martedì 23 ottobre 2018

Conferenza "Oltre il velo di Maya" 🌎 - Premiere Choose Love!❤



FINALMENTE STA ARRIVANDO CHOOSE LOVE
Siamo lieti di poter finalmente comunicare che il nuovo film documentario di Thomas Torelli è in uscita!
Il vostro contributo per la realizzazione di Choose Love è stato vitale e stiamo definendo tutti i dettagli per la prima festa riservata ai sostenitori del film Choose Love

Ma la buona notizia è che c'è ancora la possibilità di sostenerci!
Basta cliccare sul bottone sottostante!
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Tutti coloro che invece hanno già contribuito e ci hanno sostenuto, sono invitati alla prima assoluta del film!
Un pomeriggio per poter esprimere la nostra più profonda gratitudine a chi ci ha dato il suo contributo per rendere tutto questo possibile.
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CONFERENZA: OLTRE IL VELO DI MAYA
Il 13 ottobre a Vicenza partirà il nuovo tour conferenze di Thomas Torelli: Oltre il Velo di Maya.
In questa straordinaria e nuova serata con Thomas Torelli partiremo da Zero (inchiesta sull'11 settembre) ed arriveremo ad un inedito del film Choose Love (passando attraverso Un Altro Mondo e Food ReLOVution) ma non solo… ci spingeremo molto, molto più in là.
Partiremo da ZERO, film diventato un simbolo sui condizionamenti della società, in cui si cerca di spiegare la verità, raccontando la storia, non nella maniera in cui è stata scritta dai Vincitori.
Ripercorreremo la storia così come non ci è mai stata raccontata, per sperimentare quanto la scelta dell'amore sia l'unica strada percorribile per fondare una nuova umanità e capire chi siamo realmente: "un miracolo unico ed irripetibile di coscienza, momento per momento".
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lunedì 22 ottobre 2018

GIORNALISMO D’INCHIESTA / IN ABRUZZO SI SPEGNE UN’ALTRA VOCE


Cala – speriamo solo per ora – il sipario su PrimaDaNoi, un eccellente quotidiano on line realizzato in Abruzzo e diretto da con passione, coraggio e professionalità da Alessandro Biancardi. Ne siamo profondamente dispiaciuti perchè rappresentava da anni un raro esempio di giornalismo investigativo autentico, capace di scavare e scovare nel marcio della malapolitica, di alzare gli altarini su affari, sigle e personaggi che la fanno da padrone nelle loro aree.
Proprio giorni fa rileggevamo una lunga e interessante inchiesta sulla Proger, una società d’ingegneria di origini pescaresi diventata leader in Italia: intrecci da brividi che anche la Voce ha sovente affrontato.
Ne hanno subito tante, i colleghi di PrimaDaNoi, sono stati attaccati per via giudiziaria dai poteri forti, hanno dovuto subire i morsi dalla giustizia che ti viene negata anche quando hai rispettato in pieno le regola del buon giornalismo, della deontologia, della massima professionalità. Eppure, chi è debole ormai sempre nelle aule giudiziarie, con sentenze civili velocissime, soccombe. Ed anche penali che oggi prevedono una straordinaria rapidità “d’esecuzione”, sparandoti addosso una provvisionale che si concede solo per reati gravissimi. Ebbene, noi della Voce ne abbiamo subite negli ultimi mesi 3 di identico tipo, 3 condanne a 7 mila euro ciascuna che sembrano fatte con lo stampino, e infatti sono firmate dalla stessa giudice.
Hanno deciso, di tutta evidenza, di sopprimere quel poco che resta di liberà di stampa per mano giudiziaria (oltre che economica: la pubblicità sempre più scarsa), di affossare una volta per tutte quel po’ di giornalismo d’inchiesta che dà fastidio al potere, impegnato ora – con manovre di depistaggio giudiziario – a non farci conoscere mai quali sono killer e mandanti dell’omicidio di Ilaria Alpi Miran Hrovatin, chi ha messo quel tritolo in via D’Amelio.
Ben contenta la politica, vecchia e nuova, visto il prurito che il giornalismo, quello vero, ha suscitato tempo fa in un D’Alema, poi in un Renzi, ora in un Di Maio. Uniti nella lotta – lorsignori – ad evitare che si faccia luce sui buchi neri della nostra marcia Repubblica e ad affossare quel po’ di giornalismo che va a caccia non di fake news, ma di verità e giustizia.
In basso pubblichiamo la lettera di commiato del bravo direttore Biancardi.
Ma prima di salutarci volevamo segnalare un altro caso, stavolta nel giornalismo radiofonico “d’inchiesta”. E’ stato licenziato di punto in bianco David Gramiccioli, per diversi anni direttore di Colorsradio, una coraggiosa emittente romana che non aveva paura di affrontare i temi più bollenti, dalle mafie ai gialli e misteri d’Italia, dai traffici di monnezza al potere di Big Pharma.
E forse proprio le battaglie sui vaccini – uno dei business principali delle industrie farmaceutiche, per le quantità di prodotto smerciato, nonostante le smentite di scienziati taroccati – sono costate il lavoro a David, che dirige anche una compagnia teatrale di giornalismo d’inchiesta. Un forte in bocca al lupo a lui e a chi lo aiuta nel suo difficile lavoro di denuncia.

