mercoledì 13 marzo 2019

Vaccini: arriva l’Azione Civile Nazionale – Luca Scantamburlo


Sarego, il Comune contro l'obbligo vaccinale

C'è un piccolo comune che si affaccia sull'Agno e sul Brendola, Sarego, in provincia di Vicenza, che ha approvato una delibera per dire "No a misure coercitive per imporre le vaccinazioni sui minori". Con 7 voti favorevoli, un astenuto e 5 consiglieri usciti dall'aula, questo piccolo avamposto di esseri umani pensanti ha sfidato l'incantesimo lanciato sugli italiani dalla propaganda mediatica orchestrata dalla politica e dalle lobby farmaceutiche, che attraverso l'invenzione a tavolino di epidemie che non esistono ha creato i presupposti per convincere i tele-addormentati che tra tutti i problemi sanitari, che fanno vittime a decine di migliaia tutti gli anni, il morbillo fosse il più temibile. Sulla base di fake news colossali, credute solo perché a diramarle sono televisioni e giornali, è stata varata una legge contraria alla Costituzione italiana (la Costituzione ammette la coercizione sanitaria solo in caso di gravi epidemie) che he messo le famiglie le une contro le altre e ha diviso i bambini in soggetti conformi (da includere) e non conformi (da allontanare).
Se fosse un film di fantascienza sarebbe considerato distopico e nutrirebbe la penna di schiere di critici letterari. Siccome invece è la realtà, tutti si guardano bene dal manifestare il più piccolo disappunto, minacciati anche loro di esclusione, come i moltissimi medici che hanno dovuto subire un processo medioevale di radiazione solo perché – in ossequio alla metodologia scientifica – hanno osato esprimere critiche e perplessità in ordine alla misura abnorme emanata dal Governo Pd di Beatrice Lorenzin. Curiosamente, chiunque si esprima nel merito, se non è un Premio Nobel della medicina viene lapidato, mentre a un ex Ministro che non è neppure laureato è stato concesso non solo di girare tutti gli studi televisivi a spergiurare su un argomento che evidentemente non aveva le competenze per affrontare, ma addirittura di scrivere una legge coercitiva le cui ricadute si applicano a 60 milioni di persone. E soprattutto ai loro bambini.
In questo contesto, il consigliere Mauro Roviaro ha presentato una mozione in cui chiedeva al sindaco, Roberto Castiglion, "fatto salvo accertate emergenze epidemiche" (condizione che se applicata al DDL Lorenzin avrebbe tagliato la testa al toro), di far esprimere i consiglieri sul "consenso alla libertà di scelta terapeutica in tema di vaccinazioni ai minori". E i consiglieri hanno scelto. La mozione, inoltre, è stata inviata anche al Ministro della Salute, carica oggi ricoperta da quella Giulia Grillo che in precedenza si era espressa fermamente contro l'obbligo vaccinale e che ha spesse volte dichiarato pubblicamente di voler superare il DDL Lorenzin con un'altra legge ispirata a un "obbligo flessibile", al Ministro della Pubblica Istruzione, all'Assessore alla Sanità della Regione Veneto, alla Provincia di Vicenza e tutti i comuni di sua appartenenza. Si attende di sapere se l'Ordine dei Medici abbia intenzione di radiare anche le istituzioni comunali di Sarego.

