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giovedì 16 aprile 2020

Bambini e donne, ecco perché sono meno colpiti dal virus


Spiegato anche perché il sistema immunitario degli extracomunitari immigrati in Italia si comporta come quello dei bambini. In sintesi, la patogenesi del COVID-19 e le risposte dell’organismo, anche con interferenze di altri agenti microbici.




Il professor Giulio Tarro
Secondo l’esperienza della prima SARS e della MERS, i bambini non erano esposti allo zibetto ed ai cammelli, elementi di trasmissione del contagio; in maniera analoga si è pensato che potesse avvenire con la SARS da COVID-19. Invero i bambini vengono infettati dal virus senza subire una malattia seria e rappresentano una importante sorgente di infezione. Il virus viene rinvenuto nei loro tamponi rettali.
Crescendo, con l’età molte cellule specifiche del sistema immune non sono più attive e pertanto l’organismo perde la sua capacità di rispondere efficacemente. Infatti si è provato sperimentalmente che i topini giovani rispondono al danno tissutale polmonare dell’infezione virale mediante le prostaglandine, mentre i topi adulti soccombono.

Il sistema immune giovanile e le sue efficienti cellule T Helper rispondono al COVID della SARS 2. I linfociti CD4 delle cellule Helper stimolano le cellule B a produrre anticorpi contro il virus e controllano l’infezione. In questo caso i linfociti Th2 sono in grado di controllare la risposta infiammatoria provocata dall’infezione virale, impedendo una esuberante e ritardata reazione come avviene nell’adulto. L’assetto ormonale diverso e le stesse proglandine favoriscono il soggetto femminile nei confronti del coronavirus responsabile dell’attuale pandemia.
Un altro discorso importante riguarda il recettore ACE2 cioè l’angiotensin-converting enzyme 2. Sia la prima SARS che l’attuale presentano la stessa via di entrata cellulare attraverso questo recettore per i coronavirus. Il recettore è particolarmente abbondante sulle cellule delle vie polmonari inferiori, la cui situazione spiega l’alta incidenza di bronchiti e di polmoniti legate alla severa infezione del COVID-19. Lo stesso recettore è rappresentato con dovizia sulla bocca e sulla lingua, facilitando l’entrata virale dell’organismo ospite. Nonostante la sua riduzione con l’età adulta, l’enzima dell’ACE2 è un importante regolatore della risposta immune, in particolare l’infiammazione protegge i topi contro il danno acuto del polmone scatenato dalle sepsi. Nel 2014 è stato dimostrato che l’enzima ACE2 protegge nei riguardi dell’influenza aviaria letale. Alcuni dei pazienti con migliore esito avevano alti livelli della proteina nel loro siero. Bloccando il gene per l’ACE2 si osservava un severo danno polmonare nei topi infettati con H5N1, mentre con il trattamento dei topi con ACE2 umano diminuiva il danno polmonare.

Una caduta dell’attività dell’ACE2 nel soggetto anziano è in parte responsabile per la diminuita capacità di ridurre la risposta infiammatoria con la vecchiaia. La riduzione dei recettori ACE2 negli adulti più anziani li mette in condizione di non essere capaci di fare fronte al COVID-19.

Complesso primario e vaccino antitubercolare

Dai dettagli delle cartelle cliniche degli attuali ricoverati, come peraltro da quelli dimessi guariti e, purtroppo, dalle vittime, non sembra che vi sia alcuno straniero, nel senso di un extracomunitario. Sembra che questi soggetti – che per alcuni comuni del nord sono addirittura la maggioranza – possono avere una normale sindrome similinfluenzale (da coronavirus) senza che si sviluppi alcuna criticità. Sembra che si comportino come i bambini italiani che non si ammalavano di polmonite perchè erano vaccinati contro la turbercolosi, vaccinazione che dura per un ventennio. Dopo il ventennio cominciano ad ammalarsi di tubercolosi come adesso di COVID-19. Gli extracomunitari sono tutti coperti da vaccino della tubercolosi che fa parte di un protocollo di copertura previsto dalle ASL.