L’EDITORIALE DI ALESSANDRO BIANCARDI
COSÌ MUORE UN QUOTIDIANO
Quando le candeline diventano un cero: 26 settembre 2005-26 settembre 2018
Abruzzo. PrimaDaNoi.it si spegne. È l’annuncio che non avremmo mai voluto dare e che da anni abbiamo cercato di allontanare il più possibile, fino a quando resistere non è stato più sufficiente. Così siamo costretti a fermarci: da oggi non troverete più notizie aggiornate qui.
Il 26 settembre 2005 nasceva il primo quotidiano on line per la regione Abruzzo in un momento in cui la tecnologia era ancora una speranza da queste parti, appena prima dei grandi scandali e in un momento di forti cambiamenti.
Il 26 settembre 2018, 13 anni esatti dopo, dobbiamo fermarci perché non possiamo più garantire la sostenibilità del quotidiano e lo facciamo prima di contrarre debiti che non potremo onorare.
È la fine di un sogno che si è trasformato in un incubo, poiché spesso siamo diventati noi il nemico di troppi e il bersaglio da colpire.
PrimaDaNoi.it muore per asfissia lentissima: un quotidiano vive di pubblicità ma siamo stati bravini a raccogliere quella nazionale e pessimi a convincere gli imprenditori sotto casa. Chissà perché…
PrimaDaNoi.it muore per l’isolamento nel quale è stato relegato solo perché siamo stati “cattivi” con i potenti e qualche difficoltà (piccolissima) in questi lunghi anni gliela abbiamo pure creata.
PrimaDaNoi.it muore perché in questa terra, oggi, la verità, l’informazione, il giornalismo d’inchiesta non sono ritenuti ancora beni vitali dal cittadino comune.
E quindi è la fine di un ciclo, di una stagione della nostra vita e di qualcosa di impalpabile che c’è e che assomiglia, chissà, forse, ad un punto di riferimento o ad una boccata d’aria.
È molto probabile che tra un paio di mesi anche il sito, con i suoi 500mila articoli di cronaca e inchieste abruzzesi, svanirà nel cimitero digitale e non vi sarà più alcuna traccia di quello che è stato.
Per noi, però, non è una sconfitta: non siamo noi a perdere.
Noi siamo quelli che per 13 anni esatti hanno resistito ad ogni sorta di tempesta, sgambetto o tranello, che hanno nuotato sempre controcorrente (purtroppo) e hanno combattuto soli contro tutti.
E quello che non ti ammazza, ti spegne: anche se ci è riuscito solo ora.
Lo diciamo chiaramente e urlando perché rimanga agli atti: la fine di PrimaDaNoi.it è la prova inconfutabile che l’informazione libera, svincolata e indipendente davvero non può esistere, se non per poco.
I patti, invece, sono la via unica anche per un giornale di sopravvivere ed è proprio per questo che non si può essere “indipendenti”, come noi, da tutti; a qualcuno devi pur appoggiarti e fare qualche favore se vuoi che poi ti difenda.
Come direttore mi ritengo l’unico responsabile per aver sempre tenuto una linea editoriale intransigente, improntata solo all’interesse pubblico senza mai farci intralciare da quelli privati (nemmeno i nostri).
La mia è stata una leggerezza imperdonabile ma mai avrei potuto immaginare che il Paese fosse malato a tal punto da trasformare una così preziosa virtù in una sentenza di morte.
Come giornale abbiamo sempre seguito i più alti principi morali (dunque nulla di più antiquato e retrogrado) e certe cose si pagano, qui ed ora, a caro prezzo.
Quando abbiamo iniziato immaginavamo che sarebbe stato difficilissimo ma non conoscevamo certi biechi meccanismi e certi ingranaggi che poi ci hanno stritolato.
Mai avremmo potuto immaginare, per esempio, di inaugurare una nuova stagione di dittature e censure come quelle avviate dalle ignobili sentenze sul “diritto all’oblio” che, nel 2010, per primi al mondo, ci hanno colpito, e da allora e a causa di quelle decisioni, il declino è stato inesorabile e ancora più veloce.
Condannati per aver violato una legge che non c’è in nome della privacy che serve per censurare, intimorire e restituire la verginità a qualche delinquente che non ha imparato la lezione.
Siamo stati costretti dal “sistema” ad essere come un soldato in campo aperto senza difese, bersaglio facile da colpire e solo perché la “Giustizia” l’abbiamo incrociata pochissime volte.
Noi abbiamo cercato di difendere il vostro diritto di conoscere negando la cancellazione di articoli veri e mai diffamatori e ci siamo trovati contro prepotenti e giudici.
Per dirne una, c’è un tizio che da sette anni mi minaccia di morte e profetizza di lasciarmi in mutande: per fortuna si è avverata solo la seconda.
È stato un continuo e disgustoso tiro al piccione.
L’informazione seria e le inchieste giornalistiche hanno per noi un carattere sacrale ma costano tanti soldi, molta fatica e svariate conseguenze e noi, da soli, per questi anni ci siamo fatti carico di tutto questo ma ora non siamo più in grado di fronteggiare tutti i rovesci ed i guasti di un Paese degradato.
Non è sbagliato dire, dunque, che le istituzioni sono state complici della nostra condanna a morte.
Grazie a tutti quelli che ci hanno seguito con assiduità, letto con attenzione, che hanno potuto sapere e scoprire l’Abruzzo in questi 13 anni.
Magari che hanno sperato con noi che le cose potessero migliorare.
Da oggi tutti quelli che pensavano a noi per denunciare qualcosa che loro non avevano il coraggio di fare dovranno rivolgersi altrove.
A quelli a cui siamo antipatici e che oggi non sono affranti come noi dico che prima o poi arriva per tutti il momento di avere bisogno di un quotidiano davvero onesto e libero per conoscere o raccontare.
Noi la nostra parte l’abbiamo fatta.
Non c’è altro da dire e non ne vale la pena.
Punto.
E basta.

