martedì 26 giugno 2018

Ammazziamo Noi la Monsanto, prima che ammazzi i nostri figli


Nel nostro mondo ci sono molte industrie  che hanno causato delle enormi devastazioni. Pensiamo alle grandi compagnie globali, alle banche, al petrolio, pensiamo alla plastica. Ma c’è un altro campo che che sta molto peggio di tutti gli altri: l’agro-chimica. A un certo momento, non molto tempo fa, i grandi produttori della chimica, che fino ad allora si erano tenuti occupati a produrre solo l’Agent Orange, i gas nervini e le sostanze chimiche che servivano per le docce nei campi di concentramento, ebbero l’idea di usare i loro prodotti nella produzione alimentare.
Dopo aver cominciato con fertilizzanti ecc., hanno pensato che rendere i raccolti completamente dipendenti dalle sostanze chimiche sarebbe stato, per loro, molto più redditizio. Hanno cominciato a comprare semi e hanno cominciato a manipolarli. Poi hanno convinto sempre più contadini, o meglio sempre più consorzi alimentari, che i “parassiti” che minacciavano i raccolti, potevano essere semplicemente uccisi, senza dover ricorrere ai metodi della natura per controllarli.
Nelle monocolture questo, in realtà, avrebbe senso, ma è il concetto stesso di monocultura che non ha senso: in natura funziona la (bio) diversità.E, per colmo di cinismo, il cibo di cui abbiamo bisogno per vivere ormai sia prodotto da una cultura che porta la morte. Perché questo è quello che fanno la Monsanto e i suoi simili: la loro soluzione a qualunque problema degli agricoltori è ammazzare tutto con il veleno. Ma questo finirà per uccidere l’intero ecosistema in cui opera e da cui dipende un agricoltore.
E certo che tutti i vari Monsanto del pianeta producono molto più materiale di “ricerca” di chiunque altro, e queste loro ricerche servono per spiegarci che la scomparsa degli ecosistemi nei posti in cui vengono introdotti i loro prodotti non dipende assolutamente dai prodotti delle varie Monsanto. E anche se qualcuno potrà dimostrare che non è vero, sarà troppo tardi: il danno sarà già stato fatto con l’impollinazione incrociata. La Monsanto potrà quindi denunciare chiunque coltivi campi che mostrano tracce delle sue sementi geneticamente modificate, anche se l’ultima cosa che vorrebbe un agricoltore è proprio trovare nel suo campo delle tracce di quel genere.
Comunque, quando ieri ho letto un pezzo di John Vidal sul Guardian, sono rimasto colpito da certi numeri. La Bayer-Monsanto, che presto sarà solo Bayer, è proprietaria del 60% dei semi e del 70% dei prodotti chimici usati in agricoltura, in tutto il mondo. Possiamo paragonare queste percentuali più o meno al numero di vertebrati e di insetti che sono già scomparsi dalle campagne di Germania, Francia e Inghilterra. E’ la vita stessa che sta morendo. L’estinzione delle specie ora è diventata una minaccia più grave dei cambiamenti climatici.
“Per mezzo di parecchie società affiliate e di compagnie di ricerca che vengono usate come armi, la Bayer-Monsanto esercita un impatto indiretto, su ciascun consumatore, e diretto sulla maggior parte degli agricoltori di Gran Bretagna, UE e USA. Controlla inoltre efficacemente quasi il 60% della fornitura mondiale di semi protetti da brevetto, il 70% delle sostanze chimiche e dei pesticidi usati per coltivare il cibo che proviene dalla maggior parte delle colture GM (geneticamente modificate) nel mondo, così come molti dei dati su cosa coltivano gli agricoltori, dove lo coltivano e quanto ne ricavano.
La Bayer-Monsanto potrà influenzare cosa e come viene coltivato nella maggior parte dei campi che producono cibo per tutto il mondo e potrà condizionare il prezzo e il metodo con cui viene coltivato.
Ma l’acquisizione è solo l’ultimo passo di una serie di tre grandi fusioni avvenute tra compagnie che controllano semi e pesticidi. Con l’appoggio dei governi, delle regole sul commercio mondiale e delle leggi sulla proprietà intellettuale, Bayer-Monsanto, Dow-DuPont e ChemChina-Syngenta hanno ottenuto tutte le autorizzazioni che servono per controllare gran parte della fornitura mondiale di semi.
Si noti che, benché Dow-DuPont e ChemChina-Syngenta siano aziende di grandi dimensioni, la sola Bayer-Monsanto già possiede il 60% delle sementi protette da  brevetto e il 70% delle sostanze agrochimiche. Dal momento che possiede “solo” il 60% e il 70%, non potrà essere accusata di monopolio. Ma il suo prodotto principale, il glifosato (venduto con il marchio Roundup) è prodotto anche da Dow, DuPont e Syngenta. Quindi insieme gestiscono effettivamente un monopolio. Non lo è solo “tecnicamente”. Questi signori hanno dalla loro  il fior fiore degli studi legali, delle lobby e dei PR, perché …..mirano al controllo globale.
[..] dato che la maggior parte degli agricoltori dei paesi ricchi già compra i semi dalle multinazionali, la voce di chi si oppone a questo monopolio  si sente a malapena. Una voce però arriva da chi conosce l’operato di Debal Deb, un ricercatore indiano, che cerca di preservare le colture antiche ed è l’antitesi della Bayer-Monsanto, che si concentra solo sullo sviluppo di un piccolo numero di colture forti e protette dal suo brevetto, Deb invece fa crescere il maggior numero di possibile di colture e fa diffondere i suoi semi.
Quest’anno sta coltivando ben 1.340 varietà tradizionali del riso indiano “folk” su un terreno che gli è stato regalato nel Bengala Occidentale. Saranno più di 7.000 gli agricoltori – in sei diversi stati – che riceveranno i suoi semi, a condizione che li coltivino e che ne distribuiscano una parte ad altri agricoltori.
Questa condivisione dei semi di “varietà locali”, non è filantropia, ma l’ultimo anello di un sistema secolare di agricoltura di mutuo soccorso che ha permesso stabilità sociale e diversità alimentare a milioni di persone. Selezionando, incrociando e scambiando continuamente i loro semi, gli agricoltori hanno sviluppato un gran varietà di prodotti riconoscibili per aroma, gusto, colore, proprietà medicinali e resistenza a parassiti, siccità e inondazioni.
La battaglia è tra biodiversità e Monsanto, e quest’ultima sta vincendo alla grande. Monsanto-Bayer vuole che gli agricoltori coltivino solo quelle poche colture, di cui possiede il brevetto e vuole che tutto il resto sia sterminato con le sostanze chimiche senza le quali queste colture non possono crescere. Monocolture su steroidi, allevate in ambienti sterili e privi di vita. Il 75% degli insetti sono scomparsi dalle campagne europee, sono scomparsi anche il 60% dei vertebrati, mentre uccelli e farfalle stanno diventando una rarità.
È follia nella sua forma più assoluta. Follia di singole persone, follia dei sistemi legali, follia della governance. Nessuno, e nessun paese, dovrebbe essere obbligato a dimostrare che i prodotti della Monsanto stanno uccidendo la biodiversità. Abbiamo uno strumento – che si chiama principio di precauzione – e dobbiamo usarlo. Come diceva Ippocrate: Primo non Nuocere. Non è complicato.
Ma devo ammettere che qualche volta penso che sia già troppo tardi. Una volta che hai ammazzato il 70% di qualsiasi forma di vita, in un qualsiasi ecosistema, come farà questo eco-sistema a riprendersi? Perché con la fusione della Bayer-Monsanto approvata in tutti i paesi del mondo, le cose andranno sempre peggio e sempre più velocemente. L’industria agro-chimica è una cultura che cresce grazie alla morte, una cultura che trae i suoi profitti da una mortalità enorme, forse peggio ancora di quella che uccise i dinosauri 65 milioni di anni fa.
E le probabilità che l’umanità sopravviva a questa catastrofe sono poche o niente. La nostra sopravvivenza dipende dalla diversità che esiste in ciascuno degli ecosistemi in cui viviamo. Ma sì, vi sento: noi siamo la specie intelligente.
Ecco qualcosa che ho pubblicato per la prima volta nel dicembre 2016, ma le cose sono peggiorate molto più velocemente di quanto pensavo allora : Ammazziamo Noi la Monsanto prima che ammazzi i nostri figli.