I virus non hanno pregiudizi nè di sesso, nè di censo, nè di etnia.  Circa il 90% delle persone infette dal Mycobacterium tuberculosis ha un’infezione TBC asintomatica (chiamata anche LTBCI, da latent tuberculsis infection), e solamente il 10% di possibilità nella vita che un’infezione latente si sviluppi in TBC.

L’infezione tubercolare inizia quando i micobatteri raggiungono gli alveoli polmonari, dove attaccano e si replicano all’interno dei macrofagi alveolari. Il sito primario di infezione nei polmoni è chiamato focolaio di Ghon. I batteri vengono raccolti dalle cellule dendritiche, che non permettono la loro replicazione ma che possono trasportare i bacilli ai linfonodi mediastinici locali.  La lesione primitiva del mycrobacterium, accompagnata da adenopatia satellite, rappresenta il “complesso primario”, in cui i bacilli rimangono murati senza dare luogo a manifestazioni cliniche, ma possono riprendere la loro attività patologica e diffondersi nell’ organismo soprattutto in seguito ad un immunodeficit dell’individuo.  Durante le Guerre Mondiali erano le Truppe di colore ad essere falcidiate dalla Tubercolosi dei Bianchi e non viceversa. Ovviamente poteva anche essere che di ritorno un bianco defedato, senza cibo adeguato, stressato per la guerra potesse a sua volta contrarla dagli stranieri ma la norma era che i soldati “di colore” la contraevano dai Bianchi.
Nella Sierra dell’Equador, normalmente tutti ricevevano la vaccinazione per la TBV, solo negli ultimi anni si è discusso se renderla opzionale. Questo confermerebbe l’osservazione che nella Sierra casi di infezione manifesta di COVID-19 ce ne sono veramente pochi.
In Australia, sono stati eseguiti test su 4mila medici e infermieri con il vaccino antitubercolosi (www1.racgp.org.au  – The Royal Australian College of General Practitioners).


Interferenze virali

Ci sono più fattori che possono aver interagito insieme e che spiegano la situazione. Si presume che i contatti con il virus cinese siano stati maggiori al Centro-Nord che non al Centro-Sud. A ciò si aggiunga la concomitanza delle situazioni ambientali e climatologiche, diverse fra Nord e Sud dell’Italia, arrivando addirittura ad ipotizzare che nel corso delle settimane si sia venuto a formare un coronavirus padano autoctono, diverso rispetto a quello cinese. Altre possibilità emergono dalle situazioni di Bergamo e Brescia, soprattutto, dove si presume che la circolazione di altri virus possa aver facilitato l’azione del SARS-Cov-2. Il problema, però, è stato soprattutto a monte: e cioè il non avere sufficienti posti letto in terapia intensiva, occupati in massima parte già a causa dell’influenza annuale. Sembra che la vaccinazione antinfluenzale favorisca l’infezione da coronavirus, addirittura maggiore del 36% come comunicato da uno studio militare americano: https://www.disabledveterans.org/2020/03/11/flu-vaccine-increases-coronavirus-risk/.
D’altra parte, dal momento che vi è stata una recente emergente meningite, sono state vaccinate 34.000 persone tra Brescia e Bergamo. Vi è stata una pubblicazione di studiosi olandesi stampata da un giornale scientifico dell’Università di Cambridge in cui sia la malattia meningococcica che pneumociccica sono stati associati con l’attività dei virus influenzali e di quello respiratorio sinciziale.


Percentuale di mortalità del COVID-19

L’Istituto Superiore della Sanità ha affermato di recente che sono pochi i morti per il coronavirus ed invece la maggior parte per altre patologie (cardiocircolatorie, tumorali, diabete, eccetera).
Il tasso di mortalità associato al COVID-19 potrebbe essere considerevolmente inferiore all’1%, anziché del 2% riportato da alcuni gruppi, come dichiarato da Anthony Fauci del National Institute of Allergy and Infectious Diseases statunitense sulla base di un rapporto incentrato su 1099 pazienti con COVID-19, confermato in laboratorio, provenienti da 552 ospedali cinesi. Questi pazienti presentavano un ampio spettro di gravità della malattia: se si presume che il numero di casi asintomatici o minimamente sintomatici sia di diverse unità di grandezza superiore a quello dei casi riportati, il tasso di fatalità della malattia ricadrebbe molto al di sotto dell’1%.

