martedì 10 aprile 2018

Andrea Marcucci / Affari, conflitti & misteri del super renziano neo capogruppo PD

 Quale mai sarà la ricetta magica inventata da Andrea Marcucci per sedurre a tal punto l'ormai ex premier e segretario del Pd Matteo Renzi da volerlo così fortissimamente come capogruppo al Senato, tanto da sacrificare la testa del fedelissimo Lorenzo Guerini alla Camera?
Solo una questione di toscanità? O forse c'entrano i grandi affari di casa Marcucci che ruotano  intorno alla corazzata Kedrion, quinto player mondiale e primo in Italia nel ricco settore degli emoderivati?
E pensare che – al voto del 4 marzo – Marcucci ha fatto una figuraccia, ancora peggio del 'compagno' Marco Minniti che a Pesaro è stato stracciato da un inesistente 5 Stelle. Lui, il prode Andrea, è stato ridicolizzato nei suoi feudi di Massa e Lucca sia da Maurizio Mallegni, di Forza Italia, che da Sara Paglini dei 5 Stelle. Poi ripescato grazie al solito proporzionale salvatutti. E adesso, invece di essere cacciato a pedate da quel Senato, è stato addirittura investito della strategica carica – soprattutto in questo delicato frangente politico – come capogruppo. Misteri di casa Pd.
Cerchiamo di ripercorre la sfolgorante carriera del pasdaran di Matteo, il suo storico braccio destro a palazzo Madama.

SOTTO L'ALA PROTETTIVA DI SUA SANITA' DE LORENZO

Francesco De Lorenzo al tempo del processo.

Politicamente nasce sotto la più che protettiva ala di Franco De Lorenzo, all'epoca ministro della Sanità e con il ciclone di Mani pulite condannato per la Farmatruffa e la maxi tangenti da 600 milioni di lire per favorire i vaccini (anche allora per decreto reso obbligatorio, quello per l'epatite B) della SmithKline: mazzetta spartita con il re mida Duilio Poggiolini.
Al voto del 5 aprile 1992 Andrea Marcucci diventa il più giovane parlamentare italiano, appena 25 anni: "sotto il vessillo tricolore dell'Altissimo (Renato, all'epoca segretario del Pli, ndr). E l'amico De Lorenzo, non a caso, si è presentato proprio nel collegio di Firenze: 'si sono dati un buon aiuto scambievole – raccontano in ambienti politici fiorentini: i Marcucci hanno appoggiato De Lorenzo, il ministro ha sponsorizzato il giovane rampollo'. Missione compiuta, con reciproca gran soddisfazione".
Sono alcuni stralci dal libro "Sua Sanità – Viaggio nella De Lorenzo spa, un'azienda che scoppia di salute", edito dalla Voce con la trentina Publiprint a febbraio 1993, appena qualche mese dopo lo scoppio della Tangentopoli partenopea (settembre 1992, con una maxi inchiesta sul voto di scambio).
Così continuava "Sua Sanità", circa gli stretti rapporti – politici e finanziari – tra la dinasty dei Marcucci e quella dei De Lorenzo. "Il legame, comunque, è di vecchia data. Anche con Renato De Lorenzo, che ha fatto capolino nello staff di vertice della Sclavo, la perla farmaceutica del gruppo Marcucci, 40 miliardi di capitale, quartier generale a Siena e diramazioni operative un po' in tutta la penisola".
Quella Sclavo che, negli anni seguenti, passerà dai Marcucci alla già citata Smithkline, la quale poi – per completare il giro di valzer – finirà nelle ricche braccia di Glaxo, oggi leader mondiale sul fronte dei vaccini, come la Voce ha documentato nell'inchiesta che potete leggere cliccando sul link in basso.
Protagonista ai giorni nostri, Glaxo, di un incredibile conflitto d'interessi, visto che un autorevole membro del cda della sua Fondazione è al tempo stesso al vertice di una strategica direzione al ministero della Sanità: proprio quella che ha di recente varato la normativa per l'obbligatorietà dei dieci vaccini! Ai confini della realtà.

UN CONFLITTO CHIAMATO KEDRION

Una sede della Kedrion.

