mercoledì 20 novembre 2019

URANIO / LE TRAGICHE CIFRE SULLE PATOLOGIE TRA I MILITARI


Guerra di cifre sul fronte delle patologie causate dall’uranio impoverito.
Secondo alcune fonti, sono addirittura oltre 7 mila i militari colpiti. Al contrario, lo Stato Maggiore italiano minimizza, fino quasi a negare ogni accusa, sostenendo che le forze armate del nostro Paese non utilizzano e non hanno mai utilizzato munizioni all’uranio impoverito.

Fatto sta che nel corso delle varie missioni militari, quasi sempre “umanitarie” (sic), molti nostri militari sono venuti a contatto con l’uranio impoverito; ed è assurdo negare un nesso di causa ed effetto, vale a dire il contatto e l’insorgenza di patologie anche gravissime e in non pochi casi letali.
Sotto il profilo geografico, le regioni più colpite per il numero dei militari ammalati sono la Sardegna (538 casi), cui seguono a ruota la Puglia (501), la Campania (475) e la Sicilia (454). Come si vede, a capeggiare la black list sono le regioni meridionali, quelle sempre e storicamente svantaggiate sotto tutti i profili. Quindi, in prima linea, anche quello sulla tutela del diritto alla salute.
In un recente rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità, “si conferma l’azione genotossica dell’uranio e si nota che il danno cellulare è maggiore nel caso di piccole inalazioni ripetute rispetto a quello di una singola inalazione acuta”.

L’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta
In un precedente rapporto dell’ISS, poi, era stato trovato “un eccesso statisticamente significativo dell’incidenza del linfoma di Hodgkin, un tumore dei tessuto linfonoidi secondari”.
Il nostro Stato Maggiore ha regolarmente ignorato ogni allarme, ha sempre respinto ogni accusa, fregandosene anche delle evidenze statistiche. “Le Forze Armate – questo il tono della aprioristica difesa – mai hanno acquistato o impiegato munizionamento contenente uranio impoverito”.
Sono però in piedi circa 130 procedimenti legali e cause intentate dai militari o dalle loro famiglie contro le forze armate di casa nostra. Tali contenziosi – sottolinea l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, coordinatore dell’Osservatorio militare – “hanno stabilito una relazione tra l’esposizione all’uranio e le malattie. Ma le gerarchie militari superiori continuano a negare ogni responsabilità. La linea difensiva è sempre la stessa: è stato fatto tutto il necessario per garantire la sicurezza del personale”.
Il ministro della Difesa nel precedente esecutivo gialloverde, Elisabetta Trenta, aveva puntato l’indice contro il “silenzio spaventoso dei vertici” ed annunciato la prossima adozione di una legge per la protezione dei diritti dei militari. Quel disegno di legge prevedeva che in futuro sarebbe stata la Difesa a dover dimostrare che la malattia non è correlata al servizio reso, e non il militare, invertendo così il cosiddetto “onere della prova”.
Cosa succede adesso di quel disegno di legge finito nei cassetti? Lo tirerà fuori il nuovo ministro Lorenzo Guerini, caso mai rafforzandolo sul fronte della tutela della salute dei militari? Staremo a vedere.

lunedì 18 novembre 2019

Thomas Sankara: l’eroe che pagò con la vita lo smascheramento del debito

Sono passati 32 anni da quando il presidente del Burkina Faso, ribattezzato il “Che Guevara africano”, venne ucciso, secondo la ricostruzione ufficiale dal suo ex collaboratore nonché successore Blaise Campaorè, verosimilmente appoggiato dai francesi e da altre forze internazionali. Thomas Sankara era divenuto un personaggio scomodo, troppo scomodo, per il piano egemonico mondiale messo in atto dai poteri finanziari internazionali attraverso lo strumento del debito. Il suo discorso  tenuto  presso l’OUA (Organizzazione per l’Unità Africana), di una forza e di una chiarezza straordinarie, è un appello a tutti i rappresentanti internazionali a considerare le cause e la reale natura del debito, che non è altro che una nuova e ancora più pervasiva forma di schiavitù, quella  finanziaria.


