giovedì 23 agosto 2018

Anche i Caschi Bianchi sono stati evacuati dalla Siria. Stiamo per assistere alla battaglia finale?


Sarà l’ultima battaglia? Per tre anni, Idlib è stata la discarica di tutte le milizie islamiche in ritirata dalla Siria, l’ultima ridotta di tutti quei combattenti che avevano preferito continuare a combattere piuttosto che arrendersi all’esercito siriano, alle forze aerospaziali russe, agli Hezbollah e , in misura minore, agli Iraniani.
Il Brigadiere Generale Suheil al-Hassan, la “Tigre” dei miti e delle leggende militari siriane, che sa recitare memoria i versi del poeta Mutanabi, ma che preferisce essere paragonato a Erwin Rommel piuttosto che a Bernard Montgomery, porterà sicuramente con sé la “Forza Tigre” per la resa dei conti finale fra il regime di Damasco e gli Islamisti di ispirazione salafita, armati dall’Occidente, che avevano tentato, per poi miseramente fallire, di abbattere il governo di Bashar al-Assad.
Grazie a Donald Trump, ora per i “ribelli” siriani è tutto finito, dal momento che sono stati traditi dagli Americani, sicuramente e definitivamente dallo stesso Trump nei famosicolloqui segreti con Vladimir Putin di Helsinki, forse le più importanti delle discussioni “in incognito,” quelle che si svolgono alla presenza dei soli interpreti.
Tre settimane prima, gli Americani avevano comunicato ai ribelli della Siria sud-occidentale, ai piedi delle Alture del Golan occupate da Israele, che avrebbero dovuto cavarsela da soli e di non aspettarsi più assistenza militare. Anche i Caschi Bianchi, eroici soccorritori o propagandisti di guerra dei ribelli (scegliete voi, ma sicuramente verranno presto presentati come “controversi”), sono stati esfiltrati dalle aree occupate dai ribelli, insieme alle loro famiglie, con l’aiuto degli Israeliani e portati in salvo in Giordania.
Gli Israeliani sono un po’ seccati per non essere stati ringraziati dalle unità di difesa civile dei Caschi Bianchi per la loro assistenza umanitaria, ma che cosa si aspettavano, dopo aver passato tutto il tempo ad attaccare durante la guerra gli Iraniani, gli Hezbollah e i Siriani, dopo aver fornito assistenza medica ai combattenti islamici di al-Nusra che erano passati dietro le loro linee, senza mai, ma proprio mai, bombardare l’ISIS? Credono forse che i Caschi Bianchi vogliano essere associati ad Israele proprio adesso?
Ma gli Israeliani hanno ottenuto quello che veramente volevano: la promessa russa che gli Iraniani si terranno lontani dalle Alture del Golan siriane occupate da Israele. La cosa è assai strana, perché in Siria le truppe iraniane sono poche e preziose (dimenticatevi le frottole che raccontano gli “esperti” di Washington), ma combacia alla perfezione con la convinzione macabra e teatrale di Benjamin Netanyahu che l’Iran è un “cappio di terrore” attorno al collo di Israele. In ogni caso, qualcosa sulla guerra in Siria la conosce anche Putin: le bombe sono importanti, ma anche i soldi.
Per quale altro motivo allora Putin avrebbe annunciato investimenti per 50 miliardi di dollari nel settore energetico iraniano? E’ semplicemente un anticipo per gli investimenti fatti dall’Iran nella guerra siriana? Un regalo del genere “grazie, ma ora potete andare” di Mosca per poter avere in cambio una parata a Teheran, senza dubbio trionfale, delle forze iraniane che ritornano “vincitrici” dai loro doveri islamico-rivoluzionari in Siria?
Dopo aver incontrato Putin al Kremlino meno di due settimane fa, Ali Akbar Velayati, consigliere anziano per gli affari esteri del “Leader Supremo” Khamenei, ha ammesso che i loro colloqui “si erano concentrati sulla cooperazione russo-iraniana… ma anche sulla situazione nella regione, compresi gli ultimi sviluppi in Siria.” E questo è quanto. L’economia iraniana è sistemata, ma gli ordini di marcia per la Siria li prende da Putin.
Mai troppo presto per gli Iraniani, senza dubbio. E’ stato abbastanza scioccante per me vedere, il mese scorso, i più ricchi e benestanti iraniani del ceto medio arrivare in massa a Belgrado, portando contanti e gioielli in Occidente tramite una delle poche nazioni occidentali che ancora consentono l’ingresso senza visto agli Iraniani colpiti dalle sanzioni. Voli low-cost da Teheran e da altre città iraniane atterrano tutti i giorni in Serbia e gli hotel di Belgrado sono stipati di clienti che parlano Farsi, pronti, presumibilmente, ad iniziare una nuova vita in Occidente. L’Unione Europea, non c’è bisogno di ribadirlo, sta minacciando Belgrado di abolire il regime visa-free di cui godono i cittadini serbi nel resto d’Europa, se non bloccherà l’afflusso dei remunerativi “turisti” iraniani.
