giovedì 28 marzo 2019

Gli USA: uno Stato-canaglia al servizio della propria economia

Improvvisamente, la classe possidente francese diventa consapevole dell'uso economico che gli Stati Uniti fanno del sistema giudiziario. Dal 1993 il Dipartimento per il Commercio ha creato un Trade Promotion Coordinating Committee e un Advocy Center, direttamente collegato alle agenzie d'intelligence. Più di recente, il Dipartimento di Giustizia ha interpretato le leggi statunitensi in modo da estendere il proprio potere all'estero ed esercitarlo, insieme alle altre amministrazioni, nell'interesse delle grandi aziende USA. Di fatto, i processi intentati contro le imprese europee non sono in relazione con le violazioni di cui vengono accusate. Sono processi concepiti per portarle al fallimento o consentirne l'acquisizione da parte di società USA.

In pochi mesi, Frédéric Pierucci è passato brutalmente dallo status di presidente della filiale "calderone" di Alstom a quello di detenuto sottoposto alle drastiche condizioni della vita carceraria statunitense…
Ecco riassunto in poche parole il percorso di un dirigente francese in balìa della giustizia USA… Il caso Pierucci consente di fare diverse considerazioni sul piano economico e strategico.
In un libro-testimonianza, intitolato Le piège américain. Otage de la plus grande entreprise de déstabilisation (La trappola americana. Ostaggio della più grande impresa di destabilizzazione), un ex dirigente Alstom svela i retroscena dell'acquisizione del gruppo francese da parte della statunitense General Electric (GE) [1].
Pierucci, un «fantoccio nelle mani della giustizia americana», fu «vittima della strategia» del PDG Patrick Kron. La storia personale di Pierucci illustra la guerra economica degli Stati Uniti contro l'Europa, finalizzata a impadronirsi dei pezzi da novanta dell'industria del Vecchio Continente, usando la giustizia come leva per piegare le imprese, ricorrendo sia a restrizioni fisiche, quali sono le reclusioni abusive, sia a costrizioni finanziarie, usando l'espediente di ammende esorbitanti che farebbero cadere interi Paesi.
Per una vicenda di corruzione in Indonesia, risalente agli inizi degli anni Duemila, Pierucci viene arrestato senza troppi riguardi il 14 aprile 2013, all'arrivo all'aeroporto di New York, e messo subito in isolamento, pressoché senza contatti con la famiglia; l'arresto avviene all'incirca un anno prima dell'annuncio, il 24 aprile 2014, dell'acquisizione di Alstom da parte di GE.
Quel che più meraviglia è sicuramente la rapidità con cui si sono conclusi i negoziati per una transazione di simile portata: secondo Kron le trattative tra Alstom e GE sono iniziate il 23 marzo 2014 e la vendita si è conclusa il 23 giugno 2014. La transazione è consistita nell'acquisto da parte della General Electric del ramo energia del gruppo francese, per un importo di 12,35 miliardi di euro; poiché la legislazione USA prevede deduzioni fiscali per le imprese che investono all'estero, GE ha sborsato in realtà solo 8,35 miliardi di euro [2].
Al di là delle vicende interne di Alstom, che determinarono le relazioni di Pierucci con il PDG dell'epoca, Kron, e del ruolo avuto da quest'ultimo nell'acquisizione del gruppo francese da parte di GE, è lecito porsi domande sullo scopo dell'arresto di Pierucci e, soprattutto, sul carattere "abituale" delle procedure nei confronti di gruppi stranieri, in particolare europei, per far concludere a gruppi statunitensi operazioni finanziariamente e strategicamente redditizie.
Nel libro citato, scritto con il giornalista Matthieu Aron, Pierucci afferma che «le azioni giudiziarie americane [statunitensi, Ndr] sono senz'altro all'origine della disgregazione di Alstom». Pierucci, convinto di non aver nulla da rimproverarsi, tanto più che era stato assolto da un'inchiesta interna di Alstom, è certo di un suo rapido proscioglimento. Nel libro l'ex presidente della filiale Alstom rivela che in realtà la giustizia USA mirava al PDG del gruppo. «Noi vogliamo perseguire la direzione generale di Alstom, in particolare Matthieu Kron» dice a Pierucci, poco dopo il suo arresto, il procuratore federale del Connetticut, David Novick.
Pierucci non sarebbe stato avvertito da Alstom che il Dipartimento di Giustizia (DoJ) [3] aveva aperto un'inchiesta nel 2009 sull'«affare indonesiano» e si rende conto che Kron «ha voluto fare il furbo», «facendo credere che l'azienda collaborava e facendo in realtà il contrario». Il dipendente di Alstom finirà per dichiararsi colpevole e sarà licenziato.
Al di là di questa storia, dietro l'arresto-condanna di Pierucci c'erano in gioco poste importanti che riguardano non la sua persona, bensì uno dei fiori all'occhiello dell'industria francese.
Per sfuggire ai procuratori statunitensi, l'ex PDG di Alstom deve aver pensato che la soluzione poteva essere la vendita a General Electric delle attività del ramo energia e reti, da anni concupite dagli Stati Uniti; una tesi che oggi Kron smentisce.
Questa vendita, a monte della quale da parte dello Stato francese non c'è stata alcuna riflessione strategica, né sul piano industriale né sul piano dell'indipendenza nazionale, è stata come sempre appoggiata da alcuni uomini politici. I pretesti accampati sono gli argomenti tradizionalmente usati da chi non possiede una vera visione strategica dell'industria: il gruppo francese «non possedeva la massa critica per far fronte alla concorrenza», «le sue attività energetiche non erano sostenibili a lungo termine» e, per finire, «la scelta dell'avvicinamento a un grande protagonista del mercato era la scelta più sensata» [4].
Nel 1996 la Francia stava infatti per vendere a un prezzo simbolico Thomson alla coreana Daewoo, nel contesto di un'operazione di privatizzazione, motivata con i medesimi pretesti; Thomson era uno dei leader dell'elettronica, compresa quella militare. Lo Stato ha dovuto rinunciarvi per una forte pressione politica e mediatica, ma, soprattutto, per un'operazione di valorizzazione del capitale immateriale di Thomson.
Thomson eccelleva infatti nel campo dei brevetti, grazie alla bravura dei suoi esperti e dei suoi ingegneri, nonché alla capacità d'innovazione… In seguito, Thomson è diventata Thales.
Al di là della debolezza dimostrata dai politici francesi nel difendere gli interessi nazionali, i comportamenti degli Stati Uniti non sarebbero stati possibili senza il ricorso al principio di extraterritorialità da parte della giustizia statunitense che, fino a oggi, ha inflitto alle imprese francesi ammende per oltre 13 miliardi di dollari.
Questo racket, perché di questo si tratta, è di portata inedita: in dieci anni GE ha acquisito quattro società ricorrendo agli stessi mezzi. Alla fine, la giustizia statunitense ha condannato Alstom a un'ammenda di 772 milioni di dollari e ha rifiutato che la pagasse GE, com'era stato invece convenuto negli accordi per l'acquisizione!
Non soltanto Alstom perde uno dei suoi fiori all'occhiello, ma è anche stata dissanguata di circa un miliardo di dollari! È un'operazione di tipo mafioso; la mafia l'avrebbe però condotta con più discrezione…

