8 marzo 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 7 mar 2019

Rete Voltaire
Focus




In breve

 
La caduta di al-Baghouz non sarà la caduta del terrorismo islamico
 

 
Israele coinvolto a fianco di India e Pakistan
 

 
L'UE sanziona sette ministri siriani
 

 
Possibile rialzo del prezzo del petrolio
 

 
Juan Guaidó è accompagnato dalla sottosegretaria di Stato USA
 

 
L'ONU assiste mercenari in Colombia contro il Venezuela
 

 
Pubblicazione di «Sotto i nostri occhi» in inglese
 

 
L'OPAC non ha riscontrato l'uso di armi chimiche in Siria
 

 
La Francia sanziona il dibattito sulla realtà della lotta contro Daesh
 

 
La giustizia australiana censura l'affare Pell
 

 
Secondo Londra alcuni ministri libanesi sono terroristi
 

 
Benjamin Netanyahu si allea con i razzialisti di Otzma Yehudit
 

 
Unione Europea e Lega Araba contro il «deal del secolo»
 

 
Bashar al-Assad in Iran
 

 
Per il Tribunale interno dell'ONU Londra e Washington occupano illegalmente la base di Diego Garcia
 
Controversie

 
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SANGUE INFETTO / UN CALVARIO DI 40 ANNI PER GLI EMODERIVATI KILLER. E LA GIUSTIZIA STA A GUARDARE


Processo per il sangue infetto alle battute finali davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Napoli presieduta dal giudice monocratico Antonio Palumbo. Un processo “storico” durato un quarto di secolo, partito a Trento, approdato a Napoli e del tutto ignorato dai media, sia locali che nazionali, e dalla politica, tanto per cambiare storicamente asservita ai voleri e poteri di Big Pharma.

DA TRENTO A NAPOLI, 20 ANNI DI FALDONI PROCESSUALI 

Andrea Marcucci
Alla sbarra l’ex re Mida della Sanità Duilio Poggiolini ed ex dipendenti del gruppo Marcucci, da sempre (almeno dalla metà degli anni ’70) oligopolista della lavorazione e distribuzione di emoderivati, fondato dal patriarca Guelfo deceduto a pochi mesi dall’inizio del processo partenopeo (partito ad aprile 2016), e oggi guidato dal figlio Paolo, fratello di Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato ma sbocciato sotto le protettive ali di Sua Sanità Francesco De Lorenzo.
Nella sua requisitoria del 21 gennaio il pm Lucio Giugliano ha chiesto l’assoluzione piena di tutti gli imputati perchè “il fatto non sussiste”. Secondo il pubblico ministero non è stato dimostrato il nesso causale che lega l’assunzione degli emoderivati killer alla morte dei pazienti infettati, otto rappresentati al processo partenopeo (uno è deceduto nel frattempo).
Ma il tragico numero della strage è di almeno 5 mila morti, che non potranno mai avere uno straccio di giustizia.
Altro colpo di scena all’udienza dell’11 febbraio, quando uno dei legali delle parti civili, Emanuele Tomassi, ha incredibilmente invocato la non punibilità di tutti gli imputati per via della prescrizione. Ai confini della realtà
Secondo formidabile assist per l’avvocato dei Marcucci, Alfonso Maria Stile, che ha ovviamente colto la palla al balzo e reclamato la piena assoluzione nel merito per gli imputati, perchè “il fatto non sussiste”, come chiesto dallo stesso pm. Altre parti civili non hanno battuto ciglio e si sono accodate.
Alle prossime udienze del 18 e 19 marzo parleranno le parti civili “superstiti”, i super cambattivi avvocati Stefano Bertone ed Ermanno Zancla, ai quali spetterà il compito, oltre che di contrastare la bufala-prescrizione, soprattutto di dimostrare il nesso causale tra la prima (o le prime) inoculazioni killer e l’insorgenza delle patologie, e quindi i decessi.
La sentenza è prevista per il 25 marzo.