Nel frattempo, l’esercito siriano, che sta combattendo contro gli ultimi, irriducibili, gruppuscoli di Islamisti vicino a Daraa, si riporterà ai bordi della zona smilitarizzata controllata dalle Nazioni Unite, dove si trovava già prima dello scoppio della guerra civile nel 2011. In altre parole, il problema del “Fronte Sud” sarà risolto e rimarrà solo la ridotta di Idlib, insieme  alla città di Raqqa, nelle mani delle milizie ancora fedeli (non certo ancora per molto, dato che Trump li sta tradendo) agli Stati Uniti. Putin, probabilmente, è in grado di risolvere questo problema, se non lo ha già fatto durante il suo incontro con Trump.
Ma Idlib è più importante. Senza dubbio, assisteremo ad ulteriori colloqui di “riconciliazione” fra le autorità siriane e le formazioni ribelli all’interno della provincia. Ci saranno accordi, pubblici e privati, in base ai quali tutti quelli che vorranno ritornare nel territorio controllato dalle forze governative potranno farlo. Ma, dal momento che a Idlib ci sono quegli Islamisti, con le loro famiglie, che avevano già rifiutato simili offerte in altre città (molti di loro erano arrivati con gli autobus dalla zona di Ghouta e Yarmouk, presso Damasco, da Homs e dalle altre città dove si erano arresi, direttamente nella provincia di Idlib), il loro futuro sembra abbastanza fosco.
Naturalmente a tutti piacciono le guerre con una “battaglia finale”. Strano a dirsi, Gerusalemme e Baghdad erano state le uniche capitali nemiche ad essere invase dagli Alleati durante la Prima Guerra Mondiale. E sappiamo che la presa di Berlino da parte dei Russi aveva posto termine alla parte europea della Seconda Guerra Mondiale. Lasciamo perdere, per ovvie ragioni, la caduta di Saigon (aveva vinto la parte sbagliata) e le varie “capitali” conquistate in Medio Oriente (Gerusalemme nel 1967, Beirut nel 1982, Kuwait City nel 1990 e Bagdad nel 2003), perché hanno lasciato retaggi di sangue che si trascinano fino al giorno d’oggi.
Ma dobbiamo ricordare una cosa. L’esercito siriano è abituato a combattere. La stessa cosa vale per l’aviazione russa. E’ sicuro che, quando comincerà l’ultima battaglia, difficilmente verrà dimenticato l’assedio di al-Nusra all’ospedale militare governativo Jisr al-Shugour di Idlib e il massacro di molti dei suoi difensori e delle loro famiglie, tre anni or sono. Mosca non darà il benvenuto a casa, in Cecenia, agli Islamisti. E Ankara non vuole sparpagliare i veterani di Idlib nelle pianure dell’Anatolia, visto che Erdogan è ancora ossessionato dal tentato colpo di stato “islamico” di due anni fa, con decine di migliaia di presunti fiancheggiatori che ancora marciscono nelle sontuose galere turche.
L’Occidente non darà certamente una mano. C’è il vecchio mulo dell’ONU che, credo, potrebbe farsi coinvolgere in una “temporanea” missione di pace a Idlib, ma non avrà certo il sostegno di un presidente siriano che intende riportare ogni chilometro quadrato della nazione sotto il controllo esclusivo del governo. Potrebbe rendersi disponibile una discarica ancora più piccola, se i ribelli di Idlib venissero trasferiti più a nord, nell’enclave di Afrin, già ampiamente popolata e controllata dai vecchi amici della Turchia, provenienti dalle file dell’ISIS. E’ certo che l’Occidente non vorrà i rimasugli di quella armata islamica che aveva contribuito ad armare.
Presumibilmente, l’asilo politico concesso ai Caschi Bianchi sarà il massimo della sua generosità, insieme al normale aiuto ai rifugiati.
Ma dobbiamo anche ricordare che quelle nazioni che per così tanto tempo avevano cercato di rovesciare Assad, ora cercheranno, anche se lentamente, di ristabilire relazioni di qualche genere con il governo di Damasco. Diplomatici francesi, manco a dirlo, stanno facendo i turisti in Siria dal Libano da almeno un anno. La stessa cosa hanno fatto, in maniera discreta, inviati di altre nazioni europee. Gli Americani vorranno la loro particina, per quanto strano (o trumpiano) possa sembrare, e, in quel momento cruciale, Putin sarà a disposizione.
Ma, che cosa sarà dei cinque milioni di rifugiati siriani le cui nazioni ospitanti, Europa, naturalmente, ma anche Turchia, Libano, Giordania, Iraq, Kuwait, Egitto, non vedono l’ora che  tornino a “casa?” E qui, forse, si trova la chiave per interpretare questa “fine della guerra.”
I Russi sono pronti a garantire ai rifugiati la possibilità di ritornare sani e salvi alle loro case (che cosa valgano queste promesse è un’incognita, visto che migliaia di senzatetto temono il regime) e sembra che inviati di Mosca siano già arrivati in Libano, che ospita un milione e mezzo di Siriani, per parlare di logistica. Gli Stati Arabi del Golfo, in modo particolare il Qatar, sembra siano interessati a finanziare la ricostruzione della Siria. Perciò, se non sarà possibile far arrendere con le armi i “ribelli” di Idlib, si potrà almeno corromperli? Tra l’altro facendolo fare alle nazioni arabe che li hanno sostenuti fin dall’inizio. E’ ancora presto. Ma tutte le guerre arrivano alla fine. Ed è da qui che ricomincia la storia.
Robert Fisk
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

