venerdì 10 agosto 2018

Rita Atria: racconto di due giornate di Memoria Attiva

www.ritaatria.it

Pubblichiamo due articoli che raccontano la giornata di Memoria Attiva dedicata a Rita Atria.

Una giornata intensa con due eventi di grande intensità.

fonte: www.articolo21.org

26 luglio 2018. In un torrido e silente pomeriggio d’estate romano, una melodia si diffonde in Viale Amelia, accarezzando le persone, i portoni e le finestre con la dolcezza sublime delle sue note: è l’Ave Maria di Shubert. Rita Atria, giovane donna, testimone giustizia a soli 17 anni, Lei che voleva vivere e crescere in «un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle…»,  aveva affidato al suo diario, molto prima di quel Volo di solitudine il 26 luglio 1992, il desiderio che fossero le note dell’Ave Maria ad accompagnarla nell’ultimo viaggio, temeva che i mafiosi l’avrebbero uccisa… dopo la morte del giudice Paolo Borsellino ad ucciderla è stata l’assenza dello Stato, l’indifferenza della società civile e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla e invece l’hanno lasciata nella completa solitudine di una casa estranea, in quel palazzo di sette piani al civico 23 di Viale Amelia, lontana da qualsiasi affetto, senza sostegno. Rita sa, probabilmente ha capito tutto, Lei che ha denunciato non solo i boss di Partanna, ma anche i politici collusi, ha fatto nomi e cognomi: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi… Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta».
Iniziare a raccontare dalla “fine” ascoltando l’Ave Maria, per riprendere il filo della memoria risvegliandola con le emozioni prima che con le parole. Un filo di Memoria Attiva, tessuto giorno dopo giorno, questo l’impegno dell’Associazione Antimafie “Rita Atria”, per tenere viva la testimonianza di Rita, di cui la tragica fine è simbolo di un percorso tanto travagliato, quanto coerente e fermo, per combattere quotidianamente quel pensiero mafioso diffuso: «Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci».
Quest’anno ripartiamo da noi – come sottolineato dalle fondatrici dell’Associazione, Santina Latella e Nadia Furnari, rispettivamente Presidente e Vicepresidente -, senza ”personalità importanti”, dalle persone del quartiere che sono presenti, da chi da ogni anno è qui per ricordare Rita, da chi non la conosceva e sentendo risuonare l’Ave Maria si è avvicinato, vuole capire, sapere… Quindi ripartire da un esame di coscienza collettivo, dal partecipare tutti attivamente, affinché la storia di Rita, la sua scelta netta verso, come disse il giudice Paolo Borsellino, « il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale », si incarni nelle persone, nella lotta quotidiana per la ricerca di verità e giustizia, di liberazione, attraverso la denuncia concreta delle violenze mafiose e quindi nell’impegno per la difesa dei diritti e della dignità.
Per questo, ognuno dei presenti è chiamato a prendere la parole ed esprimere un pensiero, come in un passaggio di testimone. «Sono qui per me», dice Paolo, un giovane studente universitario, e si legge negli occhi l’urgenza di sapere, comprendere ciò che è stato e sottrarlo all’oblio, farsene carico.
Annamaria, che abita nel palazzo di fronte al civico 23, è qui con noi ogni anno: «Quel giorno non ero a Roma», dice con rammarico, quasi volesse prendersi il peso dell’assenza collettiva, «Sento di doverci essere», la presenza come testimonianza, affinché il racconto di Rita sia d’esempio oggi per tutti. Eppure Rita – ricorda Nadia Furnari – almeno negli ultimi istanti, dopo quel Volo, non era sola: c’erano con lei alcune donne che abitavano nel palazzo, che le hanno stretto la mano, l’hanno abbracciata come delle madri, dandole quel conforto che non ha ricevuto in vita dalla vera madre, che l’ha “disconosciuta”. Una di queste donne, tutti gli anni ci ascolta affacciata dalla finestra, quasi che il dolore del ricordo non le permettesse di avvicinarsi…
Eppure, per evitare che le persone vengano isolate occorre avvicinarsi alle storie degli altri, affinché la testimonianza e la denuncia diventi un dovere civico diffuso e collettivo e che finalmente emergano le responsabilità delle stragi del 1992-1993: Rita è la settima vittima di Via D’Amelio, insieme al giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Oggi è scritto in una sentenza che vi furono depistaggi da parte di uomini delle istituzioni. «Noi vogliamo sapere la verità. Per quanto brutta possa essere», esclama Rossella, nel corso del suo intervento.
Già nel 1960, Leonardo Sciascia, ne Il giorno della civetta,  utilizzando la metafora della ”linea della palma” che saliva da sud a nord, fino a Roma e oltre, descriveva la mutazione dell’Italia, la diffusione capillare della mafia, del pensiero mafioso, dei metodi mafiosi. Quella metafora è da tempo realtà: perché la mafia è a Roma, come centro di potere, è stata ed è una questione di classi dirigenti, esiste una “borghesia mafiosa” che inquina questo paese… Lo sapeva bene il giudice Borsellino e nei suoi ultimi giorni di vita gli si manifestò senza “maschere” e ne rimase sconvolto, lui che si ritrovò da solo, come Falcone, «servitore dello Stato in terra infidelium»: «Ho visto la mafia in diretta»… «Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».
Rita Atria, donna che aveva spezzato il patriarcato mafioso, non è a conoscenza di quello che ha visto Borsellino, ma sa che cosa è veramente la mafia, conosce i suoi codici e le collusioni di cui si alimenta. Rita, stella luminosa in particolare per le tutte le donne e per tutti giovani, rosa rossa che emana il fresco profumo di libertà, ci lascia un testamento prezioso da raccogliere: «L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo…».
Per questo l’Associazione Antimafie “Rita Atria” sta chiedendo da mesi alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, che venga riconosciuta la cittadinanza onoraria a Rita Atria. Mentre nell’aula capitolina si è purtroppo dato spazio alla mozione se intitolare una via della città al fascista Almirante (sic!), invece non è degna neanche di un minimo cenno di risposta e quindi giace inascoltata la richiesta dell’Associazione per la cittadinanza onoraria a Rita, che ha incarnato senza compromessi con la sua testimonianza i valori costituzionali. Inoltre, a questo ventiseiesimo anniversario dalla sua morte, le istituzioni del territorio, pur invitate, hanno ritenuto di non essere presenti neanche per un “saluto”. Questa assenza pesa oggi come allora, ma andiamo avanti con i nostri compagni di viaggio, con le persone che vogliono esserci per testimoniare che la Verità vive.
Foto di Valentina Ersilia Matrascia


