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lunedì 1 aprile 2019

BILDERBERG / QUEST’ANNO, A GIUGNO, APPUNTAMENTO IN CALIFORNIA


Il super meeting internazionale dei Bilderberg quest'anno si terrà a giugno in California. Lo fa sapere un sito a stelle e strisce di controinformazione, BSB, che sta per "Broad Street Beacon".

Fino a questo momento filtrano pochissimi dettagli. Non si conosce la data precisa, né ovviamente  niente sui partecipanti, il cui elenco in genere comincia a circolare solo una settimana prima dell'evento. C'è appena una voce: tra le guest stars potrebbe esserci Bill Gates, grande amico di uno degli organizzatori di quest'anno.

La location, per la precisione, è quella dell'Herrington's Sierra Pines Resort nel cuore delle Sierra Nevada Mountains. Una location assai poco accessibile, raggiungibile solo via elicottero e quindi ben al riparo dagli sguardi indiscreti. Zone meravigliose, dove sono stati ambientati decine di epici westerns.

A descrivere tali bellezze è il Chairman per l'occasione, Henry de Castris: "Un luogo 'perfetto' –  dipinge – immerso tra gli alberi e le belle montagne". Tutto ok. Ma ecco una nota stonata a far capolino. Perchè lo stesso de Castris nota: "It's also the final resting place of Hitler", che tradotto letteralmente significa "è anche l'ultimo posto in cui ha riposato Hitler".

Che senso ha? Cosa vogliono intendere quelle parole?
C'è forse un qualche collegamento con il fatto che l'associazione dei "Bilderberg" è stata fondata nel 1954 da un ex ufficiale nazista, il principe olandese Bernardo de Lippe-Biesterfeld, uno dei non pochi assassini poi a zonzo per il mondo? Boh.
Fatto sta che il meeting dei Bilderberg è diventato un must annuale, un appuntamento che tutti i potenti della Terra annotano scrupolosamente nella loro agenda. La location cambia, ovviamente, ogni anno, alternando Europa e Stati Uniti. L'anno scorso, ad esempio, il summit si tenne ai primi di giugno a Torino.

Vi prendono parte, appunto ogni anno, i più potenti e influenti vip della politica, dell'industria, della finanza, dei media di tutto il mondo. Non pochi gli italiani presenti. Tra gli aficionados Lilli Gruber, nel cui salotto di Otto e mezzo di tanto in tanto si parla dei "Bilderberg", in prima fila Emma Bonino, che nell'ultima apparizione ha detto: "Ma perchè alcuni giornalisti parlano di Bilderberg come se si trattasse del Ku Klux Klan?". La radicale animatrice di + Europa, abituata ai super meeting dell'International Board della Open Society Foundation griffata George Soros, non ha proprio niente di cui stupirsi…
nella foto la zona dell'Herrington's Sierra Pines Resort

