domenica 11 marzo 2018

La battaglia di Damasco e del Ghuta orientale, di Serge Marchand

La città di Damasco e la campagna a est della capitale, il Ghuta orientale, sono teatro di violenti scontri tra al-Qaida, sostenuta da Regno Unito e Francia, e l'Esercito arabo siriano. La Repubblica cerca di liberare la popolazione da sette anni di occupazione e sharia. Ma le potenze coloniali non ci sentono da quell'orecchio.



Damasco veniva permanentemente bombardata da al-Qaida per sei anni. Qui, una bomba, sparata dal Ghuta orientale cade su una casa nel quartiere di Ruqun al-Din, il 23 febbraio 2018, uccidendo tre persone e ferendone altre 15.
Negli ultimi sei anni, il Ministero della Riconciliazione ha firmato più di mille accordi ed ha amnistiato decine di migliaia di terroristi, reintegrati nella società, a volte persino nell'esercito. Nel Ghuta occidentale hanno accettato, ma mai nella parte orientale.
Quest'area, abbastanza grande, era popolata prima della guerra da più di 400000 persone. Secondo le Nazioni Unite, sono oggi 367000. Secondo il governo, molto meno, in ogni caso non più di 250000.
La città principale è un sobborgo piuttosto malfamato, Duma, conosciuto prima della guerra per i bordelli e la mafia.
In realtà, questa zona è occupata da al-Qaida, che si fa chiamare Jaysh al-Islam, supervisionata dalle SAS inglesi e da ufficiali del DGSE francese sotto la copertura dell'ONG Medici senza frontiere. Principalmente i combattenti sono guidati dalla famiglia al-Lush, dai grandi patrimoni a Londra.

