mercoledì 19 aprile 2017

#FreeGabriele: mobilitazione per liberare Gabriele Del Grande


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#FreeGabriele la mobilitazione per chiedere la liberazione del giornalista detenuto in Turchia

#FreeGabriele la mobilitazione per chiedere la liberazione del giornalista detenuto in Turchia

Da 10 giorni Gabriele Del Grande, giornalista e documentarista, è detenuto in Turchia. E' stato fermato dalle autorità turche nella regione di Hatay il 9 aprile scorso mentre stava lavorando al suo libro "Un partigiano mi disse", dopo il grande successo internazionale di "Io sto con la sposa". È di ieri la telefonata ai familiari di Gabriele Del Grande da  un centro di identificazione ed espulsione a Mugla. Due le iniziative in programma in Italia: la prima domani 20 aprile ore 18 a Milano e la seconda, alla quale l'associazione Amici di Roberto Morrione ha aderito, il 2 maggio a Roma davanti a Montecitorio
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Novità: "La Dea Dimenticata" di Giorgio Baietti



LA DEA DIMENTICATA

di Giorgio Baietti
Questo libro, frutto di una attenta ricerca da parte di Giorgio Baietti, racconta la storia di Don Grignaschi, sacerdote di un piccolo paese di montagna che fece molto discutere e che è tuttora ricordato con grande reverenza nei luoghi dove si svolse la sua storia. Grazie a lui un grande sogno diventa realtà: il vero Regno di Dio prende forma, e la Gerusalemme Celeste di colpo si realizza in un paese della collina piemontese della metà dell'Ottocento. Un credo in cui la donna, il "femminino sacro", rappresenta il punto focale e la base su cui edificare una religione che è nuova ma, allo stesso tempo, antichissima, perché affonda le radici nel cristianesimo delle origini e nei culti precedenti. Questo è ciò che crea Francesco Grignaschi il quale, durante la celebrazione di una messa domenicale, sente una voce misteriosa che gli annuncia un grande compito; da quel momento diventa l'incarnazione di Gesù Cristo e come tale dovrà redimere l'umanità intera.
Altro personaggio di spicco di questo libro è David Lazzaretti, il profeta che dalle colline toscane lancia un messaggio universale di pace e giustizia sociale. La sua voce è molto ascoltata, soprattutto in Francia, ma incute terrore nei benpensanti nostrani. L'insegnamento di questo uomo leggendario caratterizzerà tutta un'epoca ed è assolutamente attuale anche oggi a più di un secolo di distanza. David aveva un solo scopo nella vita: creare il Regno di Dio su questa terra, aiutando i deboli e i poveri e portando a tutte le genti il proprio messaggio di salvezza e di amore.

L'AUTORE
Giorgio Baietti è laureato in Lettere e in Sociologia, insegnante e giornalista del settimanale Cartabianca, accademico dell'Accademia Tiberina di Roma. Nel 1986, leggendo un manoscritto, ha avuto una folgorazione sulla via di Genova (città dove studiava), coniugando per sempre il proprio nome con quello di Rennes le Chateau, villaggio francese dei misteri, a cui ha dedicato una serie di saggi, una guida, un racconto e un romanzo (I guardiani del tempo, ed. Piemme). Da allora in poi è stato tutto un susseguirsi di incontri, conferenze e seminari in tutta Italia (Svizzera e San Marino compresi) che hanno convinto molte persone ad ammalarsi dello stesso virus, a comprare i succitati testi (per fortuna) e a compiere pellegrinaggi verso la Francia. Ultimamente si è dedicato a fenomeni nostrani ed ha trovato in Liguria, Piemonte e Toscana molti enigmi di immenso fascino (Vedi il romanzo Buio come il vetro, ed. Minerva e il saggio Una valle di misteri, ed. Età dell'Acquario). Ha scritto questo libro con lo scopo di illustrare le figure altissime dei due protagonisti e lanciare un messaggio di pace e di amore universali.
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Via Terme, 51 - 35041 BATTAGLIA TERME (PD)



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lunedì 10 aprile 2017

Moby Prince, la pista Usa

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«Mayday, Mayday, Mayday, Moby Prince, siamo in collisione, prendiamo fuoco! Ci serve aiuto!»: questo il drammatico messaggio trasmesso venticinque anni fa, alle 22:25:27 del 10 aprile 1991, dal traghetto Moby Prince, entrato in collisione, nella rada del porto di Livorno, con la petroliera Agip Abruzzo.
Richiesta di aiuto inascoltata: muoiono in 140, dopo aver atteso per ore invano i soccorsi. Richiesta di giustizia inascoltata: da venticinque anni, i familiari chiedono invano la verità. Dopo tre inchieste e due processi. Eppure essa emerge prepotentemente dai fatti.
Quella sera nella rada di Livorno c’è un intenso traffico di navi militari e militarizzate degli Stati uniti, che riportano alla base Usa di Camp Darby (limitrofa al porto) parte delle armi usate nella prima guerra del Golfo.
Ci sono anche altre misteriose navi. La Gallant II (nome in codi-ce Theresa), nave militarizzata Usa che, subito dopo l’incidente, lascia precipitosamente la rada di Livorno. La 21 Oktoobar II della società Shifco, la cui flotta, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca, viene usata per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia.
Per aver trovato le prove di tale traf-fico, la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin vengono assassinati nel 1994 a Mogadiscio in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani [1].
Con tutta probabilità, la sera del 10 aprile, è in corso nella rada di Livorno il trasbordo di armi Usa che, invece di rientrare a Camp Darby, vengono segretamente inviate in Somalia, Croazia e altre zone, non esclusi depositi di Gladio in Italia [2]. Quando avviene la collisione, chi dirige l’operazione – sicuramente il comando Usa di Camp Darby – cerca subito di cancellare qualsiasi prova. Ciò spiega una serie di «punti oscuri»: il segnale del Moby Prince, ad appena 2 miglia dal porto, che giunge fortemente disturbato; il silenzio di Livorno Radio, il gestore pubblico delle telecomunicazioni, che non chiama il Moby Prince; il comandante del porto Sergio Albanese, «impegnato in altre comunicazioni radio», che non guida i soccorsi e viene subito dopo promosso ammiraglio per i suoi meriti; la mancanza (o meglio sparizione) di tracciati radar e immagini satellitari, in particolare sulla posizione dell’Agip Abruzzo, appena arrivata a Livorno dall’Egitto stranamente in tempo record (4,5 giorni invece di 14); le manomissioni sul traghetto sotto sequestro, dove spariscono strumenti essenziali alle indagini. Così da far apparire quello del Moby Prince un banale incidente, anche per responsabilità del comandante.
I familiari delle vittime sono riusciti ora a ottenere l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, non solo per dare giustizia ai loro cari, ma per «chiudere un capitolo indegno della storia italiana». Capitolo che resterà aperto se la commissione limiterà come al solito l’inchiesta all’esterno di Camp Darby, la base Usa al centro della strage del Moby Prince. La stessa inquisita dai giudici Casson e Mastelloni nell’inchiesta sull’organizzazione golpista «Gladio». Una delle basi Usa/Nato che – scrive Ferdinan-do Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione – fornirono gli esplosivi per le stragi, da Piazza Fontana a Capaci e Via d’Amelio. Basi in cui «si riunivano terroristi neri, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici italiani e massoni, alla vigilia di attentati».
Il Mayday del Moby Prince è il Mayday della nostra democrazia.