Alessandro Biancardi”

venerdì 19 ottobre 2018

Relazioni internazionali: la quiete prima di quale tempesta?, di Thierry Meyssan


Tutte le questioni internazionali sono in sospeso in attesa delle elezioni statunitensi. I partigiani del vecchio ordine internazionale puntano su un cambiamento di maggioranza al Congresso e su una destituzione rapida del presidente Trump. Se l'ospite della Casa Bianca rimarrà al suo posto, i protagonisti della guerra contro la Siria dovranno ammettere la sconfitta e trovare nuovi campi di battaglia. Viceversa, se Trump perderà le elezioni il Regno Unito rilancerà immediatamente il conflitto in Siria.

La fase attuale, che è iniziata con la reazione della Russia alla distruzione del suo Ilyushin-20 e che si protrarrà fino alle elezioni legislative statunitensi del 6 novembre prossimo, è incerta. Tutti i protagonisti della guerra in Siria aspettano di sapere se la Casa Bianca potrà continuare la politica di rottura con l’attuale ordine internazionale o se il Congresso passerà nelle mani dell’opposizione e darà immediatamente inizio alla procedura di destituzione del presidente Trump.

Le origini della guerra

È ormai chiaro che il progetto iniziale di Stati Uniti, Regno Unito, Israele, Arabia Saudita e Qatar non si realizzerà, così come non si realizzeranno i progetti di Francia e Turchia, due potenze entrate in un secondo tempo nella guerra contro la Siria.
Dobbiamo avere presente non in che modo abbiamo appreso l’inizio degli avvenimenti, bensì ciò che abbiamo scoperto in seguito. Le manifestazioni di Deraa ci furono presentate come una «rivolta spontanea» contro la «repressione di una dittatura»; oggi sappiamo che invece furono a lungo preparate [1].
Dobbiamo anche smettere di credere che i membri di una Coalizione, benché uniti per conseguire il medesimo obiettivo, condividano anche la stessa strategia. Quale che sia l’influenza dell’uno o dell’altro, ogni Stato custodisce la propria storia, persegue i propri interessi e i propri scopi di guerra.
Gli Stati Uniti miravano alla distruzione delle strutture statali del Medio Oriente Allargato, secondo la strategia dell’ammiraglio Arthur Cebrowski [2]. Si appoggiavano al Regno Unito che, da parte sua, metteva in atto la strategia di Tony Blair, finalizzata a insediare nella regione i Fratelli Mussulmani [3]; nonché su Israele, che s’ispirava alla strategia di egemonia regionale d’Oded Yinon [4] e di David Wurmser [5].
Le armi furono depositate anticipatamente dall’Arabia Saudita nella moschea Omar di Deraa [6] e il Qatar inventò la storia dei bambini cui erano state strappate le unghie.
All’epoca, l’Arabia Saudita non cercava né d’imporre una nuova politica alla Siria né di rovesciare il governo siriano. Riad voleva esclusivamente impedire che alla presidenza ci fosse un non-sunnita. Per una strana evoluzione storica, i wahabiti, che due secoli prima consideravano sunniti e sciiti entrambi eretici e incitavano a sterminarli se non si fossero pentiti, si atteggiano ora a difensori dei sunniti e persecutori degli sciiti.
Quanto al piccolo emirato del Qatar, voleva rivalersi per l’interruzione del progetto di gasdotto in Siria [7].
La Francia, che avrebbe dovuto partecipare alla congiura in virtù degli accordi di Lancaster House, fu tenuta in disparte per le inaspettate iniziative prese in Libia. Il ministro degli Esteri, Alain Juppé, tentò di spingere la Francia a unirsi ai complottisti, ma l’ambasciatore francese a Damasco, Eric Chevallier, che essendo sul posto poteva constatare la distorsione dei fatti, tirava il freno [8].
Quando fu riaccettata nel complotto, la Francia si prefisse lo stesso obiettivo di colonizzazione della Siria del 1915, sulla scia degli accordi Sykes-Picot-Sazonov. Così come all’epoca fu considerato transitorio, rispetto alla colonizzazione permanente dell’Algeria [9], il mandato francese sulla Siria nel XXI secolo è considerato di secondo piano rispetto al controllo del Sahel. Inoltre, nel tentativo di realizzare la vecchia mira, Parigi cominciò a spingere per la creazione di un nucleo statale curdo, sul modello di quel che nel l917 i britannici fecero in Palestina con gli ebrei. La Francia si alleò così con la Turchia [10] che, in nome del «giuramento nazionale» di Atatürk [11], invase il nord della Siria per creare uno Stato dove espellere i kurdi di Turchia.
Se gli obiettivi dei primi quattro aggressori, Stati Uniti, Regno Unito, Israele e Arabia Saudita, sono tra loro compatibili, quelli di Francia e Turchia non lo sono con gli altri.
Del resto, Francia, Regno Unito e Turchia sono ex potenze coloniali. Tutte tre cercano d’insediarsi sullo stesso trono. La guerra contro la Siria ha così riacceso le rivalità del passato.