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mercoledì 27 marzo 2019

LA GUERRA AL VENEZUELA È COSTRUITA SULLA MENZOGNA


Viaggiando con Hugo Chavez, mi fu subito chiara la minaccia del Venezuela. In una cooperativa agricola nello stato di Lara, la gente aspettava paziente e allegra, nonostante il caldo. Brocche d’acqua e succo di melone passavano di mano in mano. Una chitarra suonava; una donna, Katarina, si alzò e cantò con voce roca.
“Che cosa dicono le parole?” chiesi.
“Che siamo orgogliosi”, fu la risposta.
Gli applausi per lei si mischiarono a quelli per l’arrivo di Chavez. Sotto un braccio portava una borsa piena di libri. Indossava la sua grande camicia rossa e salutava le persone per nome, fermandosi ad ascoltare. La cosa che mi colpì di più era la sua capacità di ascoltare.
Poi si mise a leggere. Per quasi due ore lesse al microfono dalla pila di libri accanto a lui: Orwell, Dickens, Tolstoj, Zola, Hemingway, Chomsky, Neruda: una pagina qui, una riga o due là. La gente applaudiva e fischiava mentre lui passava da autore ad autore.
Poi gli agricoltori presero il microfono e gli raccontarono ciò che sapevano e ciò di cui avevano bisogno; un volto antico, che pareva scolpito dal tronco di un albero, fece un lungo discorso critico sul tema dell’irrigazione; Chavez prendeva appunti.
Qui coltivano vigneti, un’uva di tipo Syrah scuro. “John, John, vieni qui”, disse El Presidente, avendomi visto sonnecchiare nel calore e nelle profondità di Oliver Twist.
“Gli piace il vino rosso”, disse Chavez al pubblico esultante e fischiettante, facendomi dono di una bottiglia di “vino de la gente”. Le mie poche parole in cattivo spagnolo provocarono fischi e risate.
Guardando Chavez con la gente si capiva l’uomo che promise, al suo arrivo al potere, che ogni sua mossa sarebbe stata sottoposta alla volontà della gente. In otto anni, Chavez vinse otto elezioni e referendum: un record mondiale. Elettoralmente era il capo di stato più popolare dell’emisfero occidentale, probabilmente del mondo.
Tutte le principali riforme chaviste furono approvate, in particolare una nuova Costituzione, di cui il 71% della popolazione ratificò ciascuno dei 396 articoli che sancivano libertà fino ad allora inconcepibili, come l’articolo 123, che per la prima volta riconosceva i diritti umani delle razze miste, di cui Chavez faceva parte, e delle persone di colore.
In una delle sue lezioni di gruppo citava una scrittrice femminista: “Amore e solidarietà sono la stessa cosa”. Il suo pubblico lo capiva bene e si esprimeva con dignità, raramente con deferenza. La gente comune considerava Chavez e il suo governo come i loro primi campioni, come fossero di loro proprietà.
Questo era particolarmente vero per gli indigeni, per i meticci e per gli afro-venezuelani, storicamente considerati con disprezzo dagli immediati predecessori di Chavez e da quelli che oggi vivono lontano dai quartieri poveri, nelle dimore e negli attici di Caracas orientale, che fanno i pendolari a Miami dove hanno le loro banche e che si considerano “bianchi”. Sono il potente nucleo di ciò che i media chiamano “l’opposizione”.
Quando incontrai questa classe sociale, in periferie chiamate Country Club, in case arredate con lampadari bassi e brutti quadri, li riconobbi. Avrebbero potuto essere bianchi sudafricani, la piccola borghesia di Costantia e Sandton, pilastri delle crudeltà dell’apartheid.
I vignettisti della stampa venezuelana, di cui la maggior parte è di proprietà di un’oligarchia che si oppone al governo, ritraevano Chavez come uno scimmione. Un conduttore radiofonico lo chiamava “la scimmia”. Nelle università private, il modo di parlare dei figli dei benestanti è spesso un abuso razzista di coloro le cui baracche sono appena visibili attraverso l’inquinamento.
Sebbene la politica dell’identità sia di gran moda nelle pagine dei giornali liberali in occidente, razza e classe sono due parole che non si pronunciano quasi mai nella falsa “copertura” dell’ultimo, più crudo tentativo di Washington di agguantare il più grande deposito di petrolio al mondo e di reclamare ciò che considera il suo “cortile di casa”.
Nonostante le molte colpe dei chavisti – come permettere all’economia venezuelana di diventare ostaggio degli alti e bassi del petrolio e di non sfidare mai seriamente il grande capitale e la corruzione – essi hanno portato la giustizia sociale e l’orgoglio a milioni di persone e l’hanno fatto con una democrazia senza precedenti.
“Delle 92 elezioni che abbiamo monitorato”, dichiarò l’ex presidente Jimmy Carter, il cui Carter Center è un rispettato osservatore delle elezioni a livello globale, “direi che il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo”. Per contrasto, disse Carter, il sistema elettorale degli Stati Uniti, con la sua enfasi sul denaro, “è uno dei peggiori”.
Conferendo diritti e privilegi a uno stato parallelo di autorità popolare, con sede nei quartieri più poveri, Chavez descrisse la democrazia venezuelana come “la nostra versione dell’idea di Rousseau di sovranità popolare”.
Seduta nella sua minuscola cucina nel barrìo La Linea, Beatrice Balazo mi disse che i suoi figli erano la prima generazione di poveri a frequentare la scuola per un’intera giornata, pasto caldo incluso, per imparare musica, arte e danza. “Ho visto la loro sicurezza sbocciare come un fiore”, ha detto.
Nel barrìo La Vega, ho ascoltato un’infermiera, Mariella Machado, una donna di colore di 45 anni con una strepitosa risata, rivolgersi ad un consiglio urbano su argomenti che vanno dai senzatetto alla guerra illegale. Quel giorno, stavano lanciando Mision Madres de Barrio, un programma mirato alla povertà tra le madri single. Secondo la Costituzione, le donne hanno il diritto di essere pagate come badanti e possono prendere prestiti da una banca speciale per donne. Ora le casalinghe più povere ricevono l’equivalente di $ 200 al mese.
In una stanza illuminata da un singolo tubo fluorescente, ho incontrato Ana Lucia Ferandez, di 86 anni, e Mavis Mendez, di 95 anni. Una trentatreenne, Sonia Alvarez, era venuta con i suoi due figli. Una volta, nessuno di loro poteva leggere e scrivere; ora stavano studiando matematica. Per la prima volta nella sua storia, il Venezuela ha quasi il 100% di alfabetizzazione.
Questo è il lavoro di Mision Robinson, che è stato progettato per adulti e adolescenti a cui precedentemente era negata un’educazione a causa della povertà. Mision Ribas offre a tutti l’opportunità di un’istruzione secondaria, chiamata bachillerato (i nomi Robinson e Ribas si riferiscono ai leader indipendentisti venezuelani del XIX secolo)
Mavis Mendez, nei suoi 95 anni, ha visto una sfilza di governi, per lo più vassalli di Washington, presiedere il furto di miliardi di dollari di bottino di petrolio, in gran parte trasportato a Miami. “Non avevamo importanza dal punto di vista umano”, mi disse. “Vivevamo e morivamo senza una vera istruzione, senza acqua corrente e cibo che non potevamo permetterci. Quando ci ammalavamo, i più deboli morivano. Ora posso leggere e scrivere il mio nome e molto altro ancora, e checché ne dicano i ricchi e i media, noi abbiamo piantato i semi della vera democrazia e io ho la gioia di vederli crescere”.
Nel 2002, durante un colpo di stato appoggiato da Washington, i figli e le figlie, i nipoti e i pronipoti di Mavis si unirono a centinaia di migliaia di persone che scesero dai barrios sulle colline e pretesero che l’esercito rimanesse fedele a Chavez.
“La gente mi ha salvato”, mi disse Chavez. “Lo hanno fatto con i media contro di me, impedendo anche i fatti di base di ciò che è accaduto. Per un eroico esempio di democrazia popolare, ti suggerisco di non guardare oltre”.
Dalla morte di Chavez nel 2013, il suo successore Nicolas Maduro ha perso la sua etichetta derisoria sulla stampa occidentale come “ex autista di autobus” ma ne ha acquisito un’altra come la reincarnazione di Saddam Hussein. Il modo in cui i media abusano di lui è a dir poco ridicolo. Da quando governa, il calo del prezzo del petrolio ha causato un’iperinflazione e devastato i prezzi in una società che importa quasi tutto il suo cibo; eppure, come ha riferito il giornalista e cineasta Pablo Navarrete questa settimana, il Venezuela non è la catastrofe che è stata dipinta. “C’è cibo ovunque”, ha scritto. “Ho girato molti video di cibo nei mercati [in tutta Caracas] … È venerdì sera e i ristoranti sono pieni.”
Maduro fu rieletto presidente nel 2018. Una sezione dell’opposizione ha boicottato le elezioni, una tattica tentata contro Chavez, ma il boicottaggio è fallito: 9.389.056 persone hanno votato; sedici partiti hanno partecipato e sei candidati si sono presentati per la presidenza. Maduro ha ottenuto 6.248.864 voti, ovvero il 67,84%.
Il giorno delle elezioni, ho parlato con uno dei 150 osservatori elettorali stranieri. “Il voto è stato assolutamente equo”, mi disse. “Non c’è stata alcuna frode, nessuna delle clamorose accuse dei media sta in piedi. Zero. Veramente incredibile.”
Come in una pagina del ricevimento del tè di Alice nel Paese delle Meraviglie, l’amministrazione Trump ha presentato Juan Guaidò, una creatura del National Endowment for Democracy della CIA, come “legittimo presidente del Venezuela”. Sconosciuto all’81 per cento del popolo venezuelano, secondo The Nation, Guaidò non è stato eletto da nessuno.
Maduro è “illegittimo”, dice Trump (che ottenne la presidenza degli Stati Uniti con tre milioni di voti in meno rispetto al suo avversario), un “dittatore”, ribadisce l’evidentemente squilibrato vicepresidente Mike Pence e “un trofeo petrolifero”, rincara il consigliere della “sicurezza nazionale” John Bolton (che quando lo intervistai nel 2003 mi disse: “Ehi, sei un comunista, forse persino Laburista?”).
Come suo “inviato speciale in Venezuela” (specializzato in colpi di stato), Trump ha nominato un criminale dichiarato, Elliot Abrams, i cui intrighi al servizio dei presidenti Reagan e George W. Bush hanno contribuito a far scoppiare lo scandalo Iran-Contra negli anni ’80 e precipitato l’America centrale in anni di sanguinoso squallore.
Senza scomodare Lewis Carroll, questi “pazzi” appartengono ai cinegiornali degli anni ’30. Eppure le loro menzogne sul Venezuela sono state accolte con entusiasmo da quelli pagati per dire le cose come stanno.
Sulla rete televisiva indipendente inglese Channel 4 News, Jon Snow ha inveito contro il deputato laburista Chris Williamson, “Guarda, tu e il signor Corbyn vi siete cacciati in una situazione molto brutta [sul Venezuela]!”. Quando Williamson ha cercato di spiegare perché minacciare un paese sovrano è sbagliato, Snow lo interruppe. “Hai parlato abbastanza!”.
In effetti, nel 2006, Channel 4 News aveva accusato Chavez di aver tramato la fabbricazione di armi nucleari con l’Iran: una fantasia. L’allora corrispondente da Washington, Jonathan Rugman, permise a un criminale di guerra, Donald Rumsfeld, di paragonare Chavez a Hitler, senza contraddittorio.
Tempo fa i ricercatori della University of the West of England studiarono i reportage della BBC sul Venezuela su di un periodo di dieci anni. Esaminarono 304 reportage e scoprirono che solo tre di questi si riferivano a una qualsiasi delle politiche positive del governo. Per la BBC, il record democratico del Venezuela, la legislazione sui diritti umani, i programmi alimentari, le iniziative sanitarie e la riduzione della povertà non sono avvenuti. Il più grande programma di alfabetizzazione nella storia umana non è accaduto, proprio come i milioni che marciano a sostegno di Maduro e in memoria di Chavez, non esistono.
Quando alla giornalista della BBC Orla Guerin è stato chiesto perché avesse filmato solo una marcia dell’opposizione, lei ha twittato dicendo che era “troppo difficile” coprire due marce in un solo giorno.
Una guerra è stata dichiarata al Venezuela, la cui verità è “troppo difficile” da riferire.
È troppo difficile riferire che il crollo dei prezzi del petrolio dal 2014 è in gran parte il risultato di macchinazioni criminali di Wall Street.
È troppo difficile denunciare come sabotaggio il blocco dell’accesso del Venezuela al sistema finanziario internazionale dominato dagli Stati Uniti.
È troppo difficile riportare le “sanzioni” di Washington contro il Venezuela, che hanno causato la perdita di almeno 6 miliardi di dollari nelle entrate del Venezuela dal 2017, inclusi 2 miliardi di dollari di medicinali importati, come illegali, o di dichiarare un atto di pirateria il rifiuto della Bank of England di restituire la riserva d’oro del Venezuela.
Alfred de Zayas, ex relatore delle Nazioni Unite, ha paragonato tutto ciò ad un “assedio medievale” progettato “per mettere in ginocchio i paesi”. È un attacco criminale, dice. È simile a quello affrontato da Salvador Allende nel 1970 quando il presidente Richard Nixon e il suo equivalente di John Bolton, Henry Kissinger, si proponevano di “far urlare l’economia [del Cile]”. Seguì la lunga notte buia di Pinochet.
Il corrispondente del Guardian, Tom Phillips, ha twittato una foto di un berretto su cui le parole in spagnolo significano in gergo locale: “Rendi il Venezuela fottutamente figo”. Il giornalista-pagliaccio potrebbe essere la fase finale di gran parte della degenerazione del giornalismo mainstream.
Se il tirapiedi della CIA Guaidò e i suoi suprematisti bianchi prendessero il potere, sarebbe il 68° rovesciamento di un governo sovrano da parte degli Stati Uniti, la maggior parte dei quali democrazie. Seguirà sicuramente una svendita delle utenze e delle risorse minerarie del Venezuela, insieme al furto del petrolio del paese, come delineato da John Bolton.
Sotto l’ultimo governo controllato da Washington a Caracas, la povertà raggiunse proporzioni storiche. Non c’era assistenza sanitaria per coloro che non potevano pagare. Non c’era educazione universale; Mavis Mendez e milioni come lei non potevano leggere o scrivere.
Quant’è figo questo, Tom?
John Pilger
Scelto e tradotto per comedonchisciotte.org da Gianni Ellena

