In pochi mesi, Frédéric Pierucci è passato brutalmente dallo status di presidente della filiale "calderone" di Alstom a quello di detenuto sottoposto alle drastiche condizioni della vita carceraria statunitense…
Ecco riassunto in poche parole il percorso di un dirigente francese in balìa della giustizia USA… Il caso Pierucci consente di fare diverse considerazioni sul piano economico e strategico.
In un libro-testimonianza, intitolato Le piège américain. Otage de la plus grande entreprise de déstabilisation (La trappola americana. Ostaggio della più grande impresa di destabilizzazione), un ex dirigente Alstom svela i retroscena dell'acquisizione del gruppo francese da parte della statunitense General Electric (GE) [1].
Pierucci, un «fantoccio nelle mani della giustizia americana», fu «vittima della strategia» del PDG Patrick Kron. La storia personale di Pierucci illustra la guerra economica degli Stati Uniti contro l'Europa, finalizzata a impadronirsi dei pezzi da novanta dell'industria del Vecchio Continente, usando la giustizia come leva per piegare le imprese, ricorrendo sia a restrizioni fisiche, quali sono le reclusioni abusive, sia a costrizioni finanziarie, usando l'espediente di ammende esorbitanti che farebbero cadere interi Paesi.
Per una vicenda di corruzione in Indonesia, risalente agli inizi degli anni Duemila, Pierucci viene arrestato senza troppi riguardi il 14 aprile 2013, all'arrivo all'aeroporto di New York, e messo subito in isolamento, pressoché senza contatti con la famiglia; l'arresto avviene all'incirca un anno prima dell'annuncio, il 24 aprile 2014, dell'acquisizione di Alstom da parte di GE.
Quel che più meraviglia è sicuramente la rapidità con cui si sono conclusi i negoziati per una transazione di simile portata: secondo Kron le trattative tra Alstom e GE sono iniziate il 23 marzo 2014 e la vendita si è conclusa il 23 giugno 2014. La transazione è consistita nell'acquisto da parte della General Electric del ramo energia del gruppo francese, per un importo di 12,35 miliardi di euro; poiché la legislazione USA prevede deduzioni fiscali per le imprese che investono all'estero, GE ha sborsato in realtà solo 8,35 miliardi di euro [2].
Al di là delle vicende interne di Alstom, che determinarono le relazioni di Pierucci con il PDG dell'epoca, Kron, e del ruolo avuto da quest'ultimo nell'acquisizione del gruppo francese da parte di GE, è lecito porsi domande sullo scopo dell'arresto di Pierucci e, soprattutto, sul carattere "abituale" delle procedure nei confronti di gruppi stranieri, in particolare europei, per far concludere a gruppi statunitensi operazioni finanziariamente e strategicamente redditizie.
Nel libro citato, scritto con il giornalista Matthieu Aron, Pierucci afferma che «le azioni giudiziarie americane [statunitensi, Ndr] sono senz'altro all'origine della disgregazione di Alstom». Pierucci, convinto di non aver nulla da rimproverarsi, tanto più che era stato assolto da un'inchiesta interna di Alstom, è certo di un suo rapido proscioglimento. Nel libro l'ex presidente della filiale Alstom rivela che in realtà la giustizia USA mirava al PDG del gruppo. «Noi vogliamo perseguire la direzione generale di Alstom, in particolare Matthieu Kron» dice a Pierucci, poco dopo il suo arresto, il procuratore federale del Connetticut, David Novick.
Pierucci non sarebbe stato avvertito da Alstom che il Dipartimento di Giustizia (DoJ) [3] aveva aperto un'inchiesta nel 2009 sull'«affare indonesiano» e si rende conto che Kron «ha voluto fare il furbo», «facendo credere che l'azienda collaborava e facendo in realtà il contrario». Il dipendente di Alstom finirà per dichiararsi colpevole e sarà licenziato.
Al di là di questa storia, dietro l'arresto-condanna di Pierucci c'erano in gioco poste importanti che riguardano non la sua persona, bensì uno dei fiori all'occhiello dell'industria francese.