Vaccini: Arriva l'Azione Civile Nazionale

Nel frattempo, un gruppo di cittadini, guidati da Luca Scantamburlo, saggista e soprattuto genitore, ha avviato un'azione civile nazionale chiamata "Istanza ai Ministri", ovvero la richiesta al Governo di una deliberazione, in seno al Consiglio dei Ministri, con il parere del Consiglio di Stato, del Consiglio Superiore della Sanità e del Ministero della Salute, per portare all'attenzione del Presidente della Repubblica la richiesta di emanare un decreto: un regolamento analogo a quello già firmato dal suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1999 emanò il DPR 355, che consentiva anche ai bambini non in regola con il certificato vaccinale di frequentare la scuola dell'obbligo e accedere alla sessione d'esame.
La legittimità di questa istanza ai ministri si basa sul principio di sussidiarietà, disposto dall'ultimo comma dell'articolo 118, titolo V, della Costituzione italiana, riguardante la collaborazione tra enti locali e Stato, con la cosiddetta decentralizzazione. La sussidiarietà si può intendere anche in senso orizzontale: i cittadini privati, in forma singola o associata, possono operare con l'amministrazione dello Stato, dei Comuni o della Città Metropolitana, diventando possibili fonti di diritto.
Si potrebbe ritenere che il Consiglio Superiore della Sanità possa esprimere un parere non favorevole, ma questa azione civile nazionale porta sul tavolo del decisore politico e anche dell'esecutivo di carriera (i dirigenti dei ministeri) la cosiddetta "notizia di reato". In questo caso, consiste nell'imposizione alla popolazione infantile e adolescenziale di una serie di farmaci mentre la magistratura inquirente sta raccogliendo informazioni per possibili illeciti penali colposi e per valutare la possibilità che questi stessi farmaci possano essere guasti o imperfetti.
Per chi volesse partecipare a questa azione civile nazionale, qui il link con le istruzioni e per scaricare i documenti da inviare: http://bit.ly/Istanzavaccini.

martedì 12 marzo 2019

Perchè Tesla vale più di quel che merita


Perchè Tesla vale più di quel che merita  Startmag Web magazine

Tesla vale 50 miliardi di dollari, il 50% in più rispetto a inizio anno. Ma i numeri reali (ed Elon Musk) invitano alla prudenza.

Tesla, la casa automobilistica americana fondata da Elon Musk, che punta solo sulle auto elettriche, nelle ultime settimane ha conquistato il mercato, acquistando sempre più valore. Ora vale oltre 50 miliardi di dollari. Tesla vale il 50% di più rispetto a inizio anno e, per qualche giorno, ha superato anche la capitalizzazione di Ford, General Mortors e Bmw.
Una scalata, però, che non si spiega con i fatti: lo stesso Elon Musk invita alla prudenza. Ma approfondiamo insieme.

Tesla: dalla nascita ad oggi

TeslaLa casa automobilistica Tesla Motors è stata fondata nel 2003, su iniziativa di Martin Eberhard e Marc Tarpenning, e deve il nome dal fisico e inventore statunitense, di origine serba Nikola Tesla. I due imprenditori trovano subito un importante alleato, Elon Musk, che accumula capitali per oltre 180 milioni di dollari in meno di cinque anni. La società scommette esclusivamente sulle auto a batteria.
L’idea potrebbe anche essere buona, ma all’inizio ingranare sembra difficile. L’azienda tanto amata da Elon Musk vede le luci della ribalta solo a fine 2008, grazie al lancio della Tesla Roadster, la prima auto sportiva ad essere alimentata solamente da energia elettrica. La vettura sfrutta la potenza erogata dal motore a corrente alternata, progettato nei laboratori di Palo Alto: ne sono state vendute , tra il 2008 e il 2012, oltre 2.000 modelli, in 31 Paesi. Il prezzo base di una Tesla Roadster è di 108 mila dollari, poco più di 80mila euro. Sempre in quegli anni, la forza lavoro passa dalle 3.000 unità del 2012 alle circa 6.000 di quest’anno.
Il 2009 è un anno importante perché, Elon Musk, che torna a ricoprire il ruolo di CEO nell’azienda, riesce ad ottenere un importante investimento da parte della Daimler: 50 milioni di dollari per il 10% del capitale della società. A giugno 2009, Tesla Motors riceve un finanziamento agevolato dal Governo statunitense per circa 500 milioni di dollari, necessari per lo sviluppo e la produzione iniziale della Tesla Model S. ll 29 giugno 2010 la società sbarca a Wall Street raccogliendo oltre 200 milioni di dollari di finanziamenti. Nonostante il calo delle quotazioni a fine 2013, causato dall’incendio di una Model S, la società di Elon Musk si aggiudica la palma di miglior titolo del Nasdaq 100 per il 2013.
Negli anni la tecnologia evolve con l’arrivo sul mercato della Model S, l’erede della Roadster: le batterie, anziché essere alloggiate dietro i sedili come succedeva nel primo modello, sono disposte sul pianale dell’auto, riducendo al minimo l’ingombro. In questo modo le batterie sono di fatto “invisibili” e non vanno a sottrarre spazio al portabagagli o all’abitacolo. Per evitare che un sasso o un oggetto che sporge dal manto stradale possa danneggiarle, le batterie agli ioni di litio montate sulla Model S sono protette da un’armatura di alluminio spessa 6 mm.
Per aiutare la diffusione delle auto elettriche , Tesla investe anche sul fronte ricarica. La casa automobilistica elettrica dà vita ad una rete di “distributori elettrici” ultraveloci: il Supercharger Network è composto da distributori a 480 volt eroganti corrente continua e capaci di caricare le batterie della Model S in circa mezz’ora.
La vera rivoluzione del mercato auto, potrebbe arrivare quest’anno, con il lancio della Tesla Model 3, che ha conquistato il pubblico fin da subito, facendo registrare un boom di prenotazioni. La vettura è una “low cost”. Una delle novità più importanti del nuovo modello elettrico di Tesla è, infatti, il prezzo: il listino partirà da 35.000 dollari (circa 31.000 euro), un costo davvero ‘ridotto’ per una Tesla, se si pensa che la Model S più economica costa 80.000 euro.