Rita Atria, 26 anni dopo la morte commemorazione a Partanna



“L’ho capito da lei cosa vuol dire avere coraggio. Ho imparato che nella vita non ci si deve inchinare alla prepotenza e che alla giustizia non servono parole tonanti, ma racconti veri, fatti concreti”. Scriveva così Rita Atria, in una lettera indirizzata allo zio Paolo, Borsellino. Amareggiata perché definita “pentita” pur non avendo nessuna colpa, se non l’onta “gravissima” di aver denunciato a 17 anni mafiosi e politici del suo paese, trasformando l’iniziale voglia di vendetta per l’uccisione di padre e fratello in sete di giustizia, grazie a quel giudice che credette alle sue dichiarazioni prendendola sotto la propria ala. Rita Atria, la “picciridda” di Borsellino, la settima vittima di via d’Amelio che quasi mai nessuno cita. Per lei stamattina un fiore sulla tomba a Partanna: un modo semplice scelto dall’Associazione Antimafie Rita Atria per ricordarla nel 26esimo anniversario della morte, avvenuta in solitudine dopo un volo dal settimo piano di una palazzina di viale Amelia a Roma, a una settimana dalla strage in cui persero la vita il magistrato e la sua scorta. “Siamo qui per ricordarla con coerenza. Nel Paese dell’apparenza abbiamo preferito dare un taglio discreto – è intervenuta la fondatrice dell’associazione, Nadia Furnari – Rita vive nelle parole che ha scritto, nelle sue denunce e nel suo gesto, tanto estremo che definirla vittima della sola mafia ci pare riduttivo”. Presenti i presìdi dell’associazione sul territorio e la testimone di giustizia Michela Buscemi, che con le donne del digiuno portò a spalla la bara di Rita. L’associazione ha organizzato anche un altro momento di memoria nella Capitale, dove da tempo chiede venga conferita la cittadinanza onoraria a Rita, ma attende ancora una risposta dalla Giunta capitolina.