Per sfuggire ai procuratori statunitensi, l'ex PDG di Alstom deve aver pensato che la soluzione poteva essere la vendita a General Electric delle attività del ramo energia e reti, da anni concupite dagli Stati Uniti; una tesi che oggi Kron smentisce.
Questa vendita, a monte della quale da parte dello Stato francese non c'è stata alcuna riflessione strategica, né sul piano industriale né sul piano dell'indipendenza nazionale, è stata come sempre appoggiata da alcuni uomini politici. I pretesti accampati sono gli argomenti tradizionalmente usati da chi non possiede una vera visione strategica dell'industria: il gruppo francese «non possedeva la massa critica per far fronte alla concorrenza», «le sue attività energetiche non erano sostenibili a lungo termine» e, per finire, «la scelta dell'avvicinamento a un grande protagonista del mercato era la scelta più sensata» [4].
Nel 1996 la Francia stava infatti per vendere a un prezzo simbolico Thomson alla coreana Daewoo, nel contesto di un'operazione di privatizzazione, motivata con i medesimi pretesti; Thomson era uno dei leader dell'elettronica, compresa quella militare. Lo Stato ha dovuto rinunciarvi per una forte pressione politica e mediatica, ma, soprattutto, per un'operazione di valorizzazione del capitale immateriale di Thomson.
Thomson eccelleva infatti nel campo dei brevetti, grazie alla bravura dei suoi esperti e dei suoi ingegneri, nonché alla capacità d'innovazione… In seguito, Thomson è diventata Thales.
Al di là della debolezza dimostrata dai politici francesi nel difendere gli interessi nazionali, i comportamenti degli Stati Uniti non sarebbero stati possibili senza il ricorso al principio di extraterritorialità da parte della giustizia statunitense che, fino a oggi, ha inflitto alle imprese francesi ammende per oltre 13 miliardi di dollari.
Questo racket, perché di questo si tratta, è di portata inedita: in dieci anni GE ha acquisito quattro società ricorrendo agli stessi mezzi. Alla fine, la giustizia statunitense ha condannato Alstom a un'ammenda di 772 milioni di dollari e ha rifiutato che la pagasse GE, com'era stato invece convenuto negli accordi per l'acquisizione!
Non soltanto Alstom perde uno dei suoi fiori all'occhiello, ma è anche stata dissanguata di circa un miliardo di dollari! È un'operazione di tipo mafioso; la mafia l'avrebbe però condotta con più discrezione…
Gli Stati Uniti fanno la legge
Con il pretesto della lotta alla corruzione, gli USA indeboliscono certe imprese strategiche per posizionare meglio le proprie sul mercato mondiale. È una vera e propria guerra economica sotterranea quella combattuta dagli Stati Uniti contro le imprese francesi ed europee.
Gli Stati Uniti approfittano dell'estensione extraterritoriale della loro giurisdizione [5] anche per ampliare la facoltà di sanzionare imprese estere che avrebbero avuto rapporti commerciali con i Paesi colpiti dall'embargo unilaterale degli USA.
Alcatel, Alstom, Technip, Total, Société Générale, BNP Paribas, Crédit Agricole, Areva [6]… Negli ultimi anni tutte queste società sono state perseguite dalla giustizia USA per fatti di corruzione o di aggiramento di embargo.
La Commerzbank e HSBC sono state penalizzate per falle nell'applicazione della legislazione antiriciclaggio;
La Deutsche Bank sta negoziando una penalità che potrebbe raggiungere i 14 miliardi di dollari, secondo quanto richiesto dagli statunitensi, per il ruolo svolto nella crisi dei subprimes.
Volkswagen è stata sanzionata (non senza buoni motivi) per aver truffato sulle regole ambientali…
La Deutsche Bank sta negoziando una penalità che potrebbe raggiungere i 14 miliardi di dollari, secondo quanto richiesto dagli statunitensi, per il ruolo svolto nella crisi dei subprimes.