mercoledì 6 marzo 2019

Bergoglio fa il globalista? Oscura il suo passato fascista

Papa FrancescoC’era una volta in Argentina un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni ’70 aderì alla Guardia de Hierro, un’organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l’organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di Ferro, il movimento romeno del comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava: «Meglio così». Della sua vicinanza alla Guardia de Hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino “Clarin”, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista. Per la cronaca, la Guardia di Ferro era un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul “Corriere della Sera” una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell’estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il ’38 si fosse già convertito all’antifascismo. Testi ripubblicati di recente, “Da inviato di guerra” (ed. Ar).
Evidentemente anche nell’Argentina dei Peron il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti. Nel ’74, dopo la morte di Peron, il movimento legionario si sciolse. Era un gruppo di 3.500 militanti 15mila attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l’ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de Hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi. A Bergoglio fu poi affidata un’istituzione in difficoltà, l’Università del Salvador. Bergoglio la risanò e l’affidò a due ex-camerati della Guardia de Hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l’accusa di omertà da parte del Premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983.
Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali: «Per noi è un’amara sconfitta che Bergoglio sia diventato Papa». E Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: «Bergoglio non ci Emidio Noviavvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi». Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista. Ho tratto fedelmente questa ricostruzione dalle pagine del libro di Emidio Novi, “La riscossa populista”, appena uscito per le edizioni Controcorrente (pp.286, 20 euro). Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi, «Papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato “fascista” durato fino al 1980». Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell’accoglienza, l’antinazionalismo radicale.
Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, S.Agata di Puglia. Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l’onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall’ala più “movimentista” dell’Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell’antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché consideravaIl giovane Bergogliol’oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.
In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del «papulismo» di Bergoglio, della sua teologia «improvvisata e arruffona», della sua resa all’Islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga. Lo reputa «uno strumento dell’anticristo», funzionale sia al progressismo radical dell’accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l’internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere. Ma del suo passato argentino, al tempo di Peron, del giustizialismo e poi della dittatura militare, Bergoglio preferisce non parlare. Anche gli estroversi a volte tacciono.
(Marcello Veneziani, “Camerata Bergoglio”, da “La Verità” del 31 gennaio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).

mercoledì 20 febbraio 2019

ONG / TUTTI GLI SQUALI NEI MARI DELLA “SOLIDARIETA'” DA GATES A SOROS


Volete sapere tutto sul mondo delle ONG, ossia le Organizzazioni Non Governative? Volete leggere quello che gli altri non scrivono sugli affari, le cifre, i protagonisti, le connection di quell'universo in gran parte sconosciuto e che macina milioni di euro e di dollari sulla pelle dei cittadini, soprattutto dei migranti? Di coloro i quali issano bandiere di solidarietà, pietà umana e fratellanza, ed invece sguazzano nei più luridi traffici, tra scrosci d'appalusi di tutti coloro che "non sanno" o fanno finta di non sapere?
Ebbene alcuni mesi fa – giugno 2018 – è uscito un libro edito da Zambon, "ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale" che tutti dovrebbero leggere, per farsi un'idea di quel mondo spesso sommerso, popolato da montagne di soldi, incredibili interessi, ragnatele societarie, personaggi  spesso border line e tutto quello che fa ONG. Un libro ovviamente oscurato dai media, sempre genuflessi di fronte ai colossi, da Big Pharma (tra l'altro nel volume si parla non poco dei business con i vaccini) ai giganti bancari fino alle ONG, nei cui mari dorati nuotano a loro piacimento squali della specie più famelica, un nome su tutti George Soros a bordo della sua corazzata, la Open Society Foundation.