La capitalizzazione

Nelle ultime settimane, dicevamo, Tesla ha conquistato il mercato aumentando il suo valore in Borsa. Il titolo Tesla, che ha aperto il 2017 a 217 dollari (valore dieci volte superiore del prezzo del collocamento nel 2010), ad Aprile 2017 ha toccato un massimo di 383, superando la capitalizzazione di Ford, prima, e poi quella di General Motors e portando il valore sopra i 50 miliardi di dollari di capitalizzazione. La casa automobilistuca vale il 50% di più rispetto a inizio anno.

Tesla vale troppo?

Una capitalizzazione forse troppo alta rispetto ai numeri reali dell’azienda. Anche lo stesso  Elon Musk, alla chiusura di Borsa di venerdi, avrebbe affermato che il valore (327 dollari ad azione) “è più alto di quanto ci meritiamo”. “A volte le attese vanno fuori controllo”.
Il fondatore e amministratore delegato, prova a portare tutti con i piedi per terra. E in effetti, Tesla deve ancora dimostrare tanto al settore automobilistico. Non parliamo di qualità, ma di quantità. E se è vero che in questi giorni sono iniziate le prime consegne delle Model 3, è vero anche che la società deve ancora dimostrare di riuscire a scalare la produzione a decine di migliaia di esemplari la settimana: Tesla è ancora lontana dai numeri dei suoi concorrenti, che producono vetture a trazione tradizionale.
Non solo. Tesla Model 3 deve fare ancora i conti con il mercato reale: al boom di preordini seguirà na commericializzazione di successo? O il boom è l’inizio e la fine del tutto?
Concentrandoci solo sui numeri, invece, possiamo dire che se da un lato, nel primo trimestre 2017, è raddoppiato il fatturato (vendite più 64%) e sono stati stabiliti il record di produzione e dei ricavi, dall’altro sono aumentate le perdite nette (del 17%), fino a un valore di 330 milioni di dollari. L’azienda di Elon Musk è sì in crescita, ma sta sostenendo anche grandissime spese. Forse, troppo grandi.

Le previsioni di Goldmn Sachs

Non solo Elon Musk. Ad aver qualche dubbio sulla capitalizzazione, forse troppo alta, di Tesla è anche Goldmn Sachs, che dubita sulle capacità dell’azienda di raggiungere i target di produzione, abbassando il prezzo delle azioni a 200 dollari.