Volkswagen è stata sanzionata (non senza buoni motivi) per aver truffato sulle regole ambientali…
Tutte queste società sono state punite in base al principio chiamato di «extraterritorialità del diritto statunitense»: leggi che permettono di perseguire imprese estere all'estero, a condizione che abbiano un «nesso», anche artificiale, con gli Stati Uniti [7].
Un nesso inteso in senso estremamente allargato. Per avviare azioni giudiziarie basta che le imprese abbiano effettuato una transazione in dollari o utilizzato una tecnologia USA.
«Basta l'utilizzo di un chip elettronico, di un iPhone, di un host o di un server statunitense per incorrere nella giustizia USA, spiega l'economista Hervé Jurvin. Una trappola in cui sono cadute molte imprese».
Altre imprese francesi ed europee potrebbero essere perseguitate dalla giustizia statunitense.
Per esempio possiamo citare Airbus, la società di costruzione di aerei che si è denunciata alle autorità USA benché già oggetto di un'inchiesta da parte della Procura Nazionale Finanziaria (Parquet National Financier - PNF) per sospetta corruzione in Francia, ma anche in Inghilterra.
Poi c'è il caso Areva. L'impresa ha acquisito la società canadese Uramin a un prezzo che sembrerebbe sopravvalutato. A fine 2016 è stato depositato all'FBI un dossier sulla vicenda: l'operazione sarebbe avvenuta in dollari, alcuni personaggi coinvolti nell'affare sarebbero statunitensi e, per finire, Uramin ha tenuto un'assemblea generale decisiva… a New York. Ci sarebbero quindi le condizioni per mettere in moto la giustizia statunitense.
Anche la società Lafarge potrebbe essere sottoposta a inchiesta. Il cementiere franco-svizzero è già inquisito dalla giustizia francese per il sospetto di aver versato denaro a Daesh in Siria, al fine di poter continuarvi i propri affari. Lafarge ha chiesto a uno studio americano, Baker Mac Kenzie, di stendere un rapporto di auditing.
Nel documento "confidenziale" si legge che la società è stata chiaramente allertata sui rischi giudiziari negli Stati Uniti: «La filiale siriana di Lafarge ha aperto conti in dollari USA presso le seguenti banche: Audi Bank Syria, Audi Bank Lebanon e Al-Baraka Bank in Siria… Questi conti sono serviti per effettuare e ricevere numerosi pagamenti in dollari USA, fra cui versamenti di commissioni… Questi pagamenti corrispondono a trasferimenti probabilmente trattati da un'istituzione finanziaria statunitense, dunque potenzialmente sottoposti alle sanzioni USA».
Un rapporto parlamentare francese, depositato il 5 ottobre 2016 alla presidenza dell'Assemblea Nazionale [8], ha evidenziato, rispetto all'extraterritorialità delle leggi statunitensi, in particolare due punti:
il diritto come strumento di potenza economica e di politica estera;
il diritto al servizio di obiettivi di politica estera e d'interessi economici degli Stati Uniti, nonché al servizio direttamente delle aziende.
il diritto al servizio di obiettivi di politica estera e d'interessi economici degli Stati Uniti, nonché al servizio direttamente delle aziende.
La Commissione ha sentito numerosi esperti, che non solo hanno confermano queste conclusioni, ma hanno anche sottolineano come dietro la facciata giudiziaria ci sia una precisa volontà politica ed economica.
Il rapporto ha appurato che, per raccogliere informazioni, sono mobilitati tutti i servizi USA. «Si tratta di una strategia degli Stati Uniti deliberata, che consiste nel mettere in rete agenzie d'intelligence e giustizia per fare una vera e propria guerra economica agli avversari, afferma l'ex deputato LR [Les Républicains, ndt] Pierre Lellouche, presidente della commissione parlamentare. Questa guerra economica è agghindata con le migliori intenzioni del mondo».
Il senato ha svolto lo stesso lavoro giungendo alle medesime conclusioni [9].