Estinzione e Follia di Massa



Caters – Un raro elefante albino – Kruger National Park in South Africa

Tutto muore, piccola, questo è un dato di fatto
Ma forse tutto ciò che muore un giorno tornerà …
Springsteen, Atlantic City
Erwin Schrodinger (1945) ha descritto la vita come un sistema in disequilibrio termodinamico statico che mantiene una distanza costante dall’equilibrio (morte) nutrendosi della bassa entropia del suo ambiente – cioè scambiando output ad alta entropia per input a bassa entropia. La stessa affermazione, presa alla lettera,  potrebbe valere anche come descrizione fisica del nostro processo economico. Un corollario di questa affermazione è che un organismo non può vivere in un ambiente pieno dei suoi stessi rifiuti”.
Herman Daly and Kenneth Townsend
Quello che muove le nostre economie è lo spreco, non il bisogno e nemmeno la domanda :  I Rifiuti. La  2° legge della termodinamica. E’ questo che guida la nostra vita. Punto.
Per prima cosa non ditemi che qualcuno di voi sta cercando di frenare la progressiva estinzione della natura e della fauna del pianeta, o la la distruzione della vita in generale. Non ditemi nemmeno che ci state provando. Non ditemi che dovremmo concentraci – prima – sul cambiamento climatico (che è solo una piccola parte di tutta la faccenda), non ditemi che guidate un’auto elettrica e che state separando la tua spazzatura o cose del genere. Significherebbe solo che state tentando intenzionalmente di non prendervi la vostra parte di responsabilità in questa distruzione, perché se lo fate voi, è la stessa cosa fanno anche gli altri, e il pianeta non può più assumersi la responsabilità del vostro comportamento.
Questo è tutto, in grandi linee. E gli unici tra noi che non la pensano così sono solo quelli che non vogliono pensarci. C’è chi pensa che sia più facile parlare di certi problemi – troppo grossi – che affrontarli, che questo compito dovrebbe essere lasciato agli altri. Ma perché dovremmo lasciarli agli altri? Perché qualcuno deve preoccuparsi di piccolezze come elezioni o anche guerre, quando appare sempre più chiaro che ci stiamo avvicinando rapidamente a un periodo in cui certe cose contano sempre meno?
L’ultimo rapporto sul  Living Planet  del WWF ci mostra che il pianeta è molto meno vivo di prima e che siamo noi che abbiamo ucciso quella vita che non c’è più. Siamo noi che abbiamo sostituito la vita del pianeta con metallo, mattoni, plastica e cemento. E’ il consumo di massa che porta ad una estinzione di massa e questo è assolutamente prevedibile, lo è sempre stato; non c’è niente di nuovo.
Solo tra il 1970 e il 2012 abbiamo ucciso il 58% di tutti gli animali vertebrati selvatici, ad un tasso del 2% l’anno, e nel 2020, solo tra 4 anni,  ne avremo massacrato quasi il 70%.  E allora che ci importa chi è, o chi sarà, il presidente di uno solo dei tanti paesi che ci siamo inventati su questo pianeta? Perché non prendiamo di petto, invece, le cose che sono davvero cruciali per la nostra stessa sopravvivenza?
Elefante Madre e cucciolo

L’ultimo rapporto del WWF dovrebbe farci lasciar perdere tutto quello che stiamo facendo, e farci muovere per evitare che continui questo annientamento della vita in questo nostro mondo, il fattore chiave nella nostra vita quotidiana, in ogni ora di ogni giorno, per ciascuno di noi. Qualsiasi altra cosa non sarà abbastanza e qualsiasi altra cosa vedrà annientata- quella specie che si è definita intelligente –  da questo processo.
Certo, qualche esemplare mutante potrebbe sopravvivere, magari primordiale – forse a metà strada di quel che resterà della nostra specie – un essere che vivrà in condizioni che non potremmo nemmeno osare immaginare, con un brandello della nostra intelligenza, che gli basterà per chiedersi come abbiamo potuto permettere che tutto questo sia successo. Forse ci farebbe comodo che questo essere capisse il meno possibile, in modo che una forma di ignoranza, più o meno come la nostra, possa rendere più tollerabile, per lui, quella sofferenza.
È importante notare che il rapporto non parla di una situazione stagnante, non esiste uno stato dei fatti, ma solo un processo in corso d’opera e in fase di peggioramento. Cioè, ormai non possiamo scegliere di bloccare l’annientamento della fauna che prossimamente arriverà al 70%; stiamo assistendo, e in effetti ne siamo parte attiva, ad un crescendo al ritmo del 2% ogni anno che passiamo su questo mondo (Possiamo ancora parlare più di “vivere” , se per vivere stiamo uccidendo tutta la vita che esiste intorno a noi?).
Questa Terra è la nostra unica casa.
Senza il mondo naturale in cui siamo nati, o meglio dove è nata la nostra specie, i nostri antenati, non abbiamo nessuna possibilità di sopravvivenza. Perché è il mondo della Natura che ha permesso e creato le condizioni che hanno permesso all’umanità di emergere e di svilupparsi. E non siamo neanche lontanamente in grado di creare una Terra 2.0: nozione che è assurda in se stessa. Un periodo di poche migliaia di anni in cui l’Uomo ha  ‘comprenso’  il suo mondo non possono competere con i miliardi di anni di tutta l’evoluzione. Questo è il peggior insulto che possiamo fare alla nostra intelligenza, sempre che ne abbiamo una.
Molto è stato fatto durante gli anni in cui siamo stati capaci ad adattarci alle mutevoli circostanze, e gran parte di quello che abbiamo fatto è stato fatto con tanta arroganza, quanta ne mostriamo ancora oggi, ma la grande domanda che dovremmo farci è PERCHE’stiamo facendo volontariamente tutto il possibile per scoprire fino a che punto possiamo adattarci a un mondo che finora ha fatto fronte a tutte le ferite e le perdite che noi gli abbiamo fatto sopportare. Anche se a un certo punto riuscire ad adattarci a nuove condizioni di vita, perché dovremmo volerci adattare?
Due terzi del nostro mondo se ne sono già andati, e siamo noi che li abbiamo ammazzati, e quel che è peggio – a giudicare dal nostro stile di vita – sembra che non ce ne siamo nemmeno accorti. Se non fermiamo quello che stiamo facendo, potremo arrivare a un solo risultato: uccidere anche noi stessi. Forse il nostro problema maggiore (anche se ne abbiamo parecchi altri) è la nostra capacità e propensione a non volerlo vedere e a voler negare qualsiasi nostro-comportamento-sbagliato- con-consequenze-serie.
Orso polare madre e cucciolo