Gli Stati Uniti fanno la legge

Con il pretesto della lotta alla corruzione, gli USA indeboliscono certe imprese strategiche per posizionare meglio le proprie sul mercato mondiale. È una vera e propria guerra economica sotterranea quella combattuta dagli Stati Uniti contro le imprese francesi ed europee.
Gli Stati Uniti approfittano dell'estensione extraterritoriale della loro giurisdizione [5] anche per ampliare la facoltà di sanzionare imprese estere che avrebbero avuto rapporti commerciali con i Paesi colpiti dall'embargo unilaterale degli USA.
Alcatel, Alstom, Technip, Total, Société Générale, BNP Paribas, Crédit Agricole, Areva [6]… Negli ultimi anni tutte queste società sono state perseguite dalla giustizia USA per fatti di corruzione o di aggiramento di embargo.
-  La Commerzbank e HSBC sono state penalizzate per falle nell'applicazione della legislazione antiriciclaggio;
-  La Deutsche Bank sta negoziando una penalità che potrebbe raggiungere i 14 miliardi di dollari, secondo quanto richiesto dagli statunitensi, per il ruolo svolto nella crisi dei subprimes.
-  Volkswagen è stata sanzionata (non senza buoni motivi) per aver truffato sulle regole ambientali…
Tutte queste società sono state punite in base al principio chiamato di «extraterritorialità del diritto statunitense»: leggi che permettono di perseguire imprese estere all'estero, a condizione che abbiano un «nesso», anche artificiale, con gli Stati Uniti [7].
Un nesso inteso in senso estremamente allargato. Per avviare azioni giudiziarie basta che le imprese abbiano effettuato una transazione in dollari o utilizzato una tecnologia USA.
«Basta l'utilizzo di un chip elettronico, di un iPhone, di un host o di un server statunitense per incorrere nella giustizia USA, spiega l'economista Hervé Jurvin. Una trappola in cui sono cadute molte imprese».
Altre imprese francesi ed europee potrebbero essere perseguitate dalla giustizia statunitense.
Per esempio possiamo citare Airbus, la società di costruzione di aerei che si è denunciata alle autorità USA benché già oggetto di un'inchiesta da parte della Procura Nazionale Finanziaria (Parquet National Financier - PNF) per sospetta corruzione in Francia, ma anche in Inghilterra.
Poi c'è il caso Areva. L'impresa ha acquisito la società canadese Uramin a un prezzo che sembrerebbe sopravvalutato. A fine 2016 è stato depositato all'FBI un dossier sulla vicenda: l'operazione sarebbe avvenuta in dollari, alcuni personaggi coinvolti nell'affare sarebbero statunitensi e, per finire, Uramin ha tenuto un'assemblea generale decisiva… a New York. Ci sarebbero quindi le condizioni per mettere in moto la giustizia statunitense.
Anche la società Lafarge potrebbe essere sottoposta a inchiesta. Il cementiere franco-svizzero è già inquisito dalla giustizia francese per il sospetto di aver versato denaro a Daesh in Siria, al fine di poter continuarvi i propri affari. Lafarge ha chiesto a uno studio americano, Baker Mac Kenzie, di stendere un rapporto di auditing.
Nel documento "confidenziale" si legge che la società è stata chiaramente allertata sui rischi giudiziari negli Stati Uniti: «La filiale siriana di Lafarge ha aperto conti in dollari USA presso le seguenti banche: Audi Bank Syria, Audi Bank Lebanon e Al-Baraka Bank in Siria… Questi conti sono serviti per effettuare e ricevere numerosi pagamenti in dollari USA, fra cui versamenti di commissioni… Questi pagamenti corrispondono a trasferimenti probabilmente trattati da un'istituzione finanziaria statunitense, dunque potenzialmente sottoposti alle sanzioni USA».
Un rapporto parlamentare francese, depositato il 5 ottobre 2016 alla presidenza dell'Assemblea Nazionale [8], ha evidenziato, rispetto all'extraterritorialità delle leggi statunitensi, in particolare due punti:
-  il diritto come strumento di potenza economica e di politica estera;
-  il diritto al servizio di obiettivi di politica estera e d'interessi economici degli Stati Uniti, nonché al servizio direttamente delle aziende.
La Commissione ha sentito numerosi esperti, che non solo hanno confermano queste conclusioni, ma hanno anche sottolineano come dietro la facciata giudiziaria ci sia una precisa volontà politica ed economica.
Il rapporto ha appurato che, per raccogliere informazioni, sono mobilitati tutti i servizi USA. «Si tratta di una strategia degli Stati Uniti deliberata, che consiste nel mettere in rete agenzie d'intelligence e giustizia per fare una vera e propria guerra economica agli avversari, afferma l'ex deputato LR [Les Républicains, ndt] Pierre Lellouche, presidente della commissione parlamentare. Questa guerra economica è agghindata con le migliori intenzioni del mondo».
Il senato ha svolto lo stesso lavoro giungendo alle medesime conclusioni [9].
Risultato: in questi ultimi anni, quasi 40 miliardi di dollari d'ammenda sono stati inflitti dalla giustizia statunitense a imprese europee [10].
In realtà, dietro la facciata e le timide conclusioni, ci si è fermati allo stadio delle raccomandazioni. I deputati hanno evocato la possibilità di ricorrere al regolamento europeo, chiamato «di blocco», adottato nel 1996 per garantire protezione «dell'ordine giuridico vigente» e degli «interessi della Comunità» nei confronti dell'applicazione extraterritoriale di due leggi statunitensi, anch'esse del 1996: la cosiddetta "legge Helms-Burton", che rafforzava l'embargo contro Cuba, cominciato nel 1993, e la cosiddetta "legge D'Amato-Kennedy", che vietava investimenti nel petrolio e nel gas iraniani e libici. Nel 1996 anche Canada e Messico, peraltro partner degli Stati Uniti nell'ANLS [Accordo Nordamericano per il Libero Scambio, in inglese NAFTA, North American Free Trade Agreement, ndt], hanno adottato leggi di "blocco".
In pratica però non è successo niente, nessun partito ha mai avuto il coraggio politico di proteggere gli interessi economici delle imprese europee; è però lecito chiedersi perché le imprese europee non abbiano il coraggio di sfidare i divieti. In realtà aspettano il vialibera politico, che però mai arriverà.
Infatti, in seguito all'annuncio degli Stati Uniti dell'8 maggio 2018 della cancellazione della sospensione delle misure restrittive contro l'Iran, sia detto en passant, mai veramente attivate, nonostante l'accordo sul nucleare prevedesse l'annullamento progressivo delle sanzioni, e in considerazione che, «per la loro applicazione extraterritoriale, questi strumenti violano il diritto internazionale», il 6 giugno 2018 è stato avviato l'iter per aggiornare l'allegato al Regolamento del 1996. Poiché non ci sono state obiezioni da parte degli Stati membri e del Parlamento europeo, l'aggiornamento, stipulato con un atto delegato della Commissione, è entrato in vigore il 7 agosto 2018. Lo stesso giorno la Commissione Europea ha pubblicato una nota per l'interpretazione dell'aggiornamento della legge di blocco, redatta sotto forma di domande/risposte e destinata agli operatori economici.
Risultato di questa "decisione"? Nessun cambiamento all'atto pratico…
Infatti, per evitare che le imprese europee conquistino parti di mercato nei Paesi colpiti dalle sanzioni USA, la giustizia statunitense, aziona le leve di cui dispone grazie alle agenzie governative per punire le imprese tentate dall'assumersi questo rischio.
Questa stessa giustizia è pure messa in atto affinché in fine le imprese statunitensi possano eliminare un concorrente o impadronirsi di società straniere giudicate interessanti per la propria strategia economica e finanziaria.