La questione SolarCity

E poi c’è la questione SolarCity. Elon Musk ha messo sul piatto circa due miliardi di dollari per acquisire SolarCity, azienda specializzata nell’energia solare, i cui conti però erano in rosso.

Il Ceo di Tesla vuole dar vita ad un sistema integrato in cui le batterie delle auto potranno essere ricaricate e potranno ricaricare la casa. La casa sarà alimentata grazie ai pannelli fotovoltaici posizionati sul tetto. Saranno sempre i pannelli a fornire energia per ricaricare le auto. Tutto green, rinnovabile e pulito. Ma i sogni devono anche fare i conti con il mercato.

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lunedì 11 marzo 2019

Il Venezuela e i suoi vicini possono sopravvivere alla guerra che si preannuncia? di Thierry Meyssan


Per poter fronteggiare la crisi che sta destabilizzando il Venezuela, nonché quelle che stanno delineandosi in Nicaragua e Haiti, è necessario analizzarla. Thierry Meyssan ritorna sulle tre ipotesi interpretative e argomenta a favore di una. Richiama quindi la strategia degli Stati Uniti e il modo in cui va affrontata.

Oggi il Venezuela è diviso tra due poteri legittimi, quello del presidente costituzionale, Nicolas Maduro, e quello del presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaidó.
Invocando gli articoli 223 e 233 della Costituzione, Guaidó si è autoproclamato presidente ad interim. Basta leggere queste norme per capire che in questo caso non sono applicabili e che da esse non può scaturire la legittimità della funzione cui Guaidó aspira. Ciononostante, Stati Uniti, Gruppo di Lima e parte dell’Unione Europea riconoscono la legittimità di una funzione in realtà usurpata.
Alcuni sostenitori di Maduro ritengono che Washington voglia rovesciare un governo di sinistra, come fece con Salvador Allende nel 1973, all’epoca del presidente Richard Nixon.
Alcuni, reagendo alle rivelazioni di Max Blumenthal e di Dan Cohen sul percorso di Guaidó [1], sostengono che si tratti di una rivoluzione colorata, come quelle che si sono viste durante la presidenza di George W. Bush.
Ebbene, di fronte all’aggressione da parte di un nemico molto più forte di noi è di cruciale importanza individuarne gli obiettivi e comprenderne i metodi. Soltanto coloro che sono in grado di prevedere i colpi che stanno per arrivare hanno possibilità di sopravvivere.