E non meno ai confini della realtà è un altro conflitto d'interessi alto come un grattacielo. Quello cresciuto proprio a casa Marcucci, sotto il vigile sguardo del senatore Andrea. Un conflitto che coinvolge in pieno la corazzata di famiglia, Kedrion.
Un'azienda che scoppia di salute, proprio come la De Lorenzo spa un tempo: e sei anni fa oltre tutto miracolata. Non solo un mega cadeau natalizio deciso dal governo Monti, ma addirittura l'entrata in partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti, un altro regalo da 100 milioni di euro. Un nuovo Iri – quello targato Cassa – oggi guidato dal super renziano (un tempo prodiano) Claudio Costamagna, in scadenza di mandato: un autentico carrozzone che distribuisce soldi non alle imprese in difficoltà o realmente innovative, ma agli amici degli amici.
Andrea Marcucci occupa la sua dorata poltrona all'interno del cda di Kedrion, ed è perfino presidente della controllata americana, Kedplasma Llc. Sul ponte di comando, fino a tre anni fa, il patriarca Guelfo Marcucci, il quale ha poi passato il testimone all'altro rampollo di famiglia, Paolo, mentre la sorella Marialina, coeditore dell'Unità nel 2000-2001, poi impegnata fra antenne e tivvù, è oggi al timone della Fondazione che si occupa del Carnevale di Viareggio.
Appena un anno dopo l'ingresso della prodiga Cassa nell'azionariato di Kedrion, i 'compagni' del Pd al Senato hanno pensato bene di elaborare un progetto di legge anti conflitti, in tema di "incompatibilità parlamentare": in soldoni, il ddl targato Pd puntava ad evitate che deputati e senatori potessero avere "interessi rilevanti e determinanti nelle imprese che sono in rapporti con la pubblica amministrazione": proprio il caso di Kedrion, che punta molto, in Italia, sulle ricche convenzioni con Asl e Regioni per la vendita dei suoi emoderivati. Quel disegno riguardava, in particolare, i rappresentanti legali e dirigenti di imprese "costituite in qualsiasi forma, anche a partecipazione pubblica", come Kedrion in legami con la Cdp.


Valeria Fedeli

Firmato da big con la casacca Pd, come Luigi Zanda (il capogruppo uscente di palazzo Madama) e Valeria Fedeli (altra super trombata al voto del 4 marzo proprio in Toscana, e ripescata come Marcucci), il ddl non venne firmato da Marcucci, che in quel frangente dimostrò un minimo di 'coerenza' (sic). Quel ddl, comunque, non venne mai approvato: solo fumo negli occhi, tanto per far finta di combattere i conflitti d'interesse, come a suo tempo faceva finta Massimo D'Alema super impegnato a non ostacolare Silvio Berlusconi nelle sue gestioni Fininvest.
Una 'coerenza' – quella di Marcucci – che va a farsi benedire quando, pochi mesi fa, sempre a proposito di quei conflitti dei quali farebbe meglio a non parlare, ha attaccato Casaleggio e i 5 Stelle. Su Facebook, infatti, così scriveva: "Avanza un gigantesco conflitto di interessi", perchè la Casaleggio Associati è "un'azienda che si alimenta con i soldi pubblici del M5S" e i cui "vertici non eletti ne determinano la linea politica".
Tornando al glorioso pedigree griffato Andrea Marcucci, dopo le prime esperienze con i liberali dell'Altissimo e di Sua Sanità, ormai travolto il Pli dal ciclone di Mani puliti, appena germogliata la Margherita corre subito alla corte dell'amico Francesco Rutelli. Quindi nel 2006 diventa sottosegretario per i beni culturali nel governo Prodi; poi eletto nel 2008 senatore con il Pd e segretario della quinta commissione di palazzo Madama per la pubblica istruzione e i beni culturali. Come senatore, i suoi biografi riescono a ricordare solo una risposta ad un collega, Mauro Bulgarelli, in tema di diritto d'autore. Non da Guinness.
Può quindi dedicare il suo tempo alle celebrazioni di Garibaldi: è infatti presidente del comitato nazionale per il bicentenario. Infine l'approdo alla commissione istruzione e cultura del Senato.
La Kedrion di famiglia, intanto, fiorisce sempre più rigogliosa e fa affari in mezzo mondo. Con 2200 dipendenti, di cui poco meno della metà in Italia, mette su 6 stabilimenti produttivi negli Usa, 3 in Italia (due in Toscana e uno in Campania, a Sant'Antimo), 3 in Ungheria. Sotto un'altra ala protettiva, quella del governo Renzi, Kedrion stipula un maxi accordo in Russia, proprio in occasione dell'incontro tra l'allora premier e Vladimir Putin.



QUELLA STRAGE PER SANGUE INFETTO
Ma c'è qualcosa che nessuno vuol ricordare a casa Marcucci: la tragedia del sangue infetto, le migliaia di vittime (5 mila secondo le stime più attendibili) immolate ai mega interessi di Big Pharma, quando per tutti gli anni '70, poi '80, fino almeno al '91, i colossi degli emoderivati a stelle e strisce ed europei – in prima fila le aziende del gruppo Marcucci – importavano allegramente sangue senza controlli: dall'Africa fino alle carceri Usa, un sangue di 'qualità', evidentemente, non eccelsa.
Come sta dimostrando il processo cominciato vent'anni fa a Trento, passato dieci anni fa a Napoli e ora alle battute finali. Tra gli altri, ha testimoniato Kelly Duda, il regista americano che nel 2006 ha realizzato uno choccante docufilm "Fattore VIII – Il sangue infetto nelle carceri dell'Arkansas".
Al processo partenopeo sono alla sbarra ex dirigenti, funzionari e dipendenti delle società un tempo Marcucci e oggi radunate sotto l'ombrello di Kedrion; nonché Duilio Poggiolini (Guelfo Marcucci, imputato, è nel frattempo deceduto). La sentenza è prevista per metà giugno.
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lunedì 9 aprile 2018