UNA VOCE FIN DAL 1977

Paolo Marcucci
La Voce ha cominciato ad illustrare e denunciare i traffici di emoderivati fin dal 1977, quando in un’inchiesta sul gruppo Marcucci scrivemmo di provenienza del sangue anche da campi di raccolta e poliambulatori dell’ex Congo Belga.
Negli anni successivi si è poi scoperto che molte aziende del settore, nazionali ed estere, utilizzavano sangue proveniente perfino dalle galere degli Stati Uniti, in particolare quelle dell’Arkansas: senza che alcun serio controllo venisse mai effettuato.
Motivo per cui quelle stragi erano del tutto prevedibili e servivano a gonfiare i fatturati stramiliardari delle aziende produttrici e distributrici degli emoderivati killer.
Abbiamo seguito e documentato le udienze del processo partenopeo. E alla nostra redazione arrivano con frequenza lettere e mail di parenti che hanno sofferto sulla propria pelle il calvario spesso decennale subìto per via di quel sangue assassino.
Di seguito pubblichiamo quanto ci ha scritto un lettore, G.L, per documentare tutte le tappe di sofferenza della moglie: le prime infusioni di immunoglobuline nel triennio 1978-1979-1980, la diagnosi atroce nel 1991, la morte a luglio 2018. Quindi un calvario durato 40 anni, e negli ultimi sofferenze insopportabili.
“Ci siamo sposati nel 1973 e siamo andati a vivere a Firenze, io napoletano e lei veneta. Ad agosto 1991 la mia adorata moglie accusa sintomi di nausea e vomito. La diagnosi è severissima: crioglobulinemia mista essenziale di II tipo. Le viene riscontrata anche una grave insufficienza renale e una cardiopatia ipertensiva. Deve essere sottoposta a programmi di monitoraggio DH quattro volte l’anno sino al 2000, mentre deve seguire una terapia farmacologica ad alto dosaggio di cortisonici e citotossici”.

IMMUNOGLOBULINE KILLER DA VIENNA
“Durante i ricoveri per parto in strutture pubbliche le erano state somministrate 9 dosi di immunoglobuline anti D, una profilassi prevista dai protocolli per le partorienti con gruppo ORh, prodotti dalla Immuno di Vienna con plasma proveniente da un pool di donatori a pagamento importato dagli Usa e/o da paesi asiatici e africani. Le assunzioni di immunoglobuline avvennero negli anni ’78-79-80”.
“Tra il 2009 e il 2011 è stata visitata da un’epatologa e da un ematologo, ricercatori di eccellenza internazionale. La diagnosi di Epatite cronica HCV relata con complicanza di crioglobulinemia è conclamata da test di ultima generazione, non essendo disponibili test quali-quantitativi sino al 2000 circa presso la struttura pubblica”.

Un virus
“La viremia è stata latente per oltre dieci anni e il virus C ubiquitario, autoreplicandosi, ha causato le patologie gravi e irreversibili a tutti gli organi vitali: reni, cuore, polmoni, sistema immunitario e neuropatie periferiche. Dal 2014 soffriva di ridottissima capacità di deambulazione ed articolazione degli arti superiori”.
“Nel 2000 era stata posta in terapia dialitica sostitutiva trisettimanale, associata a patologie cardiovascolari, encefalopatia ischemica, depressione maggiore e sindromi correlate”.
“Ha subito 80 ricoveri in trent’anni, sino al 18 luglio 2018, quando è volata via”.
“La vicenda amministrativa (legge 210/92) è una autentica vergogna burocratica. Due CMO (Consulenze Mediche Ospedaliere), la prima del 2006 e la seconda del 2014, formulano all’unanimità un giudizio di sussistenza del nesso causale. Ma il Ministero rovescia tutto! Singolare, dato che le CMO sono organi ministeriali! Hanno cercato la data più utile al Ministero per autoassolversi dal reato di omicidio colposo o con colpa grave, a dire poco, se non doloso! Quanti altri se ne aggiungeranno? Non faranno notizia! Ma un Marcucci che siede ancora sui banchi del Parlamento è la figura che più smuove la immensa rabbia ed indignazione da cittadino!”.

“CAUSA-EFFETTO”, LE COINCIDENZE TEMPORALI
Le prime inchieste trentine hanno parlato di strage. Poi il processo è comincato nel 1999 con l’accusa di epidemia colposa. Quindi a Napoli il capo d’imputazione è ulteriormente scalato a omicidio colposo plurimo.
Spontanea la domanda: se tutti sapevano che quel sangue era infetto, veniva immesso sul mercato senza alcun test, ma solo per motivi economici, per far soldi a palati, non è giusto parlare di “strage scientifica”? I misteri della “giustizia” di casa nostra…
Al processo di Napoli, il pm “assolutorio” ha fatto un breve excursus temporale ed ha comunque individuato tra la metà degli anni ’70 e quella degli ’80 il periodo clou per le infezioni. Restringendo di più, tra il ’76 e l’83.
La moglie di G.L. ha ricevuto la prima somministrazione di immunoglobuline killer nel 1978, quando venne ricoverata per il parto. Le altre sono state effettuate tra il ’78 e l’80: quindi gli anni focali per quelle tremende infezioni.
La Voce, come abbiamo descritto giorni fa, ha pubblicato il primo articolo sulle importazioni di sangue non adeguatamente testato, quindi infetto, da parte del gruppo Marcucci, a luglio 1977.
Siamo proprio nel periodo bollente.