Il libro di Sonia Savioli. Nel montaggio di apertura George Soros.

Un vero pugno nello stomaco, un j'accuse in piena regola, zeppo di documenti che stanno a sostegno di tutta l'impalcatura giornalistica. A scriverlo è Sonia Savioli, milanese  di nascita e toscana di adozione, un tempo dimafonista dell'Unità e poi fotografa per la Cgil. Al suo attivo romanzi (Campovento, Il viaggio di Bucurie, Il possente coro, Marea nera); e saggi (Alla città nemica, Slow life, Scemi di guerra). Collabora con il giornale on line Il Cambiamento e con Il Centro di Iniziative per la Verità e la Giustizia (Civg).
Seguiamo il filo dell'inchiesta partendo da alcune cifre base.
"Circa 50.000 organizzazioni non governative svolgono attività a livello internazionale. L'ammontare del denaro che utilizzano si misura in migliaia di miliardi di dollari. Nel 2012 si calcolava che superasse i 1.100 miliardi. Nel 2014 erano 4.186 le ONG consulenti dell'Onu".
"Le ONG sono uno degli attori e dei mezzi per sostituire il pubblico con il privato, persino nei rapporti istituzionali. Le ONG 'affiancano gli Stati', le ONG svolgono ruoli politici a livello 'sistemico'. Le ONG, associazioni private che nessuno ha mai eletto. Che non sono soggette ad alcun controllo popolare. Delle quali i popoli non conoscono i dirigenti, i programmi, le politiche e spesso nemmeno i bilanci, sono diventate gli interlocutori delle istituzioni internazionali e gli agenti di politiche decise a livello globale. Altro che embrioni di democrazia internazionale!".
Più chiari di così…

DA AMNESTY A SAVE THE CHILDREN

Sonia Savioli

Comincia la rassegna delle 'stars'. Scrive Savioli: "Amnesty International è finanziata dalla Commissione Europea, dal governo britannico, dalla Open Society Georgia Foundation del famigerato benefattore internazionale George Soros, solo per citarne alcuni. Irene Kahn, direttrice di Amnesty, suscitò lo sdegno degli stessi attivisti andandosene con una liquidazione di 500 mila sterline nel 2009. Suzanne Nossel, altra direttrice di Amnesty nel 2012-2013, aveva prima lavorato per multinazionali Usa della comunicazione, per il Wall Steet Journal, per il Dipartimento di Stato Usa dove si era distinta per le sue posizioni filoisraeliane e a favore dell'intervento militare in Afghanistan. L'attuale direttore di Amnesty, Salil Shetty, prende uno stipendio annuale di 210 mila sterline".


Bill Gates

Passiamo a Save the Children. "Cacciata da Pakistan e Siria con l'accusa di lavorare per la Cia, prende soldi da Chevron, Exxon, Mobil, Merck Foundation, Bank of America e molti altri potentati economici citati sul suo sito ufficiale come sponsor, oltre che dall'immancabile Soros e dai due benefattori mondiali Bill e Melinda Gates, dall'Unione europea e dal governo britannico. Uno dei suoi passati direttori, Justin Forsyth, nel 2013 prendeva un salario di 185 mila sterline per salvare i bambini. Era stato prima direttore di Oxfam, poi consigliere di Tony Blair, quindi direttore delle 'campagne strategiche di informazione' di Gordon Brown; adesso è direttore Unicef".
Eccoci a Medici Senza Frontiere. "Nel 2010 aveva un bilancio da 1 miliardo e 100 milioni di dollari. Nel 2014 il direttore Usa (Doctors Without Borders) prendeva uno stipendio di 164 mila dollari l'anno, però per risparmiare viaggiava in aereo in 'economic class'. E di questo si vantava. Tra i finanziatori di MSF ci sono Goldman Sachs, Citigroup, Bloomberg, Richard Rockfeller, padrone e dirigente di svariate multinazionali, per 21 anni presidente della filiale Usa di questa organizzazione caritatevole, che si è trovata spesso in situazioni ambigue sui teatri di guerra, accusata di essere di parte e non necessariamente la parte giusta. Accusata di lanciare falsi allarmi per false epidemie, che però richiedevano vere campagne di vaccinazione. Naturalmente anche qui non mancano Soros e Bill Gates".
Primo commento: "Il lato 'umoristico' di tutta la faccenda, e rilevatore in modo inequivocabile e incontestabile, è che se i 1.100 miliardi annui delle ONG e quelli spesi ogni anno dalle 'fondazioni benefiche' fossero semplicemente redistribuiti ai poveri, la povertà sarebbe solo un ricordo. Rivela quindi che queste montagne di denaro sono in realtà investimenti per fare altro denaro".
Ancora. "Il capitalismo globale ha intrecciato una rete sinergica tra le proprie grandi industrie, le istituzioni sovranazionali, le grandi fondazioni che ne sono del resto un'emanazione diretta, i centri di studio e di ricerca, le ONG. Che in alcuni casi sono anch'esse un'emanazione diretta e una delle facce del grande capitale".

A BORDO DELLA CORAZZATA GRIFFATA SOROS
Come nel caso, emblematico su tutti, della Open Society dello squalo di tutti i mari, Soros, il Mangia-Paesi, come cercò di fare addirittura con l'Inghiterra un quarto di secolo fa, provocando il crollo della sterlina, ma anche gravissimi contraccolpi alla nostra lira, quando il governo Amato varò una politica lacrime & sangue.
Una Open, ironizza l'autrice citando alcune parole autocebratative della Fondazione, che "lavora per costruire democrazie vivaci e tolleranti i cui governi