La politica estera di Theresa May, di Thierry Meyssan

Thierry Meyssan prosegue l'analisi delle politiche estere nazionali. Dopo aver esaminato la politica estera della Francia, ora si dedica a quella del Regno Unito. Se, nel caso francese è considerata "dominio riservato" del presidente della repubblica e, per questa ragione, sfugge al dibattito democratico, nel Regno Unito è messa a punto da una élite che ruota intorno al monarca e quindi è, a maggior ragione, sottratta a ogni forma di controllo popolare. Il primo ministro eletto si limita a mettere in atto le scelte di una Corona ereditaria. Di fronte al fallimento del progetto statunitense di un mondo unipolare, Londra tenta di restaurare l'antico potere imperiale.
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Global Britain

Il 13 novembre scorso Theresa May ha approfittato del discorso annuale del primo ministro al municipio di Londra per abbozzare la nuova strategia britannica dopo la Brexit [1]. Il Regno Unito vuole ristabilire il proprio Impero (Global Britain) promuovendo, con l'aiuto della Cina, il libero scambio a livello mondiale [2] ed estromettendo dalle istituzioni internazionali la Russia, con l'aiuto dei suoi alleati militari: gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, la Giordania e l'Arabia Saudita.
Retrospettivamente, tutti gli elementi che ora prendiamo in esame erano già presenti nel discorso di May, sebbene non l'avessimo immediatamente capito.
Facciamo un passo indietro. Nel 2007 il presidente russo, Vladimir Putin, intervenne alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco con un discorso nel quale osservava che il progetto di mondo unipolare perseguito dalla NATO era per natura antidemocratico e dunque si appellava agli Stati europei perché si dissociassero da questa fantasticheria degli Stati Uniti [3]. Senza rispondere all'osservazione sostanziale sulla mancanza di democrazia nelle relazioni internazionali, la NATO denunciò la volontà della Russia d'indebolire la coesione dell'Alleanza al fine di poterla meglio minacciare.
Il discorso retorico della NATO è stato in seguito affinato da un esperto britannico, Chris Donnelly: per indebolire l'Occidente, la Russia starebbe tentando di delegittimarne il sistema economico e sociale sul quale esso fonda la propria potenza militare. Questo sarebbe lo scopo dissimulato delle critiche russe, soprattutto attraverso i media. Osserviamo che, come la NATO, Donnelly non risponde all'osservazione di fondo di Putin: non c'è ragione di mettersi a discutere di democrazia con un individuo sospettato a priori di autoritarismo.
Io penso che l'analisi di Donelly sia corretta e, al tempo stesso, che la Russia abbia ben individuato il proprio obiettivo. Regno Unito e Russia esprimono infatti due culture diametralmente opposte.
Il Regno Unito è una società classista con tre livelli di nazionalità fissati per legge, menzionati sui documenti d'identità di ciascun britannico; la Russia – come la Francia – è una nazione istituita dal diritto, in cui tutti i cittadini sono "uguali di fronte alla legge" e dove la distinzione britannica tra diritti civili e diritti politici è inconcepibile [4].
Il fine dell'organizzazione sociale del Regno Unito è l'accumulazione di beni, per la Russia invece è offrire la possibilità a ciascuno di costruire la propria personalità individuale. Dunque, nel Regno Unito, diversamente da Russia e Francia, la proprietà fondiaria è massicciamente concentrata in poche mani. È pressoché impossibile acquistare un appartamento a Londra. Al più si può, come a Dubai, acquistare un affitto per 99 anni. Da secoli la città appartiene quasi per intero a un pugno di persone. Un britannico decide liberamente a chi andrà il proprio patrimonio, gli eredi non devono essere necessariamente i figli. Al contrario, quando muore un russo, la Storia può ricominciare da capo: i beni sono ripartiti equamente tra i figli, qualunque sia la volontà del defunto.
Sì, la Russia tenta di delegittimare il modello anglosassone, operazione tanto più facile in quanto esso è un'eccezione che, quando compresa, fa inorridire il mondo intero.
Torniamo alla politica di Theresa May. Due mesi dopo l'intervento del primo ministro al banchetto di Lord Mayor, il 22 gennaio 2018 il capo di stato-maggiore di Sua Maestà, il generale Sir Nick Carter, ha pronunciato un importantissimo discorso, interamente dedicato alla futura guerra contro la Russia e fondato sulla teoria di Donnelly [5]. Traendo insegnamento dall'esperienza siriana, Carter ha descritto un nemico dotato di un nuovo arsenale, estremamente potente (questo accadeva due mesi prima che il presidente Putin rivelasse il possesso di nuovi armamenti nucleari [6]) e ha affermato che il Regno Unito deve disporre di più truppe terrestri, sviluppare il proprio arsenale e prepararsi a una guerra in cui l'immagine diffusa dai media sarà ancor più importante delle vittorie sul campo.
All'indomani di questa conferenza choc al Royal United Services Institute (il think tank della Difesa), il Consiglio per la Sicurezza Nazionale ha annunciato la creazione di un'unità militare per la lotta alla "propaganda russa" [7].

A che punto è il progetto britannico?