Ciò suggerisce che le conseguenze cliniche complessive del COVD-19 potrebbero in definitiva essere simili a quelle di una grave influenza stagionale, che presenta un tasso di fatalità dello 0,1% circa, o di un’influenza pandemica come quella del 1957 o del 1968, piuttosto che a quelle della SARS o della MERS, caratterizzate rispettivamente da una fatalità del 10% e del 36%. Fonte: popsci.it (New Engl. J. Med. online 2020).

Professor Giulio Tarro

giovedì 9 aprile 2020

Covid 19 – Le Oscure Vie Del Tampone


Paziente uno dove sei? Da dove arrivi veramente? Nessuno più sembra interrogarsi sull’originaria fonte di contagio che ha sterminato gli abitanti delle province di Bergamo, Brescia, Cremona e città limitrofe. Se non per la bella notizia, arrivata qualche ora fa, che è nata la bambina di Mattia, considerato da sempre il “paziente uno”. Lo ricorderete, quel trentottenne alto e robusto di Codogno, che avrebbe infettato la Lombardia e l’Italia intera per essere andato a cena con un collega di ritorno da un viaggio d’affari in Cina.

Un reparto di terapia intensiva
Ma sono davvero andate così le cose? E la leggenda, in qualche modo ormai rassicurante, sul “portatore sano” del virus (l’amico di Mattia tornato dalla Cina, sulla cui identità e sul cui destino mancano notizie), basta a spiegare ciò che finora rimane avvolto da un macabro, pesante mistero, e cioè l’esplosione, in quelle produttive e ordinate province lombarde, dotate di presidi sanitari all’avanguardia in Europa, di un contagio che non ha e non avrà mai uguali, per numero di infetti e di deceduti, in nessun’altra parte del mondo intero?
Di sicuro, dati alla mano, Brescia resta uno dei tragici focolai della malattia, con 1.753 morti (ad oggi, 8 aprile) dall’inizio dell’epidemia, di cui 58 solo nelle ultime 24 ore: un boom di contagi sulle cui cause nessuno ha saputo finora offrire una spiegazione logica, o quanto meno accettabile. E nel giorno in cui finalmente la Procura di Bergamo – notizia di questi ultimi minuti – apre un’inchiesta per accertare quali siano state le cause effettive della strage in zona, gli interrogativi sono sempre più legittimi.

Ma davvero questa ecatombe può essere dipesa solo dall’amico dell’atleta Mattia?
E quali imprese locali avevano – ed hanno – intensi rapporti commerciali pressoché quotidiani con la Cina, o addirittura imponenti filiali laggiù?

La sede della Copan a Brescia
La risposta, per chi ha seguito attentamente l’andamento da brivido dell’epidemia in Italia, è scontata. Dal punto di vista delle localizzazioni, è Brescia il quartier generale della Copan, l’unica multinazionale che, grazie ad uno straordinario brevetto registrato nel 2004, fornisce tamponi per analisi virologiche in tutto il mondo. Compresa la Cina, dove l’azienda ha una sede stabile da anni a Shangai (oltre a quelle in Giappone, Stati Uniti e Porto Rico). Ed è proprio attraverso quel materiale brevettato che ogni tampone effettuato consente di raccogliere fino all’80 per cento in più di materiale biologico potenzialmente infetto da analizzare.
La Copan di Brescia, diciamolo subito, è un’azienda modello, autentico vanto del nostro Paese. Una di quelle imprese nate dalla tenace passione di un industriale locale, Giorgio Triva, tanto lungimirante da aver intuito già venti e passa anni fa le potenzialità di sviluppare la ricerca nel settore delle più avanzate analisi di laboratorio, sbaragliando poi, grazie al brevetto sui tamponi, ogni possibile competitor anche su scala internazionale.

IL FANTASMA DI HEILBRON
L’exploit arriva nel 2011 quando la tragica scomparsa della piccola Yara Gambirasio da Brembate di Sopra fa balzare la Val Seriana sui media di mezzo mondo e il pm di Bergamo Letizia Ruggeri decide di far “tamponare” mezza Lombardia (oltre 18.000 persone) per cercare l’inafferrabile “Ignoto 1”. Ruggeri affida alla Copan di Brescia l’incarico di fornire i tamponi, costati allo Stato italiano quasi tre milioni di euro.