Nel pomeriggio, un folto corteo ha colorato le vie di Partanna, quello delle bandiere di Libera sventolate dai ragazzi arrivati per rendere omaggio a Rita, da Torino a Vibo Valentia. “Vedere così tanti giovani in un luogo simbolo fa ben sperare – ha detto il sindaco Nicola Catania – Rita è stata e continua a essere per noi un segnale di positività, pur nella tragicità della sua vicenda. Il suo coraggio, la sua determinazione e forza di ribellione sono elementi portanti di una comunità ancora in cerca di riscatto per i soprusi subiti quotidianamente”. A Partanna anche i rappresentanti di tutte le forze dell’ordine che hanno ricordato come sia importante “non abbassare mai la guardia”, e Vincenzo Agostino, padre dell’agente ucciso Antonino insieme alla moglie, che ha parlato di fenomeno mafioso presente a tutti i livelli, da combattere con maggior vigore. Salvatore Inguì, di Libera Trapani, ha ricordato: “Rita Atria parlava della mafiosità che c’è in ognuno di noi. Senza la capacità di metterci costantemente in discussione e il desiderio di realizzare una vera giustizia sociale, la lotta alla mafia non è che un’ipocrisia”.


mercoledì 8 agosto 2018

RAI / BURIONI ATTACCA IL CANDIDATO FOA SUI VACCINI: UN CAVERNICOLO



Attacco su tutti i fronti a 360 gradi dai media di regime al candidato presidente Rai Marcello Foa. Da Repubblica al Corsera una velina pressocchè identica: "ultrà di Putin", "contro le Ong", "sovranista", "no euro" e – tanto per aggiungere un ingrediente al minestrone che non guasta mai – anche "No Vax".
Su quest'ultimo fronte entra in scena (anzi in sceneggiata) il solito scienziato (sic) pret a porter, Roberto Burioni, il Verbo Unico sul tema, il solo degno di dare il suo parere e gli altri tutti zitti, muti e "somari" (dal titolo della sua ultima illeggibile fatica letteraria), in ginocchio ad ascoltare il verbo del Vate.
In perfetto conflitto d'interessi, Burioni, come la Voce ha più volte documetato, per i suoi rapporti d'affari con svariate società farmaceutiche in tema di brevetti.
E già ce lo immaginiamo, Fratel Burioni, tra alambicchi & provette, cappucci & grembiulini per inventare le sue miracolose pozioni: visto è iscritto al Grande Oriente d'Italia. Il fatto è che Burioni se ne vergogna, non lo ammette, dice che non è vero. Mostrando un indomito coraggio che non sarà poi tanto gradito ai confratelli del GOI, fieri invece di esserlo.
Ma eccoci all'ultima polemica.


Roberto Burioni. In apertura, Foa

Scrive il Corsera: "ora riemerge dalla memoria della Rete un intervento assai dubbioso del giornalista italo svizzero sull'efficacia dei vaccini. Lo ha scoperto il virologo Roberto Burioni che ha ripescato un'intervista concessa al sito Informarexresistere in cui Foa ricorda che 'in Svizzera i vaccini non sono obbligatori. La gente può scegliere di non vaccinarsi eppure la popolazione non è particolarmente malata".
Suona la fanfara Repubblica: "Il 3 dicembre 2017 in una videointervista al videoblog 'Crescere informandosi', Foa esprime un punto critico sull'obbligatorietà dei vaccini. 'Iniettare 12 vaccini in un arco temporale di tempo molto stretto nel corpo di un bambino, provoca uno choc nel corpo. I vaccini dovrebbero esere limitati allo stretto indispensabile e solo per le malattie davvero gravi".
Ecco i commenti di Mago Burioni via twitter alle estrapolazioni effettuate dai due media di Palazzo.
Scrivono sul quotidiano di via Soferino: secondo Burioni "il presidente Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti. Sulla salute ci vuole corretta informazione, non la diffusione di balle mortali con i soldi del canone". A valutare se siano o meno balle abbiamo un Giudice Unico, il Mago Burioni.
Più conciso il quotidiano diretto da Mario Calabresi: "Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti".
Come del resto "cavernicoli, ignoranti ed egoisti" sono il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier e il virologo Giulio Tarro, allievo di Albert Sabin, l'inventore del vaccino antipolio. Forse qualcosina in più di Burioni ne sanno (ce ne vuol poco, del resto), forse qualche titoluccio accademico in più lo hanno nel loro curriculum, forse quel diritto alla Verità che il solo Burioni si arroga andrebbe un momentino rivisto.
Sorge spontanea la domanda: ma come mai l'Onnisciente Burioni non accetta un confronto pubblico con Montagnier e Tarro? Ha paura di qualcosa? Teme una figura barbina? O si scopra che il re è nudo?
E non hanno diritto di parola coloro i quali non mettono in dubbio l'utilità dei vaccini, ma le modalità di produzione (lo abbiamo scritto altre volte) e di utilizzo, da effettuare basandosi nel modo più assoluto sul principio di "Precauzione", come hanno stabilito un quarto di secolo fa la Nazioni Unite, ribadito 18 anni fa l'Unione Europea e ripetuto ad ogni convegno Montagnier, Tarro e altri scienziati che non la pensano come Mago Burioni.