Ci saranno pure tante persone serie e intelligenti che lavorano, che sognano e che ricevono miliardi di sussidi per le loro fantasie di costruire colonie umane su Marte e vediamo questo loro lavoro come un segnale di progresso e di intelligenza. Ma questo può essere vero solo se riconosciamo che la nostra intelligenza e la nostra follia sono gemelle identiche. Perché è da folli distruggere il pianeta dal quale dipende ciascun essere umano e che ci permette di vivere, e allo stesso tempo sognare una vita umana su un altro pianeta.
Mentre non vedo nessun motivo per guardare con ammirazione a personaggi come il Re delle sovvenzioni  Elon Musk, per Stephen Hawking è diverso. Sfortunatamente, nel caso di Hawking, di fronte a tutta la sua intelligenza, la sua capacità filosofica scompare.
Il Prof. Stephen Hawking ha lanciato un monito, dicendo che l’umanità non sopravviverà per altri 1.000 anni sulla Terra a meno che la razza umana non trovi un altro pianeta su cui vivere. [..] Il Professor Hawking, ha riflettuto sulla comprensione dell’universo, partendo dalle scoperte degli ultimi cinquant’anni, descrivendo il 2016 come un“tempo glorioso per essere vivo e per fare ricerca sulla fisica teorica”. “La nostra immagine dell’universo è cambiata moltissimo negli ultimi 50 anni e sono felice se ho dato un piccolo contributo”.
“Il fatto che noi umani – che siamo fondamentalmente delle semplici particelle della natura – siamo stati in grado di avvicinarci così tanto alla comprensione delle leggi che governano noi e l’universo è sicuramente un trionfo.” Mettendo in evidenza “esperimenti ambiziosi” che daranno una immagine ancor più precisa dell’universo, ha continuato: “Mapperemo la posizione di milioni di galassie con l’aiuto di [super] computer come Cosmos e comprenderemo meglio il nostro posto nell’universo.”
” Ma dobbiamo anche continuare ad andare nello spazio per il futuro dell’umanità. Non penso che sopravvivremo per altri 1.000 anni senza scappare oltre il nostro fragile pianeta.
La tragedia è che abbiamo acquisito una certa conoscenza delle leggi della Natura e dell’Universo, ma siamo assolutamente ignoranti quando si tratta di comprendere come impedirci di distruggere questo nostro mondo. Marte è uno sbocco facile, ma Marte non risolve niente. Perché è ovvio, che non è il “fragile pianeta Terra” che costituisce una minaccia per l’umanità, ma la minaccia è l’umanità stessa. Quindi come si possono risolvere i problemi della terra? scappando su un altro pianeta?
Cosa c’è di sbagliato nel dire che dovremo fare prima qualcosa qui sul pianeta terra? È che abbiamo già fatto tanto male e ucciso troppa vita? E se questa è la ragione, che cosa ci dice che non andremo a fare la stessa cosa su un altro pianeta, sempre ammettendo che riusciremo ad arrivarci (ci arriveremo)?  Non ci dice che siamo NOI STESSI i nostri peggiori nemici? E l’idea stessa di andare a occupare un “altro pianeta” non ci fa pensare che sia meglio sistemare, prima, le nostre cose su questo pianeta? Diciamo che potrebbe essere una specie di pre-condizione prima di andare su Marte, se mai ci andremo.
Per sopravvivere, non abbiamo bisogno di scappare dal nostro pianeta, abbiamo bisogno di scappare da noi stessi. Non è così facile. Molto più difficile che scappare su Marte, che non è altro che una nostra fantasia per ricominciare daccapo.
Eppoi, se riusciremo ad accettare che sistemare le cose qui prima di andare su Marte sia un prerequisito per andare lassù, forse poi non avremo più bisogno di andare su Marte, giusto?
Tartaruga gigante

Noi stiamo trattiamo tutta questa storia dell’estinzione come se fosse qualcosa che stiamo guardando dall’esterno, come se fosse qualcosa che non ci riguarda, di cui noi non siamo parte. Ho visto tanti “popoli di ambientalisti” indubbiamente ben intenzionati e “persone ragionevoli” reagire al rapporto del WWF, dicendo che c’è ancora speranza e hanno fatto riferimento a segnali che mostrano progetti che possono invertire in parte il declino del pianeta, come il salmone chinook sulla Costa Nord Americana del Pacifico, come gli agricoltori del Malawi che non usano più fertilizzanti chimici, come un santuario gigante nell’Antartico, ecc.
Anche questa è una forma di follia. Perché serve a cullare le persone in uno stato di compiacimento che è del tutto ingiustificato e  serve solo a peggiorare le cose. Non c’è stato un cambio di direzione, non c’è stata una inversione di tendenza. È come dire che se un corpo non cade a corpo morto per terra, non è caduto affatto.
Il ruolo che svolgono i gruppi ambientalisti, chi si batte per la sostenibilità e i conservazionisti nelle nostre società è cambiato drasticamente, e non siamo riusciti a vedere chiaramente come è avvenuto questo cambiamento (che invece loro hanno già fatto). Questi gruppi sono diventati parte integrante del sistema, invece di rimanere una forza esterna alla società e capace di dare l’allarme su ciò che accade all’interno della stessa società.
I gruppi conservazionisti oggi servono come apologeti di una umanità devastante che si scatena in tutto il mondo: tutti fanno una donazione a Natale e con questo gesto si fa finta di credere che la conservazione della natura sarà tutelata. Tutti riciclano qualche bottiglia e qualche involucro di plastica e sono sereni, per aver fatto la propria parte per salvare il pianeta. Questo è completamente folle. È folle quanto la distruzione stessa. È una negazione scritta a caratteri cubitali e incisa sulla carne.
Forse è un modo troppo diretto per dirlo, ma questo non significa che non sia la verità, è così che funziona. Dire che “non è troppo tardi” non è un invito a muoversi per tutte le persone che continuano a credere che ci sia ancora tanto tempo. È solo piccola e ignobile mossa di psicologia. Con queste parole si dà l’impressione alla gente che ci sia ancora tempo e questa impressione diventa subito una scusa (per rimandare). E dato che quasi il 70% di tutti i vertebrati, cioè gli animali che ci sono più vicini, sono scomparsi, quando dovrebbero dirci che il tempo è ormai scaduto?  Quando saremo all’80% ?  al 90%?
 Una Cavalletta

Non comprendiamo perché, e nemmeno se, siamo una specie così tragicamente devastatrice. E forse non riusciamo a comprenderlo. Forse è qui che la nostra intelligenza si ferma, nel punto in cui dobbiamo cercare di comprendere come siamo fatti dentro. Anche l’essere più “consapevole” tra noi tenderà a sminuire il proprio ruolo per quello che succede nel mondo e continuerà a fare  sempre le stesse cose che già fa, anche se si rende conto quanto sia dannoso, questo comportamento, per l’ecosistema, ma si sente troppo piccolo, molto più piccolo di quello che realmente è.
Anche lui cercherà scuse per il suo stesso comportamento, si dirà che deve fare certe cose per poter vivere il ruolo che svolge nella società in cui è nato, per portare i bambini a scuola e bla, bla, bla. Lo facciamo tutti. Ci mettiamo in pace la  coscienza dicendoci che abbiamo capito bene, e poi saliamo in macchina, compriamo un cartone di latte o facciamo qualche altra cosa in modo altrettanto cieco…. potremmo continuare.
Qualsiasi specie, che scopre di avere a disposizione tanta abbondanza, tanta energia, reagisce allo stesso modo: la sfrutta. E’ una pulsione inconscia che consiste nell’utilizzare l’energia il più rapidamente possibile. Se solo potessimo capire questo concetto! Ma capirlo potrebbe intralciare il concetto stesso e l’unica cosa che possiamo fare per fermare l’estinzione è usare – tutti – molto meno energia. Ma dato che il consumo (di energia) crea ricchezza e, soprattutto, potere politico, noi non risparmieremo mai. Anzi noi ci diciamo che il massimo che possiamo fare è usare delle forme di energia diverse.
Abbiamo un talento innato per negare e per mentire (a noi stessi e agli altri), che ci rende impossibile, per prima cosa, renderci conto che abbiamo un talento innato per negare e per mentire. O, per dirla in un altro modo, visto che non siamo stati capaci di impedirci di far scadere il pianeta fino a questo triste stato di oggi, perché dovremmo continuare a credere che, in futuro, noi riusciremo a fermarci?
La cosa è che questa scusa per il nostro comportamento è la stesa scusa che usano anche tutti gli altri. Fino quando continueremo a comprare roba avvolta nella plastica, non avremo il diritto, anzi perderemo anche il diritto, di incolpare l’industria che produce la plastica.
Una nuotata con i lamantini