Il pm del caso Yara, Letizia Ruggeri
In un articolo dell’epoca pubblicato sul periodico online linkiesta, per spiegare quanto risultino delicate simili analisi, si ricorda che negli anni novanta investigatori di mezza Europa erano all’inseguimento del serial killer soprannominato il “Fantasma di Heilbron”, il cui Dna fu repertato in diversi omicidi e rapine tra Austria, Francia e Germania. Ma «solo nel 2009 si scoprì che i tamponi di cotone usati per il prelievo del Dna dalle scene del crimine, prodotti tutti da una stessa ditta in cui erano impiegate donne dell’Europa dell’Est, non erano conformi agli standard e quindi il Dna delle lavoratrici, che si era sparso per tutta Europa veicolato da quei tamponi, combaciava con quello fantasma».
«La soluzione del mistero – chiariva a luglio 2017 il Corriere della Sera – è a un tratto lampante: dietro la donna senza volto, in realtà, si nasconde un caso di materiale contaminato… La polizia svolge nuovi test. In poche settimane il fantasma di Heilbronn ha finalmente un nome e un volto, ma non sono quelli di un serial killer. È l’ignara impiegata di una fabbrica di cotton fioc, che aveva contaminato con il suo Dna decine di tamponi, destinati alle polizie scientifiche di mezza Europa. “Avevano un doppio incarto, pensavamo che fossero la Mercedes dei tamponi”, dirà alla Bild un investigatore incredulo».

Ecco, quello che vale la pena di domandarci ora è se non possa essere accaduto involontariamente qualcosa di simile a Brescia, dove il colosso Copan presumibilmente intrattiene di regola scambi continui con la filiale cinese.
«La Copan – scrive lo scorso 2 marzo il Giornale di Brescia – con sedi a Shanghai (Cina), a Kobe (Giappone), a Murrieta (California) e Aguadilla (Porto Rico), già da fine gennaio si era impegnata nella consegna dei suoi tamponi in Oriente per contrastare appunto l’epidemia del coronavirus».


Lo stemma della Polizia cinese
A marzo l’azienda bresciana era peraltro già finita sui media per l’invio di una massiccia fornitura di tamponi agli Stati Uniti (partiti con voli militari dalla base Usa di Aviano), proprio mentre l’Italia e la Lombardia erano alla disperata ricerca di quei presidi sanitari. La Copan aveva tempestivamente risposto, spiegando che si trattava di una fornitura già da tempo commissionata e che ciò non avrebbe impedito il normale rifornimento alle aziende ospedaliere nostrane. Il che, a quanto risulta, si è puntualmente verificato, grazie anche ai ritmi contingentati del lavoro ed all’alta professionalità, sia del management che degli addetti. Con 110 milioni di fatturato, 450 addetti, di cui 300 donne, già prima che nel mondo divampasse la pandemia Copan produceva 250 milioni l’anno di tamponi per indagini patologiche forniti alle polizie di mezzo mondo. Comprese Scotland Yard, FBI e Jǐngchá, la Polizia della Repubblica Popolare Cinese.

mercoledì 8 aprile 2020

VOCE DELLE VOCI - NEWSLETTER SPECIALE CORONAVIRUS - 8 APRILE 2020


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NEWSLETTER SPECIALE CORONAVIRUS
8 APRILE 2020


COVID 19 – LE OSCURE VIE DEL TAMPONE

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Tutta la verità sul Coronavirus dal virologo di fama internazionale Giulio Tarro



