domenica 30 settembre 2018

[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 28 9 2018


Réseau Voltaire
Focus




En bref

 
Washington prêt à faire exploser l'Église orthodoxe
 

 
S-300 : le Royaume-Uni, la France et Israël ne pourront plus survoler la Syrie
 

 
Les Émirats revendiquent l'attentat d'Ahvaz
 

 
Exercice militaire russe au large de la Syrie
 

 
L'émir Tamim offre un palace volant au sultan Erdoğan
 

 
Israël utilise un avion militaire russe comme bouclier
 

 
La bataille d'Idleb est repoussée
 

 
La Russie dément les conclusions de la Commission internationale sur le MH-17
 

 
La Turquie a enlevé Ayten Öztürk au Liban
 
Controverses
Fil diplomatique

 
« L'Otan, indispensable rempart de paix et de sécurité »
 

 
Discours de Miguel Díaz-Canel Bermúdez devant la 73e séance de l'Assemblée générale des Nations unies
 

 
Discours de Michel Aoun devant la 73e séance de l'Assemblée générale des Nations unies
 

 
Discours d'Alain Berset devant la 73e séance de l'Assemblée générale des Nations unies
 

 
Discours d'Emmanuel Macron devant la 73e séance de l'Assemblée générale des Nations unies
 

 
Discours de Donald Trump devant la 73e séance de l'Assemblée générale des Nations unies
 

 
Ouverture de la 73ème session de l'Assemblée générale des Nations Unies
 

 
Déclaration de principes du Petit Groupe pour la Syrie
 

 

"The Art of War"
The strategy of demonising of Russia
par Manlio Dinucci, Réseau Voltaire, 27 septembre 2018
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Ponte Morandi, da Teramo nuovo esposto: «il video è stato manomesso, ecco perchè»

Lo annuncia  il “Dipartimento Europeo Sicurezza Informazioni” (D.E.S.I.)






TERAMO. Anomalie ben visibili nel video mostrato del Ponte Morandi. Le illustra Luciano Consorti in qualità di Presidente e Direttore Editoriale della testata giornalistica  “Dipartimento Europeo Sicurezza Informazioni (D.E.S.I.)” che condensa le sue considerazioni anche in un esposto alla procura di Teramo depositato oggi 6 settembre.

Consorti spiega che, insieme al suo funzionario esperto in videosorveglianza,  osservando attentamente l’unico video pubblico della videocamera del ponte Morandi registrato della Polizia di Stato ha desunto «verosimilmente una palese Manomissione del Video ed evidenzia  con i cerchi in rosso le anomalie, nel video rallentato vedrete una autocisterna di colore bianco davanti al camion verde di Basko, se osservate attentamente l’autocisterna davanti a Basko sparisce nel nulla, mentre nella corsia opposta si vede un Tir bianco che trasporta un Container di colore rosso  che compare improvvisamente nella carreggiata nel lato sinistro del video, inoltre sul bordo del lato sinistro sotto il logo della polizia, si vede un’anomalia di una pianta che cambia aspetto, il che fa pensare ad una sovrapposizione di immagini».

Come riportato dalle varie agenzie di stampa il 1 settembre 2018,  dopo le indagini della squadra mobile di Genova, si è concluso che il presente video non è stato “manomesso” ma la registrazione si è interrotta  per un black out elettrico senza registrare nessun crollo del ponte.
«Come è possibile che la procura di Genova o perlopiu’ la squadra mobile di Genova che ha fatto le indagini proprio sul quel video, viene a raccontarci che non è stato manomesso alcunchè?», sostiene Consorti, «sembrerebbe un film di fantascienza, dove tutti credono a qualsiasi cosa, visto che il video è chiaro e trasparente per questa ragione abbiamo chiesto alla Procura di Teramo  che vengano fatte ulteriori indagini sul Video per portare alla luce la verità e per riscattare e non far morire in vano tutte quelle 43 vittime del ponte Morandi. Per noi è un puro depistaggio dell’indagine, per conto di chi? E per quale motivo?»

SVELATO L’ARCANO
Dopo alcuni giorni dall'esposto si è potuto appurare che la Squadra mobile di Genova ha fornito una versione ai media non integrale per cui il video trasmesso presenta tagli realizzati a posteriori dall’ufficio
della questura che ovviamente non sono presenti nella versione integrale del video.