L’episodio Daesh all’interno della guerra contro la Siria e l’Iraq

A fine 2013 il Pentagono rivide i propri piani nel quadro della strategia Cebrowski. Modificò i piani iniziali, quelli rivelati da Ralph Peters [12], sostituendoli con il disegno di Robin Wright di creare un «Sunnistan» a cavallo di Siria e Iraq [13].
Tuttavia il dispiegamento in Siria, a settembre 2015, delle forze armate russe per ostacolare la creazione del «Sunnistan» da parte di Daesh rovinò gl’intenti dei sei principali partner della guerra.
I successivi tre anni di conflitto risposero a un altro obiettivo: da un lato, creare un nuovo Stato a cavallo tra Iraq e Siria, nel quadro della strategia Cebrowski, dall’altro, utilizzare Daesh per tagliare la via della seta che la Cina di Xi Jinping desiderava riattivare, mantenendo così il dominio continentale da parte del partito «occidentale».

La vittoria siriano-russa e il voltafaccia degli Stati Uniti

La vicenda della distruzione, il 17 settembre 2018, dell’Ilyuscin-20 ha fornito alla Russia l’occasione di mettere fine a questa guerra infinita e di accordarsi con la Casa Bianca, in contrasto con gli altri aggressori. È la riedizione, su scala minore, della reazione URSS-USA alla crisi del Canale di Suez del 1956 [14].
Mosca non solo ha appena consegnato all’Esercito Arabo Siriano dei missili antiaerei (gli S-300), ma ha anche dispiegato in Siria un intero sistema di integrato sorveglianza. Quando questo sistema sarà operativo e gli ufficiali siriani saranno stati addestrati a manovrarlo, ossia entro tre mesi al più tardi, sarà impossibile agli eserciti occidentali sorvolare la Siria senza il consenso di Damasco [15].
Il presidente Trump aveva annunciato in anticipo l’intenzione di ritirare le truppe statunitensi dalla Siria. Era stato poi costretto a fare marcia indietro per l’insistenza del Pentagono. Trump, di comune accordo con i generali, aveva perciò deciso di mantenere la pressione su Damasco fino tanto che gli Stati Uniti sarebbero stati esclusi dai negoziati di pace di Sochi. Il dispiegamento delle armi russe — probabilmente con il consenso della Casa Bianca — fornisce al presidente Trump l’occasione di far arretrare il Pentagono, che dovrebbe così ritirare le proprie truppe e mantenervi invece i mercenari (in questo caso i kurdi e gli arabi delle Forze Democratiche) [16].
Nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il ministro degli Esteri siriano, Walid el-Mouallem, ha preteso il ritiro immediato e senza condizioni delle forze d’occupazione straniere USA, francesi e turche [17].
Se gli Stati Uniti se ne vanno, i francesi e i turchi non potranno restare. Gli israeliani non potranno sorvolare e bombardare il Paese. I britannici si sono già ritirati.
Tel Aviv, Parigi e Ankara sperano però che il presidente Trump perda le elezioni legislative del 6 novembre e che venga destituito. Attendono perciò l’esito dello scrutinio prima di prendere decisioni.