Una guerra d'influenza economica

Come si è arrivati qui? Nel 1977 gli Stati Uniti, in seguito a un enorme scandalo di tangenti che riguarda l'impresa costruttrice di aerei Lockheed, adottano una legge anticorruzione, battezzata FCPA (Foreign Corrupt Practicises Act). Gli Stati Uniti si accorgono però che questa legge li svantaggia nella concorrenza economica. «L'ex capo della CIA, James Woolsey, un giorno ha detto: "Ne abbiamo abbastanza delle tangenti che i francesi versano per i contrati di armamenti. Adesso facciamo pulizia!" Salvo che gli americani [statunitensi, Ndr] continuano a versare provvigioni in società off-shore…» afferma Lellouche.
«Siccome gli Stati Uniti sono diventati una superpotenza, non hanno pressoché più bisogno di ricorrere alle tangenti, commenta il giornalista Jean-Michel Quatrepoint. Hanno messo in atto una strategia d'influenza. Un soft power. La corruzione, attraverso le "buone, vecchie tangenti", è l'arma dei deboli».
Questa volontà di potenza economica, dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 s'impone come un vero e proprio obiettivo strategico. «Nel 1993 il segretario di Stato USA, Warren Christopher, pretende dal Congresso di avere a disposizione, per far fronte alla concorrenza economica mondiale, gli stessi mezzi di quelli destinati alla lotta contro i sovietici durante la guerra fredda, racconta lo specialista d'intelligence economica Ali Laïdi. È iniziata una nuova guerra, stavolta calda e in ambito economico».
Nel 1998 la legge anticorruzione USA sarà quindi allargata a tutte le imprese.
Viene anche dispiegata una vera e propria batteria di leggi contro l'aggiramento degli embarghi e contro la frode fiscale: bisogna contrastare le nuove potenze emergenti come la Cina, diventata il concorrente numero uno e, segretamente, il nemico numero uno degli USA.
«Gli Stati Uniti non riescono a contenere economicamente la Cina, spiega il direttore della Scuola di Guerra Economica, Christian Harbulot. Cercano perciò con ogni mezzo di fare in modo che questa potenza non li sorpassi». Sicché il diritto americano permette, se necessario, di liberarsi dei concorrenti ingombranti. «Gli americani [gli statunitensi, Ndr], se vogliono impedire che un concorrente venda ai russi o ai cinesi, possono utilizzare l'arma anticorruzione, sostiene Hervé Juvin. È segnatamente il caso di Alstom. Agli occhi degli americani era necessario impedire che Alstom concludesse un partenariato e un trasferimento di tecnologia ai cinesi».
Medesimo sospetto sugli embarghi. Non sempre le procedure avviate dagli Stati Uniti sono esenti da retropensieri geopolitici. Così, nel 2014 BNP-Paribas è stata condannata a 9 miliardi di dollari di ammenda per non aver rispettato l'embargo contro Cuba e Iran. «Abbiamo pagato sanzioni di cui non riconosciamo la legittimità, tuona Lellouche [11]. Ebbene, dopo il pagamento dell'ammenda, gli americani [gli statunitensi, Ndr] si sono riavvicinati a Cuba e hanno tolto le sanzioni contro il Sudan! Dovrebbero rimborsarci i nove miliardi [12]. Questo dimostra che quando hanno deciso di sanzionare un Paese tutti gli altri sono costretti ad allinearsi».
Diversi altri casi inducono a pensare che la giustizia USA abbia direttamente collaborato con imprese private per rafforzare il loro potere economico.
Il caso Alcatel è illuminante.
Alcatel era un'impresa francese di telefonia che, nel 2004, è stata perseguita dal DoJ per aver pagato tangenti a un uomo politico della Costarica! Messo sotto pressione dalla giustizia statunitense, Serge Tchuruk, PDG di Alcatel, è stato costretto ad acquisire Lucent, un'impresa USA, e a fondersi con essa per dare vita ad Alcatel-Lucent. All'epoca la decisione suscitò non pochi interrogativi: gli osservatori non capivano il motivo di un acquisto che non avrebbe portato alcun beneficio strategico ad Alcatel. Di più: la fusione si è combinata con un'importante diminuzione del potere decisionale dei dirigenti francesi a vantaggio dei dirigenti USA.
Dopo questa fusione l'azienda non si è più ripresa e nel 2013 è stata acquisita da Nokia.
Pochi anni dopo la storia si ripete con la vicenda Alstom, dove il modus operandi è identico a quello di Alcatel.
La Giustizia USA si mette anche al servizio dello spionaggio industriale!
Infatti la procedura statunitense non si ferma alle multe: dopo essere stata sanzionata, l'impresa è messa sotto sorveglianza. Un "monitore", ossia un esperto al servizio della giustizia USA, è designato per sorvegliare per tre anni «il buon andamento dell'impresa» e verificare che rispetti tutti gli obblighi di conformità.
«Questo monitore ha accesso a tutte le informazioni che riguardano l'impresa, spiega l'ex delegata interministeriale all'Intelligence economica, Claude Revel. Ogni anno il sorvegliane deve fare rapporto al ministero della giustizia. Ebbene, come ho potuto constatare di persona, i rapporti talvolta contengono informazioni confidenziali. È davvero molto increscioso» [13].
Pur di non correre il rischio di vedersi rifiutare la conformità e subire ulteriori sanzioni, questo monitoraggio induce le società ad accettare interferenze in ogni decisione economica, industriale o strategica.
Dato che gli europei sono reputati ignoranti delle norme, il monitoraggio è fatto da agenzie statunitensi. Gli elementi accertati sono comunicati alle agenzie governative, che non mancano di servirsene nella guerra economica che, benché non dichiarata, è combattuta con estrema solerzia.
Per dimostrare di essere in regola occorrono adeguamenti. E gli adeguamenti, come alcuni specialisti ricordano, spesso superano il costo delle ammende già inflitte. Si crea così nel mercato statunitense un nuovo settore di servizi che vale qualche miliardo di dollari [14].
Con assoluta imparzialità, non si può non riconoscere che il riscontro è schiacciante e certo mette in buona luce gli Stati Uniti e la loro egemonia.

Dov'è finita l'indipendenza?

