martedì 19 febbraio 2019

Gli Stati Uniti creano le condizioni per l’invasione del Venezuela, di Thierry Meyssan


JPEG - 35 Kb
Convinto che il sostegno degli Stati Uniti sia più importante del voto dei cittadini, Juan Guaidò si è autoproclamato presidente ad interim del Venezuela.

Il progetto degli Stati Uniti per il Bacino dei Caraibi è stato enunciato dal Pentagono nel 2001. Un progetto distruttore ed esiziale inconfessabile. È perciò necessario costruire un racconto che possa essere accettato. Questo è quanto sta accadendo in Venezuela. Attenzione: le apparenze mascherano un po’ alla volta la realtà: mentre si svolgono le manifestazioni, la preparazione della guerra non si ferma.

Suscitare il conflitto

Negli ultimi mesi gli Stati Uniti sono riusciti a convincere un quarto degli Stati membri dell’ONU ¬– 19 dei quali americani – a non riconoscere le elezioni presidenziali venezuelane di maggio 2018. Ne deriva che questi Paesi disconoscono la legittimità del secondo mandato del presidente Nicolas Maduro.
In un’intervista al Sunday Telegraph, pubblicata il 21 dicembre 2018, il ministro britannico della Difesa, Gavin Wiliamson, dichiara che Londra sta negoziando l’installazione di una base militare permanente in Guyana per riprendere la politica [imperiale] precedente la crisi di Suez. Il giorno stesso, un deputato della Guyana fa inaspettatamente cadere il governo e si rifugia in Canada. Il giorno dopo ExxonMobil sostiene che una nave, noleggiata per esplorazioni petrolifere nelle acque contestate tra Guyana e Venezuela, è stata fatta allontanare dalla marina militare venezuelana. La spedizione era autorizzata dal governo uscente della Guyana, che di fatto amministra la zona contesa. Immediatamente il Dipartimento di Stato USA, indi il Gruppo di Lima denunciano il rischio rappresentato dal Venezuela per la sicurezza della regione. Ma il 9 gennaio 2019 il presidente Maduro pubblica registrazioni audio e video che provano come ExxonMobil e il Dipartimento di Stato abbiano deliberatamente mentito al fine di creare una situazione conflittuale e spingere gli Stati latino-americani a farsi guerra fra loro. I membri del Gruppo di Lima, a eccezione di Paraguay e Canada, ammettono la macchinazione.
Il 5 gennaio 2019 l’Assemblea Nazionale del Venezuela rinnova il proprio presidente, Juan Guaidò, e rifiuta di riconoscere la legalità del secondo mandato del presidente Maduro. Viene enunciato il concetto che trattasi di situazione analoga all’impedimento del presidente per malattia, previsto dall’articolo 233 della Costituzione. In questo caso – ma non nella fattispecie odierna – il presidente dell’Assemblea Nazionale assume la carica di presidente ad interim.
Il 23 gennaio 2019 oppositori e sostenitori Maduro organizzano due manifestazioni contemporanee a Caracas. Nella prima Guaidò si proclama presidente ad interim e presta giuramento. Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Israele riconoscono immediatamente il nuovo presidente del Venezuela. La Spagna, che partecipò a tentativi di colpo di Stato contro Hugo Chavez, preme perché l’Unione Europea si aggreghi.
La successione degli avvenimenti porta il Venezuela alla rottura diplomatica con gli Stati Uniti e alla chiusura dell’ambasciata a Washington. Gli Stati Uniti non riconoscono la legittimità della rottura e non chiudono l’ambasciata a Caracas, da dove continuano a gettare benzina sul fuoco.
JPEG - 44.1 Kb
Il 24 gennaio il ministro della Difesa, generale Vladimir Padrino, è apparso in televisione circondato dall’intero stato-maggiore per riaffermare l’impegno delle forze armate al servizio della nazione e del presidente costituzionalmente eletto, Nicolas Maduro. Padrino ha poi invitato il presidente a proseguire il dialogo con l’opposizione filo-USA. Le forze armate sono l’unica istituzione efficiente, su cui il Paese fa affidamento.