Dal luglio 2012 alla morte a fine 2015, Zahran al-Lush annunciò più volte la settimana che avrebbe preso Damasco e giustiziato tutti gli infedeli, vale a dire i non sunniti. Impose la sharia a tutti gli abitanti secondo i principi del predicatore wahhabita Abdalaziz ibn Baz. Chiuse in gabbia chi sfidava la sua autorità e giustiziò molte persone, incluso un mio vicino (agente immobiliare che viveva nell'appartamento sotto il mio), che fu sgozzato in pubblico perché si rifiutò di dire che "Assad è un cane".
Ricevendo armi dall'Arabia Saudita dalla Giordania, al-Lush presiedette una parata militare con carri armati inscenata e filmata dall'MI6 inglese [1].
Quando l'Esercito arabo siriano piazzò cannoni sulla montagna che domina la capitale ed iniziò a bombardare la truppa di Zahran al-Lush, questi mise prigionieri sui tetti come scudi umani.
All'inizio del 2016, il cugino Muhamad al-Lush prese il comando. Si rese famoso lanciando omosessuali dai tetti. Va notato che la Siria protegge gli omosessuali; un'eccezione tra i Paesi musulmani e questo paragonato ai Paesi occidentali da trent'anni [2].
Muhamad al-Lush era il capo della delegazione dell'opposizione ai negoziati di Ginevra. Lì, chiese e ottenne che dipinti e sculture che adornavano l'hotel che l'ospitava fossero coperti. Durante i colloqui, dalla sala delle trattative twittava ai suoi sostenitori di prepararsi ad uccidere i soldati come "maiali".
Solo negli ultimi mesi l'Esercito arabo siriano ha completamente bloccato l'area. Fino ad allora era possibile che gli abitanti fuggissero. ONU e Mezzaluna Rossa hanno libero accesso dalla Repubblica, ma non dalla parte di al-Qaida. I jihadisti lasciano uscire solo i loro seguaci per le cure. I convogli di cibo sono perquisiti dall'Esercito prima di entrare nel Ghuta. In effetti, molte volte i convogli delle Nazioni Unite venivano usati per inviare armi ai jihadisti. Se l'ONU rifiuta le perquisizioni, vengono fermati.
Il Ghuta è l'area del mercato che circonda la capitale. Quando i prodotti alimentari non coltivati localmente sono forniti dall'ONU, sono i jihadisti a distribuirli alla popolazione. I prezzi sono considerevolmente più alti che nella capitale, fino a quattro volte. Solo i residenti che giurano fedeltà ai jihadisti ricevono denaro per comprarli. Diverse volte, gli abitanti lealisti del Ghuta dovettero sopportare la carestia impostagli dai jihadisti.
Per sei anni, i jihadisti hanno regolarmente attaccato Damasco dal Ghuta. Ogni giorno uccidevano persone nel silenzio assordante della comunità internazionale. Poco a poco, Daraya, Muadamiya al-Sham, Qudasaya e al-Hamah, nell'agosto 2016, poi Jubar, Barzah, Qabun e Tishrin nel febbraio 2017, furono liberati. Gli accordi poi firmati prevedevano il trasporto dei terroristi sotto scorta fino ad Idlib, nel nord-ovest del Paese, alla sola condizione che liberassero gli abitanti.
La Repubblica ha appena deciso di liberare il Ghuta orientale dai jihadisti. Il bombardamento intensivo è effettuato da artiglieria ed Aeronautica. Si tratta di annientare i jihadisti e di fare il minor numero possibile di vittime tra i civili. Durante questa campagna, i convogli umanitari sono impossibili. Al-Qaida bombardava la capitale. Normalmente i jihadisti prendono di mira l'ambasciata iraniana a Mazah, piazza Umayyad (quartier generale della televisione e del Ministero della Difesa), il Centro culturale russo e l'ambasciata russa. Questa volta i proiettili cadono ovunque. I damasceni e milioni di siriani che rifiutano la sharia e si sono rifugiati nella capitale sotto la protezione della Repubblica cercano di sopravvivere. Più di un terzo degli abitanti rimane chiuso a casa per paura di essere ucciso dai proiettili sulla città. Un quarto delle aziende rimane chiuso e le amministrazioni sono inattive.
Regno Unito e Francia cercano d'imporre un cessate il fuoco per trenta giorni nel Ghuta. Questi due Stati non fanno segreto del loro sostegno alla famiglia al-Lush e della loro ostilità verso la Repubblica araba siriana e il suo Presidente Bashar al-Assad. Entrambi hanno rifiutato di partecipare alla Conferenza di pace di Sochi, nella quale era rappresentato oltre il 90% dei siriani, ma non gli al-Lush [3].
La guerra è un mezzo per risolvere un conflitto che semplifica in primo luogo i problemi e divide gli uomini in due gruppi, mai tre, contrariamente a quanto sostengono i diplomatici inglesi e francesi. La guerra viene praticata uccidendo non solo i nemici il più possibile, ma anche i propri il meno possibile. In tutte le guerre si è costretti a sacrificare dei propri, altrimenti sarebbe una semplice operazione di polizia.
Quando la coalizione occidentale bombardò Mosul l'anno scorso per annientare pochi migliaia di jihadisti rimasti, uccise molti più civili (9-11000, secondo le fonti). I media occidentali salutarono questa vittoria con entusiasmo. Gli stessi media occidentali diffondevano immagini a sazietà di due bambine del Ghuta tra i bombardamenti. Alcuno di essi s'interroga sulle famiglie di queste due bambine o su come abbiano imparato l'inglese. Nessuno pensa agli altri bambini che muoiono a Damasco, ma tutti implorano di fermare il massacro.
Se si avrà un cessate il fuoco, non avrà alcuna conseguenza pratica. In effetti, al-Qaida viene esclusa dall'ONU e la rifiuta, ma al-Qaida, essa sola, occupa il Ghuta orientale.
In tali circostanze ci si deve chiedere perché Regno Unito e Francia promuovano tale impossibile cessate il fuoco? Perché questi due Stati intendono alleviare al-Qaida a spese dei civili che opprime?
(Sito Aurora

sabato 10 marzo 2018

Esclusivo: la fanteria russa a Damasco, di Thierry Meyssan


Vladimir Putin (presidente della Federazione di Russia) e il generale Alexander Bortnikov (direttore del contro-spionaggio russo – FSB).