Tutto chiarito?
Nient’affatto perchè lo stesso firmatario dell’esposto ha aggiunto: «con questa dichiarazione ipotizziamo che qualcuno voglia depistare le indagini per nascondere ulteriori dettagli su una eventuale o possibile esplosione come supportato dalla tesi del prof.Enzo Siviero docente Universitario»

sabato 29 settembre 2018

Rete Voltaire I principali titoli della settimana 28 set 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa
 

 
S-300: Regno Unito, Francia e Israele non potranno più sorvolare la Siria
 

 
Gli Emirati rivendicano l'attentato di Ahvaz
 

 
Esercitazione militare della Russia al largo della Siria
 

 
L'emiro Tamim regala un palazzo volante al sultano Erdoğan
 

 
Israele utilizza un aereo militare russo come scudo
 

 
La battaglia d'Idlib è rinviata
 

 
La Russia smentisce le conclusioni della Commissione olandese sull'MH-17
 
Controversie

 
abbonamento    Reclami

Gli eurocrati sono Ancien Régime. Ecco perché sono scemi.

Un breve recupero dei fatti della settimana per rilevare fino a che punto l’euro-oligarchia ha assunto i modi, costumi, le arroganze e soprattutto la stolidità dell’antica nobiltà di sangue – quella che per lo più sotto la ghigliottina perse la testa: testa della quale non aveva mai fatto uso, per secoli non avendone avuto bisogno per comandare.
Il primo caso plateale è ovviamente quello del ministro lussemburghese Asselborn a Vienna. Siccome lui ha detto che l’Europa ha bisogno di immigrati perché invecchia, per lui questa è le verità definitiva. Non si aspettava nessuna contraddizione. Sicchè la pacata osservazione di Salvini – “Ho una prospettiva completamente diversa. Io penso di essere al governo per aiutare i nostri giovani a tornare a fare quei figli che facevano qualche anno fa e non per espiantare il meglio dei giovani africani per rimpiazzare i giovani europei che per motivi economici oggi non fanno più figli” – lo ha fatto soffocare di rabbia. L’ha sentita come un insulto personalmente a lui, il barone Asselborn da Steinfort: dove andiamo a finire, se i subalterni cominciano a risponderti? Se un discendente di un servo italiano si permette di contraddirti? Soprattutto mostrandosi più ragionevole di te? E’ un affronto scandaloso.
Infatti l’antica aristocrazia reazionaria, i Polignac, i Courvoisier magistralmente descritti da Proust, hanno sempre ritenuto qualunque manifestazione, anche minima, di intelligenza, qualcosa di sconveniente; una cosa da contabili o da scrittori, da sensali o da scienziati – insomma da borghesi da non invitare nei salotti. Come disse la duchessa Madame de Guermantes del conte Breuté-Consalvi detto Babal: “Babal uno snob? Ma è tutto il contrario, caro amico! Detesta le persone brillanti!”
Infatti quando la duchessa Oriane (progresista) invitava musicisti, pittori, grandi medici, “Babal” si rifiutava di andare al ricevimento: questi borghesucci, con le loro chiacchiere e nozioni, disturbavano la conversazione fra i nobili, che verte incessantemente su un unico argomento: chi di noi è parente di chi. Una continua, estasiata rivisitazione degli alberi genealogici reciproci, e il loro intrecciarsi.
L’osservazione di Salvini non è che fosse brillante. Semplice buonsenso. Ma il ministro del Lussemburgo ha sentito l’urgenza di lavare l’offesa fatta al suo rango, in un modo rivelatore: “Io sono il ministro del Lussemburgo e controllo le mie finanze e voi in Italia dovete occuparvi dei vostri soldi per aiutare a dare da mangiare ai vostri figli” – frase sconnessa e idiota, che sottintende l’altra: non osate ribattere, voi straccioni pieni di debiti, a me che sono ricco di famiglia mentre voi siete poveri, “merde alors”. Si è intuito che è stato sul punto di chiamare i suoi servi in polpe e livrea per far buttare giù dalla scalea questo discendente di immigrati italiani che osava mancargli di rispetto, esibendo quella facoltà indecorosa che è il pensiero.
Prudono le mani a lorsignori, per la comparsa di questi bassi sediziosi nella scena elettorale. Guy Verhofstadt, a proposito di Orban, che “ha deviato troppo dai valori europei”, ha promesso: “faremo abbassare la testa a chiunque mira a distruggere il progetto europeo”.
L’espressione che usa, “face down”, è quella che adottano i poliziotti verso il delinquente: “Faccia a terra!”, “Non osare alzare gli occhi verso di noi, inferiore!”. Gli eurocrati vogliono fare “abbassare la cresta” a tutti i capi plebei che danno segni di non voler obbedire al loro ordine.
Pierre Moscovici: “L’Italia è un problema nella zona euro”, ci stanno nascendo dei piccoli Mussolini (cui faremo abbassare la cresta). La saggista francese Coralie Delaume gli ha twittato: “L’Italia è un problema per la zona euro. La Grecia è un problema per la zona euro, l’Ungheria è un problema per l’Unione Europea, la Polonia è un problema per l’Unione Europea… Guardi in faccia la realtà: gli europei sono un problema per l’Europa”.
Visto su: luogocomune.net