Nell’ipotesi che Trump vinca le elezioni di mid-term al Congresso, si porrà un altro problema: se gli Occidentali devono rinunciare alla Siria, dove proseguiranno la loro guerra senza fine? Su una cosa tutti gli esperti concordano: la classe dirigente occidentale è talmente presuntuosa e desiderosa di rivincita che non può accettare di essere retrocessa alle spalle delle nuove potenze asiatiche.
Saggezza vorrebbe che, perduta la guerra, gli aggressori si ritirassero. Ma l’atteggiamento intellettuale degli Occidentali glielo impedisce. La guerra finirà in Siria quando avranno trovato altrove un nuovo osso da rosicchiare.
Solo il Regno Unito ha già pensato a quale sarà la propria risposta. È già da ora evidente che, sebbene Londra mantenga la pressione diplomatica sulla Siria attraverso il Piccolo Gruppo (Small Group), le sue intenzioni sono già rivolte a una ripresa del «Grande Gioco», lo scontro che oppose la corona allo Zar per tutto il XIX secolo. Dopo essersi inventati l’affare Skripal, sul modello del «Telegramma Sinoniev» [18], Londra ha appena sorpreso in flagrante delitto i servizi dell’intelligence russa che stavano tentando di scoprire quel che si stava tramando contro di loro all’interno dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC, OPWC in inglese).
Questa dottrina geopolitica è indipendente dagli avvenimenti che le servono da pretesto. Il «Grande Gioco» era la strategia dell’Impero britannico. La sua riattivazione da parte dell’attuale Regno Unito è conseguenza della Brexit e della politica di «Global Britain». Come nel XIX secolo, questa configurazione antirussa si accompagnerà, a termine, a una rivalità esacerbata tra Londa e Parigi. Al contrario, in caso di sconfitta di Theresa May, di rimessa in discussione della Brexit e di rientro del Regno Unito nell’Unione Europea, queste proiezioni saranno annullate.
Se la Francia pensa sin da ora di lasciare il Medio Oriente per concentrarsi sul Sahel, la posizione degli Stati Uniti è molto più problematica. Dall’11 settembre 2001 il Pentagono gode di una certa autonomia. I dieci Comandanti delle Forze Armate non possono ricevere ordini dal presidente del Comitato di stato-maggiore congiunto, bensì unicamente dal segretario della Difesa. Col tempo sono diventati dei veri e propri “viceré” dell’”Impero americano”; una funzione che non hanno intenzione di lasciare ridimensionare dal presidente Trump. Alcuni di loro, come il comandante per l’America del Sud (SouthCom) [19], vogliono proseguire nella strategia dell’ammiraglio Cebrowski, nonostante le obiurgazioni della Casa Bianca.
Molte sono perciò le incertezze. Il solo passo compiuto riguarda Daesh; per tre anni gli occidentali hanno affermato di combattere l’organizzazione terrorista, sebbene continuassero a rifornirla di armi. Adesso Trump ha ordinato di far finire l’esperimento di uno Stato apertamente terrorista, il Califfato, e gli eserciti siriano e russo hanno respinto gli jihadisti. Gli Occidentali non vogliono vedere i loro amici, i “ribelli moderati”, ora chiamati “terroristi”, riversarsi a casa loro. Di conseguenza, che lo confessino o no, auspicano la loro morte in Siria.
Saranno le elezioni di mid-term negli Stati Uniti che determineranno la prosecuzione della guerra in Siria o il suo spostamento su un altro campo di battaglia.