To see the article visit www.lavocedellevoci.it


martedì 7 agosto 2018

Il crepuscolo della guerra, di Thierry Meyssan

Se si considera la guerra in Siria non un avvenimento a sé stante, bensì l’esito d’un conflitto mondiale durato un quarto di secolo, è d’obbligo interrogarsi sulle conseguenze della fine delle ostilità, ormai prossima. L’epilogo di questa guerra segna la disfatta di un’ideologia, quella della globalizzazione e del capitalismo finanziario. Le nazioni che non l’hanno capito, soprattutto dell’Europa occidentale, si emargineranno da sole dal resto del mondo.

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Donald Trump e Vladimir Putin durante il vertice bilaterale di Helsinki del 16 luglio 2018.
Le guerre mondiali non finiscono semplicemente con un vinto e un vincitore: il loro esito traccia i contorni di un nuovo mondo.
La prima guerra mondiale si è conclusa con la sconfitta degli imperi tedesco, russo, austroungarico e ottomano. La fine delle ostilità è stata suggellata dalla nascita di un’organizzazione internazionale, la Società delle Nazioni (SDN), incaricata di eliminare la diplomazia sotterranea e di regolare i conflitti tra gli Stati membri per mezzo dell’arbitraggio.
La seconda guerra mondiale si è conclusa con la vittoria dell’Unione Sovietica sul Reich nazista e sull’Impero del Giappone dell’hakkō ichi’u [1], cui ha fatto seguito una rincorsa degli Alleati per occupare le spoglie della Coalizione vinta. Ne è nata una nuova struttura, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), incaricata di prevenire nuove guerre impostando il diritto internazionale attorno a una duplice legittimazione: l’Assemblea Generale, dove ogni Stato conta uno, indipendentemente dalle dimensioni, e il Consiglio di Sicurezza, direttorio formato dai cinque principali vincitori.
La guerra fredda non è stata la terza guerra mondiale. Non si è conclusa con la sconfitta, bensì con l’implosione dell’Unione Sovietica. Non ha dato origine a nuove istituzioni e gli Stati dell’ex Unione Sovietica sono stati assorbiti da organizzazioni preesistenti.
La terza guerra mondiale è iniziata in Jugoslavia, è proseguita in Afghanistan, Iraq, Georgia, Libia, Yemen, e ora sta per concludersi in Siria. Il campo di battaglia è stato circoscritto ai Balcani, al Caucaso e a quello che ormai viene chiamato Medio Oriente Allargato. È costata la vita a tante popolazioni mussulmane e cristiano-ortodosse, senza troppo dilagare nel mondo occidentale. Dopo il vertice Putin-Trump di Helsinki, questo conflitto mondiale ora sta finendo.
Le profonde trasformazioni che hanno modificato il mondo negli ultimi 26 anni hanno trasferito parte del potere dei governi ad altre entità, amministrative e private, e viceversa. Si è visto, per esempio, un esercito privato, Daesh, proclamarsi Stato sovrano. Nonché il generale David Petraeus organizzare, quando era a capo della CIA, il più vasto traffico d’armi della storia e, dopo le dimissioni, proseguirlo in nome d’una società privata, il fondo speculativo KKR [2].
Questa situazione può essere descritta come scontro tra una classe dirigente transnazionale, da un lato, e governi responsabili di fronte ai governati, dall’altro.
Diversamente da quel che vuol far credere la propaganda, che addossa le cause delle guerre a circostanze contingenti, i conflitti hanno radici in rivalità e ambizioni profonde e d’antica data. Occorrono anni prima che gli Stati si ergano gli uni contro gli altri. È spesso è solo con il tempo che possiamo comprendere i conflitti che ci divorano.
Per esempio, pochissimi hanno capito quel che stava accadendo con l’invasione giapponese della Manciuria (1931); ci è voluta l’invasione tedesca della Cecoslovacchia (1938) per comprendere che le ideologie razziste avrebbero condotto alla seconda guerra mondiale. E sono rari quelli che hanno capito sin dalla guerra di Bosnia-Erzegovina (1992) che l’alleanza tra NATO e islam stava per aprire la via alla distruzione del mondo mussulmano [3].
Nonostante i lavori di storici e giornalisti, ancor oggi molti non hanno preso coscienza dell’enormità della macchinazione di cui tutti siamo stati vittime. Costoro si rifiutano di ammettere che la NATO coordinava truppe ausiliarie saudite e iraniane sul continente europeo. Eppure, è un fatto incontestabile [4].