Risultato: in questi ultimi anni, quasi 40 miliardi di dollari d'ammenda sono stati inflitti dalla giustizia statunitense a imprese europee [10].
In realtà, dietro la facciata e le timide conclusioni, ci si è fermati allo stadio delle raccomandazioni. I deputati hanno evocato la possibilità di ricorrere al regolamento europeo, chiamato «di blocco», adottato nel 1996 per garantire protezione «dell'ordine giuridico vigente» e degli «interessi della Comunità» nei confronti dell'applicazione extraterritoriale di due leggi statunitensi, anch'esse del 1996: la cosiddetta "legge Helms-Burton", che rafforzava l'embargo contro Cuba, cominciato nel 1993, e la cosiddetta "legge D'Amato-Kennedy", che vietava investimenti nel petrolio e nel gas iraniani e libici. Nel 1996 anche Canada e Messico, peraltro partner degli Stati Uniti nell'ANLS [Accordo Nordamericano per il Libero Scambio, in inglese NAFTA, North American Free Trade Agreement, ndt], hanno adottato leggi di "blocco".
In pratica però non è successo niente, nessun partito ha mai avuto il coraggio politico di proteggere gli interessi economici delle imprese europee; è però lecito chiedersi perché le imprese europee non abbiano il coraggio di sfidare i divieti. In realtà aspettano il vialibera politico, che però mai arriverà.
Infatti, in seguito all'annuncio degli Stati Uniti dell'8 maggio 2018 della cancellazione della sospensione delle misure restrittive contro l'Iran, sia detto en passant, mai veramente attivate, nonostante l'accordo sul nucleare prevedesse l'annullamento progressivo delle sanzioni, e in considerazione che, «per la loro applicazione extraterritoriale, questi strumenti violano il diritto internazionale», il 6 giugno 2018 è stato avviato l'iter per aggiornare l'allegato al Regolamento del 1996. Poiché non ci sono state obiezioni da parte degli Stati membri e del Parlamento europeo, l'aggiornamento, stipulato con un atto delegato della Commissione, è entrato in vigore il 7 agosto 2018. Lo stesso giorno la Commissione Europea ha pubblicato una nota per l'interpretazione dell'aggiornamento della legge di blocco, redatta sotto forma di domande/risposte e destinata agli operatori economici.
Risultato di questa "decisione"? Nessun cambiamento all'atto pratico…
Infatti, per evitare che le imprese europee conquistino parti di mercato nei Paesi colpiti dalle sanzioni USA, la giustizia statunitense, aziona le leve di cui dispone grazie alle agenzie governative per punire le imprese tentate dall'assumersi questo rischio.
Questa stessa giustizia è pure messa in atto affinché in fine le imprese statunitensi possano eliminare un concorrente o impadronirsi di società straniere giudicate interessanti per la propria strategia economica e finanziaria.
Una guerra d'influenza economica
Come si è arrivati qui? Nel 1977 gli Stati Uniti, in seguito a un enorme scandalo di tangenti che riguarda l'impresa costruttrice di aerei Lockheed, adottano una legge anticorruzione, battezzata FCPA (Foreign Corrupt Practicises Act). Gli Stati Uniti si accorgono però che questa legge li svantaggia nella concorrenza economica. «L'ex capo della CIA, James Woolsey, un giorno ha detto: "Ne abbiamo abbastanza delle tangenti che i francesi versano per i contrati di armamenti. Adesso facciamo pulizia!" Salvo che gli americani [statunitensi, Ndr] continuano a versare provvigioni in società off-shore…» afferma Lellouche.
«Siccome gli Stati Uniti sono diventati una superpotenza, non hanno pressoché più bisogno di ricorrere alle tangenti, commenta il giornalista Jean-Michel Quatrepoint. Hanno messo in atto una strategia d'influenza. Un soft power. La corruzione, attraverso le "buone, vecchie tangenti", è l'arma dei deboli».