«Non è una sorpresa scoprire che abbiamo a che fare con un Imperium giuridico americano [statunitense, Ndr], che siamo di fronte a una barriera estremamente complessa di testi di legge che gli americani non esitano a fare applicare alle imprese straniere.
Questo, naturalmente, toglie ai Paesi europei qualsiasi sovranità» dichiara a Sputnik Lellouche [15], che accompagna l'affermazione con aspre critiche all'inerzia europea.
Ma cosa farebbe Lellouche se fosse al potere?
In realtà nessun politico europeo oserà dire la verità. Quando qualcuno si arrischia a fare una dichiarazione un po' coraggiosa, subito tende a fare ammenda e ricorda che gli Stati Uniti sono un Paese amico! Ma cosa ce ne facciamo di un amico che ci spia e che, quando adocchia qualcosa che gli interessa ma che ci appartiene, fa di tutto per impossessarsene?
L'esempio di Alstom non è il solo, è però significativo perché pone esemplarmente problemi d'indipendenza. Alstom è infatti un'impresa strategica, soprattutto nel settore nucleare. «La vendita di Alstom a General Electric ci priva di autonomia strategica su due punti fondamentali: le turbine per i sottomarini nucleari, le navi di superfice, come la portaerei Charles-de-Gaulle,nonché sulle centrali nucleari civili, spiega il direttore del Centro francese di ricerca sull'intelligence, Eric Denécé, che ha svolto un'inchiesta sulla vicenda. Siamo di fronte a un vero e proprio tradimento da parte delle élite francesi» [16].
Infatti, se in futuro la Francia dovesse trovarsi in disaccordo con la politica degli Stati Uniti – fatto che avrebbe dovuto già accadere su moltissime questioni – questi potrebbero impedire la consegna da parte di GE di pezzi di ricambio delle turbine dei sottomarini e della portaerei, nonché delle centrali nucleari civili, rendendole di fatto inattive: la Francia verrebbe così privata di quel poco d'indipendenza che le resta, incluso in campo energetico!
La Francia è già sotto il ricatto degli Stati Uniti sul piano sociale: con il rilevamento di Alstom da parte di General Electric, quest'ultima aveva promesso la creazione in Francia entro il 2018 di mille posti di lavoro ma, per il momento, il gruppo USA si limita ad annunciare soppressioni di posti in Europa: 345 sono a rischio a Grenoble, molti altri a Belfort.
Non è escluso che questi due siti finiscano per essere chiusi o che GE ottenga sostanziosi aiuti per mantenere pochi posti di lavoro fino alla volta successiva, quando magari ci saranno un sacco di licenziamenti. I dipendenti coinvolti non sanno quale futuro gli riservi GE. Si rivolgono così allo Stato, che però brilla per assenza.

Soluzioni!

Quale potrebbe essere la risposta della Francia alla strategia statunitense? «La classe politica francese ha tendenza a considerare gli USA amici e a ritenere che, a tale titolo, si può perdonare loro tutto e fare finta di niente, afferma l'ex deputato Bernard Carayon, che nel 2003 ha redatto un rapporto sull'intelligence economica, su richiesta del primo ministro Jean-Pierre Raffarin. Destra e sinistra danno entrambe prova di cecità e impotenza. Nella guerra economica non ci sono amici. Ci sono solo concorrenti e partner diligenti».
Nel rapporto parlamentare pubblicato nel 2016, i deputati Pierre Lellouche e Karine Berger scrivono che con Washington «deve essere stabilito un rapporto di forza» per «poter agire ad armi pari». «La commissione ritiene necessario far valere con gli Stati Uniti il fatto che alcune loro prassi sono ora ritenute abusive e che la Francia non le accetterà più» scrivono i parlamentari.
Tuttavia, nelle conclusioni i deputati francesi hanno valutato che conviene «cooperare per fissare di comune accordo le linee generali della legittima lotta alla corruzione internazionale, al finanziamento del terrorismo e alla frode fiscale. Il che ci permetterebbe di essere su un piano di parità».
È come se l'Europa non avesse leggi anticorruzione e gli Stati Uniti fossero i soli a promuovere un'etica economica; in realtà sono lo Stato che, secondo i criteri da loro stessi fissati, ha il maggior numero d'imprese che pratica la corruzione.
Il fatto è che gli USA, per favorire le loro imprese negli scambi internazionali, le sanzionano meno duramente di quanto sanzionino quelle europee.
I deputati dimenticano, tra l'altro, di trarre le debite conclusioni dall'extraterritorialità della legge statunitense, che non può essere applicata a relazioni contrattuali non avvenute sul territorio degli Stati Uniti e che non coinvolgono cittadini USA.
Lellouche e Berger auspicano lo sviluppo di strategie di elusione, «per esempio con la promozione dell'uso dell'euro nelle transazioni internazionali, in risposta ai rischi in cui s'incorre usando il dollaro». Questo pio desiderio non ha alcun interesse, dato che il problema nasce dal fatto che l'euro è considerato moneta di riserva, non moneta di scambio sul mercato internazionale.
Delle due l'una: o l'Europa si dota di una moneta capace di affermarsi nel commercio internazionale, attraverso una specie di hub finanziario, equivalente al sistema SWIFT, e non si accontenta di agganciarsi a un tasso di scambio rispetto al dollaro, o accetta la sottomissione e la conseguente perdita di indipendenza, che sfocerà nella perdita di elementi fondamentali della propria economia.
Gli Stati Uniti hanno dimostrato che, se dovessero essere costretti a scegliere, favorirebbero la loro economia a detrimento delle altre.
Lellouche e Berger raccomandano di rispondere agli Stati Uniti usando le loro stesse armi: non devono essere i soli in grado di «mordere», l'Unione Europea si deve ricordare di essere anch'essa una superpotenza economica.
Gli autori del rapporto scrivono: «Il recente rimborso fiscale di 13 miliardi di euro chiesto dalla Commissione Europea a Apple è segno che, dopo oltre un decennio di rinunce a fronte delle pratiche aggressive delle amministrazioni e imprese americane [statunitensi, Ndr], siamo sulla buona strada».
Questa reazione dell'UE, ancorché indispensabile, è comunque timida: in primo luogo le decisioni dovranno trasformarsi in atti, il che non avviene sistematicamente, tanto più che in materia fiscale occorre l'unanimità; in secondo luogo l'Europa non è preparata a ingaggiare una vera prova di forza con gli USA.
Infatti, tassare i GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) per le operazioni transitate sul mercato europeo, sebbene sia un buon mezzo, resta comunque uno strumento timido, perché questa tassazione non tiene conto del fatto che, grazie alla loro egemonia, queste società impediscono alle società europee di affermarsi nel settore.
Alcuni politici francesi asseriscono che la legge Sapin 2 consente qualche risposta, ma dimenticano che la difficoltà non nasce dal fatto di punire imprese che hanno compiuto atti corruttivi o fraudolenti, bensì dall'utilizzo della giustizia per fini economici.
Ebbene, in Europa è impensabile usare questi mezzi: per parlare soltanto della Francia, quale governo darà mai indicazioni alla giustizia di avviare azioni giudiziarie per favorire un'impresa francese? Nessuno.
Alcuni sostengono che l'obiettivo della legge Sapin 2 sia creare un sistema di sanzioni sufficientemente solido perché la Francia possa dire agli Stati Uniti che il lavoro è già stato svolto e quindi non serve avviare altre azioni giudiziarie, laddove la regola non bis in idem, secondo cui nessuno può essere indagato o punito penalmente (una seconda volta) per gli stessi fatti, non può essere applicata in diritto internazionale: nulla vieta a due Stati di punire la stessa persona due volte, una volta per ciascun Paese.
Infine, a torto o a ragione, qualcuno ha pensato che, con l'appoggio degli Stati, sarebbe più conveniente trasferire vicende come quelle citate, finora regolate attraverso i procuratori federali, ai tribunali, che non sono particolarmente inclini ad applicare la legge statunitense a fatti accaduti all'estero; il che potrebbe probabilmente rivelarsi esatto. Intanto però imprese e persone sarebbero ostaggio della macchina giudiziaria statunitense e, senza l'intervento dei rispettivi Stati, finirebbero per soccombere…
Del resto, poiché l'Europa non spaventa più nessuno, nel 2017, ossia dopo la legge Sapin 2, i leader democratici e repubblicani si sono accordati per fare approvare dal Congresso una legge di 70 pagine, che istituisce ufficialmente sanzioni contro Corea del Nord, Iran e Russia. Questo testo impone unilateralmente al resto del mondo di rispettarne i divieti commerciali. Le sanzioni si applicano perciò all'Unione Europea e alla Cina.
Rispetto a questa legge USA, alcuni interessi europei, sebbene per principio molto atlantisti, hanno realizzato che Washington vuole impedirgli ogni cooperazione economica con la Russia e che saranno così costretti a sacrifici considerevoli. Le imprese europee impegnate nel progetto di raddoppio del gasdotto North Stream, già vecchio, dovranno sopportare perdite molto consistenti, le più piccole saranno addirittura rovinate. Così se Wintershall, E.ON Ruhrgas, N. V. Nederlandse Gasunie e Engie (ex GDF Suez) perdono, oltre al diritto di partecipare alle gare d'appalto statunitensi, anche tutti i loro averi negli Stati Uniti. È loro vietato l'accesso alle banche internazionali e non possono proseguire le attività fuori dell'Unione.
Le proteste verbali tedesche sono state la risposta della UE!
Le nuove sanzioni proposte dai parlamentari statunitensi contro la Russia potrebbero penalizzare imprese europee e sono anche contrarie al diritto internazionale, ha dichiaralo la ministra tedesca dell'Economia, Brigitte Zypries.
«Riteniamo che questo contrasti, puramente e semplicemente, con il diritto internazionale» ha dichiarato la ministra a Funke Mediengruppe. «Certo non vogliamo una guerra commerciale. È però importante che la Commissione Europea pensi a contromisure».
Sicuramente questa risposta toglierà il sonno a Donald Trump…
L'Europa in generale e la Francia in particolare continueranno sicuramente a subire senza reagire, dal momento che non c'è la volontà politica di fronteggiare uno stato di cose che consacra gli Stati Uniti primo decisore delle politiche economiche. In assenza di una risposta europea che faccia propria la questione della sovranità e dell'indipendenza, assicurando protezione ai propri cittadini e facendo direttamente fronte agli Stati Uniti per tutelare i loro interessi, non ci saranno ostacoli …
Sarà necessario coraggio, coraggio e ancora coraggio politico senza temere di perturbare "l'amicizia" con gli Stati Uniti.