Si rifiutano anche di ammettere che al Qaeda, accusata dagli Stati Uniti di aver compiuto gli attentati dell’11 settembre, ha combattuto poi agli ordini della NATO in Libia e Siria. Eppure, è un fatto incontestabile [5].
Il piano iniziale, che prevedeva di far ergere il mondo mussulmano contro il mondo ortodosso, si è modificato strada facendo. Lo «scontro di civiltà» non c’è stato. L’Iran sciita si è rivoltato contro la NATO, di cui era al servizio in Jugoslavia, e si è alleato alla Russia ortodossa per salvare la Siria multiconfessionale.
Dobbiamo aprire gli occhi sulla storia e prepararci all’alba di un nuovo sistema mondiale dove alcuni amici di ieri potrebbero diventare nostri nemici, e viceversa.
A Helsinki, l’accordo con la Federazione di Russia non è stato concluso dagli Stati Uniti, bensì dalla Casa Bianca: il nemico comune di Putin e di Trump è un gruppo transnazionale che esercita un potere negli Stati Uniti. Ritenendo di essere lui, e non il presidente eletto, il rappresentante degli USA, questo potentato non ha esitato ad accusare immediatamente il presidente Trump di tradimento.
Questo gruppo transnazionale è riuscito a convincerci che le ideologie sono morte e che la Storia è finita. Ha presentato la globalizzazione, ossia la dominazione anglosassone per mezzo della diffusione della lingua e dello stile di vita americano, come conseguenza dello sviluppo delle tecniche di trasporto e di comunicazione. Ci ha assicurato che un sistema politico unico, la democrazia (ossia il «governo del Popolo, da parte del Popolo, per il Popolo»), sarebbe stato ideale per tutti gli uomini e che era possibile imporlo ovunque con la forza. Infine, ha presentato la libera circolazione delle persone e dei capitali come la soluzione di tutti i problemi di manodopera e d’investimento.
Tuttavia, queste asserzioni, che noi tutti accettiamo nella vita di ogni giorno, non resistono un solo minuto alla riflessione.
Dietro queste menzogne, questo gruppo transnazionale ha sistematicamente eroso il Potere degli Stati e accaparrato ricchezze.
Lo schieramento che sta per uscire vincitore da questa lunga guerra difende invece l’idea che, per scegliere il proprio destino, gli uomini devono organizzarsi in Nazioni, definite in nome di un territorio, di una storia o d’un progetto comune. Sostiene quindi le economie nazionali contro la finanza transnazionale.
Abbiamo appena assistito alla Coppa del Mondo di calcio. Se l’ideologia della globalizzazione avesse vinto, avremmo dovuto sostenere non solo la squadra della nostra nazione, ma anche quella di altri Paesi, in ragione dell’appartenenza a strutture sovranazionali comuni. Per esempio, belgi e francesi avrebbero dovuto sostenersi reciprocamente, agitando bandiere dell’Unione Europea. Ma a nessun tifoso è venuta l’idea di farlo. È un indice che serve a misurare il fossato che separa, da un lato, la propaganda che ci propinano e che ripetiamo, e, dall’altro, il nostro comportamento spontaneo. Nonostante le apparenze, la vittoria superficiale dell’ideologia della globalizzazione non ha modificato quello che davvero siamo.
Non è evidentemente un caso che la Siria, dove migliaia di anni fa fu pensata e attuata l’idea di Stato, sia la terra su cui questa guerra si conclude. Ed è perché sono sostenuti da un vero Stato, che mai ha smesso di funzionare, che Siria, popolo siriano, esercito, e suo presidente hanno potuto resistere alla più gigantesca coalizione della storia, formata da 114 membri delle Nazioni Unite.

lunedì 6 agosto 2018

A Partanna il ricordo di Rita Atria



Nel cimitero di Partanna, nel trapanese, la commemorazione di Rita Atria, la ragazza 17enne suicida a Roma subito dopo la strage di Via D'Amelio.

Aveva affidato a Paolo Borsellino le sue accuse contro i clan della provincia di Trapani, dopo gli omicidi del padre Vito e del fratello Nicolò.

A Partanna nel pomeriggio ci saranno i ragazzi di Libera, arrivati da tutta Italia, con Don Luigi Ciotti. Manifestazioni per ricordarla anche a Roma.

Il servizio di Ernesto Oliva

www.rainews.it