Questa volontà di potenza economica, dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 s'impone come un vero e proprio obiettivo strategico. «Nel 1993 il segretario di Stato USA, Warren Christopher, pretende dal Congresso di avere a disposizione, per far fronte alla concorrenza economica mondiale, gli stessi mezzi di quelli destinati alla lotta contro i sovietici durante la guerra fredda, racconta lo specialista d'intelligence economica Ali Laïdi. È iniziata una nuova guerra, stavolta calda e in ambito economico».
Nel 1998 la legge anticorruzione USA sarà quindi allargata a tutte le imprese.
Viene anche dispiegata una vera e propria batteria di leggi contro l'aggiramento degli embarghi e contro la frode fiscale: bisogna contrastare le nuove potenze emergenti come la Cina, diventata il concorrente numero uno e, segretamente, il nemico numero uno degli USA.
«Gli Stati Uniti non riescono a contenere economicamente la Cina, spiega il direttore della Scuola di Guerra Economica, Christian Harbulot. Cercano perciò con ogni mezzo di fare in modo che questa potenza non li sorpassi». Sicché il diritto americano permette, se necessario, di liberarsi dei concorrenti ingombranti. «Gli americani [gli statunitensi, Ndr], se vogliono impedire che un concorrente venda ai russi o ai cinesi, possono utilizzare l'arma anticorruzione, sostiene Hervé Juvin. È segnatamente il caso di Alstom. Agli occhi degli americani era necessario impedire che Alstom concludesse un partenariato e un trasferimento di tecnologia ai cinesi».
Medesimo sospetto sugli embarghi. Non sempre le procedure avviate dagli Stati Uniti sono esenti da retropensieri geopolitici. Così, nel 2014 BNP-Paribas è stata condannata a 9 miliardi di dollari di ammenda per non aver rispettato l'embargo contro Cuba e Iran. «Abbiamo pagato sanzioni di cui non riconosciamo la legittimità, tuona Lellouche [11]. Ebbene, dopo il pagamento dell'ammenda, gli americani [gli statunitensi, Ndr] si sono riavvicinati a Cuba e hanno tolto le sanzioni contro il Sudan! Dovrebbero rimborsarci i nove miliardi [12]. Questo dimostra che quando hanno deciso di sanzionare un Paese tutti gli altri sono costretti ad allinearsi».
Diversi altri casi inducono a pensare che la giustizia USA abbia direttamente collaborato con imprese private per rafforzare il loro potere economico.
Il caso Alcatel è illuminante.
Alcatel era un'impresa francese di telefonia che, nel 2004, è stata perseguita dal DoJ per aver pagato tangenti a un uomo politico della Costarica! Messo sotto pressione dalla giustizia statunitense, Serge Tchuruk, PDG di Alcatel, è stato costretto ad acquisire Lucent, un'impresa USA, e a fondersi con essa per dare vita ad Alcatel-Lucent. All'epoca la decisione suscitò non pochi interrogativi: gli osservatori non capivano il motivo di un acquisto che non avrebbe portato alcun beneficio strategico ad Alcatel. Di più: la fusione si è combinata con un'importante diminuzione del potere decisionale dei dirigenti francesi a vantaggio dei dirigenti USA.
Dopo questa fusione l'azienda non si è più ripresa e nel 2013 è stata acquisita da Nokia.
Pochi anni dopo la storia si ripete con la vicenda Alstom, dove il modus operandi è identico a quello di Alcatel.
La Giustizia USA si mette anche al servizio dello spionaggio industriale!
Infatti la procedura statunitense non si ferma alle multe: dopo essere stata sanzionata, l'impresa è messa sotto sorveglianza. Un "monitore", ossia un esperto al servizio della giustizia USA, è designato per sorvegliare per tre anni «il buon andamento dell'impresa» e verificare che rispetti tutti gli obblighi di conformità.
«Questo monitore ha accesso a tutte le informazioni che riguardano l'impresa, spiega l'ex delegata interministeriale all'Intelligence economica, Claude Revel. Ogni anno il sorvegliane deve fare rapporto al ministero della giustizia. Ebbene, come ho potuto constatare di persona, i rapporti talvolta contengono informazioni confidenziali. È davvero molto increscioso» [13].