Emma Bonino

siano responsabili e aperti alla partecipazione di tutto il popolo". Incredibile ma vero.
Vediamo i principali dirigenti a livello internazionale. Partendo dalla nostra Emma Bonino, che fa parte del suo international board: "questa signora che ben conosciamo tra il 1994 e il 1999 era commissaria europea per gli aiuti umanitari, la pesca, i consumi, la salute dei consumatori, la sicurezza del cibo. E' dirigente del partito Radicale Transnazionale".
Passiamo a Maria Cattaui: "Segretaria generale della Camera di Commercio Internazionale dal 1996 al 2005. Dal 1977 al 1996 ha diretto il Forum Economico Mondiale (World Economic Forum) a Ginevra. Dirigente dell'Internationl Crisis Group (ICG), dell'East West Institute, dell'Istituto Internazionale per l'Educazione, tra gli altri. Tanto per avere un'idea, l'ICG è una ONG internazionale diretta da politici di professione e globalisti neoliberisti imperialisti per vocazione, che dice di voler prevenire le guerre e, a questo scopo, cerca di far pressione sui governi di tutto il mondo che l'Occidente giudica scomodi, affinchè si sottomettano o levino le tende. Tra questi pacifisti troviamo Javier Solana e il famoso pacifista Wesley Clark, ex comandante supremo della Nato".
Eccoci quindi ad altri pezzi da novanta nella task force delle truppe targate Soros.
Anatole Kaletsky, dirigente di Gavekal Dragonomics (Hong Kong e Pechino), azienda di investimenti globali; dirigente di JP Morgan per il ramo mercati emergenti. Annette Laborey invece si vantava di sostenere gli intellettuali 'indipendenti' in Jugoslavia, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Germania Est e Repubbliche Baltiche, fino a che non sono crollati i regimi socialisti. Marck Mallock Brown è particolarmente interessante: ex numero due dell'Onu, membro del Foreign Office e della Camera dei Lord, dirigente della Society of Ginecologic Oncology, una società diventata nel 2012 ONG i cui partners sono le più grandi multinazionali farmaceutiche; dirigente di Investec, multinazionale della finanza, e di Seplat, compagnia petrolifera nigeriana; dirigente di Kerogen, multinazionale del petrolio e del gas. Quindi vicesegretario Onu sotto Kofi Annan, docente alla Oxford University e alla Yale University". Ottimo e abbondante.
Tra le sigle nell'arcipelago tanto umanitario partorito da Soros, da rammentare un'altra ONG baciata dalla fortuna, Refugee International, dedita all'aiuto quotidiano dei rifugiati di tutto il mondo. Che però, secondo non pochi addetti ai lavori, recita una grande "sceneggiata" solo per drenare soldi e raccogliere applausi, come è stato nel caso dei Rohingya del Myanmar (l'ex Birmania) nel 2017.
Ma chi è il numero uno di Refugee? Si chiama Eric P. Schwartz. "Un pezzo da novanta – dettaglia l'autrice – ha ricoperto l'incarico di assistente Segretario di Stato Usa per il settore Popolazione, Rifugiati, Immigrati; consulente per gli Affari Internazionali e assistente speciale del presidente per gli Affari Multilaterali e Umanitari. Ha giocato un ruolo fondamentale, Schwartz, nel dispiegamento di forze Usa nell'Africa Occidentale e nei rilevanti impegni Usa in Centroamerica e in Kossovo; ha lavorato con la segretario di Stato Hillary Clinton; ha diretto il Connect US Fund, una multifondazione ONG finalizzata a promuovere l'impegno 'responsabile' degli Usa oltreoceano".
Un pedigree anche stavolta multistellare.

SIAMO LA COPPIA PIU' UMANITARIA DEL MONDO 
Siamo ora al cospetto della coppia più bella del mondo sul fronte 'umanitario', gli arcimiliardari Bill e Melinda Gates, a bordo di un'altra super corazzata, la Bill & Melinda Gates Foundation (BMGF), la più ricca al mondo. Un tandem che ha molto a cuore la salute dell'umanità, i destini dei poveri, l'istruzione negata a tanti bimbi del mondo e via di questo passo, con carità & passione.

Hillary Clinton

Vediamo adesso chi è al timone di BMGF, oltre ai due "pupazzetti" Bill e Melinda, come li colorisce Sonia Savioli.
"Warren Buffett ne è l'amministratore fiduciario. Un finanziere dalla pelle dura e dallo stomaco impellicciato con un patrimonio stimato nel 2017 da 75 miliardi di dollari (quindi ai vertici della hit internazionale dei Paperoni, ndr). Guadagnato con i fondi d'investimento, cioè con speculazioni perlopiù sulla pelle dei poveri del terzo mondo e dei lavoratori in genere. E' importante azionista di Coca Cola, Gillette, Mc Donald's, Kirky Company, Walt Disney. Possiede la terza compagnia di assicurazioni a livello mondiale. Ed è anche uno dei maggiori licantropi, pardòn, filantropi".
Così prosegue la ricostruzione delle mirabolnati imprese di Bill & Melinda. "Abbiamo poi qualcuno che non si occupa direttamente di affari, Susan Desmond Hellman. Questa signora, amministratore delegato di BMGF, è un'oncologa e biotecnologa. Ma chissà se si è mai occupata di un paziente in vita sua. Di fatto il suo mestiere è realizzare prodotti per l'industria farmaceutica, chemioterapici in particolare. In questa veste ha lavorato per le multinazonali chimico-farmaceutiche, sempre in posizioni dirigenziali, e nel comitato esecutivo della Organizzazione delle Industrie Biotecnologiche. (…) C'è poi Christoper Elias, direttore esecutivo di PATH, Program for Appropriate Technology in Health (Programma per la Tecnologia Avanzata Sanitaria). Quindi Mark Suzman, capo dell'Uffico Strategia di BMGF, un tecnico di alto livello della globalizzazione, specializzato negli affari internazionali, corrispondente del Financial Times da Londra, Washington e Joannesburg, e collaboratore dell'Onu".
Commenta Savioli: "La Fondazione Gates, come le altre organizzazioni cosiddette filantropiche (più di 80 mila nei soli Usa), è un ufficio di rappresentanza mascherato delle multinazionali. Uno strozzino che si finge opera pia. Uno dei numerosi tentacoli della piovra capitalista globale".
Stiamo arrivando ad uno dei cuori pulsanti negli affari di BMGF, i fiumi di dollari che corrono nel mondo della sanità.
Continua l'inchiesta edita da Zambon. "Nel solo 2106 la BMGF ha speso circa 1 miliardo e 300 milioni di dollari per sovvenzionare progetti nell'ambito della sanità. Una delle loro missioni sanitarie è la contraccezione 'delle donne povere dei paesi poveri'. Un'altra sono le vaccinazioni. Sempre dei bambini poveri dei paesi poveri. Per dedicarsi a queste missioni la Fondazione Gates ha prodotto a sua volta altri due tentacoli: GAVI e PATH".

IL GRANDE BUSINESS DEI VACCINI
Ecco di che si tratta. "GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunization) è un'organizzazione che unisce soggetti pubblici e privati, di cui fanno parte governi dei paesi in via di sviluppo e di paesi donatori, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Unicef, la Banca Mondiale, le industrie dei vaccini…. Una potente alleanza di mercato nella quale ha un ruolo dichiarato la cosiddetta 'società civile': nella veste di ONG".