Il professor Giulio Tarro
In Cina e nel mondo continua la propagazione del COVID-19 come lo ha battezzato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avvertita sin dal 31-12-2019 della nuova SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome). L’epidemia ha un suo numero di riproduzione di base, R0, che viene considerato meno di 1 quando si esaurisce nel passaggio da un individuo all’altro e tende a salire come nella precedente epidemia di SARS (2002-2003) tra 2 e 4 per arrivare al morbillo con valori di 12-18. L’attuale R0 è stimata tra 2 e 3. Più di 70mila sono i contagiati in data odierna 17-2-2020, con quasi 2mila morti. I voli con la Cina sono stati sospesi, mentre l’influenza stagionale ha contagiato e fatto morire un maggior numero di persone. Come prevenzione si suggerisce quanto già conosciamo per raffreddore ed influenza: frequente ed approfondito lavaggio delle mani e del viso, coprirsi con il gomito da tosse e starnuti, anche con mascherine ad hoc, stare a casa se ammalati, richiedendo l’immediato intervento sanitario se le difficoltà respiratorie riguardano soggetti al rientro dalla Cina da due settimane o meno (periodo di incubazione dell’attuale malattia da coronavirus, 2-14- giorni). La città di Wuhan con 11milioni di abitanti e la provincia di Hubei in Cina vengono considerate l’epicentro della nuova epidemia da coronavirus (2019-nCoV). Il 30 gennaio l’OMS ha dichiarato questa epidemia un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale (Public Health Emergency of International Concern, PHEIC). Gli Usa hanno dichiarato il 2 febbraio la quarantena federale, due settimane di isolamento, per la prima volta dopo quella degli anni 60 che riguardava il vaiolo (National Center for Immunization and Respiratory Diseases, CDC). Il periodo di isolamento coincide con quello del maggior tempo tra l’esposizione e l’inizio della sintomatologia, cioè 14 giorni sia fuori che all’interno della Cina.
Nel tentativo di contenere il nuovo coronavirus per la sua facile diffusione, un punto cruciale è di stabilire se le persone contagiate possano trasmettere l’infezione senza sintomi. Secondo A. Fauci, direttore dell’NIAID (National Institute of Allergy and Infectious Diseases), questa trasmissione asintomatica può avvenire riportando quanto comunicato da affidabili colleghi cinesi. Tuttavia le due precedenti epidemie da SARS e MERS (Middle-East Respiratory Syndrome) si sono propagate da individui con sintomi di malattia. Maria van Kerkhove (OMS) afferma, per esperienza di altre malattie presentate come asintomatiche, che quando si cerca di approfondire l’anamnesi personale, i pazienti si trovano all’inizio della sintomatologia e pertanto non sono completamente asintomatici.


Anche il personale sanitario sta pagando un grosso contributo alla patologia della nuova SARS con 1800 soggetti contagiati dal nuovo virus a metà febbraio e sei mortalità fra cui il Dr. Li Wen Liang, l’oculista che per primo ebbe sentore dello scoppio di una nuova epidemia lavorando al Wuhan City Central Hospital. Per il suo grido di allarme il 30 dicembre 2019, il giorno prima che le autorità cinesi comunicassero all’OMS dello scoppio di una epidemia cittadina di polmonite atipica, il Dr. Li ha dovuto fare marcia indietro per evitare di seminare il panico secondo le forze locali di polizia. Egli si infettava per un intervento di glaucoma su un paziente infetto il 10 gennaio e la diagnosi gli veniva confermata il 30 per morire il 7 febbraio. Giustamente considerato adesso un eroe anche al China Center for Disease Control.
Tra il riconoscimento di un neonato infettato alla nascita (primo febbraio) e migliaia di turisti bloccati sulle navi ad Hong Kong e in Giappone per la quarantena, sulla nave Diamond Princess a Yokoahma il 10% delle persone, 355, risulta infetto tra il 5 ed il 16 febbraio, si riesce a costruire in 10 giorni un nuovo ospedale a Wuhan per il ricovero dei nuovi pazienti ed un secondo viene completato la settimana successiva (6 febbraio).