Applicare uno schema già sperimentato

Nella situazione attuale il Venezuela si trova con un presidente costituzionale eletto e un presidente ad interim autoproclamatosi.
Contrariamente a quel che credono i venezuelani, lo scopo degli Stati Uniti non è rovesciare Maduro, ma applicare al Bacino dei Caraibi la dottrina Rumsfeld-Cebrowski di distruzione delle strutture statali. Questo presuppone sicuramente l’eliminazione di Maduro, ma anche quella di Guaidò.
Lo schema attuale è già stato messo in atto per far passare la Siria da una situazione di disordini interni (2011) a un’aggressione da parte di un esercito di mercenari (2014). Nel caso del Venezuela, il ruolo della Lega Araba è svolto dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), il cui segretario generale ha già riconosciuto il presidente Guaidò; quello degli Amici della Siria dal Gruppo di Lima, che coordina le posizioni diplomatiche degli alleati di Washington; il ruolo di capo dell’opposizione, Burhan Ghalioun, da Juan Guaidò.
In Siria, il collaboratore di lunga data della NED, Burhan Ghalioun, è stato sostituito da altri, poi da altri ancora, al punto che nessuno più ricorda il suo nome. È probabile che anche Guaidò sarà sacrificato allo stesso modo.
Tuttavia il modello siriano ha funzionato solo in parte. Innanzitutto perché Russia e Cina si sono opposte numerose volte nell’ambito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Poi perché il popolo siriano si è progressivamente radunato attorno alla Repubblica Araba Siriana e ha dato prova di eccezionale resilienza. Infine perché l’esercito russo ha equipaggiato e sostenuto l’esercito siriano contro i mercenari e contro la NATO che li coordinava. Sapendo che non potrà più utilizzare gli jihadisti per indebolire lo Stato siriano, il Pentagono sta per lasciare la continuazione dell’opera nelle mani del Tesoro, che sta facendo di tutto per impedire la ricostruzione del Paese e dello Stato.
Nei prossimi mesi l’autoproclamatosi presidente ad interim Guaidò creerà un’amministrazione parallela per:
-  incassare il denaro del petrolio nelle controversie in corso;
-  risolvere la contesa territoriale con la Guyana;
-  negoziare la situazione dei rifugiati;
-  cooperare con Washington e, accampando vari pretesti giuridici, far imprigionare i dirigenti venezuelani negli Stati Uniti.
Se consideriamo l’esperienza in Medio Oriente Allargato degli ultimi otto anni, non possiamo interpretare quanto sta accadendo in Venezuela facendo un parallelo con quel che accadde in Cile nel 1973. Il mondo post-Unione Sovietica non è più quello della guerra fredda.
A quell’epoca gli Stati Uniti volevano controllare l’insieme delle Americhe ed escludervi ogni influenza sovietica. Volevano sfruttare le ricchezze naturali della zona al minor costo possibile e riducendo al minimo il controllo degli Stati nazionali.
Oggi invece gli Stati Uniti persistono a voler pensare il mondo come unipolare. Non hanno più né alleati né nemici: o un popolo è integrato nell’economia globalizzata, oppure vive in territori ricchi di risorse naturali, che gli Stati Uniti non intendono necessariamente sfruttare, ma di cui devono avere il controllo. Ebbene, poiché queste risorse naturali non possono essere controllate al tempo stesso da Stati-Nazione e dal Pentagono, le strutture statali di queste regioni devono essere ridotte all’impotenza.
JPEG - 26.1 Kb
Questa mappa è estratta da un Powerpoint presentato nel 2003 da Thomas P.M. Barnett, assistente dell’ammiraglio Arthur Cebrowski, a una conferenza al Pentagono. Essa mostra le zone da distruggere (colorate in rosa). Questo progetto non è legato né alla guerra fredda né allo sfruttamento delle risorse naturali. Dopo il Medio Oriente Allargato, gli strateghi USA si preparano a ridurre in macerie il Bacino dei Caraibi.

Rendere ciechi i protagonisti

Pur supponendo che Guaidò si sia autoproclamato presidente ad interim credendo di poter risolvere la crisi e servire il proprio Paese, in realtà ha fatto il contrario. Il suo gesto provocherà una situazione che verrà assimilata a una guerra civile. Guaidò o i suoi successori chiameranno in soccorso i fratelli latino-americani. Brasile, Guyana e Colombia dispiegheranno [sedicenti] forze di pace sostenute da Israele, Regno Unito e Stati Uniti. I disordini continueranno fino a quando intere città saranno ridotte in macerie. Poco importa che il governo venezuelano sia bolivariano o liberale, che sia filo- o anti-USA. lo scopo non è sostituirlo, ma fiaccare in modo durevole lo Stato. Il processo avviato in Venezuela si estenderà ad altri Paesi del Bacino dei Caraibi, a iniziare dal Nicaragua, fino a che nell’insieme della regione non rimarrà un potere politico degno di questo nome.
La situazione è limpida agli occhi di molti arabi, che già sono caduti nella stessa trappola e che hanno dovuto prima o poi soccombervi. Per il momento non è invece chiara ai latino-americani.
Naturalmente c’è sempre la possibilità che i venezuelani, malgrado il loro orgoglio, prendano coscienza della manipolazione di cui sono vittime, superino le divisioni e salvino il Paese.