Noi ci crediamo tanto intelligenti e – di conseguenza – ci riteniamo una specie guidata dalla ragione. Ma non lo siamo: Cosa che può essere facilmente dimostrata con una “contro-domanda”: perché, se siamo così intelligenti, ci troviamo ad aver distrutto due terzi del nostro pianeta?
Abbiamo avuto un motivo razionale che ci ha spinto verso questa distruzione del pianeta? Certo che no, diremo. Ma allora perché abbiamo distrutto due terzi del mondo, se non è stato per la razionalità? Questa è una domanda che dovrebbe farci guarire per sempre dal credere all’idea che l’Uomo sia guidato dalla ragione. Ma noi non stiamo nemmeno ascoltando la risposta che abbiamo dato a questa domanda. Noi neghiamo, noi neghiamo persino questa stessa domanda.
Ma comunque è questa stessa domanda, e questa stessa risposta, che per l’appunto NON ci farà “piantare in asso qualsiasi cosa stiamo facendo” se oggi leggiamo che il 70% di tutta la fauna selvatica scomparirà entro il 2020, che il 58% era già scomparso nel 2012 e che stiamo continuando questa distruzione ad un tasso del 2% all’anno. Per noi è più normale preoccuparci di quelle tabelle che dicono che i rendimenti dei nostri piani pensionistici saranno molto più bassi di quanto credessimo. O ci preoccupiamo che la crescita economica è troppo bassa (come se con il 70% della fauna selvatica scomparsa, si può pensare ad una crescita!).
Dopo tutto, se la distruzione del 70% della fauna selvatica non basta per farci alzare il culo dalla sedia, a che percentuale dovremo arrivare per farci muovere? All’80%? Al 90? Al 99%? Mi sa tanto che sarebbe troppo tardi.
E nemmeno possiamo contare sugli ambientalisti che se ne preoccupano per noi, abbiamo visto che non ci conviene. Perché lo stesso 70% dice forte e chiaro quanto si siano rivelati un misero fallimento.
“Prendiamo per buono” che siamo una Umanità intelligenti, perché questo ci fa sentire bene. Questo però non fa star bene il pianeta. Quello che ci spinge non è la ragione, ma quella parte del nostro cervello che condividiamo con le amebe, con i batteri e con tutte le altre forme più primitive di vita, che si ingozzano di tutto quello che trovano il più presto possibile. Il cervello “razionale” degli umani, serve ad una cosa e ad una sola: pertrovare scuse “razionali” per quello che il nostro cervello primitivo ci ha appena fatto fare.
Siamo abbastanza intelligenti per capire che guidare un’auto ibrida o un’auto elettrica non basta per fermare lo scempio che stiamo facendo al nostro mondo, ma si stanno vendendo queste auto a milioni. Quindi forse potremmo dire che siamo allo stesso tempo abbastanza intelligenti, e che non lo siamo affatto. Possiamo vedere che stiamo distruggendo il nostro mondo, ma non sappiamo fare niente che ci impedisca di continuare questa distruzione.
Ecco qualcosa che scrissi 5 anni fa:
Abbiamo fatto esattamente la stessa cosa che avrebbe fatto una forma di vita primitiva di fronte a un surplus, di cibo, di energia e, nel nostro caso, di credito e di denaro a basso costo. Abbiamo speso tutto il più velocemente possibile, per paura che arrivassero tempi di minor abbondanza. È un istinto che proviene dai segmenti più primitivi del cervello, non dalla “più razionale” corteccia frontale. Non possiamo dire che – in linea di principio  – siamo dotati di un talento, più subdolo o malvagio delle forme di vita più primitive.  Il fatto è che usiamo il nostro evoluto cervello per aiutarci a provocare quella stessa devastazione  a cui ci spinge il nostro cervello più primitivo,  ma – grazie alla nostra intelligenza evoluta – siamo capaci  di devastare molto meglio.
E’ questo che ci rende la specie animale più tragica che si possa immaginare. Ci combatteremo l’un l’altro, e lo faranno anche i nostri figli, per litigarci fino all’ultima mollica che cade sul tavolo e uccideremo tutto quello che attraverserà la nostra strada, pur di arrivare in fondo. E quando avremo finito, troveremo un modo per darci una spiegazione razionale – a noi stessi – sul perché avevamo ragione ad agire in quel modo. Possiamo essere consapevoli e renderci conto di quello che facciamo, ma non sappiamo come evitare di farlo. La Specie, in assoluto, più Tragica mai esistita.
Il più grande miracolo che vedrete mai o che potreste mai sperare di vedere, sarà così miracoloso che non potrete nemmeno riconoscerlo per quel che è. Non sappiamo più cosa significhi la parola bellezza o il valore della parola. Abbiamo perso tutto questo, e siamo sulla buona strada per perdere il resto anche. Abbiamo superato il 70%.

Raúl Ilargi Meijer

7.06.2018
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque Primario

lunedì 25 giugno 2018

Felicia Langer, sopravvissuta all'Olocausto e avvocato per i diritti dei palestinesi, muore in esilio a 87 anni

Felicia Langer ha combattuto, prima in Israele, poi in Germania, per l'applicazione del diritto internazionale da cui Israele si è escluso.


Non l'ho mai incontrata, l'ho chiamata solo due o tre volte al suo luogo di esilio, ma ricordo bene cosa fosse per me e per gran parte della mia generazione nella nostra gioventù sottoposta al lavaggio del cervello: un simbolo di odio per Israele, un nemico pubblico, una traditrice insultata e respinta. È così che ci è stato insegnato a considerare lei e alcuni altri primi dissidenti, e non ci siamo interrogati e non ci siamo preoccupati del perché.

Oggi, a 87 anni, è morta in esilio; la sua immagine brilla nei miei occhi attraverso la distanza del tempo e dello spazio. Felicia Langer, che è morta giovedì in Germania, era un'eroina, una pioniera e una donna di coscienza. Lei e alcuni dei suoi alleati non hanno mai ottenuto il riconoscimento che meritavano: e certamente non lo avranno mai.
In un luogo in cui sono ospitati gli "vecchi alunni" di un'organizzazione di terroristi ebrei - uno è un editore di giornali, un altro esperto di diritto religioso - e dove i razzisti auto-proclamati sono accettati come legittimi partecipanti nell'arena del dibattito pubblico come in nessun altro luogo, non c'è posto per i coraggiosi guerrieri della giustizia che hanno pagato un alto prezzo personale per aver tentato di guidare un campo che non è mai seguito.

Langer era una sopravvissuta dell'Olocausto polacco che ha studiato giurisprudenza all'Università ebraica di Gerusalemme. Dopo l'occupazione (dei territori palestinesi nel 1967), fu la prima ad aprire uno studio legale dedicato alla difesa delle vittime palestinesi. In questo, ha seguito un'illustre tradizione di ebrei che hanno combattuto l'ingiustizia in Sud Africa, America Latina, Europa e Stati Uniti.

Qui il suo senso di giustizia l'ha portata a entrare in conflitto con il suo stato. A volte, è addirittura riuscita: nel 1979, a seguito della sua petizione, l'Alta Corte di Giustizia ha bloccato un ordine di sfratto contro il sindaco di Nablus, Bassam Shakaa. Un anno dopo, un gruppo ebraico clandestino ha messo una bomba sotto la sua auto che ha distrutto le sue gambe, cosa che fece luce sulla giustizia israeliana.

Langer è stata una pioniera tra gli avvocati israeliani di coscienza che si sono mobilitati per difendere i diritti della popolazione occupata, ma è stata anche la prima a gettare la spugna, chiudendo il suo studio legale nel 1990 e andando in esilio. In un'intervista del 2012 con il documentarista Eran Torbiner, ha spiegato: "Ho lasciato Israele perché non potevo più aiutare le vittime palestinesi con il sistema legale esistente e il disprezzo del diritto internazionale che avrebbe dovuto proteggere le persone che difendevo, non potevo agire. Ero di fronte in situazione disperata". Ha detto al Washington Post che "non poteva più essere una foglia di fico per questo sistema".

Ha detto che non ha cambiato il suo fronte, solo il suo posto sul fronte, ma il fronte è attualmente al suo punto più basso. L'occupazione è radicata come non mai e quasi tutti i suoi crimini sono stati legittimati.

Langer arrivò alla conclusione che le cose erano senza speranza. Apparentemente, aveva ragione. La lotta nelle corti militari era destinata al fallimento. Non ha possibilità di successo perché i tribunali militari sono soggetti solo alle leggi dell'occupazione e non alle leggi della giustizia. Il procedimento non implica altro che un rituale vuoto e falso.

Persino il sistema di giustizia civile, retto dall'alta corte di giustizia di cui si esaltano i meriti, non è mai stato dalla parte delle vittime e copntro i crimini dell'occupazione. Qui e là, sono stati emessi ordini restrittivi, qui e là le azioni sono state ritardate. Ma negli annali dell'occupazione, la Corte Suprema d'Israele sarà ricordata come il primo strumento di legittimazione dell'occupazione e come un abietto collaboratore dell'esercito. Dato questo stato di cose, Langer forse non aveva nulla da fare qui. Questa è una conclusione singolarmente deprimente.

Contro cosa ha combattuto questa donna valorosa e coraggiosa? Contro la tortura da parte del servizio di sicurezza Shin Bet in un momento in cui non si credeva nell'esistenza di tale tortura, eppure era all'apice della sua crudeltà. Ha combattuto contro l'espulsione di attivisti politici, contro i falsi arresti, contro le demolizioni di case. Soprattutto, ha combattuto per l'applicazione della legge internazionale che Israele ha deciso di eludere per ragioni incredibili. È quello per cui ha combattuto ed è per questo che è stata considerata un nemico pubblico.
Nella sua vecchiaia, suo nipote gli disse che alla fine i palestinesi vinceranno e otterranno il loro stato. "Non lo vedrai, ma lo vedrò", promise a sua nonna. Alla fine, il nipote resterà deluso, così come la sua distinta nonna.