Negli ultimi quattro anni tutti i commentatori hanno continuamente rilevato l'impossibilità per la Russia di dispiegare contro gli jihadisti truppe terrestri in Siria per il rischio che si ripeta la disfatta dell'Afghanistan. Ciò sarebbe vero se Mosca si scontrasse con Washington per interposti mercenari, non accadrebbe invece se i due grandi si accordassero sul futuro non solo della Siria, ma dell'intera regione. Nel 2015 Thierry Meyssan è stato il primo al mondo ad annunciare l'arrivo dell'esercito russo in Siria. Oggi è il primo ad annunciare lo spiegamento della fanteria russa.

Washington ha deciso di mettere in secondo piano il progetto di distruzione degli Stati e delle società del Medio Oriente Allargato e di concentrare le forze per ostacolare il progetto cinese della via della seta. Questa sarebbe la decisione presa il 24 febbraio 2018 alla Casa Bianca dal presidente Trump e dal primo ministro australiano (in rappresentanza dei britannici), Malcom Turnbull.
Contrastare la via della seta non è un aspetto del tradizionale conflitto tra l'Impero marittimo anglosassone da un lato e il progetto commerciale terrestre cinese dall'altro. Qui è anche questione del pericolo che l'industria cinese rappresenta per quella del complesso del mondo sviluppato. Per farla breve, mentre nell'Antichità gli europei erano avidi delle sete cinesi, oggi tutti gli Occidentali temono la concorrenza delle automobili cinesi.
Avendo Beijing rinunciato a far passare la via della seta sul tracciato storico che passa per Mosul e Palmira, è venuto meno l'interesse degli Stati Uniti a sponsorizzare gli jihadisti per creare un Califfato a cavallo tra Iraq e Siria.
Ed è ancora il 24 febbraio che Russia e Stati Uniti hanno presentato la risoluzione 2401 al Consiglio di Sicurezza. Il testo era già pronto il giorno prima e, sebbene si fingesse di continuare le trattative, non è stato modificato nemmeno di una virgola.
Pretestuosamente adottata in risposa alla campagna mediatica francese per salvare la popolazione della Ghuta, la risoluzione 2401 affronta in realtà la soluzione per quasi l'intera Siria.
Essa lascia in sospeso la questione del ritiro delle truppe turche e statunitensi. Queste ultime potrebbero riluttare a lasciare l'estremo nord-est del Paese. Infatti, se la Cina decidesse di far passare la via della seta dalla Turchia, Washington soffierebbe sul fuoco, puntando a creare un Kurdistan in territorio kurdo (se si ammette che, dal genocidio, l'Anatolia Sud Orientale non è più territorio armeno) e così tagliare la via di Beijing.
Mosca ha spostato nuovi aerei nella base d'Hmeimim, fra cui due aerei invisibili Su-57, gioielli di tecnologia che il Pentagono pensava sarebbero stati operativi non prima del 2025.
E quel che più conta, Mosca, che fino a ora ha limitato il proprio impegno in Siria all'aeronautica e ad alcune Forze Speciali, ha segretamente instradato truppe di fanteria.
La mattina del 25 febbraio l'esercito di terra russo è entrato a fianco dell'Esercito Arabo Siriano nella Ghuta orientale.
Ora è impossibile per chiunque attaccare Damasco, o tentare di rovesciare la Repubblica Araba Siriana, senza provocare automaticamente la risposta militare russa.
Arabia Saudita, Francia, Giordania e Regno Unito, che l'11 gennaio avevano costituito in segreto il "Gruppo Ristretto" per sabotare la pace di Sochi, ora non potranno più intraprendere nulla di determinante.
Le gesticolazioni dei ministri britannico e francese degli Esteri, Boris Johnson e Jean-Yves Le Drian, non possono mascherare il nuovo accordo fra Casa Bianca e Cremlino e la legalità internazionale della presenza militare russa in Siria e del suo agire in favore dei civili, prigionieri degli jihadisti.
Né possono sperare di rimettere in discussione l'accordo, come i loro rispettivi Paesi fecero a luglio 2012, visto quanto sono cambiati sia il contesto locale sia quello internazionale.
Se necessario, tutti fingeremo di non sapere che le due fazioni armate presenti nella Ghuta orientale (quella pro-sauditi e quella pro-Qatar) dipendevano da Al Qaeda. I combattenti saranno esfiltrati con discrezione. Gli ufficiali dell'MI6 britannico e della DSGE francese (che agivano sotto la copertura dell'ONG Medici Senza Frontiere) saranno rimpatriati.
La guerra non è ancora terminata nell'intero il Paese, ma è già finita a Damasco.