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martedì 19 febbraio 2019

Gli Stati Uniti creano le condizioni per l’invasione del Venezuela, di Thierry Meyssan


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Convinto che il sostegno degli Stati Uniti sia più importante del voto dei cittadini, Juan Guaidò si è autoproclamato presidente ad interim del Venezuela.

Il progetto degli Stati Uniti per il Bacino dei Caraibi è stato enunciato dal Pentagono nel 2001. Un progetto distruttore ed esiziale inconfessabile. È perciò necessario costruire un racconto che possa essere accettato. Questo è quanto sta accadendo in Venezuela. Attenzione: le apparenze mascherano un po’ alla volta la realtà: mentre si svolgono le manifestazioni, la preparazione della guerra non si ferma.

Suscitare il conflitto

Negli ultimi mesi gli Stati Uniti sono riusciti a convincere un quarto degli Stati membri dell’ONU ¬– 19 dei quali americani – a non riconoscere le elezioni presidenziali venezuelane di maggio 2018. Ne deriva che questi Paesi disconoscono la legittimità del secondo mandato del presidente Nicolas Maduro.
In un’intervista al Sunday Telegraph, pubblicata il 21 dicembre 2018, il ministro britannico della Difesa, Gavin Wiliamson, dichiara che Londra sta negoziando l’installazione di una base militare permanente in Guyana per riprendere la politica [imperiale] precedente la crisi di Suez. Il giorno stesso, un deputato della Guyana fa inaspettatamente cadere il governo e si rifugia in Canada. Il giorno dopo ExxonMobil sostiene che una nave, noleggiata per esplorazioni petrolifere nelle acque contestate tra Guyana e Venezuela, è stata fatta allontanare dalla marina militare venezuelana. La spedizione era autorizzata dal governo uscente della Guyana, che di fatto amministra la zona contesa. Immediatamente il Dipartimento di Stato USA, indi il Gruppo di Lima denunciano il rischio rappresentato dal Venezuela per la sicurezza della regione. Ma il 9 gennaio 2019 il presidente Maduro pubblica registrazioni audio e video che provano come ExxonMobil e il Dipartimento di Stato abbiano deliberatamente mentito al fine di creare una situazione conflittuale e spingere gli Stati latino-americani a farsi guerra fra loro. I membri del Gruppo di Lima, a eccezione di Paraguay e Canada, ammettono la macchinazione.
Il 5 gennaio 2019 l’Assemblea Nazionale del Venezuela rinnova il proprio presidente, Juan Guaidò, e rifiuta di riconoscere la legalità del secondo mandato del presidente Maduro. Viene enunciato il concetto che trattasi di situazione analoga all’impedimento del presidente per malattia, previsto dall’articolo 233 della Costituzione. In questo caso – ma non nella fattispecie odierna – il presidente dell’Assemblea Nazionale assume la carica di presidente ad interim.
Il 23 gennaio 2019 oppositori e sostenitori Maduro organizzano due manifestazioni contemporanee a Caracas. Nella prima Guaidò si proclama presidente ad interim e presta giuramento. Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Israele riconoscono immediatamente il nuovo presidente del Venezuela. La Spagna, che partecipò a tentativi di colpo di Stato contro Hugo Chavez, preme perché l’Unione Europea si aggreghi.
La successione degli avvenimenti porta il Venezuela alla rottura diplomatica con gli Stati Uniti e alla chiusura dell’ambasciata a Washington. Gli Stati Uniti non riconoscono la legittimità della rottura e non chiudono l’ambasciata a Caracas, da dove continuano a gettare benzina sul fuoco.
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Il 24 gennaio il ministro della Difesa, generale Vladimir Padrino, è apparso in televisione circondato dall’intero stato-maggiore per riaffermare l’impegno delle forze armate al servizio della nazione e del presidente costituzionalmente eletto, Nicolas Maduro. Padrino ha poi invitato il presidente a proseguire il dialogo con l’opposizione filo-USA. Le forze armate sono l’unica istituzione efficiente, su cui il Paese fa affidamento.

Applicare uno schema già sperimentato

Nella situazione attuale il Venezuela si trova con un presidente costituzionale eletto e un presidente ad interim autoproclamatosi.
Contrariamente a quel che credono i venezuelani, lo scopo degli Stati Uniti non è rovesciare Maduro, ma applicare al Bacino dei Caraibi la dottrina Rumsfeld-Cebrowski di distruzione delle strutture statali. Questo presuppone sicuramente l’eliminazione di Maduro, ma anche quella di Guaidò.
Lo schema attuale è già stato messo in atto per far passare la Siria da una situazione di disordini interni (2011) a un’aggressione da parte di un esercito di mercenari (2014). Nel caso del Venezuela, il ruolo della Lega Araba è svolto dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), il cui segretario generale ha già riconosciuto il presidente Guaidò; quello degli Amici della Siria dal Gruppo di Lima, che coordina le posizioni diplomatiche degli alleati di Washington; il ruolo di capo dell’opposizione, Burhan Ghalioun, da Juan Guaidò.
In Siria, il collaboratore di lunga data della NED, Burhan Ghalioun, è stato sostituito da altri, poi da altri ancora, al punto che nessuno più ricorda il suo nome. È probabile che anche Guaidò sarà sacrificato allo stesso modo.
Tuttavia il modello siriano ha funzionato solo in parte. Innanzitutto perché Russia e Cina si sono opposte numerose volte nell’ambito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Poi perché il popolo siriano si è progressivamente radunato attorno alla Repubblica Araba Siriana e ha dato prova di eccezionale resilienza. Infine perché l’esercito russo ha equipaggiato e sostenuto l’esercito siriano contro i mercenari e contro la NATO che li coordinava. Sapendo che non potrà più utilizzare gli jihadisti per indebolire lo Stato siriano, il Pentagono sta per lasciare la continuazione dell’opera nelle mani del Tesoro, che sta facendo di tutto per impedire la ricostruzione del Paese e dello Stato.
Nei prossimi mesi l’autoproclamatosi presidente ad interim Guaidò creerà un’amministrazione parallela per:
-  incassare il denaro del petrolio nelle controversie in corso;
-  risolvere la contesa territoriale con la Guyana;
-  negoziare la situazione dei rifugiati;
-  cooperare con Washington e, accampando vari pretesti giuridici, far imprigionare i dirigenti venezuelani negli Stati Uniti.
Se consideriamo l’esperienza in Medio Oriente Allargato degli ultimi otto anni, non possiamo interpretare quanto sta accadendo in Venezuela facendo un parallelo con quel che accadde in Cile nel 1973. Il mondo post-Unione Sovietica non è più quello della guerra fredda.
A quell’epoca gli Stati Uniti volevano controllare l’insieme delle Americhe ed escludervi ogni influenza sovietica. Volevano sfruttare le ricchezze naturali della zona al minor costo possibile e riducendo al minimo il controllo degli Stati nazionali.
Oggi invece gli Stati Uniti persistono a voler pensare il mondo come unipolare. Non hanno più né alleati né nemici: o un popolo è integrato nell’economia globalizzata, oppure vive in territori ricchi di risorse naturali, che gli Stati Uniti non intendono necessariamente sfruttare, ma di cui devono avere il controllo. Ebbene, poiché queste risorse naturali non possono essere controllate al tempo stesso da Stati-Nazione e dal Pentagono, le strutture statali di queste regioni devono essere ridotte all’impotenza.
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Questa mappa è estratta da un Powerpoint presentato nel 2003 da Thomas P.M. Barnett, assistente dell’ammiraglio Arthur Cebrowski, a una conferenza al Pentagono. Essa mostra le zone da distruggere (colorate in rosa). Questo progetto non è legato né alla guerra fredda né allo sfruttamento delle risorse naturali. Dopo il Medio Oriente Allargato, gli strateghi USA si preparano a ridurre in macerie il Bacino dei Caraibi.