Per concessione di Tlaxcala
Fonte: https://tinyurl.com/yaq8yxy5 
Data dell'articolo originale: 24/06/2018
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=23663

Golpe europeo contro la libertà del web, l’Italia si opponga

Günther Oettinger Il diavolo non è poi brutto come lo si dipinge? In compenso, l'Unione Europea è peggio: come un monarca dispotico, ordina che sia imbavagliato il bambino che si è permesso di gridare che "il re è nudo". Così, esercitando un arbitrio che ha la forza grottesca di un sopruso arcaico, Bruxelles prova a spegnere le antenne del popolo, quelle che i cittadini-elettori hanno ascoltato per poi decidere da chi farsi governare. E' pensabile, una Brexit senza il web? E' immaginabile una vittoria di Trump senza i social media? E una sconfitta di Renzi senza Facebook? Un governo "gialloverde" senza la Rete? No, appunto. Ed è per questo che il potere centrale del nuovo Sacro Romano Impero – con i suoi complici principali, i grandi media – sta preparando la spallata finale alla libertà di Internet: il divieto di far circolare idee, parole e immagini – tramite link, come finora si è fatto – sotto minaccia di violazione del copyright. Un bavaglio medievale, universale, bloccando alla fonte ogni notizia tramite filtri sulle piattaforme di distribuzione, cominciando da Google e Facebook. In pratica: la fine del web come l'abbiamo conosciuto, fondato sulla libera circolazione (immediata) di segnalazioni, opinioni, fatti e analisi, contenuti normalmente oscurati da giornali e televisioni.

Un gesto orwelliano, da tirannide asiatica d'altri tempi: è il 2018, eppure l'Unione Europea è questa. Non riconosce cittadini, vuole soltanto sudditi. E ha una paura maledetta che i sudditi si ribellino, ridiventando cittadini. Il killer prescelto per l'operazione è ovviamente tedesco e risponde al nome di Günther Oettinger, il simpaticone che – all'indomani del voto italiano del 4 marzo – spiegò che sarebbero stati "i mercati", o meglio i signori occulti dello spread, a insegnare agli italiani come votare nel modo giusto, evitando cioè di rinnovare la loro fiducia a gentaglia come Salvini e Di Maio. Come sempre, Bruxelles cerca di ammantarsi di una parvenza di legalità: la Commissione Europea, organismo non-eletto e forte di poteri paragonabili a quelli delle "giunte militari" di sudamericana memoria, stavolta utilizza la foglia di fico del Parlamento Europeo (eletto, ma senza potere) per ricevere l'ipotetica legittimità politica dell'abuso, che verrebbe incoraggiato con il voto di Strasburgo il 4 luglio. Da qui il conto alla rovescia della petizione lanciata da Claudio Messora su "ByoBlu" e ripresa da "Change.org", che in pochi giorni ha raccolto quasi mezzo milione di firme, in Italia, per tentare di convincere gli europarlamentari a non votare il piano Oettinger, in base al quale non sarebbe più possibile far circolare, su blog e social, i testi, le idee e le immagini che in questi anni hanno fatto informazione.

L'intento è evidente: "spegnere" le fonti che hanno sopperito al colpevole silenzio dei grandi media, sostituendo in modo prezioso la non-informazione di giornali e televisioni, canali mainstream reticenti e omertosi, largamente difettosi quando non direttamente mafiosi, docili strumenti nelle mani di editori collusi con il potere centrale che trama contro le democrazie per svuotarle e depredarle. Senza informazione non c'è democrazia, ed è normale quindi che l'oligarchia si premuri innanzitutto di imbavagliare la libertà di espressione. Prima hanno ridotto i giornali a carta straccia, e le televisioni a salotti tragicomicamente impermeabili a qualsiasi verità. E ora, dato che il pubblico ha aggirato i grandi media rivolgendosi al web – in Italia il 50% dei cittadini dichiara di informarsi ormai solo sulla Rete – ecco il supremo bavaglio a Internet, con l'espediente della tutela del copyright. Con l'alibi della (giusta) sanzione contro gli abusi, si mette il bavaglio alla prima fonte di notizie per 30 milioni di Claudio Messorapersone, nel nostro paese. Difficile credere che un simile attentato alla libertà possa essere accettato come costituzionale, in Italia.

Beninteso: è più che legittima la tutela del copyright, ove si impedisca di eseguire dei pedestri copia-e-incolla non autorizzati. Ma il legislatore Ue va ben oltre: impedirà addirittura che, su blog e social, vengano caricate segnalazioni ipertestuali: in pratica, sarebbe la fine dei link, cioè dell'anima stessa di Internet. Vietato riportare frasi, estratti, dichiarazioni. Vietato certificare le fonti di provenienza. Vietato veicolare – mediante collegamento diretto – i contenuti più interessanti. In altre parole: la fine del web, la morte della libertà d'opinione. Il sovrano europeo pensa di fermare, letteralmente, l'orologio della storia: vuol far diventare lento e disfunzionale ciò che oggi è veloce, immediato. Una pazzia anacronistica, come quella di chi schierasse i carri armati nelle strade. L'essenza stessa del web è la rapidità, la circolazione di notizie in tempo reale. E il web è diventato anche il più potente vettore economico del nostro tempo: ostacolarlo No al bavagliosignifica arrecare un danno di portata incalcolabile alla dinamica economica del terzo millennio, riportando l'Europa al medioevo anche sul piano civile, oltre che politico.

Non è strano che a organizzare il golpe sia l'Unione Europea, che i suoi carri armati (finanziari) li ha già spediti ovunque, a fare strage di democrazia. Resta da vedere come reagiranno le anime morte del Parlamento Europeo il 4 luglio, sotto la pressione dell'opinione pubblica. E soprattutto: c'è da capire come risponderà, al golpe, il governo italiano. Salvini "esiste" soprattutto su Twitter, i 5 Stelle sono nati dalla Rete. Il cielo stellato è stato inquadrato dal cannocchiale di Galileo, che adesso l'ultima reincarnazione del cardinale Bellarmino – il fantoccio Oettinger e i suoi mandanti – sta per fare a pezzi. Questa Ue si comporta come una dittatura di colonnelli: nasce morta e condannata dalla storia. E' destinata alla sconfitta, ma a che prezzo? Quanto durerebbe, il blackout, prima del ripristrino della democrazia? Quanti altri danni produrrebbero, nel frattempo, i golpisti del web? Nessun aiuto, intanto, da giornali e televisioni: gli operatori ufficiali dell'informazione, ancora una volta, tacciono. Non una parola, da loro, sulla più importante notizia – la peggiore – che abbia investito il pubblico italiano. Tacciono, giornali e televisioni, sul golpe in atto. Sperano, probabilmente, che il colpo di Stato riesca. Si comportano come fossero complici dei golpisti. Se c'è un'occasione per dimostrare che il "governo del cambiamento" non è solo un modo di dire, è questa: se c'è un "no" che l'Italia deve pronunciare, forte e chiaro, è proprio questo, contro il golpe che vorrebbe spegnere il web.

(Su Change.org la petizione contro il bavaglio al web che l'Ue vorrebbe imporre).