mercoledì 22 agosto 2018

Julia Reda: il 26 agosto Copyright Action Day

Julia Reda: il 26 agosto Copyright Action Day

Un mese fa abbiamo fatto la storia: abbiamo stoppato una legge che avrebbe massicciamente ristretto la nostra libertà di espressione, e abbiamo inflitto a potenti lobby una "sconfitta senza precedenti". Grazie per aver contribuito a rendere tutto ciò possibile!

Abbiamo fermato il treno, ma il lavoro non è ancora finito: ora dobbiamo rimetterlo sui binari giusti.

Il giorno della decisione: 12 settembre
Il 12 di settembre il Parlamento deciderà su come procedere con la direttiva sul copyright. Le proposte possono essere inviate fino al 5 settembre.

Il nostro obiettivo è chiaro: il Parlamento deve adottare delle alternative per l'Articolo 11 e l'Articolo 13. Non si devono costringere le piattaforme ad installare filtri in upload e non si deve mettere il copyright sui link e gli snippet.

E bisogna anche ribaltare la pessima decisione della Commissione Affari Legali: con un singolo voto, la Commissione ha deciso di non adottare eccezioni per i contenuti generati dagli utenti (remix, doppiaggi o fan fiction), e non ha espressamente chiarito che linkare non è un'infrazione al copyright. Al contrario, ha richiamato gli organizzatori di eventi sportivi a garantire protezione al copyright, cosa che potrebbe rendere illegale anche le foto postate dai tifosi durante le partite (Emendamento 76). È stato anche proposto di richiedere ai motori di ricerca per immagini di acquistare costose licenze per permetterci di trovare immagini sul web (Emendamento 79).

Io lavorerò per raggiungere questi obiettivi nel Parlamento Europeo, con i nostri alleati. Nel frattempo, le persone là fuori possono comunque supportarci.

Il giorno dell'azione: 26 agosto
Non abbiamo ancora vinto. Dopo lo shock iniziale di aver perso nella votazione di Luglio, i proponenti dei filtri in upload e della tassa sui link sono tornati alla carica con una narrazione più accattivante per sgonfiare l'opposizione di massa che hanno dovuto fronteggiare.


Sostengono che la campagna era un fake, generato da bot e orchestrato dalle grandi aziende di Internet. Secondo loro, agli europei non interessa davvero la libertà d'espressione. Le leggi europee non ci interessano abbastanza da far sentire le nostre voci. Resteremo semplicemente immobili mentre il nostro Internet viene ristretto per salvaguardare interessi di parte.

Ma le persone in tutta Europa sono pronte a dimostrare il contrario: porteranno la protesta nelle strade. Se arriveremo ad 1 milione di firme online contro i filtri in upload e la tassa sui link, non potranno più ignorare l'opposizione. Questo il messaggio:

1 milione

Unisciti a noi Domenica 26 agosto in una città vicino a te. Vari gruppi (partiti locali, associazioni e individui) si stanno organizzando in tutta Europa.

Se sei a conoscenza di una protesta nella tua città o sei in grado di organizzare una, avverti il mio team, e aggiungeremo l'evento alla mappa. E non dimenticare di chiamare i politici tuoi connazionali che hanno votato contro la riforma, così come i media locali!

Io condividerò via Facebook e Twitter le località e i momenti della protesta, appena ne verrò a conoscenza.

Io sarò a protestare a Berlino. E tu?