Benché la Commissione degli Esteri della Camera dei Comuni ne abbia messa in dubbio l'esistenza [8], numerosi punti del progetto Global Britain sono stati portati avanti, nonostante un grosso scoglio.
È importante capire che May non sta tentando di cambiare la politica del proprio Paese, bensì di riordinarla. Negli ultimi cinquant'anni il Regno Unito ha tentato di integrarsi nella costruzione europea, al prezzo della perdita progressiva dei vantaggi ereditati dal proprio ex Impero. Adesso, non si tratta di abbandonare quanto è stato fatto, ma di ristabilire l'antica gerarchia del mondo, quando i funzionari di Sua Maestà e la gentry vivevano in club sparpagliati ovunque nel mondo, serviti dalle popolazioni locali.
• La settimana successiva al discorso di Carter, Theresa May, in viaggio in Cina, ha negoziato molti contratti commerciali ma si è scontrata con la politica dei propri ospiti. Beijing si è rifiutata di prendere le distanze da Mosca, Londra si è rifiutata di sostenere il progetto della via della seta. Libero scambio sì, ma non attraverso le vie di comunicazione controllate dalla Cina. Dal 1941 e dalla Carta Atlantica, Regno Unito e Stati Uniti si spartiscono l'insieme degli "spazi comuni" (marittimi e aerei). Le loro flotte sono concepite per essere complementari, benché quella dell'US Navy sia molto più potente di quella dell'Ammiragliato. Successivamente, la Corona ha attivato il governo del suo dominion australiano per fargli ricostituire i Quad, il gruppo anticinese, che si riuniva durante il mandato di Busch Jr. [9], composto, oltre che all'Australia, da Giappone, India e Stati Uniti.
Già ora il Pentagono sta studiando la possibilità di provocare disturbi lungo la via della seta marittima, nel Pacifico, e lungo quella terrestre.
• L'Alleanza militare annunciata si è costituita sotto forma del segretissimo "Gruppo Ristretto" [10]. La Germania, che stava attraversando una cristi di governo, inizialmente non ha partecipato; sembra però che all'inizio di marzo abbia recuperato il ritardo. Tutti gli attori della congiura si sono coordinati per agire in Siria. Nonostante gli sforzi, hanno fallito tre tentativi di organizzare nella Ghuta occidentale un attacco chimico sotto falsa bandiera. Gli eserciti siriano e russo sono infatti riusciti a sequestrare i laboratori di Aftris e di Chifonya [11]. Ciononostante, il "Gruppo Ristretto" è riuscito a pubblicare un comunicato comune anti-Russia sul caso Skripal [12] e a far mobilitare contro la Russia sia la NATO [13] sia l'Unione Europea [14].

Quale la possibile evoluzione?

È certamente strano vedere Francia e Germania sostenere un progetto esplicitamente organizzato contro di loro: il Global Britain lo è, perché la Brexit non è tanto una manifestazione della volontà britannica di sottrarsi alla burocrazia federale dell'Unione Europea, quanto piuttosto della volontà di rivaleggiare.
Comunque sia, oggi Global Britain si riassume in:
• Promozione del libero-scambio mondiale, però esclusivamente nel quadro talassocratico, ossia alleandosi con gli Stati Uniti per ostacolare le vie di comunicazioni cinesi;
• Tentativo di escludere la Russia dal Consiglio di Sicurezza e di spartire il mondo in due. Da qui le manovre sulle armi chimiche e il caso Skripal.
Si possono anticipare diverse incidentali conseguenze di questo programma:
• La crisi attuale ripresenta elementi paragonabili a quella di fine mandato di Obama, con la differenza che al centro del gioco ora non c'è più Washington, bensì Londra. Il Regno Unito, che non può più appoggiarsi al segretario di stato Rex Tillerson, si dovrà rivolgere al nuovo consigliere nazionale per la Sicurezza USA, John Bolton [15]. Contrariamente alle dichiarazioni della stampa americana, Bolton non è affatto un neo-conservatore, è vicino a Steve Bannon. Rifiuta che il suo Paese sia sottomesso al diritto internazionale e sbraita contro i comunisti e i mussulmani, ma in realtà non intende scatenare nuove guerre tra Stati, desidera unicamente starsene tranquillo a casa propria. Certo firmerà tutte le dichiarazioni contro la Russia, l'Iran, il Venezuela, la Corea del Nord ecc. Tuttavia, Londra non riuscirà a manipolarlo per ottenere l'esclusione di Mosca dal Consiglio di Sicurezza, perché l'obiettivo personale di Bolton non è riformare l'ONU, bensì sbarazzarsene. Viceversa, sarà un fedele alleato per il mantenimento del controllo degli "spazi comuni" e per la battaglia contro la via della seta cinese, tanto più che nel 2003 Bolton fu il promotore dell'Iniziativa di Sicurezza contro la Proliferazione (Proliferation Security Initiative – PSI). Qui e là, si dovrebbe vedere nascere, sul tracciato delle vie cinesi, nuove pseudo guerre civili, alimentate dagli anglosassoni.
• L'Arabia Saudita prepara la creazione di un nuovo paradiso fiscale nel Sinai e sul Mar Rosso, il Neom. Dovrebbe sostituire Beirut e Dubai, ma non Tel Aviv. Londra lo collegherà con i vari paradisi fiscali della Corona – tra cui la City di Londra, che non è inglese, ma dipende direttamente dalla regina Elisabetta – per garantire l'opacità del mercato internazionale.
• La moltitudine di organizzazioni jihadiste che si ritirano dal Medio Oriente continua a essere controllata dall'MI6, attraverso i Fratelli Mussulmani e l'Ordine dei Naqchbandis. Questo congegno dovrebbe tornare di nuovo utile, soprattutto contro la Russia, non contro la Cina o nei Caraibi come s'ipotizza ora.
Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo assistito alla decolonizzazione degli imperi europei, dopo la guerra del Vietnam alla finanziarizzazione dell'economia mondiale da parte degli anglosassoni e, infine, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, al tentativo degli Stati Uniti di dominare il mondo da soli. Oggi, con l'incremento della potenza della Russia moderna e della Cina, la fantasia di un mondo culturalmente globalizzato e governato in maniera unipolare sta sfumando; nel frattempo, le potenze occidentali – il Regno Unito in particolare – ritornano al loro sogno imperiale. Naturalmente, l'attuale alto livello di educazione nelle ex colonie le costringe a ridefinire i modi di dominazione.