Fonte: www.libreidee.org

Il miglior modo per salvare il pianeta? Lasciate perdere carne e latticini


L’allevamento animale a scopo alimentare è una minaccia per tutte le forme di vita sulla Terra e la bistecca “allevata al naturale” è la peggiore di tutte.
Se gli esseri umani sopravviveranno a questo secolo o al prossimo, se altre forme di vita potranno coesistere insieme a noi, questo dipende sopratutto dal modo in cui mangiamo. Potremmo ridurre tutti gli altri nostri consumi praticamente a zero e tuttavia porteremmo ancora al collasso il nostro sistema, a meno di non cambiare le nostre abitudini alimentari.
Tutte le prove puntano ora in un’unica direzione: la transizione fondamentale dovrebbe riguardare il passaggio dalla dieta animale a quella vegetariana. Un lavoro pubblicato la settimana scorsa su Science dimostra che, anche se alcune produzioni di carni e latticini sono più dannose di altre, sono tutte quante più nocive per l’ecosistema della coltivazione delle proteine vegetali. Dallo studio emerge che l’allevamento animale impegna fino all’83% del terreno arabile mondiale, ma contribuisce solo per il 18% al nostro fabbisogno calorico. Una dieta basata su prodotti vegetali ridurrebbe del 76% l’utilizzo delle aree agricole e dimezzerebbe i gas serra e gli altri inquinanti prodotti dall’industria agroalimentare.
Questo è dovuto in parte all’estrema inefficienza dell’alimentazione animale tramite granaglie: la maggior parte del loro valore nutritivo si perde nella conversione da proteine vegetali a proteine animali. Questo rafforza la mia affermazione che, se volete mangiare meno soia, allora dovreste mangiare soia: il 93% della soia consumata (che contribuisce alladistruzione di foreste, savane e paludi) la troviamo (trasformata in proteine animali) nella carne, nei latticini, nelle uova e nel pesce, e la maggior parte di essa va perduta durante la conversione. Quando la mangiamo direttamente, è sufficiente molto meno terreno arabile per fornire la stessa quantità di proteine.
Ancora più dannosa è la carne “allevata al naturale”: l’impatto ambientale della conversione dell’erba a carne, ribadisce l’articolo, “è enorme, qualunque sia il metodo di produzione utilizzato oggi.” Questo perché occorre così tanta terra per ogni bistecca o braciola da pascolo. In tutto il mondo il terreno da pascolo è circa il doppio di quello destinato alla produzione agricola, ma fornisce solo l’1,2% delle proteine di cui ci nutriamo. Anche se molti di questi pascoli non possono essere utilizzati per la produzione agricola, possono essere però usati per la rinaturalizzazione, permettendo il recupero di molti ricchi ecosistemi distrutti dall’allevamento animale, assorbendo l’anidride carbonica dall’atmosfera, proteggendo i bacini idrici e fermando sul nascere la sesta grande estinzione. Il terreno che dovrebbe essere riservato alla conservazione della vita umana e di tutti gli altri esseri viventi del pianeta è ora utilizzato per produrre un minuscolo quantitativo di carne.
Ogni volta che sollevo il problema cruciale della resa per ettaro, vengo colpito con un fuoco di sbarramento di insulti e vituperi. Ma non me la sto prendendo con gli allevatori, faccio solo notare che i conti non tornano. Non possiamo sfamare la crescente popolazione mondiale e neppure proteggere le diverse forme di vita con l’allevamento animale. Carne e latticini sono una stravaganza che non possiamo più permetterci.
Non c’è modo di uscirne. Quelli che affermano che i sistemi di allevamento “rigenerativi” o “olistici” imitano la natura si ingannano da soli. Si basano sulle recinzioni, mentre in natura gli erbivori selvatici si muovono liberamente, spesso su grandi distanze. Escludono o eliminano i predatori, che sono essenziali al buon funzionamento di tutti gli ecosistemi. Tendono ad eliminare i germogli vegetali e fanno in modo che venga a mancare quel complicato mosaico di vegetazione arborea, tipico di molti ecosistemi naturali, essenziale per l’esistenza di una grande varietà di vita animale.
L’allevamento industriale esige attacchi sempre più grandi al mondo vivente. Guardate al massacro dei tassi in Gran Bretagna, che ora, grazie alle richieste sbagliate dei produttori lattero-caseari, si sta espandendo in tutto il paese. La gente mi chiede come giustificherei il ritorno dei lupi, sapendo che ucciderebbero qualche pecora. Io chiedo loro come giustificano l’eradicazione dei lupi e di tanta altra fauna selvatica per far posto alle pecore. L’azione più importante che possiamo fare a favore dell’ambiente è ridurre l’entità del territorio utilizzato dall’allevamento.
A meno che non siate in grado di cucinare bene, e molte persone non hanno le capacità e neppure lo spazio per farlo, una dieta vegetariana può essere noiosa o costosa. Abbiamo bisogno di pasti pronti vegani migliori,  più economici e di semplici sostitutivi della carne. Il passo importante verrà con la produzione industriale di carne artificiale. Ci sono molte obiezioni. La prima è che l’idea di una carne artificiale è disgustosa. Se la pensate così, vi invito a dare un’occhiata a come i vostri salsicciotti, hamburgher e bocconcini di pollo vengono attualmente allevati, macellati e trattati. Avendo lavorato in un allevamento intensivo di suini, ho una certa conoscenza di tutto quello che potrebbe sembrare disgustoso.
La seconda obiezione è che la carne sintetica pregiudica la produzione locale di cibo. Forse quelli che fanno affermazioni di questo genere non sanno da dove arriva il mangime per animali. Far passare della soia argentina attraverso un maiale delle vostre parti non la rende di certo più “locale” di quella destinata direttamente all’alimentazione umana. La terza obiezione è più seria: la carne artificiale si presta alla concentrazione industriale. Di nuovo, l’industria dei mangimi animali (e, in modo sempre crescente, la zootecnia) è diventata preda dei grandi complessi di imprese. Ma dovremmo lottare per far sì che la carne sintetica non segua la stessa strada: in questo settore, come in altri, abbiamo bisogno di severe leggi anti-trust.
Questa potrebbe anche essere l’opportunità per rompere la nostra totale dipendenza dai fertilizzanti azotati sintetici. Tradizionalmente, la produzione agricola e l’allevamento animale si integravano tramite dall’utilizzo del letame. L’abbandono di questo sistema ha portato ad una riduzione della fertilità del suolo. Lo sviluppo dei fertilizzanti industriali ci ha salvato dalla carestia, ma con un costo ambientale assai salato. Al giorno d’oggi, il legame fra bestiame e territorio è saltato quasi ovunque: i campi vengono coltivati tramite prodotti chimici industriali, mentre le deiezioni animali si accumulano, inutilizzate, in lagune puzzolenti, distruggono i fiumi e creano zone morte nei mari. Nel suolo, tutto questo rischia di accelerare la resistenza agli antibiotici.
Passando ad una dieta di tipo vegetale, instaureremmo una sinergia positiva. La maggior parte delle coltivazioni ad alto contenuto proteico, piselli e fagioli, catturano l’azoto dall’atmosfera, si autofertilizzano ed aumentano nel terreno la concentrazione dell’azoto, che può così essere utilizzato dalle coltivazioni successive, come cereali o piante oleaginose. Anche se il passaggio alle proteine vegetali difficilmente potrà eliminare la necessità, a livello mondiale, dei fertilizzanti artificiali, il lavoro pionieristico dei bioagricoltori vegani, che utilizzano solo compost a base di vegetali (e il meno possibile di fertilizzanti di altro tipo) dovrebbe essere sostenuto da studi che le autorità non sono, a tutt’oggi, riuscite a finanziare.
Ovviamente, tutta l’industria dell’allevamento si opporrà ad una cosa del genere, usando quelle immagini bucoliche e quelle fantasie pastorali con cui ci hanno infinocchiato per così tanto tempo. Ma non possono costrigerci a mangiare la carne. La scelta dobbiamo farla noi. Ogni anno che passa diventa sempre più facile.
George Monbiot
Tradotto da Markus per www.comedonchisciotte.org

domenica 24 giugno 2018

Piera Aiello mostra il suo volto. La collaboratrice di giustizia, oggi deputata, non ha più paura


Per ventisette anni ha vissuto lontano dalla sua terra, la Sicilia. Oggi, 13 giugno, Piera Aiello scopre il suo volto, e con esso la sua grinta, la sua sete di verità e giustizia. Per lei oggi è una nuova vita.
Nata a Partanna (Trapani) il 2 luglio 1967; la sua storia inizia quando all’età di 14 anni conosce Nicolò Atria. Piera e Nicolò provenivano da culture diverse e questo provocava, nonostante l’affetto che li univa, forti disaccordi. Le radici mafiose di Nicola (Nicolò) erano talmente forti da essere coinvolto in un gioco spietato e immorale. Un gioco partito dall’uccisione del padre, il boss don Vito Atria, avvenuta il 18 novembre 1985 a soli nove giorni dal loro matrimonio. Lo spirito della vendetta, tipico di chi nasce e cresce in un ambiente intriso di mafia, aveva spinto Nicola a commettere l’errore più grande della sua vita: tentare di vendicare il padre con i mezzi della mafia.