See full screen

Fonte: www.partito-pirata.it

martedì 21 agosto 2018

VACCINI / IL MAGO DEI PRO VAX BURIONI ORA COME ALDO MORO…


Siamo alle comiche – o alle tragiche – finali. Un'intera pagina dedicata da Repubblica al Mago Pro  Vax, Roberto Burioni, l'Eroe dei due mondi che sta propalando al popolo bue il Verbo sull'uso super obbligatorio e super miracoloso dei vaccini.
Stavolta la paginata del quotidiano diretto da Mario Calabresi – ormai da quasi due anni genuflessa davanti ai desiderata di Big Pharma – dedica un'intervistona al Mago dei Vaccini, con una foto emblematica: lui, il Vate, con una nastro adesivo sulla bocca, ad indicare che non ha il diritto di parola; sullo sfondo il simbolo delle Brigate Rosse. Come se si trattasse di Aldo Moro, un martire che ha dato la sua vita per il Paese. Un oltraggio. Una vergogna.
Se non ci fosse da piangere per tutti i bambini che muoiono per effetti da vaccini sbagliati – perchè non nelle giuste condizioni di salute, perchè le dosi erano troppo massicce, perchè la qualità dei prodotti era scarsa e via di questo passo – ci sarebbe solo da ridere per una fake photo che cerca solo di portare un po' di pubblicità al Mago Silvan di sieri & provette, il cui ultimo volume è dedicato a tutti i "Somari" che in questa materia non ne capiscono niente, mentre è solo lui il Mago Merlino, con tanto di cappucci e grembiulini al seguito, visto che è iscritto al Grande Oriente d'Italia, la prima loggia nel nostro paese che a questo punto farebbe bene a prendere una netta posizione sul delicato tema: Roberto Burioni risulta iscritto al Goi con tanto di numero di tessera, luogo di nascita e data nascita? Lui, il Vate, smentisce. Ci sono due gemelli addirittura con lo stesso nome al mondo? Prodigi della genetica?
Perchè il Gran Maestro del Grande Oriente, Stefano Bisi, che si proclama in tutte le occasioni pubbliche a favore della trasparenza, una buona volta non scioglie l'angosciante dilemma? Burioni è massone oppure no? Non può essere, di tutta evidenza, un mezzo incappucciato: esistono solo gli "assonnati" che però restano massoni per tutta la vita, come abbiamo chiarito più e più volte. Perchè – ribadiamo – il trasparente Bisi non fa una buona volta chiarezza?


Stefano Bisi, Sopra, Burioni nel travestimento di Aldo Moro

E poi, come mai un Vate di grande spessore scientifico come Burioni, che esibisce un pedigree chilometrico, si vergogna di ammetterlo, anche davanti ai confratelli? Quale male c'è? Quale vergogna provare? E' peggio negarlo, facendo la magra figura di un povero vigliacco.
Ma torniamo all'intervista kolossall di Repubblica che nutre una particolare simpatia per lo scienziato massone, interpellato praticamente tutte le settimane e stavolta dissimulato sotto le sembianze di uno statista del calibro di Aldo Moro, che a questo punto su rivolterà nella sua povera tomba.
Esordisce Burioni nell'intervista strappalacrime: "Mi hanno paragonato a Hitler e a Goebbels, ai satanisti e agli alieni. Ma questo fotomontaggio come prigioniero delle Br con il bavaglio e la stella a cinque stelle punte mi inquieta particolarmente".
E ancora, mostra il villoso petto: "Paura di questi attacchi? No, non esageriamo, non ho bisogno di una scorta, ma queste minacce squadriste generano violenza".
Gli domanda, genuflessa, Maria Novella De Luca di Repubblica: "Il suo libro più famoso è 'La congiura dei Somari'. Lei afferma che la scienza non può essere democratica".
E il Vate: "Di scienza e di vaccini può parlare soltanto chi ne sa. Non chi si informa per un quarto d'ora su Google e poi vuol dire la sua. Facendo danni pazzeschi".
Riteniamo che il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier e il due volte candidato al Nobel Giulio Tarro, allievo di Albert Sabin, lo scienziato che ha scoperto il vaccino antipolio, non si siano formati via Google. E abbiano diritto ad un confronto con il Mago Burioni, che giudica tutti quelli i quali non la pensano una virgola come lui dei "Somari". Ne hanno diritto, ad un simile confronto chiarificatore, soprattutto le famiglie, i genitori.
Ora perchè il Genio Burioni non si concede, dall'alto della sua inarrivabile Scienza, ad un confronto con Montagnier e Tarro?
Perchè non mostra il suo Sapere davanti a scienziati che la pensano in modo diametralmente opposto rispetto ad un così drammatico problema, quello dei vaccini che coinvolge tutti gli italiani?
Ha paura di qualcosa, Burioni? Ha qualche altarino da nascondere o conflitti d'interesse da tenere ben celati? Oppure cosa? Siamo in attesa di concrete risposte.   