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Questo articolo è il seguito di «La politica estera del presidente Macron», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 13 marzo 2018.

domenica 8 aprile 2018

Maria Maddalena: il 13° Apostolo?

Maria Maddalena
Acqua e Spirito. Nonostante il termine ebraico Ruach, non significhi Spirito, sono alcune delle prime parole del Libro della Genesi e i due concetti più ricorrenti nel film Maria Maddalena: «un ritratto autentico e umano di una delle più enigmatiche e incomprese figure spirituali della storia»[1].
Sebbene la figura della Maddalena (da Magdala, la città da cui proveniva) al cinema non sia stata mai ben tratteggiata, il film di Garth Davis, al contrario di altre opere tipo la Maria Maddalena di Raffaele Mertes (2000) e anche la Mary di Abel Ferrara (2005), o The Passion (M. Gibson, 2004), come ne L'ultima tentazione di Cristo (M. Scorsese, 1988), trascende i concetti ai quali siamo stati, forzatamente e falsamente, abituati. L'opera di Davis è il giusto mix tra sentimento, dolcezza e spiritualità, nella prima parte e rabbia, lotta e Passione, nella seconda.

La sequenza iniziale colpisce e penetra nel profondo: Maria Maddalena è immersa nell'acqua, dalla quale si lascia avvolgere delicatamente, per poi affrontare la vita di tutti i giorni, sottomessa al padre e soprattutto al primo fratello; aiuta la levatrice in un difficile parto, calmando la partoriente accarezzandola e fissandola negli occhi, denotando una forte presenza di spirito.

Fino a quando incontra lo sguardo ieratico, improntato a un senso grave e solenne di sacralità, di Gesù. Da rilevare è l'ottima prova degli attori: il Messia interpretato da Joaquin Phoenix (l'imperatore Commodo ne il Gladiatore), per il quale gli elogi ormai si sprecano e la convincente Rooney Mara, alla seconda collaborazione con il regista australiano, nel ruolo della Maddalena, il cui volto, delicato, è spesso, un po' per pudore, a rimarcare la condizione della donna a quei tempi, incorniciato nel suo velo.
La perfetta ricostruzione dei costumi, dei luoghi (i "sassi" di Matera sono imprescindibili), i paesaggi, le albe vivide di una luce particolare, riproposta, con un uso sapiente della fotografia, ad hoc negli interni quasi con la maestria del Caravaggio (e vi assicuro che il paragone non è irriverente), fanno di ciascuna scena un quadro come se fosse ogni «immagine su di un vetro» (Pietro, che racconta la sua a vita a Maria Maddalena) o appunto, su una tela. Maria Maddalena non è la Prostituta[2], né da lei sono usciti «sette demoni»[3], entrata in punta di piedi fra i Dodici Apostoli, riesce pian piano, con la sua semplicità e umiltà a scalarne la gerarchia, fino a diventare una sorta di alter ego per il Cristo, tanto che questi arriva a chiederle, poco prima di arrivare a Gerusalemme: «Che cosa devo insegnare?». Questo lascia supporre che Gesù l'aveva in forte considerazione; nel Vangelo apocrifo di Filippo, c'è scritto: «La compagna del Figlio è Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e spesso la baciava sulla bocca». Frase altamente controversa, che ha suscitato scalpore, insinuando il dubbio che la loro unione non fosse solo "sacra", ma carnale.
Si discute da sempre se Gesù fosse sposato o meno: storicamente, per la tradizione ebraica, il Maestro (Rabbì) non poteva non essere un uomo sposato -altrimenti chi gli avrebbe dato credito se non avesse avuto nemmeno una moglie? Addirittura i Templari attestano una discendenza, della "sposa", il vero Sacro Graal, di Cristo, e del viaggio che ella intraprese per raggiungere il sud della Francia (secondo la leggenda, il suo cranio è conservato in una Basilica a lei consacrata nei pressi di Marsiglia).
È Gesù stesso a Battezzarla; «compagna» del Cristo, lei si siede alla destra del Figlio per l'Ultima Cena (proprio come nel Cenacolo di Leonardo), è lei che scopre il Tradimento nelle parole e negli occhi di Giuda; è lei la prima «Testimone» della presunta Resurrezione (riportata solo nei Vangeli canonici, il Vangelo apocrifo di Pietro, al quale i fedeli non devono credere, dice tutt'altro), portatrice del Logos, "Apostola degli Apostoli"[4], perché, nel corso dei secoli, è stata così bistrattata?
Gesù le ha lasciato un altro messaggio esoterico, in antitesi con la tradizione ebraica? «Ha forse egli parlato in segreto a una donna prima che a noi e non invece apertamente? Ci dobbiamo ricredere tutti e ascoltare lei? Forse egli l'ha anteposta a noi?» si legge proprio nel Vangelo gnostico di Maria Maddalena.
«Forse abbiamo frainteso» perché tutto «Va al di là della nostra comprensione» (sono frasi che lei pronuncia nel film) -può darsi, ma «La Dea occulta del Cristianesimo»[5] come mai non è diventata la Pietra fondatrice della Chiesa? Semplice. Per volere dei cosiddetti "Padri della Chiesa", della loro ossessiva visione maschilista; quasi cancellata dalla storia, deliberatamente con un pensiero imposto. Gesù, dal film, ci ricorda che: «Siamo proprietari del nostro spirito», uno spirito che è stato soffocato. Nel toccante e bellissimo dialogo finale, quando la Maddalena porta l'Annuncio della Resurrezione, lo stesso cerca di fare Pietro nei suoi confronti: «Non resterò in silenzio, mi ascolteranno», purtroppo così non è stato.