Elio Veltri
Nel caso della consorte di G.L., il prodotto era della casa farmaceutica Immuno, austriaca. Da tener conto che al processo di Napoli è presente solo il gruppo Marcucci, con i dirigenti delle sue aziende dell’epoca (Aima, Biagini etc). I big esteri – che pure si sono comportati in modo altrettanto “disinvolto”, senza effettuare alcun test su quei lotti infetti – forse solo in futuro potranno subire un processo analogo. O, più probabilmente, la passeranno liscia. Da rammentare che in Inghilterra solo a fine 2018 è stata costituita una commissione d’inchiesta alla Camera dei Lord sui traffici del sangue infetto e i 3 mila morti ufficialmente registrati in quel Paese.
G.L. scrive di plasma proveniente da donatori a pagamento degli Usa, dei paesi africani ed asiatici. Il regista americano Kelly Duda, nel suo choccante docufilm “Fattore VIII” ha dettagliato i percorsi di quel sangue killer proveniente dalle galere dell’Arkansas.
L’ematologo Elio Veltri, testimone (come Duda) al processo di Napoli, ha parlato senza mezzi termini di quelle importazioni di sangue infetto dagli Usa e dall’Africa. E lo ha documentato in un libro da lui firmato, “Non è un Paese per onesti”, con un intero capitolo dedicato proprio alla strage di innocenti.
Solo chi non vuol vedere (come nel processo partenopeo addirittura il pm e i legali di molte parti civili) non vede il “nesso causale” storico tra quelle importazioni di sangue infetto, l’insorgenza delle patologie virali e la morte dei pazienti.
Un numero di morti ormai incalcolabile, se non per difetto. E con la tragica constatazione – suffragata dalla tragedia vissuta nel corso di 40 anni da G.L. – che quelle morti continuano. E che continueranno ancora per anni, vista la tremenda “finestra temporale” ancora aperta (come per le sempre crescenti patologie nella Terra dei Fuochi a causa dei roghi super tossici).
E senza che la giustizia di casa nostra alzi un dito. Uno solo.
Almeno fino ad oggi.

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giovedì 7 marzo 2019

Anche in Italia i Pirati in corsa per le europee


Alle prossime elezioni europee, a meno di interpretazioni fantasiose delle leggi vigenti, il simbolo del Partito Pirata italiano sarà sulle schede elettorali italiane.

Nei mesi scorsi abbiamo lavorato assieme agli altri Partiti Pirata europei per definire un programma comune, ufficialmente ratificato il 9 febbraio 2019, in Lussemburgo.

Il nostro è un movimento nato già internazionale, ed è attualmente presente anche in molti Paesi extra-UE. Abbiamo il vantaggio di non dover andare in giro per l'Europa alla ricerca di alleati per metter su improbabili "internazionali".

Oggi più che mai c'è bisogno di una rappresentanza pirata nelle istituzioni europee. Per anni abbiamo denunciato i rischi derivanti dalla perdita di privacy online, ma i partiti tradizionali e la maggior parte dei media hanno sempre snobbato la questione, considerandola non prioritaria. Oggi, tuttavia, le conseguenze di questo atteggiamento sono sotto gli occhi di tutti.
Oggi anche una piccola agenzia di marketing è in grado, attraverso l'accesso ai dati personali dei cittadini (o anche solo di una parte di essi), di spingere nazioni intere a prendere decisioni contrarie ai propri interessi e al tempo stesso a quelli globali.
Eventi fondamentali degli ultimi anni -la Brexit, l'elezione di Donald Trump- sono stati possibili grazie alla profilazione di massa e alla vendita di informazioni personali dei cittadini.

Le grandi sfide che abbiamo davanti -la giustizia economica, il cambiamento climatico, i diritti civili- richiedono scelte difficili e lungimiranti; ma nulla di tutto ciò sarà possibile, fin tanto che la politica continuerà ad avere come unico obiettivo la prossima tornata elettorale e ad affidarsi ad agenzie di marketing per vincere.

Vogliamo evitare che l'Europa diventi una tecno-distopia, in cui il terrorismo e la sicurezza vengono usati come scuse per giustificare un orrendo capitalismo della sorveglianza, in cui multinazionali e governi si spalleggiano a vicenda per raccogliere quanti più dati possibili sulle persone, per profitto o per controllo sociale.
Come già avviene in Cina da diversi anni.

Vogliamo pensare l'Europa come un insieme di cittadini che hanno interessi e obiettivi comuni, perseguendo il bene collettivo, anche in ambito digitale.

Stay tuned.