venerdì 28 settembre 2018

Foa in Rai: che succede quando un eretico sale al potere?

Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l'establishment se l'è già "comprato": intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla "voce del padrone", utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.
C'è qualcosa di meta-politico, di profondamente eversivo, nella sola idea di aver pensato a un cavaliere solitario e coltissimo come Foa, giornalista di razza e gentiluomo, per la presidenza della televisione di Stato, vera e propria fabbrica del consenso, Marcello Foaper decenni affidata il più delle volte a mani servili e mediocri. È antropologicamente eversiva, la figura del liberale Foa al vertice della Rai: è il bambino che non può fare a meno di svelare l'imbarazzante nudità del sovrano, del monarca che si gloria nel celebrare una pace apparente, mentre intorno infuria la peggiore delle guerre. La guerriglia di oggi, nella quale Marcello Foa si trova coinvolto – dopo aver dato la sua avventurosa disponibilità a quell'ipotesi democratica chiamata "governo gialloverde" – non è un conflitto come quelli che l'hanno preceduto: è un sordido massacro quotidiano perpetrato ovunque, senza frontiere, senza più neppure le bandiere di un tempo. È una guerra orwelliana, affidata a mercenari. Navi corsare, che combattono (per lo più in incognito) per conto di padroni potentissimi, protetti dall'anonimato. Non c'è più neppure il triste onore della battaglia: si viene sopraffatti in modo subdolo, sistematicamente sommersi da menzogne spacciate per verità di fede, che il sistema mediatico non si cura più di verificare. Ed è proprio per questo che l'attuale sistema mediatico italiano detesta, e teme, Marcello Foa.
Ascoltando solo e sempre un'unica campana, il sistema mainstream ci ha raccontato in questi anni che le poderose, ciclopiche Torri Gemelle di Manhattan sono crollate su se stesse, come se fossero state di cartone anziché di acciaio, solo perché colpite – con una manovra proibitiva persino per i migliori "top gun" – da normalissimi e leggerissimi jet di linea fatti di alluminio, dirottati da apprendisti piloti arabi, di cui tuttora non si sa nulla: non un'immagine, al fatale imbarco, di nessuno dei 19 presunti dirottatori (salvo poi rintracciare i loro passaporti, nientemeno, nell'inferno fumante di Ground Zero). Finge di credere sempre e soltanto alla versione ufficiale, il mainstream media, anche quando dimentica di ricordare che furono gli Usa a incoraggiare Saddam Hussein a invadere il Kuwait, dopo averlo spinto a combattere contro l'Iran. Dà retta unicamente al super-governo universale, il club dei telegiornali, anche quando assicura che Saddam disponeva di micidiali armi di distruzione di massa. E tace, invece, quando l'Onu dimostra che quelle armi erano pura fantasia, come i gas siriani di Assad, le 11 Settembrefosse comuni di Gheddafi, le violenze della polizia di Yanukovich in Ucraina. E poi applaude a reti unificate, la consorteria mediatica, quando in Italia appaiono i cosiddetti salvatori della patria – i Monti, i Cottarelli – armati del bisturi che useranno per amputare carne viva, risparmi e pensioni, economia italiana di aziende e famiglie, oscurando il futuro dei giovani.
All'epoca in cui Marcello Foa lavorava al "Giornale" di Indro Montanelli, il mondo probabilmente appariva infinitamente più semplice – più chiaro, più visibile nei suoi errori e orrori: la guerra fredda, il Medio Oriente e gli sconquassi africani della decolonizzazione, la strategia della tensione organizzata per gambizzare l'Italia e impedirle di prendere il volo come autonoma potenza euromediterranea fondata sulla forza formidabile dell'economia mista, pubblico-privata. In quella redazione milanese, dove Foa è cresciuto professionalmente, su una parete c'era appesa una carta geografica di Israele che indicava come capitale Gerusalemme, già allora, anziché Tel Aviv. Se Enrico Berlinguer impiegò anni per ammettere che si sentiva più al sicuro sotto l'ombrello della