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Aggressione camuffata da guerre civili, di Thierry Meyssan

Se ci si darà la pena di guardare con distacco i fatti, si constaterà che i vari conflitti che da sedici anni insanguinano l'intero Medio Oriente Allargato, dall'Afghanistan alla Libia, non sono una successione di guerre civili, bensì l'attuazione di strategie regionali. Ripercorrendo gli obiettivi e le tattiche di queste guerre, a cominciare dalla "Primavera araba", Thierry Meyssan ne osserva la preparazione del prosieguo.
A fine 2010 cominciò una serie di guerre, presentate inizialmente come sollevamenti popolari. Tunisia, Egitto, Libia, Siria e Yemen furono poi travolti dalla "Primavera araba", riedizione della "Grande rivolta araba del 1915" iniziata da Lawrence d'Arabia, con un'unica differenza: questa volta non si trattava di appoggiarsi ai Wahhabiti, ma bensì ai Fratelli Mussulmani.
Questi accadimenti erano stati minuziosamente pianificati sin dal 2004 dal Regno Unito, come dimostrano i documenti interni del Foreign Office, rivelati dallo whistleblower [lanciatore d'allarmi] britannico Derek Pasquill [1]. Con l'eccezione del bombardamento di Tripoli (Libia) ad agosto 2011, tali eventi erano frutto non soltanto delle tecniche di destabilizzazione non violente di Gene Sharp [2], ma anche della guerra di quarta generazione di William S. Lind [3].
Messo in atto dalle forze armate USA, il progetto britannico di "Primavera araba" si sovrappose a quello dello stato-maggiore americano: la distruzione delle società e degli Stati su scala regionale, formulata dall'ammiraglio Arthur Cebrowski, resa popolare da Thomas Barnett [4] e illustrata da Ralph Peters [5].
Nel secondo trimestre 2012 la situazione sembrò calmarsi, tanto che Stati Uniti e Russia si accordarono il 30 giugno a Ginevra su una nuova ripartizione del Medio Oriente.
Ciononostante, gli Stati Uniti non onorarono la propria firma. Una seconda guerra iniziò a luglio 2012, dapprima in Siria poi in Iraq. Ai piccoli gruppi e ai commando subentrarono vasti eserciti di terra, composti da jihadisti. Non era più una guerra di quarta generazione, bensì una classica guerra di posizione, adattata alle tecniche di Abou Bakr Naji [6].
Allorché la Cina svelò le proprie ambizioni, la volontà di prevenire la riapertura della "via della seta" si sovrappose ai due antecedenti obiettivi, conformemente agli studi di Robin Wright [7].
Nell'ultimo trimestre 2017, con la caduta di Daesh, gli avvenimenti sembrarono nuovamente placarsi, ma gli investimenti nei conflitti del Medio Oriente Allargato erano stati così ingenti che era impossibile per i partigiani della guerra rinunciarvi senza aver ottenuto risultati.
Si assistette così a un tentativo di rilancio delle ostilità con la questione kurda. Dopo un primo scacco in Iraq ce ne fu un secondo in Siria. In entrambi i casi, la violenza dell'aggressione indusse Turchia, Iran, Iraq e Siria a compattarsi contro il nemico esterno.
Alla fine il Regno Unito ha deciso di perseguire l'obiettivo iniziale di egemonia attraverso i Fratelli Mussulmani e per farlo ha costituito il "Gruppo Ristretto", rivelato da Richard Labévière [8], struttura segreta che include Arabia Saudita, Stati Uniti, Francia e Giordania.
Da parte loro, gli Stati Uniti, applicando il "Pivot verso l'Asia" di Kurt Campbell [9], hanno deciso di concentrare le proprie forze contro la Cina e hanno di nuovo formato, con Australia, India e Giappone, il Quadriennal Security Dialogue.
Frattanto, l'opinione pubblica occidentale continua a credere che il conflitto unico che ha già devastato il Medio Oriente allargato, dall'Afghanistan alla Libia, sia una successione di guerre civili per la democrazia.