Note:
[1].comingsoon.it
[2].L'accostamento tra Maria Maddalena e l'adultera redenta risale in realtà al 591, quando Papa Gregorio Magno, basandosi su alcune tradizioni orientali, in un suo sermone identificò le due figure. In wikipedia.org
[3]. Vangelo secondo Luca (8, 2-3).
[4]. Definizione del teologo Ippolito Romano (170-235 d.C.). Appellativo ripreso da Papa Francesco nel 2016.
[5]. Maria Maddalena. La Dea occulta del Cristianesimo, Lynn Picknett, L'Età dell'Acquario Editore, 2005.

sabato 7 aprile 2018

Lo strabismo dei media anti Assad che dimenticano lo Yemen

Assad, presidente della Siria
Assad, presidente della Siria
Verrebbe voglia di parafrasare il vecchio William Shakespeare:  Much Ado about nothing, "Molto rumor per nulla". E invece nossignori: non è così. Stavolta il rumore è per qualcosa.
Permettetemi un'oziosa premessa da professore di storia, che non vuol dir nulla e non dev'essere accolta come jettatoria (però, se avete un cornetto di corallo da qualche parte dateci una passata: non si sa mai…). Sapete qualcosa della "guerra di San Saba"? E della "guerra di Crimea"? E magari del Great Game?
Se non avete mai sentito nominar nulla di tutto ciò, non è grave. Si tratta di due episodi bellici e di una lunghissima tenzone durata quasi un secolo. Nel 1257-1258, veneziani e pisani da una parte e genovesi dall'altra se le dettero di santa ragione nel porto di Acri (oggi Akko in Israele): la rissa coloniale si trasformò in una guerra combattuta nel Tirreno e nell'Adriatico. Nel 1854, un banale incidente in Terrasanta (una stella d'argento trafugata in una basilica dove convivevano – malamente – cattolici e ortodossi) causò una guerra durata due anni che coinvolse francesi, inglesi e turchi tutti schierati contro la Russia zarista; vi s'intrufolò per volontà del conte di Cavour anche il Piemonte, che non c'entrava nulla ma che intendeva lucrare un bonus diplomatico presso le potenze occidentali. Fu la guerra di Crimea, quella della carica di Bataclava; ne fu testimone d'eccezione il conte Tolstoj, in uniforme zarista. Quanto al Great Game, fu la contesa per l'egemonia in Asia giocata tra le truppe russe, che scendevano dalla Siberia, e quelle inglesi, che salivano dall'India lungo i passi afghani. Ce l'hanno raccontata Kipling e Verne. E fu una guerra principalmente di spie (guarda guarda…) che per poco non si trasformò in un enorme conflitto eurasiatico.
Che le guerre occidentali comincino in Oriente non è una regola generale, ma quasi: da quando i persiani hanno invaso la Grecia due millenni e mezzo or sono. Ora, che alcuni esuli russi muoiano abbastanza spesso in terra britannica, che il governo inglese reagisca prima con noncuranza e quindi (tuttanbotto, direbbero a Napoli) con repentina energia espellendo – senza produrre grandi prove, a onor del vero – ventitré diplomatici accreditati  ma bollati senza complimenti come spie e che un di solito discreto e compassato statista russo reagisca ricordando che "non si minaccia con leggerezza una potenza nucleare", non è – consentite – cosa da farci dormire su due guanciali. Sarà un fuoco di paglia, d'accordo: ma anche i fuochi di paglia possono esser pericolosi: specie se c'è del combustibile nei paraggi.
E qui ce n'è anche troppo. E si sta accumulando almeno dal 2011, quando un paio d'iniziative non troppo felici – francese di Sarkozy la prima, francoinglese di Hollande e Cameron l'altra – scatenarono il finimondo, sfruttando l'abbrivio delle cosiddette "primavere arabe" per toglier di mezzo due statisti per loro ingombranti: il libico Gheddafi e il siriano Assad. In entrambi i casi, l'intenzione strategica era un mutamento di governo e una ridefinizione di territori e d'influenze. Nel primo caso si riuscì a eliminare l'obiettivo dell'operazione ma non a dare al territorio libico l'assetto auspicato dall'Eliseo e dalla Total. Nel secondo ci s'infilò in un terribile ginepraio nel quale entrarono turchi, curdi, irakeni, iraniani e indirettamente anche sia i russi, sia gli americani, la NATO e Israele. Alla crisi del 2011 tenne dietro, in stretta correlazione, quella siro-curdo-irakena protagonista della quale fu  il "califfato musulmano" detto ISIS o più propriamente DAESH, una realtà statuale-terroristica nata nel '14 e sostenuta da alcune potenze arabo-sunnite, specie quelle affiliate alla setta wahhabita, le quali immisero nella già tormentata questione orientale il veleno della fitna, la guerra civile e religiosa tra sunniti e sciiti.