“Io fui scelta da mio suocero, non da mio marito, cercai in tutti i modi di dissuadere mio marito dal tentativo di vendicare la morte di suo padre, ma non ci fu nulla da fare”, riferisce Piera in un’intervista. “Lui, Nicola, era immischiato nello spaccio di droga e girava armato. Quando provavo a dirgli di smettere con questa vitalui mi picchiava“. Nicolò Atria è stato ucciso il 24 giugno 1991sotto gli occhi di Piera.
Dopo la sua morte Piera è stata perseguitata e sorvegliata a vista dai mafiosi implicati nell’omicidio del marito. Venne avvicinata da un suo amico carabiniere e dal Sostituto Procuratore di Sciacca, Morena Plazzi, la quale la portò a Terrasini per farle conoscere il Procuratore Capo della Procura della Repubblica di Marsala Paolo Borsellino.
“A quel tempo non sapevo cosa significasse collaborare con la giustizia. Quando incontrai Paolo Borsellino – dice Piera – non avevo idea del ruolo che ricopriva e soprattutto non mi rendevo conto dell’importanza di quell’incontro. Dopo quell’incontro Paolo Borsellino per me non rappresentò solo il magistrato che si occupava delle mie testimonianze, ma diventò un amico, un padre a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto (e sono stati tanti!). La mia sete di giustizia non inizia, come tanti potrebbero pensare, il giorno dopo l’omicidio di mio marito. Infatti, solo qualche mese prima, avevo partecipato ad un concorso per agente di polizia. Mio marito non fu contrario, mi disse che poteva far comodo, dopo tutto, un poliziotto in famiglia, ma quando gli dissi che se non si sistemava la testa, lui sarebbe stato il primo che avrei sbattuto in galera, quel giorno per l’ennesima volta, mi picchiò“...

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sabato 23 giugno 2018

SULL’ORLO DELLA TOMBA DI INTERNET – ControRassegna Blu #18



FIRMA ANCHE TU PER CHIEDERE AI PARLAMENTARI EUROPEI DI NON RATIFICARE LA DIRETTIVA SUL COPYRIGHT CHE DISTRUGGERÀ LA RETE: https://www.byoblu.com/firma-per-evitare-la-distruzione-di-internet/
SCARICA QUESTA CONTRORASSEGNA E RICARICALA SUI TUOI SOCIAL OPPURE INVIALA VIA WHATSAPP A TUTTI I TUOI AMICI. PUOI SCEGLIERE TRA LA VERSIONE HD O QUELLE IN BASSA RISOLUZIONE, ADATTE AL TUO SMARTPHONE: https://www.byoblu.com/preleva-e-diffondi-la-controrassegna-blu/

Mancano 12 giorni alla distruzione della rete per come la conosciamo. Firma adesso …o mai più!

Sta succedendo qualcosa, qualcosa che forse non tutti sanno, e non lo sanno perché quelli che dovrebbero informarli sono interessati a mantenere un basso profilo. Qualcosa riguarda internet e le nostre libertà. Siamo ormai abituati agli attacchi alla rete che arrivano dal nostro Parlamento, il Parlamento italiano, ma questo viene da molto, molto più in alto. Per la precisione, dal Parlamento europeo.
Ieri la Commissione Affari Legali del Parlamento europeo, dopo 21 mesi di discussioni sulla legge sul Copyright, era chiamata a decidere: se accettare la cosiddetta versione del piano Oettinger/Voss, ovvero quella della tassazione sui link e sulla censura preventiva, oppure la versione più ragionevole di buon senso dell’eurodeputato dei verdi tedeschi Julia Reda. E, manco a dirlo, ha votato per l’alternativa di Oettinger/Voss, Oettinger era quello, tutti lo ricorderete, che disse che i mercati avrebbero insegnato all’Italia come votare.
Cosa significa? Significa che se il 4 di luglio il Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo, stante il parere favorevole di ieri della Commissione, dovesse votare per la ratifica di questa legge sul Copyright, beh! Da quel momento in poi, se caricherete un contenuto vostro sul web, potreste incorrere in spiacevoli messaggi come: “non avete una licenza per questa regione, per questo contenuto”, oppure il caricamento è stato disabilitato perché “le probabilità di violazione del copyright sono elevate”, o che “è necessario attendere mentre le foto delle vostre vacanze vengono caricate, perché prima devono essere confrontate con tutto lo scibile umano degli scatti fatti dai detentori dei diritti”. A questo potrebbe ridursi il dibattito in Rete!
Prendiamo ad esempio l’articolo 11, che instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!
Ma sentite cosa dice l’articolo 13. “Le piattaforme online sono responsabili per le violazioni del copyright dei loro utenti” e “devono in ogni caso implementare filtri preventivi sugli upload”. Significa che gli algoritmi rigetteranno a priori qualunque contenuto che “potrebbe” violare il copyright, prima ancora che appaia online. Ma gli algoritmi non sono immuni ai falsi positivi e non possono certamente distinguere gli usi ammissibili, come le parodie, i meme, il diritto di critica… Non c’è nessuna concessione al concetto stesso di “Fair Use”. Ecco, ad esempio sarà impossibile pubblicare la foto di chicchessia con una scritta sotto, appunto i meme, a meno che quella foto non l’abbiate scattata voi stessi, e anche così sarete comunque giudicati “colpevoli” a meno che non vi dimostriate “innocenti” e non conduciate lunghe battaglie per riportare online i vostri contenuti. Anche questa ControRassegna diventerà impossibile da realizzare, a meno che di non tagliare qualunque immagine e di non trasformarsi in un grande media televisivo. E chissà, se questa legge dovesse essere retroattiva, chissà quanti canali, a milioni verranno oscurati nei prossimi mesi. Inoltre, chi è che ne trarrà vantaggio? Non tanto gli editori, come ci si potrebbe aspettare, perché già analoghe leggi in Spagna e in Germania hanno dimostrato che questa politica porta, in realtà, a un calo delle letture e degli articoli. Invece, andrà bene per chi ha i mezzi e le tecnologie per implementare questi potenti algoritmi, questi filtri. Chiaramente parliamo di Google e Facebook, mentre tutte le altre piattaforme dovranno disabilitare la possibilità di caricare anche dei semplici link. Quindi i monopolisti diventeranno ancora più monopolisti.
Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, ha dichiarato che questo è “un passo senza precedenti verso la sorveglianza e il controllo automatizzati”. E perfino il relatore alle Nazioni Unite che si occupa della libertà di opinione e di espressione, ha detto che andiamo verso una “censura preventiva” che “restringerà la libertà di espressione”.
Ho chiesto a Guido Scorza, avvocato esperto di questioni della Rete e che i lettori di byoblu.com conoscono bene, di esprimere le sue considerazioni. Eccole:
Alcune delle norme contenute nella proposta di direttiva approvata ieri dalla Commissione Giuridica del Parlamento europeo sono pensate male e scritte peggio, in maniera sciatta, approssimativa, di difficile applicazione. È una classica norma contro: è stata scritta pensando a Google e soci. Ma dovrà trovare necessariamente applicazione nei confronti di tutti, anche della più piccola delle start up. Si consegna a Google e soci il compito di decidere quali contenuti possono restare on line e quali, viceversa, potranno essere rimossi. Ed è esattamente quello che succederà, perché saranno loro a decidere quando rischiare una causa per violazione del diritto d’autore e quando non rischiarla. La rischieranno quando l’utente ha le spalle larghe e non la rischieranno quando l’utente non ha le spalle larghe. Ci sarà meno libertà d’informazione per tutti. La partita è ancora aperta, in Parlamento si vota probabilmente il 4 luglio: parliamone, parliamone, parliamone!
E allora parliamone! In Rete ci sono già oltre 50 mila tweet con l’hashtag #SaveYourInternet. E non è un caso se proprio il 4 di luglio viene già considerato Il Giorno dell’Indipendenza della Rete. Cosa possiamo fare? Beh! Innanzitutto far sapere agli eurodeputati, che voteranno il 4 di luglio a Strasburgo che noi il piano Oettinger non lo vogliamo. Byoblu si è già attrezzato con la sua raccolta firme, e gliela faremo avere. E allora guardate questo video, ricondividetelo, scaricatelo, ricaricatelo sui vostri profili e, mi raccomando, firmate e fate firmare. Forse non servirà a niente, ma ricordatevi che non si può mai sapere qual è la goccia che alla fine fa traboccare il vaso.