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venerdì 9 marzo 2018

Il conflitto nella Ghouta e la memoria corta dell’Occidente

Spesso si afferma che in guerra la prima vittima è la verità, resa parziale da ogni parte e resa quasi del tutto strumentale dagli attori presenti sul campo; ma in realtà, ciò che ancor prima della verità viene tolto di mezzo da un determinato conflitto è la stessa memoria: tutto viene resettato, anche la stessa storia viene resa funzionale al racconto ed alla narrativa imposta da chi vince o da chi, invece, spera di vincere. La memoria corta è una delle piaghe che affligge l'informazione inerente il conflitto siriano; è vero che fanno male le bombe russe, così come quelle americane ed è altrettanto vero che a causare vittime civili spesso sono sia i kamikaze delle sigle jihadiste così come i raid dei governativi, pur tuttavia dimenticare cosa accaduto e come si è arrivati al fatidico numero sette nel conteggio degli anni di guerra siriana, appare operazione scellerata e, nella migliore delle ipotesi, frutto di disonestà intellettuale. A prescindere da ogni considerazione politica che si possa avere su Assad e sul suo governo, dimenticare che la Siria non è stata attraversata da una vera 'rivoluzione' ma invasa da orde di jihadisti, stranieri e non, fa perdere di vista ogni giudizio obiettivo sul conflitto.

Cosa è accaduto nel Ghouta Est tra il 2012 ed il 2013

Proprio come accaduto nella zona est di Aleppo, non appena il legittimo governo siriano si prepara a strappare un determinato territorio alle sigle jihadiste, si scopre che il paese arabo ha un numero di ospedali per abitanti tra i più alti al mondo ed una quantità di edifici scolastici da fare invidia anche ai paesi più industrializzati; nel Ghouta l'operazione volta a strappare dalle mani takfire gli ultimi brandelli di una Damasco che da cinque anni vive con lo spettro di razzi e missili lanciati verso il centro, è iniziata da pochi giorni ma già nel mondo dell'informazione occidentale circolano gli stesso video visti e rivisti per Aleppo e per Homs, dove i raid russi e siriani vengono dipinti come brutali mezzi in grado di distruggere ogni volta strutture ospedaliere ed obiettivi sensibili. Ben lungi dall'esultare per l'arrivo sulle teste di tanti civili di bombe e colpi d'artiglieria, è utile però ricordare il motivo per il quale questa crisi non è possibile risolverla per vie diplomatiche: nel Ghouta Est risiedono alcune delle più pericolose sigle jihadiste che hanno messo piede in Siria, tali gruppi nell'estate del 2012 hanno cinto d'assedio la capitale siriana prima di rintanarsi in questa regione posta nella periferia orientale damascena.
Gli abitanti del Ghouta Est sanno bene cosa vuol dire aver iniziato a convivere con la presenza di uomini barbuti inneggianti alla jihad; molti civili hanno visto portare via le proprie mogli, i propri figli ed i propri affetti da terroristi che non hanno avuto scrupoli nel rinchiudere centinaia di innocenti in gabbia per piazzarli sui tetti dei palazzi, in modo da utilizzarli come scudi umani contro i raid governativi. Specialmente tra il 2012 ed il 2013, quando si è ben capito come l'offensiva jihadista non era destinata a centrare l'obiettivo a Damasco, la scure della follia islamista si è abbattuta nei quartieri della capitale e del Ghouta est da loro controllati; ma non solo: nel novembre 2015hanno fatto il giro del mondo le immagini di un corteo, composto da almeno cento gabbie con all'interno almeno sette od otto persone, sfilare lungo una città del Ghouta in un'atmosfera di gogna che ha poi preceduto l'allocazione di tali gabbie sopra i tetti dei palazzi più alti.
Non c'erano nemici o militari dentro quelle sbarre improvvisate, bensì solo civili colpevoli di essere alawiti come il presidente Assad; un'azione criminale di inaudita crudeltà, compiuta tra gli sguardi attoniti dei mariti che vedevano le proprie mogli rinchiuse come animali e portate chissà dove, senza forse la possibilità di rivederle. Il Ghouta Est è dal 2012 occupato, è questo il verbo giusto da utilizzare, da gente senza scrupoli ed i cui atti criminali sono inqualificabili oltre che ingiustificabili; gruppi di terroristi armati e sostenuti, politicamente e non solo, da quei paesi che hanno da subito appoggiato la presunta rivolta siriana anti Assad in nome proprio della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Un'accozzaglia di integralisti e terroristi che dal 2012 tiene sotto scacco Damasco, non solo intesa come sede del governo siriano, ma come città dove vivono almeno due milioni di persone la cui quotidianità è provata dal pericolo di uscire da casa e beccarsi un colpo di mortaio sparato dal Ghouta.