Rendere ciechi i protagonisti

Pur supponendo che Guaidò si sia autoproclamato presidente ad interim credendo di poter risolvere la crisi e servire il proprio Paese, in realtà ha fatto il contrario. Il suo gesto provocherà una situazione che verrà assimilata a una guerra civile. Guaidò o i suoi successori chiameranno in soccorso i fratelli latino-americani. Brasile, Guyana e Colombia dispiegheranno [sedicenti] forze di pace sostenute da Israele, Regno Unito e Stati Uniti. I disordini continueranno fino a quando intere città saranno ridotte in macerie. Poco importa che il governo venezuelano sia bolivariano o liberale, che sia filo- o anti-USA. lo scopo non è sostituirlo, ma fiaccare in modo durevole lo Stato. Il processo avviato in Venezuela si estenderà ad altri Paesi del Bacino dei Caraibi, a iniziare dal Nicaragua, fino a che nell’insieme della regione non rimarrà un potere politico degno di questo nome.
La situazione è limpida agli occhi di molti arabi, che già sono caduti nella stessa trappola e che hanno dovuto prima o poi soccombervi. Per il momento non è invece chiara ai latino-americani.
Naturalmente c’è sempre la possibilità che i venezuelani, malgrado il loro orgoglio, prendano coscienza della manipolazione di cui sono vittime, superino le divisioni e salvino il Paese.

www.voltairenet.org

venerdì 15 febbraio 2019

Internet è salvo? Purtroppo no! Save The Internet

Save The Internet ha appena condiviso un aggiornamento sulla petizione Internet è in pericolo e tu puoi salvarlo Guardalo e lascia un commento:
Aggiornamento sulla petizione

Internet è salvo? Purtroppo no!


Purtroppo alcune false informazioni circolano in rete promettendo che internet è stato salvato! La controversa riforma del diritto d'autore nel mercato interno digitale è fallita dopo che il Consiglio dell'UE ha cancellato il trilogo di lunedì scorso. Purtroppo questo non corrisponde al vero. Ecco quindi un breve chiarimento da parte nostra sulla situazione attuale:
  