USA: Bambini in gabbia… da vent’anni

Scandalo mondiale per le famiglie di immigrati che in USA vengono separate al confine. Ma è proprio tutta colpa di Trump? Vediamo com’è andata davvero.
E’ su tutti i giornali: non si parla che della discutibile legge americana che divide le famiglie di immigrati che passano il confine, e relega i minori in apposite “gabbie” per mantenerli separati dagli adulti. Visto che tale spietata prassi sta facendo inorridire il mondo intero, proviamo a fare una breve ricostruzione della sua storia. Le origini risalgono all’ormai lontano 1997, quando alcuni attivisti dei diritti umani fecero ricorso in tribunale contro la detenzione comune degli immigrati clandestini minorenni insieme agli adulti. Nacque così il “Flores settlement”, che stabiliva come i bambini -accompagnati o meno- dovessero godere di trattamenti particolari e cure a loro riservate, e quindi tenuti in aree apposite separate da quelle degli adulti. In seguito, l’amministrazione Bush indurì pesantemente la politica di detenzione e respingimento degli immigrati, trasformando i centri di “accoglienza” in veri e propri sistemi carcerari, dove i bambini dovevano addirittura indossare le divise arancioni dei detenuti. Come racconta il New York Times, poi, l’amministrazione Obama abolì i centri di detenzione familiari nel 2009 per ripristinarli però in tutta fretta nel 2014, in seguito ad un aumento dei flussi immigratori. Il Times in un lungo articolo del 2015 corredato di fotografie racconta proprio la tragica esistenza di bambini e donne in questa sorta di lager. E proprio a quel periodo risalgono molte delle immagini che vediamo oggi sui media, come denuncia anche l’inglese Independent: ad esempio, il video di questi bambini che dormono nelle gabbie risale a 4 anni fa, il 2014, quando Obama era presidente.
Ciò significa che Trump è innocente? Nessuno lo è, quando si tratta di maltrattamenti agli innocenti: Trump infatti non aveva fatto nulla in proposito, fino a oggi, quando è stato costretto a firmare per porre fine a questa odiosa prassi. Prassi che è colpa, però, di molti governi americani, e non solo il suo.

Toscani, i Benetton, i migranti e i Mapuche

Oliviero Toscani ne ha combinata un’altra delle sue: ha usato un’immagine di migranti su un gommone per una pubblicità Benetton. Toscani, che è molto attivo sui social per le sue idee a favore dell’immigrazione, con questa iniziativa ha provocato una valanga di polemiche: non solo, come prevedibile, ha protestato il ministro Salvini, ma persino la ONG proprietaria dell’immagine si è detta scandalizzata per l’uso commerciale di persone in difficoltà.
Ma Toscani e Benetton non sono nuovi a questo genere di provocazioni: qualcuno infatti ricorderà un altro scatto pubblicitario che fece scalpore nel 1991: ritraeva il barcone dei primi emigranti dall’Albania. Intanto, molti utenti in Rete annunciano il boicottaggio dei prodotti Benetton, per protesta contro tali prese di posizione politiche. Ma forse, ancora più opportuno sarebbe un boicottaggio contro l’ipocrisia: i paladini dei diritti umani Benetton, infatti, nel 1991 hanno acquistato 900 mila ettari in Patagonia, scacciandone la tribù India dei Mapuche che aveva la sfacciataggine di voler continuare a vivere dove risiede da sempre. I Mapuche, che non si sono arresi, combattono per la loro terra da quasi trent’anni: sicuramente i Benetton si augurano che, un bel giorno, si decidano tutti ad emigrare.

Basilicata: addio parco, arriva la centrale

“Così muore la bellezza”, questo è il drammatico titolo che usa il giornale online Basilicata24. Non avremmo saputo dire meglio per descrivere cosa sta accadendo ad Oppido Lucano, dove si devasta un parco archeologico per fare posto ad una centrale eolica. Oppido Lucano conserva preziosi tesori venuti alla luce nel corso di importanti scavi archeologici, reperti di una necropoli risalente al VI e IV secolo a. C., e inoltre vanta un paesaggio splendido e tipico della terra lucana. Qualche sacrificio si deve pur fare in nome dell’energia pulita, qualcuno commenterà. Sì: ma si tratta davvero di energia pulita? Oppure del solito business, in una zona dove c’è poco vento ma molti incentivi? Peggio ancora, sembra che in tale business siano coinvolte società intrecciate in tante scatole cinesi ma che di cinese hanno proprio poco, visto che sono tutte tedesche. Intanto, guardate il video: questo è ciò che sta accadendo nella terra dei lucani, cioè nella nostra terra. Ci auguriamo che non debba finire così.

Julian Assange: da 6 anni rinchiuso, per aver detto sempre la verità

19 giugno 2018: sono trascorsi 6 lunghissimi anni da quando Julian Assange è entrato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, e non ne è più uscito. Come ogni anno, anche stavolta tanti attivisti si sono riuniti sotto l’ambasciata ecuadoregna per chiedere la “liberazione” del giornalista più famoso del mondo. Ma liberazione da cosa, da chi? Julian è entrato spontaneamente nella sua prigione, anzi “spintaneamente”: spinto dalla Svezia, con le sue inchieste su presunte molestie poi rivelatasi mai avvenute; da gli USA, dove Hillary Clinton chiese “ma non potremmo semplicemente mandargli un drone”?; l’Inghilterra, le cui spie brulicano nei dintorni del rifugio di Assange; e persino l’Ecuador, che gli ha offerto asilo e poi l’ha tagliato fuori dal mondo. D’altronde lo stesso Dipartimento di Stato USA lo considerava il più pericoloso dei reporter, e come racconta John Pilger aveva progettato di distruggerne l’immacolata reputazione. Reputazione che gli ha consentito, tra le mille rivelazioni, anche di esporre i legami tra la Fondazione Clinton, l’Arabia e il Qatar. Cosa sarà di Julian Assange? Non si sa. Ma l’australiano ha di certo ancora molte frecce al suo arco, ovvero documenti riservati e scottanti. Qualcuno chiede per lui un perdono da parte di Trump: e se dovesse arrivare, saranno in parecchi a tremare.

Greenpeace: caccia alla plastica in mare

Oggi comincia l’estate, e già tira aria di vacanze. Non vediamo l’ora di sdraiarci in spiaggia… ma riusciremo ad essere davvero spensierati, sapendo che ogni minuto si sversa in mare l’equivalente di un camion di plastica? Certo che no! Per tutti i “preoccupati dell’ambiente”, allora, Greenpeace lancia l’iniziativa giusta: Plastic Radar. Un numero speciale whatsapp dove inviare foto e localizzazione della plastica che avvistiamo in mare e sulle spiagge. Greenpeace userà tutte le nostre segnalazioni per le ricerche sulla tipologia di plastiche reperibili su fondali e spiagge, ma soprattutto per individuare i marchi più responsabili dell’inquinamento. Potrete poi seguire sul sito i progressi in tempo reale e vincere premi: insomma un giochino estivo, ma che ha una sua utilità per comprendere cosa succede all’ambiente. Però ricordatevi anche di gettare nei cestini i rifiuti in plastica dopo averli fotografati… altrimenti sarà come svuotare il mare con un colino!
Fonte: www.byoblu.com

La piramide del fenomeno migratorio

Si dice spesso che quello dell'immigrazione sia "un problema complesso", e che non lo si possa quindi risolvere con una semplice formula di due righe.
Questo è verissimo, ma quando poi si cerca di analizzare questa complessità ci si trova davanti ad un garbuglio intricato di concetti che tendono a mescolarsi continuamente fra di loro.

Forse un piccolo grafico può aiutare, se non altro a separare fra di loro i vari livelli del problema.

Al livello più basso ci sono sicuramente i migranti stessi. Ovvero la carne umana, l'oggetto del contendere, la cristallizzazione fisica del problema reale. Centinaia di migliaia di disperati che lasciano le loro terre vuote di promesse alla ricerca di un futuro migliore.

Queste masse si spingono istintivamente verso nord, attratte dal miraggio del benessere europeo.

Ma fra loro e questo miraggio si frappone un problema: il viaggio. I paesi europei infatti non accettano un'immigrazione libera, da qualunque parte del mondo. E' quindi necessario arrivare in Europa con metodi illegali.

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