Le vicende di quella che per tre anni è stata presentata come l'operazione di "polizia internazionale" contro i tagliatori di teste del califfo al-Baghdadi, e che si è sempre più chiaramente configurata come un tentativo di  mutare sia il regime, sia l'assetto politico-territoriale di Siria e d'Iraq, hanno condotto alla presenza sempre più massiccia nell'area di contingenti sia turchi, sia russi, sia iraniani, sfiorando il coinvolgimento d'Israele, mentre la guerra civile in Siria non è stata risolta e noi occidentali abbiamo avuto – grazie ai nostri media – l'impressione che l'ISIS/DAESH non esista più e che gran parte di quel che accade in Siria risalga alla responsabilità del governo di Assad che infierisce contro il suo popolo.  Risultato: contingenti della NATO impegnati nel Vicino Oriente, sottomarini nucleari russi nella acque siriano-libanesi, Israele quasi mobilitata: frattanto, si sta profilando un'inedita alleanza militare turco-russo-iraniana. Si tratta di un accordo fra tre storici nemici geopolitici: dal Cinquecento chi governa a Istanbul è nemico di chi governa a Mosca (o a  San Pietroburgo) e di chi governa a Teheran. Prodigi della diplomazia occidentale, e negli ultimi mesi in particolare di quella statunitense di Trump bravissimo nel farsi nemici dappertutto?
Il caso May-Putin
Ma ora, la rapidità della reazione britannica a un supposto (solo supposto, a quel che finora sembra) colpo di mano russo su un esule politico, ha lasciato perplessi. La diplomazia russa ha risposto ironicamente, parlando di un'iniziativa pretestuosa, di un "circo equestre". Senonché, la repentina – quanto meditata? – discesa in campo di statunitensi, francesi e tedeschi al fianco del governo di Londra ha ricreato d'un tratto un clima da "guerra fredda". Né gli umori dei britannici sono concordi. Il leader della sinistra Jeremy Corbin ha ricordato che l'ex-spia Aliksandr Litvinbenko fu ucciso in circostanze misteriose nel 2006 ma che solo nel 2014 s'istituì al riguardo una commissione d'inchiesta: il passo di lumaca finora usato stride al confronto con la fulminea rapidità con la quale adesso, nel giro di poche ore, si espellono ben 23 diplomatici e si mette su una coalizione internazionale. Che tutto ciò abbia a che vedere col fatto che da tempo la City londinese funziona come centro di riciclaggio di molto denaro sporco, tra il quale c'è anche quello di alquanti oligarchi russi compresi alcuni che nell'isola di Albione possiedono perfino squadre di calcio e quotidiani? Da noi, i media hanno prontamente reagito proclamando il filoputinismo di Corbyn (vergogna!…) e assicurando che ormai in Inghilterra il fazioso iperlaburista è un isolato. Peccato solo che così non paia, in realtà.
Insomma, un Occidente diviso dalla guerra dei dazi scatenata dal neoprotezionista Trump si ricompatta politicamente e riscopre l'Impero del Male di reaganiana e bushista memoria. La revolverata di Sarajevo, in quel lontano luglio del '14, fece  sulle prime quasi meno rumore. Magari non succederà per nulla, sarà un altro much Ado about nothing. Ma chissà. Ora che anche grazie a loro zar Putin ha vinto le elezioni nel suo paese – a colpi di brogli e d'intimidazioni, senza dubbio… -, i nostri lungimiranti leaders occidentali potrebbero anche decidere di rifarsi alzando il tiro.
Intanto, quanto meno, la serrata campagna di disinformazione continua. C'avete fatto caso, come avrebbe detto il grande e compianto Aldo Fabrizi, che ormai da mesi tutto il tormentato mondo vicino e mediorientale, dallo Yemen dove le aeronautiche saudite ed egiziane massacrano gli sciiti fino all'Iraq dove continua la fitna sunnita e all'Afghanistan dove ormai da quasi quarant'anni non comanda più nessuno ma si muore tutti i giorni, è scomparso dalle cronache mediatiche e televisive? Che ne è di Daesh e del suo califfo più volte morto e risorto? Dove sono finiti  i "terroristi islamici" dei quali siamo stati nutriti dal 2001 fino all'altro ieri a colazione, pranzo e cena? Nulla, Nacht und Nebel, oscurità e bruma. I morti che da anni sono seminati dalla libera e prode coalizione delle potenze occidentali, ormai, non si contano nemmeno più: anzi, sono scomparsi. E' semplice: basta spegnere i riflettori mediatici incautamente puntati su di loro e voilà, loro non esistono più e noi per l'ennesima volta ci autoassolviamo come siamo abituati da fare da mezzo millennl, da quando è cominciato il colonialismo, salvo – quando prorpio non se ne può fare a meno – trovare lo Hitler o lo Stalin di turno ai quali addossare tutte le colpe.