Attualmente vi è...
Leggi l'aggiornamento completo

lunedì 11 febbraio 2019

Patto franco-tedesco, Magaldi: minacciamoli di lasciare l’Ue

Gioele Magaldi«Il governo gialloverde non fa paura a nessuno, in Europa: abbaia, ma non morde. Ecco perché l'oligarchia europea non ha alcun interesse a farlo cadere, men che meno per instaurare un esecutivo "tecnico" come quello di Monti, oggi improponibile all'elettorato italiano». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, l'allarme lanciato da Gianfranco Carpeoro (Cottarelli al posto di Conte, in attesa di Draghi) ha un significato  «sottilmente apotropaico», quello cioè di evocare un pericolo – l'ennesimo complotto – proprio allo scopo di scongiurarlo, "bruciandolo". Per Magaldi, in fondo, la realtà è persino peggiore di quella tratteggiata da Carpeoro: perché «gli spaventapasseri Di Maio e Salvini non hanno nemmeno saputo approfittare della rivolta francese dei Gilet Gialli per pretendere, come avrebbero dovuto, il rispetto delle legittime istanze del governo italiano». Mazziati e cornuti, ma senza ammetterlo: «Bravi ad alzare la voce sui migranti e magari su Battisti, e invece zitti di fronte ai diktat della Commissione Europea», peraltro dominata da due paesi – Germania e Francia – che adesso, con lo scandaloso Trattato di Aquisgrana, «rifilano un ceffone plateale a tutti i cantori, anche italiani, della mitica Unione Europea, finora in realtà mai esistita e mai davvero nata».
Chiamiamola Disunione Europea: è una cupola di oligarchi affaristi, impegnati a svuotare le nostre democrazie impoverendo i popoli. Di fronte a questo, «l'Italia dovrebbe minacciare di sospendere la vigenza dei trattati europei». Il dado è tratto, avverte Macron e MerkelMagaldi: ormai, i gruppi di potere (privatistici) che sostengono la Merkel e Macron hanno gettato la maschera. «Odiano a tal punto la democrazia, da stipulare un accordo smaccatamente egoistico, in danno degli altri paesi europei». Oltre all'incredibile "Consiglio dei ministri congiunto, franco-tedesco", c'è anche «la barzelletta dei "due sederi" che si alternerebbero al seggio, attualmente solo francese, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Parigi è disposta a cedere il 50% di quella poltrona a Berlino? «Curioso: da Francia e Germania, non una parola sul penoso stato in cui è ridotta l'Onu, ormai incapace di far rispettare i diritti umani nel mondo». Quanto alla Francia, «persino Di Maio, meglio tardi che mai, si è premurato di ricordare l'atteggiamento predatorio e neo-coloniale che i francesi impongono a 14 paesi africani, quelli da cui provengono molti dei migranti diretti in Italia, su cui poi il signor Macron si permette di fare lo spiritoso».
Una denuncia che il presidente del Movimento Roosevelt anticipa in una video-chat su YouTube con Marco Moiso, ribadendola poi nel web-streaming con Fabio Frabetti di "Border Nights": l'Italia, semplicemente, non può accettare che una cricca di faccendieri oligopolisti decida – per giunta, parlando a nome del popolo tedesco e di quello francese – di prendere a calci i partner europei per tentare di ipotecare all'infinito il loro potere, finora affidato ai burattini Merkel e Macron. La verità è un'altra: la cancelliera è al tramonto, mentre l'Eliseo è assediato dalla rivolta di strada: 8 francesi su 10 voterebbero contro l'attuale presidente. E in queste condizioni i governi di Francia e Germania pensano di poter dichiarare guerra, impunemente, al resto d'Europa? I fatti potrebbero dar loro ragione, commenta Magaldi con amarezza, solo se il governo italiano continuasse la sua indecorosa manfrina: proclami altisonanti, per poi lasciarsi regolarmente umiliare. Sembra proprio che tutto sia Salvinicominciato il 27 maggio 2018, quando Lega e 5 Stelle accettarono di subire il "niet" di Mattarella sull'incarico a Paolo Savona come ministro dell'economia.
Da lì in poi, gli oligarchi devono aver capito che il nascituro governo gialloverde si sarebbe rassegnato a ingoiare qualsiasi rospo, rinunciando alle grandi promesse della campagna elettorale: reddito di cittadinanza, Flat Tax, rottamazione della legge Fornero sulle pensioni. Per invertire la rotta e bocciare l'Europa del rigore serviva un deficit di almeno il 4%, capace di stimolare l'economia già nel 2019. Ma l'esecutivo Conte non è andato oltre la proposta del 2,4%, restando al di sotto della soglia (artificiosa, ideologica e dannosa) sancita dal famoso 3% di Maastricht. Salvo poi perdere definitivamente la faccia, facendosi limare un altro mezzo punto di deficit, sotto la minaccia della procedura d'infrazione. Risultato: accorciata ulteriormente la coperta, tutte le promesse gialloverdi sono evaporate. L'irrisorio reddito grillino appare condizionato da intricatissimi vincoli burocratici, mentre la riforma delle pensioni (quota 100) è ridotta a puro ecloplasma. E non s'è vista nessuna vera riduzione del carico fiscale. Anche per questo, dice Magaldi, i gialloverdi alzano il volume su questioni secondarie e irrilevanti, come l'arresto di Cesare Battisti, estradato solo perché in Brasile è salito al potere l'imbarazzante Bolsonaro.
Un avviso a Salvini: non basta cambiare felpa, tutti i giorni, per nascondere la bancarotta politica del "governo del cambiamento", che si sta rivelando una colossale presa in giro. «Che bisogno c'è di farlo cadere, un governo così docile? E' perfetto, per lasciare tutto com'è». Con in più il vantaggio di dare agli italiani, per ora, l'illusione di un'inversione di rotta. «Ma attenzione: le cose possono cambiare in tempi rapidissimi». Se n'è accorto Matteo Renzi, «altro campione di chiacchiere», passato in pochi mesi dal 40% al ruolo di profugo politico. Anche per questo, sottolinea Magaldi, è necessario dare fiato a una nuova prospettiva, quella del "partito che serve all'Italia", i cui promotori – tra cui Ilaria Bifarini, Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi – torneranno a riunirsi a Roma il 10 febbraio. Orizzonte: costruire un vero Piano-B per uscire dall'autismo Renzidell'Europa degli oligarchi. Se ne parlerà anche a Londra il 30 marzo, in un forum sull'economia europea indetto dal Movimento Roosevelt, al quale parteciperanno personalità come Guido Grossi, già supermanager Bnl.
E' il momento di parlar chiaro, ribadisce Magaldi: oggi, l'Italia ha il dovere di convocare i partner europei – Francia e Germania in testa – per obbligarli a riscrivere le regole dell'Unione. Ovvero: una Costituzione democratica e un governo continentale finalmente eletto dal Parlamento Europeo, espressione diretta degli elettori. E quindi: una politica economica unitaria, la fine dello spread, il sostegno al debito mediante gli eurobond. Addio al Trattato di Maastricht e al suo ignobile 3%. O si disegna un New Deal, come invocato dallo stesso Savona nel suo discorso al Senato, o l'Europa è morta. E se Parigi e Berlino pensano di fare da sole, a maggior ragione: l'Italia le fermi. «Dica chiaramente, il nostro governo, che se la linea è quella del Trattato di Aquisgrana, il nostro paese sospende la vigenza di tutti i trattati europei». In questo modo, aggiunge Magaldi, l'Italia parlerebbe anche a nome degli altri partner Ue, esercitando un ruolo autorevole: «Un governo italiano realmente europeista, che denunciasse come anti-europeisti i difensori di questa Europa così com'è, dovrebbe dire a tutti gli altri partner che è giunta l'ora di sciogliere il patto».
E questo, peraltro, «vorrebbe dire assumersi la leadership di un processo di riconversione democratica dell'Europa». Se invece Francia e Germania rifiutassero di ascoltare l'Italia, a quel punto «l'eventuale uscita dai trattati avrebbe ben altra legittimazione, anche internazionale». Certo, aggiunge Magaldi, lo schiaffo franco-tedesco deve bruciare soprattutto sulle guance «di tutti quegli imbecilli, anche italiani», che hanno fatto del mantra "ce lo chiede l'Europa" un dogma di fede, «credendo che il sogno europeo dovesse passare per l'imposizione di una governance post-democratica». Una sonora lezione anche per i velleitari "eroi" del nuovo sovranismo, ambigua bandiera «da sventolare in campagna elettorale, per poi ammainarla una volta al governo». Prendete Salvini: la sua ipotetica alleanza tra nazionalismi contava soprattutto su Ungheria e Polonia, «cioè proprio i due paesi che, per primi, hanno bocciato la manovra del governo Conte».
Per Magaldi, in sostanza, «dobbiamo essere abili, e anche leali verso gli altri popoli europei». Illusorio rifugiarsi entro i confini nazionali: chi rimpiange l'Italia della lira, che stava certamente assai meglio di quella dell'euro, «dimentica sempre di ricordare che il nostro paese beneficiava innanzitutto del supporto internazionale degli Usa». Ovvero: «Con gli "assi" fondati sugli egoismi nazionali non si va da nessuna parte: fare da soli è impossibile, in un mondo sempre più interconnesso. E qualunque idea di una nazione isolata che possa resistere all'urto dei poteri globali è pura follia». L'alternativa? Semplice, in teoria: «Per contrastare le reti sovranazionali private, cementate da interessi inconfessabili, bisogna costruire reti sovranazionali pubbliche e finalmente democratiche». L'Italia di eri – fino a Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – era «subalterna, imbelle e servile». Quella di oggi, gialloverde, preferisce «il piagnisteo velleitario, i proclami muscolari a cui poi non seguono i fatti». Serve un'altra Italia, «sovrana e democratica, orgogliosa di sé», capace di alzarsi in piedi e resuscitare la democrazia come modello imprescindibile, «non solo in Europa ma anche alle Nazioni Unite».

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venerdì 8 febbraio 2019

LA BCE AFFIDAVA A BLACKROCK GLI STRESS TEST SULLE BANCHE



La BCE ha dato in appalto la gestione degli stress test, dai quali dipende il commissariamento delle banche, alla più grande società che investe sulle banche al mondo: Blackrock. Valerio Malvezzi su Byoblu.

Fonte: www.byoblu.com