mercoledì 27 marzo 2019

LA GUERRA AL VENEZUELA È COSTRUITA SULLA MENZOGNA


Viaggiando con Hugo Chavez, mi fu subito chiara la minaccia del Venezuela. In una cooperativa agricola nello stato di Lara, la gente aspettava paziente e allegra, nonostante il caldo. Brocche d’acqua e succo di melone passavano di mano in mano. Una chitarra suonava; una donna, Katarina, si alzò e cantò con voce roca.
“Che cosa dicono le parole?” chiesi.
“Che siamo orgogliosi”, fu la risposta.
Gli applausi per lei si mischiarono a quelli per l’arrivo di Chavez. Sotto un braccio portava una borsa piena di libri. Indossava la sua grande camicia rossa e salutava le persone per nome, fermandosi ad ascoltare. La cosa che mi colpì di più era la sua capacità di ascoltare.
Poi si mise a leggere. Per quasi due ore lesse al microfono dalla pila di libri accanto a lui: Orwell, Dickens, Tolstoj, Zola, Hemingway, Chomsky, Neruda: una pagina qui, una riga o due là. La gente applaudiva e fischiava mentre lui passava da autore ad autore.
Poi gli agricoltori presero il microfono e gli raccontarono ciò che sapevano e ciò di cui avevano bisogno; un volto antico, che pareva scolpito dal tronco di un albero, fece un lungo discorso critico sul tema dell’irrigazione; Chavez prendeva appunti.
Qui coltivano vigneti, un’uva di tipo Syrah scuro. “John, John, vieni qui”, disse El Presidente, avendomi visto sonnecchiare nel calore e nelle profondità di Oliver Twist.
“Gli piace il vino rosso”, disse Chavez al pubblico esultante e fischiettante, facendomi dono di una bottiglia di “vino de la gente”. Le mie poche parole in cattivo spagnolo provocarono fischi e risate.
Guardando Chavez con la gente si capiva l’uomo che promise, al suo arrivo al potere, che ogni sua mossa sarebbe stata sottoposta alla volontà della gente. In otto anni, Chavez vinse otto elezioni e referendum: un record mondiale. Elettoralmente era il capo di stato più popolare dell’emisfero occidentale, probabilmente del mondo.
Tutte le principali riforme chaviste furono approvate, in particolare una nuova Costituzione, di cui il 71% della popolazione ratificò ciascuno dei 396 articoli che sancivano libertà fino ad allora inconcepibili, come l’articolo 123, che per la prima volta riconosceva i diritti umani delle razze miste, di cui Chavez faceva parte, e delle persone di colore.
In una delle sue lezioni di gruppo citava una scrittrice femminista: “Amore e solidarietà sono la stessa cosa”. Il suo pubblico lo capiva bene e si esprimeva con dignità, raramente con deferenza. La gente comune considerava Chavez e il suo governo come i loro primi campioni, come fossero di loro proprietà.
Questo era particolarmente vero per gli indigeni, per i meticci e per gli afro-venezuelani, storicamente considerati con disprezzo dagli immediati predecessori di Chavez e da quelli che oggi vivono lontano dai quartieri poveri, nelle dimore e negli attici di Caracas orientale, che fanno i pendolari a Miami dove hanno le loro banche e che si considerano “bianchi”. Sono il potente nucleo di ciò che i media chiamano “l’opposizione”.
Quando incontrai questa classe sociale, in periferie chiamate Country Club, in case arredate con lampadari bassi e brutti quadri, li riconobbi. Avrebbero potuto essere bianchi sudafricani, la piccola borghesia di Costantia e Sandton, pilastri delle crudeltà dell’apartheid.
I vignettisti della stampa venezuelana, di cui la maggior parte è di proprietà di un’oligarchia che si oppone al governo, ritraevano Chavez come uno scimmione. Un conduttore radiofonico lo chiamava “la scimmia”. Nelle università private, il modo di parlare dei figli dei benestanti è spesso un abuso razzista di coloro le cui baracche sono appena visibili attraverso l’inquinamento.
Sebbene la politica dell’identità sia di gran moda nelle pagine dei giornali liberali in occidente, razza e classe sono due parole che non si pronunciano quasi mai nella falsa “copertura” dell’ultimo, più crudo tentativo di Washington di agguantare il più grande deposito di petrolio al mondo e di reclamare ciò che considera il suo “cortile di casa”.
Nonostante le molte colpe dei chavisti – come permettere all’economia venezuelana di diventare ostaggio degli alti e bassi del petrolio e di non sfidare mai seriamente il grande capitale e la corruzione – essi hanno portato la giustizia sociale e l’orgoglio a milioni di persone e l’hanno fatto con una democrazia senza precedenti.
“Delle 92 elezioni che abbiamo monitorato”, dichiarò l’ex presidente Jimmy Carter, il cui Carter Center è un rispettato osservatore delle elezioni a livello globale, “direi che il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo”. Per contrasto, disse Carter, il sistema elettorale degli Stati Uniti, con la sua enfasi sul denaro, “è uno dei peggiori”.
Conferendo diritti e privilegi a uno stato parallelo di autorità popolare, con sede nei quartieri più poveri, Chavez descrisse la democrazia venezuelana come “la nostra versione dell’idea di Rousseau di sovranità popolare”.
Seduta nella sua minuscola cucina nel barrìo La Linea, Beatrice Balazo mi disse che i suoi figli erano la prima generazione di poveri a frequentare la scuola per un’intera giornata, pasto caldo incluso, per imparare musica, arte e danza. “Ho visto la loro sicurezza sbocciare come un fiore”, ha detto.
Nel barrìo La Vega, ho ascoltato un’infermiera, Mariella Machado, una donna di colore di 45 anni con una strepitosa risata, rivolgersi ad un consiglio urbano su argomenti che vanno dai senzatetto alla guerra illegale. Quel giorno, stavano lanciando Mision Madres de Barrio, un programma mirato alla povertà tra le madri single. Secondo la Costituzione, le donne hanno il diritto di essere pagate come badanti e possono prendere prestiti da una banca speciale per donne. Ora le casalinghe più povere ricevono l’equivalente di $ 200 al mese.
In una stanza illuminata da un singolo tubo fluorescente, ho incontrato Ana Lucia Ferandez, di 86 anni, e Mavis Mendez, di 95 anni. Una trentatreenne, Sonia Alvarez, era venuta con i suoi due figli. Una volta, nessuno di loro poteva leggere e scrivere; ora stavano studiando matematica. Per la prima volta nella sua storia, il Venezuela ha quasi il 100% di alfabetizzazione.
Questo è il lavoro di Mision Robinson, che è stato progettato per adulti e adolescenti a cui precedentemente era negata un’educazione a causa della povertà. Mision Ribas offre a tutti l’opportunità di un’istruzione secondaria, chiamata bachillerato (i nomi Robinson e Ribas si riferiscono ai leader indipendentisti venezuelani del XIX secolo)
Mavis Mendez, nei suoi 95 anni, ha visto una sfilza di governi, per lo più vassalli di Washington, presiedere il furto di miliardi di dollari di bottino di petrolio, in gran parte trasportato a Miami. “Non avevamo importanza dal punto di vista umano”, mi disse. “Vivevamo e morivamo senza una vera istruzione, senza acqua corrente e cibo che non potevamo permetterci. Quando ci ammalavamo, i più deboli morivano. Ora posso leggere e scrivere il mio nome e molto altro ancora, e checché ne dicano i ricchi e i media, noi abbiamo piantato i semi della vera democrazia e io ho la gioia di vederli crescere”.