L’attuale epidemia ha superato la SARS precedente (2002-2003: 8096 casi diagnosticati e 774 morti) nel numero dei contagiati e dei morti a quasi 50 giorni (17 febbraio) dalla sua scoperta, oltre 70mila infetti e più di 1900 morti. Insieme alla Cina, dove c’è il 99,1% di casi riportati, vi sono altri 28 paesi che denunciano altri casi in lieve aumento, non solo nella stessa area geografica dell’Asia, Giappone, Singapore, Tailandia, Hong Kong, Corea del Sud, Taiwan, Malesia, Vietnam, ma anche in altri continenti, Australia, America (Usa, Canada), Europa (Francia, Germania, Italia) ed ora anche l’Africa (Egitto, 14 febbraio). La domanda principale riguarda la provenienza del nuovo coronavirus: osservando le nuove sequenze è paragonabile a quello che abbiamo già, sembra che sia un ricombinante di coronavirus conosciuti in precedenza. Al 20 gennaio 2020 ben 14 sequenze genomiche del 2019-nCoV sono state comunicate da 6 diversi laboratori che fanno capo al National Center for Biotechnology Information’s Genbank e al GISAID (Global Iniziative on Sharing All Influenza Data).
I meccanismi molecolari che sono alla base della funzionalità e della patogenesi di questo nuovo virus sono stati studiati dai ricercatori dell’accademia cinese di scienze mediche e dall’Union Medical College di Pechino. Utilizzando 3 genomi del COVID-19, che sono stati sequenziati da campioni raccolti il 30-12-2019 e l’1-01- 2020 dalla National Institute Viral Disease Control and Prevention, che fa parte del CDC cinese e sono disponibili mediante il GISAID. Queste sequenze genomiche sono state paragonate a coronavirus tipo SARS di pipistrelli, a coronavirus della SARS umana e a coronavirus della MERS umana. Soltanto 5 nucleoditi sono stati trovati diversi su un totale di 29800 nucleoditi dei 3 genomi di COVID-19 e sono stati anche identificati 14 “open reading” frammenti, capaci di codificare per 27 proteine, includendo 4 proteine strutturali e 8 proteine accessorie. Ricerche precedenti indicano che le proteine accessorie possono mediare la risposta della cellula ospite nei riguardi del virus, che può influenzare la patogenicità e può fare parte della particella virale. Le proteine strutturali sono ben conservate tra tutti i coronavirus, mentre quelle accessorie sono generalmente uniche per ogni specifico gruppo di coronavirus. Le sequenze degli aminoacidi mostrano le connessioni di questi nuovi virus ai coronavirus tipo SARS del pipistrello ed una maggiore distanza dal coronavirus della SARS. Ancora più distante è il rapporto del COVID-19 dal coronavirus della MERS. I risultati di queste ricerche sono stati pubblicati su Cell Host & Microbe (A. Wu et al., “Genome composition and divergence of the novel coronavirus (2019-nCoV) originating in China”, doi:10.1016/j.chom.2020.02.001,2020. L’analisi del genoma del coronavirus COVID-19 dimostra chiaramente che appartiene ad un ramo filogenetico distinto da quello della SARS, anche se entrambi sono derivati dal coronavirus tipo SARS isolato nel pipistrello. Come il nuovo coronavirus sia mutato e si sia adattato all’uomo in breve tempo deve ancora essere focalizzato, sembra un ricombinante di un numero di diversi coronavirus conosciuti. È la terza volta che succede in 17 anni e non possiamo sapere se rappresentiamo l’ospite finale. “Almeno 50 coronavirus sono stati isolati nei pipistrelli (per lo più dall’intestino) che rappresentano il vero serbatoio di questa famiglia virale”. Cerchiamo adesso di stabilire l’eziopatogenesi, cioè il come ed il perché dell’attuale SARS e soprattutto come possiamo prevenire futuri scoppi epidemici. La sindrome respiratoria del medio oriente (MERS) ci aiuta a capire la porta di entrata delle cellule da parte del virus sia del pipistrello che dei cammelli o dei diversi animali (zibetto, furetto, roditori, maiali, cani, gatti, scimmie) per arrivare poi a noi umani. Prima i serpenti poi il pangolino (un formichiere) sono stati ipotizzati come animali intermedi nell’attuale epidemia.
La trasmissione originale all’uomo è verosimilmente avvenuta mentre si preparava la carne cruda da animali che sono il serbatoio di questi virus, ci si infetta attraverso abrasioni e tagli della cute. Questo procedimento è simile a quello avvenuto per il virus ebola e per l’HIV (AIDS) che presumibilmente sono emersi nella popolazione umana a causa della preparazione di carne proveniente da animali selvatici in Africa.