Con una lucidità e una lungimiranza degne di un vero rivoluzionario, Sankara anticipa quanto solo ora alcuni economisti hanno trovato il coraggio di proporre: annullare il debito per permettere alla popolazione di continuare a vivere – “loro, i finanziatori non moriranno se non ripagheremo il debito, mentre il nostro popolo sì”- e incentivare la produzione e l’economia nazionale anziché le importazioni, portando lui stesso l’esempio del proprio abito tipico prodotto dalla gente burkinese.
La platea è sconcertata ma applaude, la forza trascinatrice è quella di un rivoluzionario, la lungimiranza di un visionario. Solo due mesi e mezzo, il 15 ottobre 1987, all’età di 37 anni Sankara verrà assassinato.
“È possibile che a causa degli interessi che minaccio, a causa di quelli che certi ambienti chiamano il mio cattivo esempio, con l’aiuto di altri dirigenti pronti a vendersi la rivoluzione, potrei essere ammazzato da un momento all’altro. Ma i semi che abbiamo seminato in Burkina e nel mondo sono qui. Nessuno potrà mai estirparli. Germoglieranno e daranno frutti. Se mi ammazzano arriveranno migliaia di nuovi Sankara!” aveva affermato.
Purtroppo la sua profezia si è avverata solo a metà e i nuovi Sankara verranno uccisi sul nascere.

venerdì 15 novembre 2019

Tesla Italy: Ti Presentiamo il Software Versione 10.0

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mercoledì 13 novembre 2019

[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 12 nov 2019


Réseau Voltaire
Focus




En bref

 
La Turquie expulsera les jihadistes de Daesh à partir du 11 novembre
 

 
Les banques libanaises priées de se recapitaliser
 

 
Les USA pourront conserver leur position de 1er producteur de pétrole
 

 
Réouverture en trompe-l'œil des banques libanaises
 

 
Les États-Unis se dissocient du négationnisme turc
 

 
Démission de Saad Hariri
 
Controverses
Fil diplomatique

 
Mike Pompeo sur le retrait des États-Unis de l'accord de Paris
 

 
Réaction turque à la proposition française d'interdiction du port du foulard durant les sorties scolaires
 

 
Intervention de Jean-Yves Le Drian à l'Assemblée nationale sur l'offensive militaire turque dans le nord-est syrien
 

 
Donald Trump sur la mort d'Abou Bakr al-Baghdadi
 

 
Mike Pompeo sur la mort d'Abou Bakr Al-Baghdadi
 

 

« Horizons et débats », n°24, 11 novembre 2019
Le capitalisme à Hong Kong
Partenaires, 11 novembre 2019

« Horizons et débats », n°23, 28 novembre 2019
Trump contre la guerre
Partenaires, 11 novembre 2019
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Il Kurdistan immaginato dal colonialismo francese di Thierry Meyssan

TUTTO QUEL CHE VI NASCONDONO SULL’OPERAZIONE TURCA “FONTE DI PACE” (2/3)



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Una delegazione kurda è ricevuta all’Eliseo dal presidente francese François Hollande e dal ministro degli Esteri dell’epoca, Jean-Yves Le Drian, presente anche Bernard-Henri Lévy, organizzatore dei disastri di Tunisia, Egitto e Libia.

Contrariamente a un luogo comune, il Rojava non è uno Stato pensato per il popolo kurdo, bensì una fantasticheria del colonialismo francese, nata nel periodo tra le due guerre. Insieme ai kurdi si voleva creare uno Stato fantoccio, analogamente al Grande Israele da fondarsi con gli ebrei. Un obiettivo del colonialismo rispolverato dai presidenti Sarkozy, Hollande e Macron, che l’hanno spinto sino alla pulizia etnica nella regione dove il nuovo Stato doveva sorgere.