Nato piuttosto che tra i carri armati del Patto di Varsavia, Marcello Foa e il suo maestro Montanelli non avevano mai avuto dubbi sul fatto che niente di buono potesse venire, per l'Occidente, da un'oligarchia sedicente comunista che aveva soppresso sul nascere i primi vagiti democratici della Russia, cambiando semplicemente look all'antico dispotismo zarista. L'eroico sacrificio dell'Unione Sovietica, decisivo nell'abbattere il nazifascismo, non poteva Indro Montanellicancellare né i Gulag di Stalin né l'esilio di Aleksandr Solženicyn. Era fatto di certezze, il mondo di Foa e Montanelli: la libertà (inclusa quella d'impresa) come fondamento irrinunciabile di qualsiasi comunità civile degna di chiamarsi democratica.
Ed è questo che rende Foa insopportabile al potere economico di oggi, dove la libertà d'impresa cede il passo al dominio di immensi oligopoli finanziari globalizzati, privilegiati da legislazioni truccate come quelle dell'Unione Europea ordoliberista. È tanto più sgradevole e insidioso, Foa, perché non proviene – come invece molti anchorman televisivi – dalla contestazione giovanile del capitalismo: credeva, Foa, negli stessi valori professati dall'élite economica di un tempo, orientata pur sempre alla promozione della mobilità sociale, in sostanziale accordo con le forze sindacali dell'allora sinistra. Una dialettica anche aspra, ma vocata in ogni caso al miglioramento complessivo del sistema-paese. E mediata – sempre – dalla politica, letteralmente scomparsa dai radar italiani per 25 lunghissimi anni. Solo oggi, alla distanza, ci si mette le mani tra i capelli nel rivedere il film dell'euforia generale con la quale i cittadini avevano accolto il Trattato di Maastricht e, dieci anni dopo, l'ingresso nell'Eurozona disegnata dalle banche e governata dalla Bce con modalità feudali, imperiali, senza la supervisione di alcun controllo democratico. Succedeva negli anni in cui, con la caduta del Muro di Berlino benedetta da Gorbaciov, l'umanità si era illusa che il fantasma della guerra sarebbe stato semplicemente cancellato dalla storia del pianeta.
Magari fosse un comune complottista, Marcello Foa: sarebbe più comodo liquidarlo, come velleitario chiacchierone. Chi oggi gli promette guerra, invece, sa benissimo che l'ex caporedattore del "Giornale", nonché docente universitario, nonché feroce critico del sub-giornalismo odierno, è un vero e proprio disertore. Non era un eretico: lo è diventato negli ultimi anni, disgustato dallo spettacolo al quale è stato costretto ad assistere. Per questo, al di là del reale potere che gli conferisce la carica di presidente Rai, Marcello Foa rappresenta un vero pericolo, per i malintenzionati che oggi gli danno del traditore. Nell'Italia corporativa delle caste, ha osato "sparare" contro la sua – quella dei giornalisti – definendoli "stregoni della notizia", bugiardi L'ultimo saggio di Marcello Foae omertosi spacciatori di "fake news" di regime. E non c'è niente di peggio, per i servi, che l'ex schiavo che si libera delle catene: la sua rivolta personale, intellettuale, suona umiliante per chi si ostina a raccontare che la Terra è piatta, e che è il Sole a orbitarle attorno.
Chi l'avrebbe detto? Oggi l'Italia riesce incredibilmente a piazzare una persona autorevole, onesta e competente, alla guida della televisione pubblica. Marcello Foa non è infallibile: ma quando ha sbagliato – anche di recente, prendendo per buona la notizia di presunte istruzioni che il governo tedesco avrebbe impartito alla polizia, per enfatizzare il terrorismo "casereccio" targato Isis – non ha esitato ad ammetterlo, tempestivamente. Quanti, al suo posto, avrebbero avuto lo stesso coraggio? E ora, questo volto pulito del nostro giornalismo è alle prese con una sfida estremamente impegnativa. È davvero impossibile fare molta strada, in politica, se non si è almeno in parte ricattabili, e quindi controllabili, in quanto complici dell'apparato da cui si è stati promossi? Così almeno ebbe a..

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