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

lunedì 20 agosto 2018

Il vaccino può causare autismo. Lo dice il bugiardino.

Una delle reazioni avverse ai vaccini può essere l'autismo. Non lo dice Giorgio Tremante, non lo dice il complottista di turno, lo dice direttamente il bugiardino di un vaccino trivalente prodotto dalla Sanofi-Pasteur. Sta lì, nella lista delle reazioni avverse, infilato distrattamente fra le convulsioni e la cellulite.
Dal bugiardino del vaccino Tripedia, che potete scaricare direttamente dal sito della FDA (* vedi sotto) americana, leggiamo:
"Adverse events reported during post-approval use of Tripedia vaccine include idiopathic thrombocytopenic purpura, SIDS, anaphylactic reaction, cellulitis, autism, convulsion/grand mal convulsion, encephalopathy, hypotonia, neuropathy, somnolence and apnea."

Traduzione: "Reazioni avverse denunciate durante l'utilizzo post-approvazione del vaccino Tripedia includono: purpura trombocitopenica idiopatica, sindrome da morte improvvisa del lattante, reazione anafilattica, cellulite, autismo, convulsioni/epilessia, encefalopatia, ipotonicità, neuropatie, sonnolenza, interruzione del respiro." [...]
Il bugiardino fa poi seguire una frase molto ambigua: "Events were included in this list because of the seriousness or frequency of reporting. Because these events are reported voluntarily from a population of uncertain size, it is not always possible to reliably estimate their frequencies or to establish a causal relationship to components of Tripedia vaccine."
Traduzione: "Questi casi sono stati inclusi nella lista per la loro gravità o per la frequenza delle denunce. Poichè questi episodi sono stati riferiti volontariamente da un numero imprecisato di persone, non è sempre possibile stimare in modo affidabile la loro frequenza o stabilire una relazione causale con i componenti del vaccino Tripedia."
In altre parole: arrivano queste denunce, ma noi le mettiamo semplicemente in un cassetto, senza contarle nè verificarle. Inoltre, anche se questi disturbi sono elencati fra le "reazioni avverse" al nostro vaccino, non è possibile dimostrare che il vaccino ne sia la causa. Quindi noi continueremo a produrlo. Però intanto ci pariamo il culo, e se per caso vuoi denunciarci per aver causato l'autismo a tuo figlio, noi potremo sempre dire che ti avevamo avvisato.
Massimo Mazzucco
PS: Il bugiardino dice anche: "The vaccine is formulated without preservatives, but contains a trace amount of thimerosal." Traduz.: "Il vaccino è preparato senza conservanti, ma contiene quantità tracciabili di Thimerosal." Ricordate, i famosi "trace amounts" del Thimerosal "scomparso"?
* AGGIORNAMENTO 23/5/17: Il documento è stranamente scomparso dal sito della FDA. Ora lo si può trovare su Wayback Machine

domenica 19 agosto 2018

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 16 ago 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Censura in internet: dopo Alex Jones, TeleSur
 

 
Donald Trump revoca il diritto d'accesso al Segreto di Stato a uno dei suoi oppositori
 

 
Washington riarma i kurdi nel nord della Siria
 

 
La Turchia costringe le chiese ebraiche e cristiane turche a firmare una dichiarazione
 

 
L'India non parteciperà al piano del Pentagono contro la Cina
 

 
Un ministro di uno Stato membro dell'UE in visita ufficiale a Damasco
 

 
Il PKK turco prosegue nella kurdizzazione forzata del nord della Siria
 

 
Iran: Ahmadinejad chiede le dimissioni del presidente Rohani
 

 
Chi pagherà alla Siria 388 miliardi di dollari di danni di guerra?
 

 
Mahathir Mohamad libera la Malesia dall'influenza saudita
 

 
La Slovacchia implicata in un sequestro a Berlino nel 2017
 

 
Comincia la grande purga su internet
 
Controversie

 
abbonamento    Reclami

 

sabato 18 agosto 2018

Nuovi articoli sul Blog di Emanuela Orlandi

New article
Pubblicati due nuovi articoli nel Blog di Emanuela Orlandi:

La pista di Bolzano (con video)
L'identikit dell'uomo della BMW (con video)

Buona lettura

Movimento Agende Rosse - Video: nuove ipotesi sul furto dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino

Dove è finita l'agenda rossa
Video: nuove ipotesi sul furto dell'Agenda Rossa di Paolo Borsellino
Il 19 luglio 2018 abbiamo presentato a Palermo in via D'Amelio un documentario inedito frutto del lavoro di anni di raccolta e analisi dei video della strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta.
Leggi tutto →

venerdì 17 agosto 2018

Come mai ad Aleppo c’erano mortai fabbricati in Bosnia?