Pur di non correre il rischio di vedersi rifiutare la conformità e subire ulteriori sanzioni, questo monitoraggio induce le società ad accettare interferenze in ogni decisione economica, industriale o strategica.
Dato che gli europei sono reputati ignoranti delle norme, il monitoraggio è fatto da agenzie statunitensi. Gli elementi accertati sono comunicati alle agenzie governative, che non mancano di servirsene nella guerra economica che, benché non dichiarata, è combattuta con estrema solerzia.
Per dimostrare di essere in regola occorrono adeguamenti. E gli adeguamenti, come alcuni specialisti ricordano, spesso superano il costo delle ammende già inflitte. Si crea così nel mercato statunitense un nuovo settore di servizi che vale qualche miliardo di dollari [14].
Con assoluta imparzialità, non si può non riconoscere che il riscontro è schiacciante e certo mette in buona luce gli Stati Uniti e la loro egemonia.
Dov'è finita l'indipendenza?
«Non è una sorpresa scoprire che abbiamo a che fare con un Imperium giuridico americano [statunitense, Ndr], che siamo di fronte a una barriera estremamente complessa di testi di legge che gli americani non esitano a fare applicare alle imprese straniere.
Questo, naturalmente, toglie ai Paesi europei qualsiasi sovranità» dichiara a Sputnik Lellouche [15], che accompagna l'affermazione con aspre critiche all'inerzia europea.
Ma cosa farebbe Lellouche se fosse al potere?
In realtà nessun politico europeo oserà dire la verità. Quando qualcuno si arrischia a fare una dichiarazione un po' coraggiosa, subito tende a fare ammenda e ricorda che gli Stati Uniti sono un Paese amico! Ma cosa ce ne facciamo di un amico che ci spia e che, quando adocchia qualcosa che gli interessa ma che ci appartiene, fa di tutto per impossessarsene?
L'esempio di Alstom non è il solo, è però significativo perché pone esemplarmente problemi d'indipendenza. Alstom è infatti un'impresa strategica, soprattutto nel settore nucleare. «La vendita di Alstom a General Electric ci priva di autonomia strategica su due punti fondamentali: le turbine per i sottomarini nucleari, le navi di superfice, come la portaerei Charles-de-Gaulle,nonché sulle centrali nucleari civili, spiega il direttore del Centro francese di ricerca sull'intelligence, Eric Denécé, che ha svolto un'inchiesta sulla vicenda. Siamo di fronte a un vero e proprio tradimento da parte delle élite francesi» [16].
Infatti, se in futuro la Francia dovesse trovarsi in disaccordo con la politica degli Stati Uniti – fatto che avrebbe dovuto già accadere su moltissime questioni – questi potrebbero impedire la consegna da parte di GE di pezzi di ricambio delle turbine dei sottomarini e della portaerei, nonché delle centrali nucleari civili, rendendole di fatto inattive: la Francia verrebbe così privata di quel poco d'indipendenza che le resta, incluso in campo energetico!
La Francia è già sotto il ricatto degli Stati Uniti sul piano sociale: con il rilevamento di Alstom da parte di General Electric, quest'ultima aveva promesso la creazione in Francia entro il 2018 di mille posti di lavoro ma, per il momento, il gruppo USA si limita ad annunciare soppressioni di posti in Europa: 345 sono a rischio a Grenoble, molti altri a Belfort.
Non è escluso che questi due siti finiscano per essere chiusi o che GE ottenga sostanziosi aiuti per mantenere pochi posti di lavoro fino alla volta successiva, quando magari ci saranno un sacco di licenziamenti. I dipendenti coinvolti non sanno quale futuro gli riservi GE. Si rivolgono così allo Stato, che però brilla per assenza.
Soluzioni!