Nel 2002, durante un colpo di stato appoggiato da Washington, i figli e le figlie, i nipoti e i pronipoti di Mavis si unirono a centinaia di migliaia di persone che scesero dai barrios sulle colline e pretesero che l’esercito rimanesse fedele a Chavez.
“La gente mi ha salvato”, mi disse Chavez. “Lo hanno fatto con i media contro di me, impedendo anche i fatti di base di ciò che è accaduto. Per un eroico esempio di democrazia popolare, ti suggerisco di non guardare oltre”.
Dalla morte di Chavez nel 2013, il suo successore Nicolas Maduro ha perso la sua etichetta derisoria sulla stampa occidentale come “ex autista di autobus” ma ne ha acquisito un’altra come la reincarnazione di Saddam Hussein. Il modo in cui i media abusano di lui è a dir poco ridicolo. Da quando governa, il calo del prezzo del petrolio ha causato un’iperinflazione e devastato i prezzi in una società che importa quasi tutto il suo cibo; eppure, come ha riferito il giornalista e cineasta Pablo Navarrete questa settimana, il Venezuela non è la catastrofe che è stata dipinta. “C’è cibo ovunque”, ha scritto. “Ho girato molti video di cibo nei mercati [in tutta Caracas] … È venerdì sera e i ristoranti sono pieni.”
Maduro fu rieletto presidente nel 2018. Una sezione dell’opposizione ha boicottato le elezioni, una tattica tentata contro Chavez, ma il boicottaggio è fallito: 9.389.056 persone hanno votato; sedici partiti hanno partecipato e sei candidati si sono presentati per la presidenza. Maduro ha ottenuto 6.248.864 voti, ovvero il 67,84%.
Il giorno delle elezioni, ho parlato con uno dei 150 osservatori elettorali stranieri. “Il voto è stato assolutamente equo”, mi disse. “Non c’è stata alcuna frode, nessuna delle clamorose accuse dei media sta in piedi. Zero. Veramente incredibile.”
Come in una pagina del ricevimento del tè di Alice nel Paese delle Meraviglie, l’amministrazione Trump ha presentato Juan Guaidò, una creatura del National Endowment for Democracy della CIA, come “legittimo presidente del Venezuela”. Sconosciuto all’81 per cento del popolo venezuelano, secondo The Nation, Guaidò non è stato eletto da nessuno.
Maduro è “illegittimo”, dice Trump (che ottenne la presidenza degli Stati Uniti con tre milioni di voti in meno rispetto al suo avversario), un “dittatore”, ribadisce l’evidentemente squilibrato vicepresidente Mike Pence e “un trofeo petrolifero”, rincara il consigliere della “sicurezza nazionale” John Bolton (che quando lo intervistai nel 2003 mi disse: “Ehi, sei un comunista, forse persino Laburista?”).
Come suo “inviato speciale in Venezuela” (specializzato in colpi di stato), Trump ha nominato un criminale dichiarato, Elliot Abrams, i cui intrighi al servizio dei presidenti Reagan e George W. Bush hanno contribuito a far scoppiare lo scandalo Iran-Contra negli anni ’80 e precipitato l’America centrale in anni di sanguinoso squallore.
Senza scomodare Lewis Carroll, questi “pazzi” appartengono ai cinegiornali degli anni ’30. Eppure le loro menzogne sul Venezuela sono state accolte con entusiasmo da quelli pagati per dire le cose come stanno.
Sulla rete televisiva indipendente inglese Channel 4 News, Jon Snow ha inveito contro il deputato laburista Chris Williamson, “Guarda, tu e il signor Corbyn vi siete cacciati in una situazione molto brutta [sul Venezuela]!”. Quando Williamson ha cercato di spiegare perché minacciare un paese sovrano è sbagliato, Snow lo interruppe. “Hai parlato abbastanza!”.
In effetti, nel 2006, Channel 4 News aveva accusato Chavez di aver tramato la fabbricazione di armi nucleari con l’Iran: una fantasia. L’allora corrispondente da Washington, Jonathan Rugman, permise a un criminale di guerra, Donald Rumsfeld, di paragonare Chavez a Hitler, senza contraddittorio.
Tempo fa i ricercatori della University of the West of England studiarono i reportage della BBC sul Venezuela su di un periodo di dieci anni. Esaminarono 304 reportage e scoprirono che solo tre di questi si riferivano a una qualsiasi delle politiche positive del governo. Per la BBC, il record democratico del Venezuela, la legislazione sui diritti umani, i programmi alimentari, le iniziative sanitarie e la riduzione della povertà non sono avvenuti. Il più grande programma di alfabetizzazione nella storia umana non è accaduto, proprio come i milioni che marciano a sostegno di Maduro e in memoria di Chavez, non esistono.
Quando alla giornalista della BBC Orla Guerin è stato chiesto perché avesse filmato solo una marcia dell’opposizione, lei ha twittato dicendo che era “troppo difficile” coprire due marce in un solo giorno.
Una guerra è stata dichiarata al Venezuela, la cui verità è “troppo difficile” da riferire.
È troppo difficile riferire che il crollo dei prezzi del petrolio dal 2014 è in gran parte il risultato di macchinazioni criminali di Wall Street.
È troppo difficile denunciare come sabotaggio il blocco dell’accesso del Venezuela al sistema finanziario internazionale dominato dagli Stati Uniti.
È troppo difficile riportare le “sanzioni” di Washington contro il Venezuela, che hanno causato la perdita di almeno 6 miliardi di dollari nelle entrate del Venezuela dal 2017, inclusi 2 miliardi di dollari di medicinali importati, come illegali, o di dichiarare un atto di pirateria il rifiuto della Bank of England di restituire la riserva d’oro del Venezuela.
Alfred de Zayas, ex relatore delle Nazioni Unite, ha paragonato tutto ciò ad un “assedio medievale” progettato “per mettere in ginocchio i paesi”. È un attacco criminale, dice. È simile a quello affrontato da Salvador Allende nel 1970 quando il presidente Richard Nixon e il suo equivalente di John Bolton, Henry Kissinger, si proponevano di “far urlare l’economia [del Cile]”. Seguì la lunga notte buia di Pinochet.
Il corrispondente del Guardian, Tom Phillips, ha twittato una foto di un berretto su cui le parole in spagnolo significano in gergo locale: “Rendi il Venezuela fottutamente figo”. Il giornalista-pagliaccio potrebbe essere la fase finale di gran parte della degenerazione del giornalismo mainstream.
Se il tirapiedi della CIA Guaidò e i suoi suprematisti bianchi prendessero il potere, sarebbe il 68° rovesciamento di un governo sovrano da parte degli Stati Uniti, la maggior parte dei quali democrazie. Seguirà sicuramente una svendita delle utenze e delle risorse minerarie del Venezuela, insieme al furto del petrolio del paese, come delineato da John Bolton.
Sotto l’ultimo governo controllato da Washington a Caracas, la povertà raggiunse proporzioni storiche. Non c’era assistenza sanitaria per coloro che non potevano pagare. Non c’era educazione universale; Mavis Mendez e milioni come lei non potevano leggere o scrivere.
Quant’è figo questo, Tom?
John Pilger
Scelto e tradotto per comedonchisciotte.org da Gianni Ellena