Tre ipotesi prevalenti

È del tutto logico che i latino-americani paragonino quel che vivono oggi con quanto già accaduto, per esempio con il colpo di Stato in Cile del 1973. Per Washington sarebbe però rischioso mettere in atto un piano vecchio di 46 anni; sarebbe un errore, dato che ormai tutti conoscono i retroscena di quell’imbroglio.
Le rivelazioni dei legami di Guaidó con la National Endowment for Democracy e l’équipe di Gene Sharp suggeriscono invece l’ipotesi di una rivoluzione colorata, tanto più che nel 2007 il Venezuela ne conobbe una, che peraltro fallì. Proprio per questo sarebbe rischioso per Washington tentare di attuare lo stesso piano naufragato 12 anni addietro.
Per capire il disegno di Washington dobbiamo innanzi tutto conoscere il suo piano di battaglia.
Il 29 ottobre 2001, ossia un mese e mezzo dopo gli attentati di New York e del Pentagono, il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Ufficio per la Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation), la cui missione era rivoluzionare le forze armate USA, cambiarne la mentalità, in modo da renderle adeguate a un obiettivo radicalmente nuovo: assicurare la supremazia degli Stati Uniti sul resto del mondo. Rumsfeld assegnò l’incarico all’ammiraglio Arthur Cebrowski, che aveva già sovrinteso alla messa in rete digitale delle unità militari e, negli anni Novanta, aveva contribuito all’elaborazione di una dottrina della guerra in rete (Network-centric warfare) [2].
Cebrowski arrivò con una strategia già pronta, che presentò non solo al Pentagono ma un po’ ovunque nelle accademie militari. Benché molto importante, il lavoro svolto da Cebrowski all’interno delle forze armate non fu mediatizzato fino all’articolo di Vanity Fair. Successivamente, l’assistente di Cebrowski, Thomas Barnett, pubblicò l’insieme delle sue argomentazioni [3]. Va da sé che questi documenti non sono necessariamente una riproduzione fedele del pensiero del Pentagono; che non cercano di spiegarlo, bensì di giustificarlo. Comunque sia, l’idea principale è che gli Stati Uniti prendano il controllo delle risorse naturali della metà del mondo, non per farne un utilizzo diretto, ma per decidere chi potrà accedervi. Per ottenere questo risultato, gli Stati Uniti dovranno eliminare da queste regioni qualunque potere non sia il loro, ossia distruggervi ogni struttura statale.
Questa strategia non è mai stata messa in atto ufficialmente. Tuttavia, ciò a cui assistiamo da vent’anni corrisponde esattamente al libro di Barnett. Dapprima, negli anni Ottanta e Novanta, c’è stata la distruzione della regione africana dei Grandi Laghi. Tutti si ricordano del genocidio ruandese e dei suoi 900 mila morti, ma molti hanno dimenticato che a essere devastata da una lunga serie di guerre, che causarono in totale sei milioni di morti, fu l’intera regione. Quel che è molto sorprendente è che, a distanza di 20 anni, molti Stati non hanno ancora riconquistato la sovranità sull’insieme del proprio territorio. Questi fatti sono anteriori alla dottrina Rumsfeld-Cebrowski. Non sappiamo quindi se il Pentagono avesse previsto quanto è accaduto o se il piano sia stato concepito distruggendo questi Stati.
Negli anni 2000-2010, quindi dopo la dottrina Rumsfeld-Cebrowski, fu la volta della distruzione del Medio Oriente Allargato. Naturalmente si è liberi di credere che si sia trattato di una successione di interventi “democratici”, di guerre civili e di rivoluzioni. Ma, oltre al fatto che le popolazioni interessate contestano la narrazione egemonica degli avvenimenti, constatiamo anche in questo caso che le strutture statali sono distrutte e che con la fine delle operazioni militari non si ristabilisce la pace.
Ora il Pentagono lascia il Medio Oriente Allargato e si appresta a dispiegarsi nel Bacino dei Caraibi.
Un buon numero di elementi smentisce la nostra precedente interpretazione delle guerre di George W. Bush e di Barack Obama: queste guerre collimano perfettamente con la dottrina Rumsfeld-Cebrowski. Questa lettura degli avvenimenti non è dunque frutto di una coincidenza con la tesi di Barnett e ci obbliga a riconsiderare ciò a cui abbiamo assistito.
Se adottiamo questo modo di ragionare, dobbiamo ritenere che il processo di distruzione del Bacino dei Caraibi sia iniziato con il decreto del presidente Obama del 9 marzo 2015, che sancisce che il Venezuela rappresenta una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America [4]. Sembrerebbe un episodio lontano, ma in realtà non lo è.
Anche per quanto riguarda la Siria, il presidente George W. Bush ha firmato il Syrian Accountability Act nel 2003 e le operazioni militari sono iniziate otto anni dopo, nel 2011. Questo lasso di tempo è servito a Washington per creare i presupposti dei tumulti.