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L’Alto Commissario francese per il Levante, generale Henri Gourraud, recluta, con l’ausilio dei turchi, 900 uomini del clan kurdo dei Millis per reprimere la ribellione nazionalista araba ad Aleppo e Raqqa. Questi mercenari combatteranno come gendarmi francesi sotto la bandiera che diventerà l’attuale vessillo dell’Esercito Siriano Libero (telegramma del 5 gennaio 1921).
Fonte: Archivi dell’esercito francese.
Aeccezione del principe Rewanduz, il popolo kurdo non ha mai sognato l’unificazione. Nel XIX secolo Rewanduz, ispirandosi al concetto tedesco di Nazione, progettava di unificare prioritariamente la lingua dei kurdi. Ancor oggi esistono molte lingue che determinano una separazione molto netta fra i clan kurmanji, sorani, zazaki e gurani.
Secondo documenti che per primo ha studiato l’intellettuale libanese Hassan Hamadé – che ora scrive un sorprendente saggio – nel 1936 il presidente del consiglio dei ministri francese, Léon Blum, negoziò con il capo dell’Agenzia Ebraica, Chaim Wiezmann, e con i britannici la creazione di un Grande Stato di Israele che si sarebbe esteso dalla Palestina all’Eufrate, comprendente quindi Libano e Siria, all’epoca protettorati francesi. Il progetto fallì per la furiosa opposizione dell’Alto Commissario francese per il Levante, conte Damien de Martel. All’epoca, Francia e – probabilmente – Regno Unito miravano a creare uno Stato kurdo a est dell’Eufrate.
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Il 4 febbraio 1994 il presidente Mitterrand riceve una delegazione kurda di membri del PKK turco.
La questione kurda tornò a essere prioritaria con il presidente francese François Mitterrand. In piena guerra fredda la moglie Danielle divenne la “madre dei kurdi” [del clan dei Barzani].
Il 14 e 15 ottobre 1989 Danielle Mitterrand organizzò a Parigi un congresso dal titolo «I kurdi: l’identità culturale, il rispetto dei diritti dell’uomo». La moglie di Mitterrand svolse anche un ruolo di primo piano nella falsa imputazione alla crudeltà del presidente Saddam Hussein della morte dei kurdi del villaggio di Halabja durante la guerra fra Iraq e Iran; rapporti dell’US Army hanno invece stabilito che, nel corso di una terribile battaglia, gas iraniani sono stati trasportati dal vento [1].
Nel 1992 Danielle Mitterrand prese altresì parte alla creazione di un governo fantoccio kurdo, nella zona irachena occupata dagli anglosassoni.
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Il 31 ottobre 2014, sotto il portico dell’Eliseo, mentre il presidente francese François Hollande riaccompagna il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Un altro ospite è appena uscito dalla porta di servizio, il kurdo filo-turco Salih Muslim.
Nel 2011, durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, Alain Juppé stipulò un Protocollo segreto con la Turchia per creare uno pseudo-Kurdistan. La Siria non reagì. Il 31 ottobre 2014 il presidente François Hollande ricevette ufficialmente all’Eliseo il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan e, ufficiosamente, il co-presidente dello YPG, Salih Muslim, per mettere a punto lo smembramento della Siria. I combattenti kurdi cessarono di riconoscersi siriani e iniziarono una lotta per conquistare una patria propria. Immediatamente la Siria smise di versare loro lo stipendio.
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Alla fine della battaglia di Kobané, François Hollande cambia campo e, per rimarcare il proprio sostegno ai kurdi, l’8 febbraio 2015 riceve all’Eliseo una delegazione filo-USA dello YPG.
Dopo alcuni mesi però il presidente Barack Obama richiama la Francia all’ordine: Parigi non può negoziare uno pseudo-Kurdistan per alimentare i vecchi sogni coloniali, può farlo solo il Pentagono, che deve mettere in atto il piano etnico Rumsfeld/Cebrowski.
Hollande si piega e riceve una delegazione kurda di combattenti filo-USA di Aïn al-Arab (Kobané, in lingua kurda). La Turchia invece rifiuta di sottomettersi a Washington. È l’inizio di una lunga divergenza tra i membri dell’Alleanza Atlantica. Ritenendo che il voltafaccia dei francesi violi l’accordo del 31 ottobre 2014, i servizi segreti turchi organizzano insieme a Daesh gli attentati del 13 novembre 2015 contro la Francia e del 22 marzo 2016 contro il Belgio, a sua volta allineatosi a Washington [2]. Il presidente Erdoğan aveva annunciato senza giri di parole gli attentati contro il Belgio e la stampa al suo servizio li rivendicò. Infine, Salih Muslim organizza la coscrizione obbligatoria dei giovani kurdi e costruisce la propria dittatura; Ankara emette un mandato di arresto contro di lui.
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Decreto di kurdizzazione forzata del nord della Siria. Il documento, divulgato dalle vittime assiro-cristiane, dimostra la pulizia etnica compiuta dalle FDS, inquadrate dagli USA.