Nelle cantine di un edificio adibito a deposito armi di al-Qaeda, ad Aleppo-Est, l’anno scorso avevo ritrovato i documenti di accompagnamento di armi che provenivano da una fabbrica di mortai in Bosnia, dove, su ogni pagina, vi era la firma di uno dei loro dirigenti, Ifet Krnjic. [Questi documenti] erano arrivati dai Balcani nel gennaio 2016, insieme ad un carico di 500 mortai da 120 mm. Ed ora, nel cuore boscoso della Bosnia Centrale, ho ritrovato il sig. Krnjic, che [in persona] mi ha riferito che era stata la sua azienda ad inviare le armi all’Arabia Saudita.
Seduti sul prato di casa sua, a sud della cittadina di Novi Travnik, un centro manufatturiero di armi, Krnjic scorre con il dito la prima pagina del documento che gli ho mostrato. “Questa è la mia firma! Si, è la mia!”, esclama ad alta voce. “E’ la garanzia di un mortaio da 120 mm., questo è uno standard NATO. Il carico era andato in Arabia Saudita. Faceva parte di una spedizione di 500 mortai. Ricordo bene quella spedizione per l’Arabia Saudita. [I Sauditi] erano venuti nel nostro stabilimento per controllare le armi, all’inizio del 2016.
Questo è stupefacente. Non solo Krnjic, il sessantaquattrenne neo-pensionato, responsabile del controllo armi nello stabilimento della BNT-TmiH di Novi Travnik, riconosce la sua firma, ma afferma anche di ricordare la visita dei rappresentanti ufficiali sauditi e del loro personale militare, venuti ad ispezionare i mortai prima del loro imbarco per Riyadh, e sottolinea che queste vendite erano in perfetta regola con i certificati di destinazione finale che la sua azienda richiedeva a tutti gli acquirenti,  in cui si precisava che le suddette armi potevano essere utilizzate solo dalle forze armate della nazione acquirente.


Un certificato di garanzia per un mortaio, firmato da Krnjic, rinvenuto nello scantinato di un edificio occupato da al-Nusrah ad Aleppo-Est.


Cinquecento mortai sono un carico notevole di armi, la maggior parte degli eserciti europei non ne ha in magazzino un simile quantitativo, e, almeno alcuni di essi, sembra siano finiti nelle mani dei nemici di Bashar al-Assad, il Fronte Islamico al-Nusra e al-Qaida, nel nord della Siria, neanche sei mesi dopo il loro trasferimento dalla Bosnia, distante quasi 2.000 km.  Dal momento che i mortai avevano lasciato la Bosnia il 15 gennaio 2016, con una garanzia di 24 mesi rilasciata dalla fabbrica BNT-TmiH (n° 779,  numero di serie per le armi da 3677), i documenti attualmente in possesso dell’Independent dovevano essere arrivati ad Aleppo prima della fine di luglio 2016, quando le truppe del governo siriano avevano completamente circondato l’enclave controllata dalle varie fazioni armate, comprendenti al-Nusra, l’Isis ed altri gruppi etichettati come “terroristi” dagli Stati Uniti.
Quando The Independent aveva chiesto alle autorità saudite una spiegazione riguardante la documentazione in suo possesso e sul perchè fosse stata rinvenuta ad Aleppo-Est, l’ambasciata saudita a Londra aveva replicato dicendo che il Regno non aveva mai fornito “assistenza pratica o di altro tipo ad alcuna formazione terrorista [comprese quindi al-Nusra e l’Isis] in Siria o in altre nazioni” e definiva le accuse lanciate dall’Independent come “vaghe ed infondate.” Aveva poi asserito che l’Arabia Saudita manteneva “un ruolo guida nell’ambito della comunità internazionale nella ricerca di una soluzione diplomatica al conflitto siriano, collaborando allo stesso tempo con i paesi confinanti e con gli alleati per contrastare la crescita delle forze estremiste.” Non faceva commenti sui registri, sui certificati di garanzia delle armi e sulle fotografie che l’Independent aveva chiesto loro di esaminare.
In ogni caso, è chiaro che è stato il fanatico credo wahabita dell’Arabia Saudita ad ispirare al-Nusra, l’ISIS e le altre formazioni islamiche violente in Siria. L’Arabia Saudita è stata spesso accusata di armare i ribelli in Siria e gli opuscoli di propanda religiosa di Riyadh sono stati ritrovati nelle città occupate in precedenza dai gruppi islamici. Inoltre, l’Arabia Saudita si è sempre espressa per il rovesciamento di Bashar al-Assad e del suo governo di Damasco.