Gli attacchi alla sinistra antecedenti al 2015

Se questa analisi è giusta, dobbiamo ritenere che i fatti antecedenti al 2015 (il colpo di Stato contro il presidente Hugo Chávez nel 2002, il tentativo di rivoluzione colorata nel 2007, l’operazione Gerico a febbraio 2015 e le prime manifestazioni dei guarimbas) rispondevano a una logica diversa, mentre i fatti successivi (il terrorismo dei guarimbas nel 2017) si collocano su questo piano.
La mia riflessione si fonda anche sulla conoscenza di questi elementi.
Nel 2002 pubblicai un’analisi del colpo di Stato che riferiva del ruolo degli Stati Uniti dietro Fedecamaras (l’associazione imprenditoriale venezuelana) [5]. Il presidente Chávez volle verificare le mie informazioni e mandò a Parigi due emissari per incontrarmi. Uno è poi diventato generale, l’altro è oggi una delle più alte personalità del Paese. Il mio lavoro fu utilizzato dal procuratore Sanilo Anderson per la sua inchiesta. Anderson fu assassinato dalla CIA nel 2004.
Allo stesso modo, nel 2007 studenti trotskisti diedero vita a un movimento contro il mancato rinnovo della licenza alla radio-televisione di Caracas (RCTV). Oggi, grazie a Blumenthal e a Cohen, sappiamo che Guaidó vi era implicato e che fu addestrato dai discepoli del teorico della non-violenza Gene Sharp. Invece che reprimere gli eccessi del movimento, il presidente Chávez, in occasione della cerimonia della firma dell’ALBA [Alleanza Bolivariana per le Americhe, ndt], il 3 giugno 2007 lesse per 20 minuti un mio vecchio articolo su Gene Sharp e sul suo concetto di non-violenza messo al servizio di NATO e CIA [6]. Rendendosi conto della manipolazione di cui erano vittima, un gran numero di manifestanti si ritirarono dalla lotta. Negando goffamente i fatti, Sharp scrisse prima al presidente, poi a me. L’iniziativa creò confusione nella sinistra statunitense, che riteneva Sharp una personalità rispettabile e senza compromissioni con il governo degli Stati Uniti. Il professore Stephen Zunes prese le sue difese, ma, di fronte alle prove, Sharp chiuse il suo istituto lasciando posto a Otpor e a Canvas [7].
Ritorniamo a oggi. Il recente tentativo di uccidere il presidente Maduro fa sicuramente pensare al modo in cui il presidente Salvador Allende fu indotto al suicidio. Le manifestazioni volute dal presidente dell’Assemblea Nazionale, Guaidó, fanno sicuramente pensare a una rivoluzione colorata. Questi fatti non sono però in contraddizione con la mia analisi. In effetti c’è stato un tentativo di assassinare Muammar Gheddafi poco prima dell’inizio delle operazioni militari contro la Libia. Mentre i discepoli di Gene Sharp hanno inquadrato le prime manifestazioni contro il presidente Hosni Mubarak in Egitto. Hanno persino distribuito una versione araba di un libretto già utilizzato in altri Paesi [8]. Ma, come il seguito degli avvenimenti ha dimostrato, non si trattava né di un colpo di Stato né di una rivoluzione colorata.