martedì 26 marzo 2019

STRAGE DEL SANGUE INFETTO / UN SUICIDIO DI MASSA…


I morti di Ustica? Sull’aereo c’era un pilota pazzo che s’è fatto scoppiare con tutti i passeggeri a bordo.
Il rogo di Viareggio? I passeggeri non hanno rispettato il divieto di fumare e così si sono dati fuoco. Se la sono cercata.
Gli inabissati del Moby Prince? Quei fessi si erano spostati tutti su un lato della nave per giocare a guardia e ladri. Uno ha acceso un fiammifero nella stiva per cercare l’altro e boom.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? Stavano comprando un chilo di marjuana prima di ripartire per l’Italia e si sa cosa succede in questi casi. Un diverbio sul prezzo e via.
Paolo Borsellino? Si è autobombato in via D’Amelio con la scorta perché si celebrassero tutti i processi Borsellino fino al quater e potesse passare alla storia. Peccato sia stato pareggiato da Ruby, anche lei col suo poker.
Adesso la “strage per il sangue infetto”. Finalmente le vittime hanno vuotato il sacco al processo di Napoli: tutti a zonzo per il mondo, dalle foreste africane alle carceri statunitensi, per provare il brivido dell’emozione, cioè rapporti sessuali con gorilla e galeotti, tanto per finire i propri giorni in gloria.
Finalmente, una buona volta, in un colpo solo i famigerati Misteri di Stato che hanno segnato la storia del nostro Paese risolti con un colpo di bacchetta magica. Altro che Poteri & Servizi non poi tanto segreti, altro che Depistaggi e collusioni mafiose: la verità era lì sotto il naso, più semplice che bere un bicchier d’acqua.

SCENEGGIATA NAPOLETANA
Uscendo dalle metafore tragicomiche, siamo all’indomani della sentenza pronunciata dalla sesta sezione penale del tribunale di Napoli, presieduta da Antonio Palumbo.
Dopo tre anni esatti dall’inizio di un processo cominciato 20 anni fa a Trento e dopo oltre una decina d’anni di indagini, è arrivata la storica pronuncia: tutti gli imputati assolti con formula piena, perché “il fatto non sussiste”. Nessun colpevole.
Candidi come un giglio l’ex re Mida della Sanità Duilio Poggiolini, immacolati come viole mammole ex dirigenti e funzionari del gruppo Marcucci, da sempre – almeno da metà anni ’70 – oligopolista nella importazione, lavorazione e distribuzione di emoderivati in Italia, come la Voce ha avuto modo di dettagliare in tanti anni di inchieste, a cominciare dal 1977, un articolo pubblicato dall’allora Voce della Campania diretta da Michele Santoro.
Appena dopo la sentenza, si è scatenata una ridda di ipotesi, visto che nessuno è responsabile per le morti di chi ha assunto gli emoderivati killer. Quale la pista in un futuro da seguire per rintracciare il vero movente della strage?
Da rammentare che i morti totale, secondo le stime più fresche, sono circa 6 mila. Tutte vittime impunite.
Prima pista. Una setta satanica. Ricordate le stragi con centinaia di morti negli Stati Uniti organizzati da perfide sette sataniche? In questo caso si tratta di un mega suicidio scandito in varie tappe, ritualmente celebrate da santoni ancora a piede libero.
Seconda pista. Una sparizione di massa. Di solito succede per una persona che fugge di casa, stavolta si tratta di migliaia di persone che non hanno più dato notizie di sé. Rivolgersi a “Chi l’ha visto?”.