Fonte: www.partito-pirata.it

mercoledì 6 marzo 2019

Bergoglio fa il globalista? Oscura il suo passato fascista

Papa FrancescoC’era una volta in Argentina un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni ’70 aderì alla Guardia de Hierro, un’organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l’organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di Ferro, il movimento romeno del comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava: «Meglio così». Della sua vicinanza alla Guardia de Hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino “Clarin”, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista. Per la cronaca, la Guardia di Ferro era un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul “Corriere della Sera” una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell’estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il ’38 si fosse già convertito all’antifascismo. Testi ripubblicati di recente, “Da inviato di guerra” (ed. Ar).
Evidentemente anche nell’Argentina dei Peron il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti. Nel ’74, dopo la morte di Peron, il movimento legionario si sciolse. Era un gruppo di 3.500 militanti 15mila attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l’ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de Hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi. A Bergoglio fu poi affidata un’istituzione in difficoltà, l’Università del Salvador. Bergoglio la risanò e l’affidò a due ex-camerati della Guardia de Hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l’accusa di omertà da parte del Premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983.
Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali: «Per noi è un’amara sconfitta che Bergoglio sia diventato Papa». E Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: «Bergoglio non ci Emidio Noviavvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi». Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista. Ho tratto fedelmente questa ricostruzione dalle pagine del libro di Emidio Novi, “La riscossa populista”, appena uscito per le edizioni Controcorrente (pp.286, 20 euro). Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi, «Papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato “fascista” durato fino al 1980». Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell’accoglienza, l’antinazionalismo radicale.
Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, S.Agata di Puglia. Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l’onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall’ala più “movimentista” dell’Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell’antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché consideravaIl giovane Bergogliol’oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.
In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del «papulismo» di Bergoglio, della sua teologia «improvvisata e arruffona», della sua resa all’Islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga. Lo reputa «uno strumento dell’anticristo», funzionale sia al progressismo radical dell’accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l’internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere. Ma del suo passato argentino, al tempo di Peron, del giustizialismo e poi della dittatura militare, Bergoglio preferisce non parlare. Anche gli estroversi a volte tacciono.
(Marcello Veneziani, “Camerata Bergoglio”, da “La Verità” del 31 gennaio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).

martedì 5 marzo 2019

PROCESSO PER IL SANGUE INFETTO / TRAGICA SCENEGGIATA A NAPOLI


La tragedia che si trasforma in sceneggiata. Succede alla sesta sezione penale del tribunale di Napoli durante una delle ultime udienze del processo per il sangue infetto.
Dopo la richiesta di assoluzione con formula piena degli imputati avanzata il 21 gennaio dal pm Lucio Giugliano, secondo cui “il fatto non sussiste”, all’udienza dell’11 febbraio parlano le parti civili di alcune associazioni e di alcuni pazienti deceduti (su un totale di otto rappresentate nel processo, anche se – come è noto – la strage per il sangue infetto ha ammazzato almeno 5 mila persone).

Prende la parola uno dei legali di parte civile, Emanuele Tomassi, che ha preso parte solo alle prime udienze, poi è sparito nel nulla e mai ricomparso in aula: fino all’udienza dell’11, quando fa una sbrigativa ricostruzione dei fatti e sottolinea il nesso causale tra la patologia del suo assistito (Cialone) e degli altri.
A questo punto il botto: perchè l’avvocato difensore, incredibilmente, chiede l’assoluzione di tutti gli imputati, ossia l’ex re mida della sanità Duilio Poggiolini e una decina di ex dipendenti del gruppo Marcucci, all’epoca dei fatti oligopolista nella lavorazione e distribuzione di emoderivati.
Il motivo? La prescrizione che, a suo parere, sarebbe intervenuta.

Trasecola il giudice monocratico della sesta sezione penale, Antonio Palumbo, il quale fa in tempo per sussurrare, “caso mai solo per alcune parti offese”, visto che i tempi della eventaule prescrizione variano da vittima a vittima.

Il legale del gruppo Marcucci, Alfonso Maria Stile, non crede ai suoi occhi e subito incalza: “La prescrizione non ci basta certo, noi vogliamo l’assoluzione piena nel merito”. Come del resto aveva chiesto il pm Giugliano.

Palumbo si ritira per decidere e al termine fa sapere: “non entro nel merito della prescrizione che verrà comunque tenuta presente al termine, ma intendo andare avanti nelle udienze previste”.
Alle prossime udienze fissate per il 18 e 19 febbraio parleranno i due legali-base delle altre parti civili, Stefano Bertone ed Ermanno Zancla. Che sono chiamati a suffragare quel nesso di causalità fondamentale per dimostrare la connessione tra la prima (o le prime) infusioni killer e l’insorgenza della patologia che ha portato ai decessi. Nonchè, di tutta evidenza, a smontate la balla della prescrizione.
Seguiranno poi i legali della difesa (Alfonso Stile, Carla Manduchi e Massimo Di Noia) che si troveranno la strada spianata e il lavoro già praticamente fatto dal pm Giugliano.
Per il 25 marzo è prevista la sentenza.