Prepararsi alla guerra

Se la mia analisi è giusta – e per il momento tutto sembra confermarla – occorre che si preparino alla guerra non soltanto in Venezuela, ma in tutto il Bacino dei Caraibi. Già Nicaragua e Haiti sono destabilizzati.
Sarà una guerra imposta dall’esterno. Non mirerà a rovesciare governi di sinistra a vantaggio dei partiti di destra, benché le apparenze possano di primo acchito ingannare. La logica degli avvenimenti non farà distinzioni tra governi di sinistra e governi di destra. Poco alla volta sarà l’intera società a essere minacciata, senza distinzioni d’ideologia o di classe sociale. Per gli altri Stati della regione sarà impossibile tenersi al riparo dalla tempesta. Anche quelli che penseranno di proteggersi servendo da base arretrata alle operazioni militari saranno parzialmente distrutti. Infatti, benché la stampa ne parli raramente, città intere sono state rase al suolo nella regione di Qatif, in Arabia Saudita, il principale alleato di Washington nel Medio Oriente Allargato.
Sulla base di quanto accaduto nei conflitti dei Grandi Laghi africani e del Medio Oriente Allargato, possiamo prevedere che questa guerra si svolgerà per tappe.
- Dapprima la distruzione dei simboli dello Stato moderno che colpirà le statue e i musei dedicati a Hugo Chávez. In questa fase non ci saranno vittime, ma uno sconvolgimento delle rappresentazioni mentali della popolazione.
- In seguito, bisognerà fornire armi e pagare combattenti per organizzare manifestazioni che degenerino. A cose fatte, la stampa costruirà spiegazioni, non verificabili, dei crimini del governo contro i quali i pacifici manifestanti si sono scagliati. In questa fase è importante che i poliziotti credano di essere stati presi di mira dalla folla, nonché che la folla creda di essere stata bersaglio della polizia: lo scopo è seminare divisione.
- La terza tappa sarà organizzare un po’ ovunque attentati sanguinosi. Per far questo occorrono pochissimi uomini, bastano due o tre squadre che circolino nel Paese.
- A questo punto è maturo il momento di mandare sul posto mercenari stranieri. Durante l’ultima guerra, gli Stati Uniti hanno inviato in Iraq e in Siria almeno 130 mila stranieri, cui si sono aggiunti 120 mila combattenti locali. Si tratta di eserciti molto numerosi, benché mal formati e poco addestrati.
È possibile difendersi, lo dimostra l’esempio della Siria. Ma devono essere prese con urgenza diverse iniziative:
- Fin da ora, per iniziativa del generale Jacinto Pérez Arcay e del presidente dell’Assemblea Costituente, Diosdado Cabello, ufficiali superiori delle forze armate venezuelane studiano le nuove forme di combattimento (guerra di 4^ generazione). Delegazioni militari devono però recarsi in Siria per vedere con i propri occhi come sono andate le cose. È molto importante, perché queste guerre non somigliano alle precedenti. Per esempio, nella stessa Damasco la maggior parte della città è intatta, come nulla fosse accaduto, ma numerosi quartieri sono completamente devastati, come Stalingrado dopo l’invasione nazista. Questo perché sono state usate tecniche di combattimento particolari.
- È essenziale costruire l’unione nazionale di tutti i patrioti. Il presidente deve allearsi all’opposizione nazionale e fare entrare alcuni dei suoi leader nel governo. Il problema non è sapere se si apprezza il presidente Maduro o no: si tratta di battersi sotto la sua guida per salvare il Paese.
- L’esercito deve formare una milizia popolare. In Venezuela ne esiste già una di quasi due milioni di uomini, ma non è addestrata. Per principio, i militari non armano volentieri i civili, ma in questo tipo di guerra solo i civili possono difendere i propri quartieri, di cui conoscono tutti gli abitanti.
- Si devono intraprendere grandi lavori per mettere in sicurezza gli edifici dello Stato e delle forze armate, nonché gli ospedali.
Tutto questo deve essere fatto con urgenza. Sono misure che richiedono molto tempo e il nemico è pressoché già pronto.

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domenica 10 marzo 2019

Blog di Emanuela Orlandi: Il giallo del cimitero teutonico. Pietro Orlandi: “Aprite quella tomba”


Alla luce degli sviluppi sul "caso di Emanuela Orlandi", il fratello Pietro e l'avvocato Laura Sgrò hanno fatto alcune precisazioni e rivelazioni importanti.

Il giallo del cimitero teutonico. Pietro Orlandi: "Aprite quella tomba"



Buona lettura


ciao

sabato 9 marzo 2019

La scomparsa di Emanuela Orlandi e la tomba al cimitero teutonico. Il fratello Pietro: “Il Vaticano non ci risponde da mesi”