Per spiegare i recenti casi di trasmissione interumana, si è risaliti a pazienti capaci di diffondere più facilmente il virus per via aerea (aerosol) come per l’influenza ed anche osservato per la MERS nell’episodio epidemico avvenuto in Corea del Sud (2015).
Si è fatta l’ipotesi di certi superdiffusori cioè individui infetti capaci di spargere la loro infezione ad un largo numero di soggetti, causando casi secondari e multipli che disseminano il virus più a largo raggio. Questa situazione peggiora logicamente l’epidemia se si tratta di viaggiatori internazionali.
Da pochi giorni del tutto inaspettatamente l’Italia, che per prima aveva bloccato i voli da e per la Cina si trova al terzo posto della classifica dei paesi per numero di soggetti contagiati. Infatti con i dati odierni di 77150 contagiati in Cina e 2512 morti, dei 634 contagiati fuori dal territorio cinese vi è la Corea del Sud con 602 casi diagnosticati ed adesso si è inserita l’Italia con 152 contagiati e 3 vittime, precedendo il Giappone con 135 casi, Singapore 85 casi, Hong Kong 69 casi, la Tailandia con 35 casi, l’USA con 31 casi, l’Iran con 28 casi e via di seguito (29 nazioni). A parte stanno i casi della nave Diamond Princess con ben 630 casi. In Italia le regioni che pagano il tributo sono le stesse che hanno la maggiore attività produttiva e quindi più milioni di tonnellate di prodotti speciali. Lombardia 112 pazienti (di cui un medico) e di cui 2 vittime, il Veneto con 21 pazienti ed 1 vittima, l’Emilia-Romagna con 9 pazienti di cui 3 sanitari, di cui 2 medici e Piemonte con 6 casi diagnosticati. Infine il Lazio con la famosa coppia cinese che avevano rappresentato i primi casi in Italia e il 56iesimo soggetto del volo militare per recuperare gli italiani di Wuhan. C’è soltanto da commentare che dei casi cinesi diagnosticati 25mila sono già guariti, mentre in Italia siamo da tre giorni in piena sindrome da panico senza considerare in particolare che il centro di controllo delle malattie (CDC) in Cina riporta un andamento clinico mite per ben l’81% dei soggetti affetti dal coronavirus, con solo 4,7% di decorso grave, ed il 13,8% intermedio.

Le prospettive a questo punto dipendono dal comportamento epidemiologico tipo prima SARS esaurendosi e rimanendo una zoonosi nella provincia di origine oppure dando luogo ad epidemie sporadiche come la MERS e l’influenza aviaria relativamente per pochi individui ovvero, infine, diventando una virosi respiratoria umana stagionale come nel caso dell’ultimo virus influenzale del 2009 o degli altri coronavirus regionali meno aggressivi.
In attesa della preparazione di un vaccino specifico che possa prevenire la ulteriore diffusione di questo coronavirus COVID-19, previsto secondo l’OMS tra 18 mesi, bisogna tenere presente una terapia sintomatica e similare a quella dell’influenza stagionale, specialmente per i soggetti più anziani e con svariate patologie che li rendono più sensibili al virus – diabetici, cardiopatici, broncopatici eccetera.
Gli antibiotici servono per le infezioni batteriche secondarie, mentre i cortisonici vengono sconsigliati.
Infine gli antivirali suggeriti vanno dall’Interferon e la Ribavirina, alla terapia antiHIV con Lopinavir/Ritonavir per finire al nuovo prodotto Remdesivir usato per l’ebola. Ovviamente come le gammaglobuline per il tetano, gli anticorpi del plasma dei soggetti guariti rappresentano un logico impiego per i pazienti più gravi.

Prof. Giulio Tarro
Primario emerito dell’ Azienda Ospedaliera “D. Cotugno”, Napoli
Chairman della Commissione sulle Biotecnologie della Virosfera, WABT –  UNESCO, Parigi
Rector of the University Thomas More U.P.T.M., Rome
Presidente della Fondazione  de Beaumont Bonelli per le ricerche  sul cancro – ONLUS, Napoli