Quale potrebbe essere la risposta della Francia alla strategia statunitense? «La classe politica francese ha tendenza a considerare gli USA amici e a ritenere che, a tale titolo, si può perdonare loro tutto e fare finta di niente, afferma l'ex deputato Bernard Carayon, che nel 2003 ha redatto un rapporto sull'intelligence economica, su richiesta del primo ministro Jean-Pierre Raffarin. Destra e sinistra danno entrambe prova di cecità e impotenza. Nella guerra economica non ci sono amici. Ci sono solo concorrenti e partner diligenti».
Nel rapporto parlamentare pubblicato nel 2016, i deputati Pierre Lellouche e Karine Berger scrivono che con Washington «deve essere stabilito un rapporto di forza» per «poter agire ad armi pari». «La commissione ritiene necessario far valere con gli Stati Uniti il fatto che alcune loro prassi sono ora ritenute abusive e che la Francia non le accetterà più» scrivono i parlamentari.
Tuttavia, nelle conclusioni i deputati francesi hanno valutato che conviene «cooperare per fissare di comune accordo le linee generali della legittima lotta alla corruzione internazionale, al finanziamento del terrorismo e alla frode fiscale. Il che ci permetterebbe di essere su un piano di parità».
È come se l'Europa non avesse leggi anticorruzione e gli Stati Uniti fossero i soli a promuovere un'etica economica; in realtà sono lo Stato che, secondo i criteri da loro stessi fissati, ha il maggior numero d'imprese che pratica la corruzione.
Il fatto è che gli USA, per favorire le loro imprese negli scambi internazionali, le sanzionano meno duramente di quanto sanzionino quelle europee.
I deputati dimenticano, tra l'altro, di trarre le debite conclusioni dall'extraterritorialità della legge statunitense, che non può essere applicata a relazioni contrattuali non avvenute sul territorio degli Stati Uniti e che non coinvolgono cittadini USA.
Lellouche e Berger auspicano lo sviluppo di strategie di elusione, «per esempio con la promozione dell'uso dell'euro nelle transazioni internazionali, in risposta ai rischi in cui s'incorre usando il dollaro». Questo pio desiderio non ha alcun interesse, dato che il problema nasce dal fatto che l'euro è considerato moneta di riserva, non moneta di scambio sul mercato internazionale.
Delle due l'una: o l'Europa si dota di una moneta capace di affermarsi nel commercio internazionale, attraverso una specie di hub finanziario, equivalente al sistema SWIFT, e non si accontenta di agganciarsi a un tasso di scambio rispetto al dollaro, o accetta la sottomissione e la conseguente perdita di indipendenza, che sfocerà nella perdita di elementi fondamentali della propria economia.
Gli Stati Uniti hanno dimostrato che, se dovessero essere costretti a scegliere, favorirebbero la loro economia a detrimento delle altre.
Lellouche e Berger raccomandano di rispondere agli Stati Uniti usando le loro stesse armi: non devono essere i soli in grado di «mordere», l'Unione Europea si deve ricordare di essere anch'essa una superpotenza economica.
Gli autori del rapporto scrivono: «Il recente rimborso fiscale di 13 miliardi di euro chiesto dalla Commissione Europea a Apple è segno che, dopo oltre un decennio di rinunce a fronte delle pratiche aggressive delle amministrazioni e imprese americane [statunitensi, Ndr], siamo sulla buona strada».
Questa reazione dell'UE, ancorché indispensabile, è comunque timida: in primo luogo le decisioni dovranno trasformarsi in atti, il che non avviene sistematicamente, tanto più che in materia fiscale occorre l'unanimità; in secondo luogo l'Europa non è preparata a ingaggiare una vera prova di forza con gli USA.
Infatti, tassare i GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) per le operazioni transitate sul mercato europeo, sebbene sia un buon mezzo, resta comunque uno strumento timido, perché questa tassazione non tiene conto del fatto che, grazie alla loro egemonia, queste società impediscono alle società europee di affermarsi nel settore.