di SERGIO TRASATTI/ La famiglia di Emanuela Orlandi, tramite il suo legale Laura Sgrò, ha presentato formale istanza al segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, per riaprire una tomba nel cimitero teutonico, che si trova all’interno delle Mura vaticane. Secondo una lettera anonima, in quella tomba potrebbe esserci il corpo della ragazza scomparsa il 22 giugno del 1983. Alla luce di questi nuovi sviluppi, il giallo è stato nuovamente approfondito a “La Storia Oscura” su Radio Cusano Campus. Pietro Orlandi, al microfono di Fabio Camillacci, ha fatto alcune precisazioni e rivelazioni importanti: “In realtà -ha esordito il fratello di Emanuela Orlandi- questa lettera anonima che abbiamo ricevuto, non è altro che la conferma di altre segnalazioni che avevamo avuto nei mesi precedenti. Segnalazioni che ci sono arrivate da fonti interne al Vaticano e soprattutto non anonime; ecco perché abbiamo avanzato istanza scritta alla Segreteria di Stato vaticana. E non è la prima istanza che presentiamo bensì la terza e a oggi non abbiamo ancora ricevuto risposta a nessuna delle tre. Tutto ciò conferma che il Vaticano non intende assolutamente collaborare per la ricerca della verità. Noi sappiamo da tempo di questa tomba al cimitero teutonico dove potrebbe essere sepolta mia sorella, così abbiamo chiesto un’indagine interna, una piccola collaborazione, anche riservata, per capire perché queste persone ci hanno segnalato che Emanuela è sepolta in quel camposanto”.
La famiglia Orlandi chiede di aprire quella tomba. Pietro Orlandi a tal proposito ha ribadito: “Ovviamente chiediamo di aprire la tomba. A noi direttamente non ci hanno mai risposto, contrariamente a quanto detto ai giornalisti dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti, il quale ne ha parlato solo perchè sollecitato dai cronisti quando si è saputo della nostra istanza scritta. Ma ripeto, sono mesi che noi attraverso il nostro avvocato chiediamo al Vaticano di fare chiarezza su quella tomba e sulle segnalazioni che abbiamo ricevuto. Perché questo muro di gomma? Emanuela è una cittadina vaticana è iscritta all’anagrafe vaticana, forse l’unica cittadina vaticana rapita, possibile che non ci sia interesse da parte di quello Stato a cercare di scoprire cosa sia successo? Non fanno altro che dire ‘per noi il caso è chiuso, ci deve pensare lo Stato italiano perché è scomparsa in Italia’. E’ assurdo tutto questo -ha aggiunto Pietro Orlandi a Radio Cusano Campus- è come se nel caso Regeni lo Stato italiano dicesse alla famiglia ‘guardate è successo in Egitto quindi se ne deve occupare la magistratura egiziana per noi il caso è chiuso’.
Strane coincidenze. Orlandi ha poi sottolineato: “Nell’ultima istanza abbiamo anche ribadito la necessità di un’audizione per alcuni cardinali che sono ancora in vita e che sanno che fine ha fatto Emanuela. Tra loro c’è monsignor Piero Vergari, che da rettore della basilica di Sant’Apollinare si attivò per far avere all’ex boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis l’inusuale sepoltura nella cripta della stessa basilica. Ma tu guarda che strana coincidenza, in quel cimitero teutonico, tra le varie persone che possono essere seppellite lì, ci sono anche quelle della confraternita che ha sede in quel camposanto. E chi fa parte di quella confraternita? Proprio don Vergari che in passato fu anche indagato per il sequestro di Emanuela. E forse non è nemmeno un caso che la storia delle ossa venute alla luce nella Nunziatura Apostolica d’Italia, sia uscita dopo che l’avvocato Sgrò aveva annunciato al Vaticano la nostra intenzione di presentare istanza scritta per la tomba al cimitero teutonico. Di fatto la storia della Nunziatura ha rallentato tutto su quell’altro fronte. E’ chiaro che dietro la scomparsa di Emanuela c’è un forte intreccio tra Stato, Chiesa e criminalità. Questo ha portato a occultare la verità per oltre 35 anni. E’ come un vaso di Pandora: se lo apri escono fuori tante cose brutte. Ricordo che circa un mese dopo la scomparsa di mia sorella, ci fu un palese invito tra la Presidenza del Consiglio e il Vaticano in relazione alla scomparsa di Emanuela a ‘non aprire quella falla che difficilmente si potrà chiudere’. E’ chiaro -ha concluso Pietro Orlandi- che sapevano cosa era successo ed era qualcosa da proteggere, da tenere nascosta per sempre”.