www.voltairenet.org

lunedì 18 febbraio 2019

LILLI GRUBER/ QUELLE QUIRINARIE STRAVINTE DA IMPOSIMATO


Clamoroso scivolone di Lilli Gruber nel suo salotto di Otto e mezzo. La puntata è dedicata alla richiesta di rinvio a giudizio per il titolare del Viminale Matteo Salvini avanzanza dal tribunale dei ministri per il “sequestro” della nave zeppa di immigrati. Tra gli ospiti c’è il fondatore di EmergencyGino Strada, al solito lucidissimo nelle sue analisi e ovviamente schierato contro le politiche da pieno far west dello sceriffo leghista.
Ad una domanda della conduttrice, Strada fa sapere di non aver votato – come da tanti ritenuto – per i 5 stelle alle ultime elezioni. Molti, infatti, rammentavano l’alto gradimento tra le fila dei pentastellati fatto segnare dal chirurgo che ha speso la sua vita per salvare gli ultimi.

Ferdinando Imposimato
Ma eccoci all’autogol griffato Gruber. “Alle quirinarie ricordiamo tutti che lei fu tra i più votati, insieme a Milena Gabanelli e Stefano Rodotà. Se non sbaglio lei fu secondo, prima la Gabanelli e poi Rodotà”.
Ricorda male la rossa di Otto e mezzo. E non rende omaggio alla memoria di Ferdinando Imposimato, che alle quirinarie del 2015 fu stravotato come primo dal popolo 5 stelle, staccando tutti i ‘concorrenti’: ottenne, infatti 1 voto on line su 3, il 32 per cento. A distanza siderale il secondo, Romano Prodi con il 20 per cento, e il terzo, Nino Di Matteo con il 13 per cento. Ed infatti il nome di Imposimato fu votato in modo compatto dai grillini nelle prime “chiamate” per nominare il nuovo capo dello stato.
La circostanza è facilmente reperibile su internet, e fa testo il breve resoconto di Rainews del 29 gennaio 2015. E SergioMattarella diventò capo dello Stato due giorni dopo.
Con ogni probabilità Gruber confonde con le precedenti primarie, una sorta di “allenamento” perchè non c’era, nel 2013, alcun presidente da scegliere per il Colle. In quella votazione on line – e solo allora – si verificò la classifica evocata ad Otto e mezzo: prima Gabanelli, al secondo posto Strada, al terzo Rodotà. Tanto per rammentare ancora, Gustavo Zagrebelsky fu quarto e Imposimato quinto.
E’ doveroso restituire ad Imposimato quel che è di Imposimato. Un uomo che ha difeso la Costituzione e la Giustizia (quella vera) per tutta la sua vita, con enorme coraggio e passione civile.

sabato 16 febbraio 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana ven 15 feb 2019

Rete Voltaire
Focus




In breve

 
A Varsavia Israele rivela il proprio impegno nello Yemen
 

 
Forze speciali USA arrivano nei Caraibi
 

 
Il Gruppo di Contatto Internazionale (GCI) sostiene Juan Guaidó
 

 
In marzo e aprile 2019 Francia e Germania eserciteranno insieme la presidenza del Consiglio di Sicurezza
 

 
La Francia ritira il proprio ambasciatore presso un Paese membro della Ue
 

 
L'Iran costruirebbe missili di precisione in Siria
 

 
Erdoğan non riconosce al-Assad ma discute con il suo governo
 

 
Whitestream sarebbe in grado d'individuare le transazioni in Bitcoin
 

 
Erik Prince investe in Cina
 
Controversie

 
abbonamento    Reclami


venerdì 15 febbraio 2019

Voce delle Voci - La Newsletter di venerdì 15 febbraio

Schermata 2019-02-15 alle 07.59.20.png
LA NEWSLETTER DI VENERDI' 15 FEBBRAIO

Schermata 2019-02-15 alle 08.02.44.png
13 Febbraio 2019
  di Luciano Scateni


3 Febbraio 2019
  di PAOLO SPIGA
Schermata 2019-02-15 alle 08.09.17.png





LEGGI TUTTO SU www.lavocedellevoci.it

Internet è salvo? Purtroppo no! Save The Internet

Save The Internet ha appena condiviso un aggiornamento sulla petizione Internet è in pericolo e tu puoi salvarlo Guardalo e lascia un commento:
Aggiornamento sulla petizione

Internet è salvo? Purtroppo no!


Purtroppo alcune false informazioni circolano in rete promettendo che internet è stato salvato! La controversa riforma del diritto d'autore nel mercato interno digitale è fallita dopo che il Consiglio dell'UE ha cancellato il trilogo di lunedì scorso. Purtroppo questo non corrisponde al vero. Ecco quindi un breve chiarimento da parte nostra sulla situazione attuale:
  
Attualmente vi è...
Leggi l'aggiornamento completo