giovedì 10 ottobre 2019

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mercoledì 9 ottobre 2019

Nikola Tesla, nel graphic novel di Sergio Rossi e Giovanni Scarduelli la storia dell’inventore “romantico”


Cosa: “Nikola Tesla”, graphic novel di Sergio Rossi e Giovanni Scarduelli Chi: intervista a Sergio Rossi Editore: Becco Giallo
Da sempre il nome di Nikola Tesla attiva la curiosità dei lettori, come di chi si occupa di scienza. Questo prolifico inventore serbocroato, che immigrò negli Stati Uniti a fine Ottocento, sembra rappresentare il lato oscuro della creatività in ambito scientifico. Infatti Tesla registrò in vita praticamente la stessa quantità di brevetti del suo prima socio poi antagonista Thomas Alva Edison, ma non seppe monetizzare le proprie idee. Uno scienziato non tanto avvolto da un’aura di maledettismo, quanto di sfortuna. Uno scienziato che però, per la sua dote di “vedere oltre” reale o fittizia non importa, ancora oggi raccoglie consensi e attenzioni. Non si spiegherebbe altrimenti il perché un miliardario come Elon Musk abbia voluto chiamare la sua compagnia automobilistica, interamente dedicata alla creazione autovetture futuribili, proprio Tesla Motors.
A Tesla Sergio Rossi (testi) e Giovanni Scarduelli (disegni) hanno dedicato un graphic novel edito per Becco Giallo e intitolato sobriamente Nikola Tesla. Ancora una volta, non sono tanto le invenzioni, ma l’uomo, lo scienziato a essere centro attivo, a mettere in moto la narrazione.
Sergio Rossi, che a Bologna ha da sempre casa, si è cimentato su una storia che, in qualche misura, gioca fra elementi didascalico-informativi e pura invenzione, puntando molto anche sul non detto, sull’assenza, sulla sottrazione. In questo aiutato dalle tavole in bianco e nero di Scarduelli, per altro al suo esordio. Ma, in Rossi, vi è forse un altro motivo meno evidente per questo suo riprendere la figura di Tesla.
«Per chi come me ha studiato fisica, Tesla è un nome molto noto:. Non solo ha inventato la macchina che converte la corrente continua in alternata, ma anche l’unità di misura della densità del campo magnetico porta il suo nome. Fuori dal mondo scientifico, Tesla è più noto per le bizzarrie e i presunti complotti legati alle invenzioni che non ha mai realizzato e che hanno ispirato molte leggende e molte storie. Era quindi un ottimo personaggio per un fumetto o un romanzo.»
In questo caso per un romanzo grafico…
«Precisamente.»
Nato da una tua idea?
«In realtà la proposta è venuta da Davide Calì, un grande scrittore, che aveva già contattato Becco Giallo. Io ho raccolto la proposta e l’ho sviluppata rendendola mia.»
Tornando a Tesla, oltre alla Fisica, cosa ti ha appassionato nella vita e nell’opera di questo croato che negli Stati Uniti trova gloria ma sperimenta anche disastrose cadute?
«Mi appassiona proprio la parabola di un uomo geniale che ha contributo a costruire il mondo che conosciamo. Ma mi appassiona anche il perché non abbia voluto studiare la Meccanica quantistica e la Relatività, le due teorie che avrebbero potuto far funzionare davvero le sue invenzioni e che aveva visto nascere. Non solo ha preso il bivio sbagliato, ma si è ostinato a rimanerci con tutte le conseguenze del caso: un personaggio tragico.»
Però è uno fra gli scienziati che fra fine Ottocento e inizi Novecento ci ha cambiato la vita, anzi: è fra quelli che hanno cambiato il mondo. Ma, appunto, uno fra altri. Perché a tuo avviso non è così?
«Sia perché il suo nome è legato a un’unità di misura usata tutti i giorni dai professionisti, basta chiedere a chi usa le macchine a risonanza magnetica; sia perché, banalmente, usiamo la corrente alternata. Il suo nome è poi legato a quello di Thomas Edison nella “Guerra delle correnti”, ossia la lotta per il controllo del mercato della corrente elettrica alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti, che portò alla successiva elettrificazione del mondo. Edison era per la continua, Tesla per l’alternata, ma aveva ragione da vendere quest’ultimo. È un episodio raccontato nel film The Current War, di Alfonso Gomez Rejon, dove Tesla viene interpretato da Nicolas Hoult, mentre Edison è impersonato da Benedict Cumberbatch. Un film con un problema: il produttore. A produrlo è stato infatti Harvey Weinstein: chissà se uscirà mai.»