Ma ora, negli ultimi mesi, siamo proprio diventati bravi. Appena è apparso chiaro al di là di ogni evidenza che dietro la mano dei fanatici di al-Qaeda prima, del Daesh poi, ci poteva essere quella di qualche saudita, e da essa magari era non troppo impossibile risalire addirittura a qualche israeliano e a qualche statunitense, il terrorismo fondamentalista islamico che quotidianamente ci accompagna ormai da quasi vent'anni si è misteriosamente dissolto, fatta salva la surrealistica "spiritosa invenzione" (come l'avrebbe chiamata l'avvocato Carlo Goldoni) di Trump il quale, incurante del fatto ch'esso sia di marca squisitamente sunnita e wahhabita, ne ha denunziato una leadership iraniana e sunnita. Al suo posto, è subentrata l'attività criminale del trio assadista-iraniano-russo (su Erdoğan lorsignori non sano ancora troppo bene come regolarsi), non solo accusato – e purtroppo, va detto, giustamente – di sbagliar politica con i curdi che si sono ben guadagnato il loro diritto all'ìindipendenza lottando eroicamente contro la gentaglia di al-Baghdadi (ma chi appoggiava, fin dai lontani Anni Ottanta, il dittatore Saddam Hussein che era ancora quello definito da Kissinger il "presidente del sorriso", e massacrava i curdi a colpi di bombe e di gas asfissiante?), ma altresì accusato di ogni nefandeza contro la malcapitata popolazione civile siriana.
E' risaputo che il "nuovo Hitler" Assad massacra il suo stesso popolo. Ce lo ha ripetuto un elegiaco Massimo Gramellini sul "Corrierone" del 17 marzo scorso (Il bimbo nella valigia), a proposito dell'esodo dei poveri civili del quartiere Goutha alla periferia di Damasco, bombardato dai siriani lealisti dell'esercito di Assad. Ma quanti poveri civili muoiono continuamente nei villeggi afghani senza posa bombardati da un quarantennio, e dei quali abbiamo perduto ormai il conto? Ma, di grazia, a Gaza non ci sono forse anche  dei poveri civili, oppure pensate che ci siano soltanto dei fanatici terroristi di Hamas che si fanno scudo dei corpi dei loro bambini che le forze armate israeliane sono quindi costrette ad uccidere?
I nostri media insistono sulle malefatte dei russi e dell'esercito lealista di Assad nella provincia di Idlib, Siria del nordovest,  ancora occupata dai ribelli che piacciono tanto agli Amis de la Syrie confortabilmente installati a Parigi e lodati da Bernard-Henri Lévy tra una soirée all'Opéra-Bastlle e l'altra. Si lamentano altresì i raids delle congiunte forze di Mosca e di Damasco ai danni dei curdi e delle milizie antiassadiste della provincia di Rojava, a nordest (ma tra Idllb a ovest e Rojava a est non esiste continuità territoriale: nel mezzo c'è un'enclave occupata dall'esercito turco e dai siriani antiassadisti suoi alleati: con quanta gioia die curdi, è immaginabile). E giustamente si rende il dovuto omaggio al periodico di "Medici senza Frontiere", che nel suo numero del gennaio scorso denunzia quella in Siria come Una guerra senza regole né pietà e sottolinea (p. 5) che quella benemerita organizzazione umanitaria "non è presente nella aree controllare dal governo (di Assad), nonostante abbia ripetutamente richiesto l'accesso a Damasco". E' cosa gravissima: che è doveroso denunziare e stigmatizzare. Ma, di grazia, giornalisti e politici vari, dove siete – e che cosa leggete – quando "Medici senza Frontiere" denunzia altresì, come fa di continuo, situazioni infami e intollerabili dal Bangladesh al Myanmar, dallo Yemen al Lago Ciad? O esistono forse vittime di serie A e di serie B, a seconda che la loro presenza serva o meno alla propaganda di chi vi tiene sul suo registro-paga oppure, al contrario, ostacoli il business di certe multinazionali? Oppurevogliam dire che  quelli fatti da Assad sono "morti buoni", mentre magari quelli provocati dalla multinazionali del petrolio sono solo ingombranti fetentissimi cadaveri nemici del progresso da far sparire al più presto possibile?