In ottobre 2015 il Pentagono crea le Forze Democratiche Siriane (FDS), unità di mercenari kurdi, turchi e siriani, nonché di alcuni arabi e cristiani. La pulizia etnica può essere così organizzata senza assumersene pubblicamente la responsabilità. Le FDS espellono le famiglie arabe, nonché quelle cristiano-assire. Combattenti venuti da Iraq e Turchia s’installano nelle case di questa gente e prendono possesso delle loro terre. L’arcivescovo cattolico-siriaco di Hassaké-Nisibi, monsignor Jacques Behnan Hindo, dichiarerà di aver sentito più volte leader kurdi parlare di un piano di estirpazione dei cristiani del “Rojava”. Le forze speciali francesi assistono senza fiatare a siffatti crimini contro l’umanità.
Il 17 marzo 2016 l’autonomia del “Rojava” (pseudo-Kurdistan in Siria) è dichiarata [3]. Temendo l’unione tra il PKK turco e il clan Barzani iracheno, che aprirebbe la strada alla creazione di un Grande Kurdistan, il governo iracheno invia armi al PKK per rovesciare i Barzani. Segue una serie di assassinii di personalità kurde a opera di clan tra loro rivali.
A fine 2016 il ritiro parziale dell’esercito russo e la successiva liberazione di Aleppo da parte dell’Esercito Arabo Siriano determinano il rovesciamento definitivo delle sorti della guerra. Coincidono con l’arrivo alla Casa Bianca, a gennaio 2017, del presidente Donald Trump, il cui programma elettorale prevedeva di mettere fine alla strategia Rumsfeld/Cebrowski, di cessare il sostegno massiccio agli jihadisti, nonché il ritiro dalla Siria della NATO e delle truppe USA.
Dal canto suo la Francia favorisce la partenza per il “Rojava” di giovani combattenti anarchici, convinti di andare in difesa della causa kurda e invece mandati a combattere per l’Alleanza Atlantica [4]. Tornati in Francia, si riveleranno altrettanto incontrollabili dei giovani jihadisti francesi. Secondo la DGSI (intelligence interna) uno di questi combattenti tenterà di abbattere un elicottero della gendarmeria durante l’evacuazione dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes [5].
A giugno 2017 il presidente Trump autorizza un’operazione congiunta dell’Esercito Arabo Siriano (comandato dal presidente Bashar al-Assad) e delle FDS (ovvero dei mercenari kurdi filo-USA) per liberare Raqqa, la capitale di Daesh [6].
La guerra è finita, ma né Francia né Germania vi si rassegnano.
Progressivamente, il controllo dello YPG sfugge agli Stati Uniti, che finiscono per disinteressarsene. L’organizzazione diventa così un giocattolo dei francesi, allo stesso modo dei Fratelli Mussulmani, marionette nelle mani dei britannici.
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Questa mappa è stata pubblicata a gennaio 2019 da Anadolu Agency. In essa sono segnate nove basi francesi, otto delle quali fatte installare dal presidente Emmanuel Macron.
La Turchia fa allora pubblicare dall’agenzia ufficiale Anadolu Agency la mappa delle basi militari francesi in “Rojava”, portate a nove da Emmanuel Macron. In precedenza si conosceva soltanto quella del gruppo cementiere Lafarge. Così facendo, Ankara vuole dimostrare che, contrariamente alle dichiarazioni ufficiali e a differenza degli Stati Uniti, la Francia continua a essere favorevole alla divisione della Siria.
A febbraio 2018 l’ambasciatore della Federazione Russa all’ONU, Vassily Nebenzia, rivela che i kurdi siriani hanno amnistiato 120 leader di Daesh e li hanno assorbiti nello YPG.
Da settembre 2018 il presidente Trump prepara il ritiro delle truppe USA da tutta la Siria [7]. L’abbandono del “Rojava” è condizionato all’interruzione della strada iraniana che potrebbe attraversare il territorio per raggiungere il Libano. In agosto il presidente Erdoğan s’impegnerà a provvedervi. I GI’s sovrintendono alla distruzione delle strutture difensive dei kurdi. Il 16 settembre Russia, Turchia e Iran raggiungono un accordo. Da questa data la fine dello pseudo-Kurdistan diventa imminente. Non comprendendo quanto sta accadendo, la Francia è sbalordita quando le truppe turche invadono brutalmente lo pseudo-Stato autonomo e di fronte alla popolazione che fugge dal territorio illegalmente occupato.
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Innamorato della propria immagine e totalmente disconnesso dalla realtà, Jean-Yves le Drian garantisce dal palcoscenico televisivo di France2 che la Francia persegue i propri obiettivi in Siria senza correre rischi.
Invitato dal telegiornale di France2, il 10 settembre il ministro degli Esteri Jean-Yves le Drian cerca di rassicurare i francesi sulle conseguenze del fiasco. Assicura che la Francia ha il controllo della situazione: gli jihadisti detenuti in “Rojava” non saranno liberati ma giudicati sul posto, benché in questo pseudo-Stato non ci siano istituzioni. Prosegue affermando che il presidente Erdoğan minaccia a vuoto la Francia. Si rifiuta infine di rispondere a una domanda sulla missione che sul posto può svolgere l’esercito francese, in piena disfatta.
Non si conosce quale sarà la sorte degli jihadisti prigionieri e delle popolazioni civili che hanno sottratto questa terra ai legittimi proprietari; non si hanno altresì notizie dei soldati delle nove basi militari francesi, presi tra due fuochi: da un lato l’esercito turco, tradito dal presidente Hollande, dall’altro lo YPG, che il presidente Macron ha abbandonato e i cui membri hanno di nuovo dichiarato fedeltà alla Repubblica Araba Siriana.