Come viene vissuta a Damasco la nuova operazione

Intanto, mentre si fa riferimento da più parti alle conseguenze dei raid siriani e russi nelle città del Ghouta, nel cuore della capitale siriana la popolazione vive nel terrore delle ritorsioni islamiste per l'operazione avviata dall'esercito fedele ad Assad; nella giornata di lunedì, un razzo ha colpito un taxi in una delle vie più trafficate di Damasco, uccidendo un civile. Questo è soltanto l'ultimo episodio che vede la città più popolosa della Siria essere oggetto di attacchi a colpi di mortaio e razzi da parte delle sigle che controllano il Ghouta, i quali non hanno mancato di provocare nell'ultimo mese ancora morti e feriti; la percezione di una sicurezza sempre più precaria rischia di impadronirsi degli animi dei damasceni, anche se la popolazione continua a vivere la sua quotidianità nella speranza che l'assalto alle posizioni delle sigle jihadiste a pochi chilometri dal centro possa finalmente allontanare per sempre la guerra dalla città.
Soffrono sia i damasceni che gli abitanti del Ghouta Est, del resto gli innocenti sono tali in quanto parti non direttamente in causa del conflitto ed è per questo che da entrambe le parti essi vivono il comune destino di essere vittime di un qualcosa più grande di loro; pur tuttavia, dimenticarsi cosa accaduto in questa regione già cinque anni fa, omettendo le crudeltà commesse da chi ha occupato questa zona, è un'operazione che rischia di prolungare l'agonia di milioni di civili, siano essi di Damasco, del Ghouta o di altre zone di questo martoriato paese.


giovedì 8 marzo 2018

“Vi prego, raccontate la verità: i terroristi occupano la Ghouta”