Ifet Krnjic,ex direttore del controllo armi nella fabbrica di Novi Travnik in Bosnia, la cui firma si trova sui documenti allegati alle armi.


Nel 2016, durante le ultime fasi dell’assedio di Aleppo, le truppe siriane e russe erano state condannate dall’Occidente per i bombardamenti quotidiani dei quartieri civili di Aleppo-Est e venivano costantemente diffusi  video e  immagini di morti e feriti, uomini, donne e bambini. Però, nello stesso periodo, i difensori islamisti della città, la maggior parte dei quali avrebbe in seguito lasciato la zona con la promessa di un lasciapassare per la regione di Idlib, controllata dagli Jihadisti, sparavano salve di mortaio nella zona occidentale di Aleppo, tenuta dai governativi.
Nelle settimane seguite alla resa dei ribelli ad Aleppo-Est, a metà dicembre, numerosi chilometri quadrati di macerie erano ancora infestati da mine e trappole esplosive. C’erano interi quartieri  transennati, quando, nel febbraio 2017, ero entrato in tre ex caserme dei gruppi islamici, con le macerie che a volte bloccavano il passaggio; pietre, mattoni, pezzi di metallo e schegge di granata in strada e all’interno degli edifici, danneggiati e pericolanti ma ancora in piedi. Dentro uno di questi, seminascosti da frammenti metallici e bende da campo avevo trovato pile di documenti abbandonati, con le istruzioni per l’uso di mitragliatrici e mortai, tutte in inglese.
C’erano anche bolle di carico e libretti di istruzioni di armi provenienti dalla Bosnia e dalla Serbia, con le pagine ancora umide per le piogge invernali, alcuni macchiati da impronte. Ne aveva infilati più che potevo nella tracolla che porto sempre con me in zona di guerra; più tardi avevo trovato, in un altro edificio, una bolla di carico bulgara per proiettili di artiglieria. Nella cantina profonda di un terzo edificio nel quartiere di Ansari, con la scritta Jaish al-Mujaheddin (esercito dei guerrieri sacri) maldipinta, ma ancora chiaramente visibile all’ingresso, con i piani superiori che portavano i segni dei bombardamenti dei jet siriani e russi, c’erano decine di casse vuote di armi anticarro, tutte con il marchio del produttore, la Hughes Aircraft Company, California. Le casse erano etichettate “Guided Missile Surface Attack” [missili guidati per attacchi di superficie] con numeri di serie che partivano da “1410-01-300-0254.”
Questi documenti, molti dei quali in mezzo a fucili rotti e frammenti di schegge, costituiscono la più affascinante traccia cartacea mai scoperta sui produttori delle armi finite nelle mani dei più feroci oppositori islamici di Assad e su come esse siano arrivate ai ribelli in Siria, attraverso nazioni “alleate” dell’Occidente. Mentre, nel suo ufficio, asseriva di dover “cercare” la documentazione riguardante la destinazione finale della spedizione di mortai del 2016, Adis Ikanovic, il direttore generale della fabbrica di Novi Travnik, mi aveva confermato che la maggior parte delle esportazioni della sua azienda erano destinate “probabilmente all’Arabia Saudita.” Una e-mail di sollecito ad Ikanovic, sei giorni dopo il nostro incontro, con la richiesta di poter avere in copia la documentazione sulla destinazione finale della fornitura di mortai, non ha mai avuto risposta.


Adis Ikanovic, direttore generale della fabbrica di armi BNT-TMiH in Bosnia. Ha asserito che la maggior parte delle sue esportazioni belliche era destinata all’Arabia Saudita.


Milojko Brzakovic, direttore generale della fabbrica di armi Zastava, in Serbia, sfoglia i manuali delle armi che avevo ritrovato ad Aleppo, compreso un documento di 20 pagine con le istruzioni della mitragliatrice pesante Coyote MO2, fabbricata dalla sua azienda, e mi dice “non c’è una sola nazione del Medio Oriente che, negli ultimi 15 anni, non abbia acquistato armi della Zastava.” Concorda sul fatto che le pubblicazioni che gli ho mostrato (compreso il manuale di 52 pagine della sua mitragliatrice media M84 da 7,62 mm., anch’esso rinvenuto fra le rovine di Aleppo, nelle cantine di un palazzo bombardato, contraddistinto dalla scritta in arabo “al-Nusrah” sul muro) erano state stampate in Serbia per conto della Zastava e che l’Arabia Saudita e gli Emirati erano fra i loro clienti.