Le ultime notizie lo danno in uscita per questo ottobre.
«Speriamo. Sarebbe molto interessante vedere come viene trattato Tesla.»
Che come scienziato, nel nostro immaginario, appare forse più romantico rispetto ad altri suoi colleghi. Per esempio, Edison e Westinghouse, altri due grandi inventori con cui Tesla ha a che fare, appaiono molto pratici al suo confronto: sono imprenditori, sfruttano le loro invenzioni a fini economici, non si fermano al piacere della creazione.
«George Westinghouse aveva inventato i freni pneumatici per i treni, ma era soprattutto un industriale, quindi per lui il piacere era far soldi: infatti il suo nome è ancora oggi legato a una multinazionale. Edison era un grande autodidatta, aveva grandi idee, ha inventato la lampadina e il fonografo tra le tante, ma era anche un affarista spietato, forse dovuto al fatto che era nato poverissimo e lavorava da quando aveva dieci anni, chissà. Tesla aveva un altro temperamento rispetto ai due, e un altro vissuto. Gli interessavano solo le sue invenzioni, e probabilmente aveva un comportamento instabile, come mostrano le sue tante manie.»
Il romanzo che hai creato a quattro mani con Giovanni Scarduelli è giocato sulle assenze e da un presente che si volta a guardare il passato. Manca cioè la presenza fisica di Tesla, mentre la sua vita è raccontata “di riporto”. Perché hai scelto di sviluppare in questo modo la storia? Voglio dire, va bene l’alone di mistero e di follia che circonda l’inventore, ma non sarebbe stato più gestibile un racconto che lo facesse vedere vivo e attivo?
«Un Tesla vivo e attivo lo ha già raccontato benissimo Jean Echenoz nel bel romanzo Lampi, edito da Adelphi, quindi avrei fatto una copia. Inoltre a me piaceva raccontare sia come fosse stato possibile che un genio come Tesla avesse perso i treni della Quantistica e della Relatività – fatto che per me rimane IL vero mistero di questo scienziato –  sia come la sua figura fosse stata travisata. Inoltre come questa svista complottista, abbia ancora oggi presa sulle persone. Faccio un esempio. A una presentazione a Padova, mentre Giovanni le dedicava la sua copia del libro, una signora del pubblico mi ha detto, molto seriamente e molto pensosa, come se portasse un fardello di responsabilità enorme, che lei ha le prove di come la CIA (sì, proprio quella CIA) abbia insabbiato tutte le invenzioni di Tesla. Sembrava uscita dal nostro fumetto, e invece era lì, davanti a noi in carne e ossa.»
Quanto tempo vi è servito per coordinarvi da sceneggiatura a tavole definitive?
«Tra tutto qualche mese, forse un anno, ma solo perché io ho consegnato tardi, lo confesso. Quando ha avuto la sceneggiatura, Giovanni è stato bravo e veloce.»
Nel vostro romanzo grafico la vita di Tesla è la base di un possibile film, con annesso mistero. Come si ricollega questo elemento finzionale a Tesla?
«Tesla è molto citato da registi e fumettisti. Esiste davvero un film su Tesla, reperibile su Youtube, dove appunto si dà adito ai vari complotti, mentre come personaggio appare in The prestige di Christopher Nolan, dove è interpretato da David Bowie. Ci sono poi molti fumetti dove le sue invenzioni sono alla base della narrazione. Io stesso l’ho conosciuto, molti anni fa, in un numero speciale di Martin Mystere, uno dei tanti personaggi editi da Bonelli editore, scritto da Alfredo Castelli e disegnato da Giampiero Casertano.»
Quanto è mutata la sceneggiatura che avevi creato quando Scarduelli ha iniziato a lavorarci? E come avete lavorato? Sessioni dal vivo oppure tutto a distanza, via telefono, Skype ecc.?
«A dire il vero l’abbiamo mutata poco perché, dopo le prime tavole, l’ho rifinita sul suo disegno. Abbiamo lavorato per telefono, mail, whatsapp, e anche di persona. Mi mandava le matite, ne discutevamo e quindi le finiva. Giovanni si era appassionato alla storia e al personaggio, ed è stato bravissimo a far recitare i personaggi e a rendere le invenzioni e le foto dell’epoca.  Tesla è stato il suo primo libro a fumetti, e l’ha risolto con un impegno, una qualità e una professionalità da autore veterano.»