Ci sono momenti in cui anche una raffica di kalashnikov sembra nulla. Quella che risuona nel telefono, mentre sono in linea con Damasco e parlo con suor Yola Girges, è la sparatoria rituale che accompagna il funerale di un soldato siriano morto nella battaglia per Ghouta, il sobborgo ancora controllato dai terroristi islamisti. Suor Yola, nata a Damasco in una famiglia originaria però di Ghassanieh (provincia di Idlib), un villaggio cristiano del Nord dove nel 2013 fu ucciso il francescano padre Francois Mourad e dove tuttora sono insediati i terroristi di Al Nusra, è una delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria che lavorano nella casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale delle Conversione di San Paolo, nella capitale siriana. Siamo nei quartieri di Tabbaleh, Bab Touma e Dawaleh, dove si concentrano i cristiani. E come molti altri cristiani e religiosi di Siria, anche suor Yola è indignata per il modo in cui la guerra viene raccontata in Europa.
"Oggi, nel quartiere Taramana, si svolgono i funerali di dodici civili ammazzati dai missili sparati dai ribelli di Ghouta. Due settimane fa un colpo di mortaio è esploso nel giardino della nostra casa. Qualche giorno fa un altro razzo ha colpito un edificio sull'altro lato della strada e tutte le nostre finestre sono esplose. Da settimane, ormai, quando usciamo di casa non sappiamo se faremo ritorno. In questo periodo, inoltre, i terroristi hanno cominciato a colpire proprio quando nelle scuole finiscono le lezioni, per creare ancora più panico. Solo nel nostro asilo, l'anno scorso abbiamo perso quattro bambini, uccisi da un mortaio insieme con il loro papà, e nel 2012 una bambina, ammazzata da un missile per strada insieme con la mamma, che era una nostra catechista. Per non contare i bambini feriti o traumatizzati Eppure nessuno ne parla, nessuno dice niente. Chi si occupa dei nostri morti?".
Adesso tutta l'attenzione è concentrata su Ghouta e le organizzazioni umanitarie parlano di molti morti tra i civili…
"Bisogna raccontare tutta la verità. Ghouta è un'area di 1800 chilometri quadrati, occupata dai terroristi fin dall'inizio della guerra. In questi sette anni, i razzi da loro lanciati hanno provocato più di mille morti tra i civili nella sola Damasco. Per quanto tempo ancora si poteva sopportare tutto questo? Inoltre, tutti sanno che i militanti dell'Isis e di Al Nusra che si sono concentrati a Ghouta hanno portato con sé le famiglie, che ora usano come scudi umani. Sia per fermare gli attacchi dell'esercito sia per destare la reazione compassionevole del mondo. Nessuno vuole che muoiano dei civili, da nessuna parte. Ma il meccanismo è chiaro".
La Casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale di San Paolo è stata testimone fedele, in questi anni, del martirio della Siria. Fondata come casa di accoglienza per i pellegrini, con l'arrivo della guerra si è messa a disposizione di chi più soffriva.
"All'inizio", spiega suor Yola, "abbiamo accolto 30 famiglie di rifugiati da Homs, dove c'era un quartiere con 75 mila cristiani. Passata quella fase, ci siamo messi a disposizione dei malati, soprattutto quelli di tumore, che dalle più diverse zone della Siria, a causa della guerra, potevano seguire le terapie solo a Damasco. Infine, abbiamo dato alloggio alle famiglie, e purtroppo sono state tante, che avevano deciso di emigrare e dovevano fermarsi qui nella capitale per ottenere i visti. Alcune di quelle famiglie, purtroppo, sono state inghiottite dal Mediterraneo".
Negli ultimi anni, comunque, la Casa ha cercato di provvedere ai bisogni dei più deboli e indifesi, i bambini. "Abbiamo un asilo con 150 bambini", racconta suor Yola, "in maggioranza di famiglie povere o rifugiate a Damasco da zone occupate dai terroristi o investite dai combattimenti. Poi abbiamo un centro catechistico che segue 400 bambini e ragazzi, da quelli delle scuole elementari agli universitari. L'anno scorso, poi, abbiamo avviato un'attività di sostegno psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra che quest'anno, su sollecitazione degli stessi genitori, abbiamo allargato e approfondito. Lavoriamo con bambini fino ai 13 anni e con l'aiuto di dodici volontari, studenti universitari che abbiamo preparato con appositi corsi tenuti da specialisti. Infine, due mesi fa, abbiamo varato anche dei corsi di educazione musicale, anche per dare ai giovanissimi un'alternativa rispetto alle interminabili giornate passate in casa perché è troppo pericoloso giocare fuori. Si sono iscritti in cinquanta ma siamo sicuri che il numero crescerà".
Adesso, però, le attività della Casa, come quelle di tutte le altre Chiese cristiane rappresentate a Damasco, sono bloccate. Piovono missili e, come dice suor Yola, "non potevamo chiedere ai genitori di rischiare la vita dei figli per portarli qua". È la Siria, da troppi anni in guerra.