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giovedì 18 ottobre 2018

Magaldi: Draghi e Mattarella, il padrone e il maggiordomo

Come va letta, la visita di Draghi a Mattarella? «Be', come dire: il padrone è venuto a visitare il maggiordomo». Indovinato: è Gioele Magaldi a esprimersi in questi termini, per commentare l'insolita "capatina" al Quirinale, da parte del presidente della Bce, proprio mentre l'establishment finanziario, politico e mediatico spara sul governo Conte, che si è permesso di alzare il deficit al 2,4% del Pil – nella previsione 2019 del Def – sperando di cominciare a finanziare reddito di cittadinanza, taglio delle tasse e pensioni più decorose. La novità è che, dall'8 ottobre, Magaldi "esterna" – sempre di lunedì, alle 12 – sul canale YouTube di "Border Nights", dopo l'improvvisa chiusura di "Massoneria On Air" da parte di "Colors Radio", che ha licenziato il conduttore, David Gramiccioli. «L'editore, che in tre anni mi aveva lasciato la massima libertà – spiega lo stesso Gramiccioli, durante il collegamento con Fabio Frabetti – mi ha contestato il crollo del fatturato pubblicitario, legato anche a strutture sanitarie». Facile che a turbare gli sponsor sia stata l'offensiva giornalistica di Gramiccioli, che contro l'obbligo vaccinale introdotto dalla legge Lorenzin ha anche scritto e interpretato il fortunatissimo spettacolo teatrale "Il decreto".