Alcuni politici francesi asseriscono che la legge Sapin 2 consente qualche risposta, ma dimenticano che la difficoltà non nasce dal fatto di punire imprese che hanno compiuto atti corruttivi o fraudolenti, bensì dall'utilizzo della giustizia per fini economici.
Ebbene, in Europa è impensabile usare questi mezzi: per parlare soltanto della Francia, quale governo darà mai indicazioni alla giustizia di avviare azioni giudiziarie per favorire un'impresa francese? Nessuno.
Alcuni sostengono che l'obiettivo della legge Sapin 2 sia creare un sistema di sanzioni sufficientemente solido perché la Francia possa dire agli Stati Uniti che il lavoro è già stato svolto e quindi non serve avviare altre azioni giudiziarie, laddove la regola non bis in idem, secondo cui nessuno può essere indagato o punito penalmente (una seconda volta) per gli stessi fatti, non può essere applicata in diritto internazionale: nulla vieta a due Stati di punire la stessa persona due volte, una volta per ciascun Paese.
Infine, a torto o a ragione, qualcuno ha pensato che, con l'appoggio degli Stati, sarebbe più conveniente trasferire vicende come quelle citate, finora regolate attraverso i procuratori federali, ai tribunali, che non sono particolarmente inclini ad applicare la legge statunitense a fatti accaduti all'estero; il che potrebbe probabilmente rivelarsi esatto. Intanto però imprese e persone sarebbero ostaggio della macchina giudiziaria statunitense e, senza l'intervento dei rispettivi Stati, finirebbero per soccombere…
Del resto, poiché l'Europa non spaventa più nessuno, nel 2017, ossia dopo la legge Sapin 2, i leader democratici e repubblicani si sono accordati per fare approvare dal Congresso una legge di 70 pagine, che istituisce ufficialmente sanzioni contro Corea del Nord, Iran e Russia. Questo testo impone unilateralmente al resto del mondo di rispettarne i divieti commerciali. Le sanzioni si applicano perciò all'Unione Europea e alla Cina.
Rispetto a questa legge USA, alcuni interessi europei, sebbene per principio molto atlantisti, hanno realizzato che Washington vuole impedirgli ogni cooperazione economica con la Russia e che saranno così costretti a sacrifici considerevoli. Le imprese europee impegnate nel progetto di raddoppio del gasdotto North Stream, già vecchio, dovranno sopportare perdite molto consistenti, le più piccole saranno addirittura rovinate. Così se Wintershall, E.ON Ruhrgas, N. V. Nederlandse Gasunie e Engie (ex GDF Suez) perdono, oltre al diritto di partecipare alle gare d'appalto statunitensi, anche tutti i loro averi negli Stati Uniti. È loro vietato l'accesso alle banche internazionali e non possono proseguire le attività fuori dell'Unione.
Le proteste verbali tedesche sono state la risposta della UE!
Le nuove sanzioni proposte dai parlamentari statunitensi contro la Russia potrebbero penalizzare imprese europee e sono anche contrarie al diritto internazionale, ha dichiaralo la ministra tedesca dell'Economia, Brigitte Zypries.
«Riteniamo che questo contrasti, puramente e semplicemente, con il diritto internazionale» ha dichiarato la ministra a Funke Mediengruppe. «Certo non vogliamo una guerra commerciale. È però importante che la Commissione Europea pensi a contromisure».
Sicuramente questa risposta toglierà il sonno a Donald Trump…
L'Europa in generale e la Francia in particolare continueranno sicuramente a subire senza reagire, dal momento che non c'è la volontà politica di fronteggiare uno stato di cose che consacra gli Stati Uniti primo decisore delle politiche economiche. In assenza di una risposta europea che faccia propria la questione della sovranità e dell'indipendenza, assicurando protezione ai propri cittadini e facendo direttamente fronte agli Stati Uniti per tutelare i loro interessi, non ci saranno ostacoli …
Sarà necessario coraggio, coraggio e ancora coraggio politico senza temere di perturbare "l'amicizia" con gli Stati Uniti.