lunedì 7 ottobre 2019

Le auto elettriche coi motori nelle ruote


Indigo Technologies è una piccola azienda del Massachusetts (Stati Uniti) con una grande ambizione: cambiare il modo in cui funzionano le automobili elettriche, per renderle ancora più efficienti. Il suo fondatore, Ian Hunter, ha progettato e realizzato un motore elettrico che può essere inserito direttamente all’interno di ogni ruota, consentendo di ridurre i consumi e di aumentare l’affidabilità dei veicoli, grazie alla minore complessità della meccanica. Come 
racconta un articolo dell’Economist, Hunter non è il primo ad avere pensato a ruote motorizzate, ma la sua soluzione sembra essere più promettente dei prototipi circolati finora, che hanno fallito nel risolvere alcuni dei problemi tecnici e pratici.
La storia dell’automobile elettrica è molto più antica di quanto si possa immaginare. All’inizio del Novecento la possibilità di impiegare l’elettricità per muovere i veicoli era stata ampiamente esplorata, con sistemi all’avanguardia per l’epoca. All’Esposizione di Parigi del 1900, per esempio, l’ingegnere tedesco Ferdinand Porsche (il fondatore dell’azienda automobilistica Porsche) presentò un’auto che aveva un motore elettrico incorporato in ciascuna delle due ruote anteriori. In questo modo, aveva spiegato Porsche, erano stati esclusi componenti meccanici come cinghie di trasmissione e ingranaggi, rendendo più semplice la manutenzione.
La Lohner-Porsche poteva raggiungere i 35 chilometri orari e aveva un’autonomia di circa 50 chilometri. Era alimentata da batterie al piombo, non molto diverse da quelle che sono utilizzate ancora oggi nelle automobili per alimentare i loro circuiti elettrici. Come altri produttori di auto, alla fine anche Porsche decise di abbandonare la strada dell’elettrico, affidandosi ai motori a combustione interna che offrivano maggiore autonomia e flessibilità.

(Porsche)
Nei quasi 120 anni successivi, comunque, altri produttori e progettisti valutarono la possibilità di produrre automobili elettriche con i motori inseriti direttamente nelle ruote, sfruttando naturalmente soluzioni più moderne e pratiche della Lohner-Porsche. Prima o poi tutti dovettero fare i conti con alcune complicazioni, che finora non hanno permesso a questa tecnologia di diffondersi, o per lo meno di essere sperimentata con maggiore continuità dai produttori di automobili.
Un primo problema è che trasferire il motore dall’interno dell’auto alla ruota comporta una maggiore esposizione alle intemperie e agli agenti esterni. I componenti devono quindi essere ben isolati, per evitare che polvere e detriti possano compromettere il funzionamento del motore, o che l’acqua causi cortocircuiti. L’altro problema è legato al fatto che i motori appesantiscono le ruote, facendo aumentare la massa dell’auto che non può beneficiare della presenza degli ammortizzatori. Le ruote più pesanti fanno sì che il viaggio per gli occupanti dell’auto risulti meno confortevole e che l’auto stessa sia più difficile da governare.
Questi e altri ostacoli hanno fatto sì che finora i produttori di automobili elettriche abbiano imitato schemi e concezioni già applicate per le auto tradizionali. Di solito il motore elettrico è collocato nella parte frontale o posteriore (in alcuni casi i motori sono due, uno davanti e uno dietro) ed è poi collegato alle ruote, tramite un sistema per la trasmissione del movimento e per poter sterzare. La quantità di componenti meccanici è enormemente inferiore rispetto a quella delle auto tradizionali, ma ci sono comunque di mezzo diverse cose che potrebbero rompersi.
Indigo dice di avere risolto questi problemi grazie a T1, il suo sistema da inserire nelle ruote e che non è semplicemente un motore elettrico. Oltre a fornire il movimento, l’apparato comprende freni, un sistema attivo di sospensioni e uno per sterzare, riducendo al minimo le componenti meccaniche necessarie per realizzare l’auto.
La maggior parte dei problemi elettrici è stata risolta impiegando un motore che funziona a 48 volt, a fronte dei 400 utilizzati nella maggior parte delle attuali automobili elettriche. Questa scelta ha permesso di rendere il motore più facile da isolare, più resistente e più economico da produrre.
Ian Hunter ha spiegato all’Economist che i suoi T1 eliminano la necessità di avere un albero di trasmissione (che nelle auto tradizionali collega il motore alle ruote), le sospensioni e altri componenti meccanici piuttosto pesanti. La riduzione di peso consente di usare motori che consumano meno, e di conseguenza di installare batterie meno voluminose e pesanti. Oltre a essere più semplici da gestire, possono essere ricaricate più velocemente e anche attraverso i sistemi di ricarica che sfruttano le fasi di frenata. La minor massa complessiva del veicolo riduce inoltre il problema degli ammortizzatori, anche grazie al sistema di sospensioni inserito nelle ruote insieme al motore elettrico.
Indigo ha sviluppato diversi prototipi per testare il suo sistema ottenendo risultati incoraggianti, sia per quanto riguarda l’autonomia sia per quanto riguarda la sicurezza. Ogni ruota è infatti indipendente dalle altre e può sfruttare in ogni momento la potenza necessaria per superare particolari asperità del terreno, od ostacoli. Questo si traduce in una migliore tenuta di strada e una maggiore stabilità del veicolo.
Al momento Indigo non ha in programma la costruzione di una propria automobile, ma sta lavorando con diverse aziende automobilistiche per far conoscere le sue soluzioni tecnologiche. Entro la fine dell’anno potrebbe stringere i primi contratti, con la prospettiva di introdurre i suoi motori sulle automobili a guida autonoma.