Milojko Brzakovic,direttore generale della fabbrica di armi Zastava a Kragujovac, in Serbia, ha ammesso che l’Arabia Saudita era un loro cliente.


La descrizione di Ifet Krnjic della spedizione dei mortai da parte della BNT-TmiH in Bosnia è precisa e dettagliata. “Quando i Sauditi erano venuti a fare un sopralluogo nel nostro stabilimento, all’inizio del 2016, c’era un ‘ministro’ saudita…ed erano arrivati anche degli ufficiali sauditi per controllare le armi prima della spedizione. Gli ufficiali erano in abiti civili. Il ministro aveva la tunica. Tutta la nostra produzione dopo la guerra [in Bosnia] è sotto il controllo degli Americani e della NATO, che vanno e vengono in continuazione…sanno esattamente quanti pezzi della nostra produzione escono dalla fabbrica.”
Krnjic, che vive nel piccolo villaggio di Potok Krnjic (i villaggi bosniaci alle volte portano il nome delle famiglie allargate), a sud di Novi Travnik, mi descrive come faceva a riconoscere gli ufficiali della NATO in visita alla fabbrica, uno era un “ufficiale canadese, un tipo di colore di nome Stephen.” Ikanovic, il direttore della BNT-TmiH, mi conferma che tutte le spedizioni, comprese quelle all’Arabia Saudita, erano controllate dall’European Union Force Althea (EUFOR), la missione militare dell’UE che ha sostituito quella dalla NATO (SFOR), in conformità agli accordi di Dayton del 1995, che avevano posto fine alla guerra in Bosnia. Ikanovic mi dice che le ispezioni alla fabbrica vengono condotte da un generale austriaco e, con l’aiuto di alcuni impiegati dello stabilimento, riesco a capire che si tratta del Maggiore Generale austriaco a due stelle Martin Dorfer, il comandante dell’EUFOR. Krnjic afferma che le armi di loro produzione vengono esportate dall’aereoporto di Tuzla o da quello di Sarajevo.
I Sauditi, mi riferisce Krnjic, “non si lamentavano mai, perché è ormai molto tempo che godiamo di buona reputazione, non solo per la qualità delle armi, ma anche perché abbiamo tempi di consegna più rapidi… Lo so che non dovrei dirlo, ma la NATO e l’UE ci avevano dato il via libera per farlo. Il nostro è l’unico mortaio che può sparare dall’asfalto. Ogni mortaio ha un piatto-base, ma gli altri piatti-base [dei mortai di altre nazioni] si rompono, si possono usare solo su terreno soffice. I nostri possono anche essere portati nei sacchi, tre proiettili e un tubo, spari a un edificio e sparisci. Solo i mortai cinesi sono migliori dei nostri, li ho visti in Iraq.”
Si scopre che, anche se Krnjic non è mai stato in Siria, aveva lavorato in una fabbrica di armi che la BNT-TmiH aveva costruito in Iraq nel 1986, durante la guerra degli otto anni fra Iraq ed Iran. “Lavoravo all’interno della fabbrica in Iraq, non facevo di certo la guerra laggiù,” mi dice. “Lo stabilimento era più moderno del nostro [a Novi Travnik], eravamo a Fallujah e a Ramadi. All’epoca costruivamo i lanciamissili da 260 mm. per Saddam, ho visto Saddam tre volte.”
Ma le fortune di Novi Travnik erano andate in declino con l’inizio, nel 1992, della guerra in Bosnia; da una forza lavoro di 10.000 persone si è passati, al giorno d’oggi, a meno di 900. La maggior parte dell’area dello stabilimento è invasa dalla vegetazione, con i macchinari che arrugginiscono nei capannoni. Krnjic, un membro del Partito Socialdemocratico bosniaco e veterano della guerra civile, era andato in pensione alcuni mesi prima della nomina di Ikanovic a direttore generale.
“Non possiamo esportare niente senza un nullaosta approvato, qui in Bosnia, da cinque ministeri differenti e [il contratto] deve essere supervisionato dalla NATO,” mi aveva detto Ikanovic. “Possiamo vendere solo alle nazioni che sono sulla ‘lista bianca’ della NATO.” Come già avevano fatto Krnjic e Brzakovic in Serbia, afferma che la sua azienda deve ottenere, per ogni esportazione di armi, una certificazione di ultimo impiego internazionalmente riconosciuta, ma conviene che gli esportatori non hanno l’obbligo e neanche i mezzi per impedire il trasferimento delle proprie armi a terze parti, dopo il loro arrivo alla destinazione iniziale.
Robert Fisk
Fonte: www.independent.co.uk

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org