Gramiccioli ha inoltre ospitato stabilmente Massimo Mazzucco, che smonta la versione ufficiale sull'11 Settembre. Ha dato spazio a Enrica Perucchietti, autrice di saggi su "fake news" e terrorismo "domestico" gestito da servizi segreti occidentali sotto Gioele Magaldifalsa bandiera. E "Colors Radio" ha fatto audience ogni lunedì con Magaldi, che non ha esitato a svelare la cifra massonica (occulta) di tanti uomini di potere. Gianfranco Carpeoro, ospite con Gramiccioli della prima puntata di "Gioele Magaldi Racconta", cita i "Promessi sposi": elegante, Gramiccioli, nel non infierire sulla proprietà di "Colors Radio" che l'ha lasciato a piedi senza preavviso, e senza alcun rispetto per i tantissimi, affezionati ascoltatori. Ma certo, dice Carpeoro, il comportamento dell'editore ricorda quello di Don Abbondio. "Il coraggio, uno non se lo può dare", scrive Manzoni. Specie se magari, come in questo caso, ha incontrato i "bravi", che gli hanno fatto il loro discorsetto: via Gramiccioli, o niente più contratti pubblicitari. Onore al conduttore, in ogni caso, «ottimo giornalista e uomo dalla schiena diritta», lo saluta Magaldi. Che promette: la storia non finisce qui, naturalmente. Tanto per cominciare, la voce di Magaldi il lunedì mattina trasloca su "Border Nights", grazie al tandem Carpeoro-Frabetti. E comunque, il progetto "Massoneria On Air" «riprenderà vita presto, vedremo come e dove».

Anche perché il Movimento Roosevelt, di cui Magaldi è presidente, annuncia un impegno a tutto campo, anche sulla comunicazione. La missione è chiara: intanto, difendere il governo Conte e aiutarlo di fare di più e meglio. E' vergognoso – dice Magaldi – che l'esecutivo gialloverde venga attaccato a reti unificate: per la prima volta, dopo l'orrenda stagione della Seconda Repubblica, un governo osa contestare la "teologia" del rigore, avanzando le prime proposte (ancora timide) per risollevare l'economia espandendo il deficit. «Le idee sono buone», riconosce lo stesso Carpeoro, nella speranza che poi «vengano effettivamente recepite nella finanziaria», vista la pericolosità dei super-poteri in azione, decisi a impedirlo con ogni mezzo. A fine novembre, annuncia Magaldi, lo stesso Movimento Roosevelt scenderà in campo – con un'assemblea generale a Roma – per presentare idee-forza da sottoporre poi al governo. In altre parole: siamo solo all'inizio della "primavera italiana". Superati i primi scogli, poi i gialloverdi dovranno osare di più. E i circuiti massonici progressisti, di cui lo stesso Magaldi è David Gramiccioliportavoce, «si impegneranno a livello europeo per far sì che l'operato del governo italiano sia percepito in modo corretto», nonostante il fuoco d'interdizione cui è sottoposto ogni giorno dai grandi media, asserviti ai poteri oligarchici.

Bei tempi, quando l'informazione italiana era affidata a professionisti come Stefano Andreani, prematuramente scomparso, cui Magaldi dedica un commosso ricordo. Stranissimo giornalista, Andreani, cattolico militante ma formatosi alla scuola di "Radio Radicale": un uomo onesto, capace sempre di impedire alle proprie idee di intorbidire la verità destinata ai lettori. Esattamente il contrario dell'attuale deriva del post-giornalismo italico (gridato, fazioso, omertoso e bugiardo) che "bombarda" ogni giorno Di Maio e Salvini, in ossequio a poteri che poi, magari, impongono il licenziamento di un reporter coraggioso come Gramiccioli. Poteri forti, si capisce, che – ai piani alti – hanno il volto di Mario Draghi, supermassone «ascrivibile alla peggiore contro-iniziazione, che non manca certo di spessore e capacità strategica». Non come Mattarella, che politicamente «Ã¨ un "maggiordomo" paramassone, come Enrico Letta», sintetizza Magaldi. Letta e Mattarella? «Figure ancillari e servizievoli, con poca autonomia e spessore di pensiero». Draghi in visita al capo dello Stato? Ovvio: «Fu Draghi a proporre Mattarella a Renzi, per il Quirinale, e quindi oggi Mattarella "prende ordini" da Draghi, talvolta per mezzo di Ignazio Visco», il governatore di Bankitalia. Ecco dunque, chiosa Magaldi, a cosa è servito l'incontro fra Draghi è Mattarella: ha permesso «che il padrone il suo maggiordomo concertassero qualche azione comune contro le pur labili, flebili innovazioni che questo governo sta cercando di introdurre».

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