Un carcere dell’Arkansas
Terza pista. Un rapimento perfetto senza richiesta di riscatto. Ricordate gli Ufo e le astronavi marziane? Non si tratta di fake news. Sono atterrate in gran segreto ogni 6 mesi a partire dagli anni ’80 e di volta in volta hanno prelevato decine e decine di persone. Si arriva, oggi, ad un totale, calcolatrice alla mano, di 6-7 mila soggetti volatilizzati.
Quarta pista. Il viaggio della speranza, “the last travel”. E’ l’ipotesi più suggestiva e articolata. Usciti di senno, moltissimi ammalati hanno deciso di godersela per l’ultima volta. La gran parte è partita per l’Africa, zoo safari e rapporti border line con gorilla e scimpanzè; un’altra parte è volata in Asia, e un’altra buona fetta negli Stati Uniti, con una meta ben precisa, visitare le carceri a stelle e strisce: Alabama, Louisiana e soprattutto Arkansas, come è emerso anche durante il processo partenopeo. Ma gli ultimi 007 sono finalmente riusciti a ribaltare l’assurda tesi portata avanti dagli avvocati delle parti civili: sangue ed emoderivati non arrivavano dalle galere americane, ma sono stati i folli pazienti-impazienti a volare lì per simpatizzare con i carcerati, ammalati di Aids e di altre patologie super infettive.
L’Uovo di Colombo, il quale – non a caso – ha scoperto l’America.
Siamo sicuri che le motivazioni della sentenza, le quali verranno rese note entro 90 giorni, quindi a fine giugno, sapranno dare una risposta definitiva e convincente a tali dubbi & arcani.

PROTAGONISTI & INTERPRETI
Hanno avuto la vista lunga, di tutta evidenza, alcuni protagonisti del processo.
In pole position il pm, Lucio Giugliano, che fin dalla prima udienza di tre anni fa esatti aveva chiesto il proscioglimento per alcuni imputati, come effettivamente è accaduto – e con formula piena – dopo tre anni per tutti. Aveva visto giusto nel chiedere subito una perizia tecnica d’ufficio a tre super esperti. Così come a chiedere l’escussione di uno dei testi-base, l’ematologo milanese Piermannuccio Mannucci.
All’esito del cui interrogatorio avrebbe voluto chiudere subito il processo, perché Mannucci escludeva categoricamente la possibilità non solo di provare il famoso nesso causale tra l’assunzione degli emoderivati killer e l’insorgere delle patologie, ma soprattutto perché ravvisava l’impossibilità di individuare quel “farmaco killer”, quell’emoderivato assassino.
E, ancor più, Mannucci rassicurava circa la bontà e la sicurezza di quegli emoderivati, perché “provenivano, così mi veniva detto dai dirigenti del gruppo Marcucci, dai campus universitari e dalle casalinghe americane”. Incredibile ma vero.
Peccato, però, che quel super teste, l’esperto mega galattico, fosse un teste in palese conflitto d’interessi, dal momento che è stato per anni consulente (stipendiato) di Kedrion, la corazzata di casaMarcucci, ed ha partecipato (gettonato) a svariati simposi medici organizzati sia in Italia che all’estero dalla stessa Kedrion.
Le fisiologiche “anomalie” sono proseguite nel corso dei tre anni di dibattimento fino al termine delle udienze. Uno degli avvocati delle parti civili, tale Emanuele Tomassi, nella sua “arringa” finale (sic) ha chiesto la prescrizione per tutti. L’avvocatura dello Stato (in rappresentanza del Ministero della Salute) che ha partecipato solo alle prime udienze processuali, non ha avuto neanche la faccia di presentare alcuna memoria conclusiva né ha avanzato alcuna richiesta, disertando l’aula: in tal modo manifestando con chiarezza la volontà di non chiedere nemmeno i risarcimenti civili come aveva sbandierato all’inizio, pari ad una cinquantina di milioni di euro. Tutto a posto e tutto in ordine.

LO STATO SULLA STRAGE? MA CHISSENEFREGA
A questo punto.
Ma chissenefrega se la tragedia degli emoderivati killer era nota fin dal 1977, come documenta la prima inchiesta della Voce. Mentre lorsignori negano. E a loro parere nessuno negli ambienti scientifici ha mai parlato in quegli anni di rischi da sangue infetto.
Chissenefrega del Congo Belga e dei campi di raccolta di sangue non perfettamente testato, campi organizzati dalle aziende del gruppo Marcucci.
Chissenefrega se il regista americano Kelly Duda, autore dello choccante docuflim “Fattore VIII”, è arrivato dagli Stati Uniti a verbalizzare, davanti alla sesta penale, per confermare l’arrivo di quel sangue dalle galere a stelle e strisce e in particolare da quella di Cummings nell’Arkansas.

Una manifestazione di protesta degli ammalati per sangue infetto
Chissenefrega se l’ematologo e scrittore Elio Veltri, autore de “L’Italia non è un paese per onesti”, dedica un intero capitolo agli emoderivati killer ed anche lui ha verbalizzato a Napoli sostenendo che “quella del sangue infetto è la più grande strage di sempre a livello mondiale, del tutto ignorata dai media”.
Chissenefrega se la BBC nel 2007 ha realizzato un altrettanto choccante docufilm che documenta i primi stoccaggi di scatoloni di emoderivati in depositi frigoriferi nel Veneto, insieme a grandi partite di baccalà.
Chissenefrega se a novembre 2018 in Inghilterra, con tutti i maxi problemi che devono affrontare a cominciare dalla Brexit, hanno trovato il tempo per varare una commissione parlamentare d’inchiesta proprio sulla loro strage del sangue infetto, che ha mietuto 3 mila vittime.
Chissenefrega delle nostre vittime finite tra atroci sofferenze.
Chissenefrega delle sofferenze dei parenti.
Chissenefrega degli inferni che hanno dovuto sopportare per una burocrazia assassina e una giustizia negata.
Chissenefrega se tutti sono stati uccisi due volte.
Chissenefrega se anche la Memoria è stata calpestata.
Chissenefrega se tutti i media salvo rarissime mosche bianche non hanno dato lo straccio di un’informazione degna di tal nome in tre anni di processo. E neanche prima.
Chissenefrega se la politica è stata prima complice e poi del tutto assente e quindi connivente, come se la strage non fosse mai esistita.
Chissenefrega se il Capo dello Stato ogni tanto chiede “giustizia per i morti di Ustica” senza peraltro alzare un dito e sui morti per la strage del sangue infetto non sussurra neanche un alito.
Chissenefrega se il ministro per la Salute, la grillina Grillo, non ha alzato nemmeno un dito perché il suo ministero non fosse del tutto assente al processo di Napoli.
Chissenefrega se lo stesso ministero renderà sempre più impossibili le cause di risarcimento per i parenti delle vittime che continuano a morire, perché la tragica finestra temporale non è certo chiusa: come succede per un’altra tragedia oscurata, quella dei roghi tossici nella Terra dei Fuochi.

P.S. Si sono battuti come leoni gli avvocati di molte parti civili ed associazioni, Stefano Bertone ed Ermanno Zancla. Soli contro tutti.
Memorabile l’arringa finale di Bertone, otto ore, in cui ha dimostrato non solo il famoso “nesso causale” tra l’assunzione degli emoderivati killer e l’insorgere delle patologie; ma anche le letali “re-infezioni” e “sovra-infezioni”.
Perfetto sotto il profilo morale, giurisprudenziale e scientifico.
Verità e Giustizia, però, da sole non bastano per abbattere i Muri di Gomma del Potere.