venerdì 19 gennaio 2018

Cosa si nasconde dietro l’affresco di Leonardo da Vinci a Villa Torlonia di Avezzano?

Avezzano. All'ingresso di Villa Torlonia c'è un affresco che occupa un'intera parete, rappresentante il castello di Celano che si affacciava su un lago Fucino di un verde così insolito da lasciare il dubbio se si trattasse di terre coltivate o d'acqua. Ma se si alzano gli occhi al soffitto, cosa che nessuno fa mai poiché si viene rapiti dal dipinto appena citato, si possono osservare tre volti, raffigurati secondo un ordine non troppo casuale: Giulio Cesare, Leonardo da Vinci e Alessandro Torlonia.

Ma cosa ci fa il genio toscano, raffigurato tra mappamondi e clessidre con al suo fianco alambicchi da laboratorio e alcuni strani macchinari, nella dimora avezzanese del Principe Torlonia? Forse non tutti sanno che Leonardo, ancor prima di essere l'artista che tutto il mondo ormai conosce, era un eminente idraulico. Le sue realizzazioni più importanti in tal senso si trovano nella Villa delle Delizie di Charles d'Amboise a Milano, dove costruì un'incredibile macchina che chiamò "mulino ventilatore" mosso dalla corrente di un canale artificiale, sempre di sua invenzione. Inoltre ha creato sorgenti, peschiere e macchine d'acqua che suonano armonie come se fossero strumenti a fiato, fontane e cascatelle che sembrano naturali nonostante siano state ideate dal suo genio. Per realizzarli Leonardo aveva rispolverato alcuni vecchi progetti di canalizzazione che aveva costruito per Ludovico il Moro. Quei fogli contengono una grande quantità di studi legati al sistema dei navigli di Milano, a cui l'artista contribuì con una serie di innovazioni tuttora visibili, come ad esempio la famosa vite di Archimede, utilizzata per svuotare le conche e migliorare la navigabilità dei bacini e dei navigli.

Grazie a Leonardo le imbarcazioni potevano attraversare la città utilizzando esclusivamente i canali. Ma la sua raffigurazione a Villa Torlonia può essere dettata solo dall'interesse che il genio provava per l'idraulica? O esiste qualche altro motivo per cui il Principe fece dipingere il volto di Leonardo tra il suo ritratto e quello di Cesare? Cosa ha spinto Torlonia a farlo collocare tra lui, l'unico uomo che dopo duemila anni era riuscito a prosciugare il terzo lago d'Italia, e Cesare, il primo che aveva ideato quel prosciugamento? Il primo ad accostare il nome di Leonardo all'opera idraulica compiuta nel Fucino fu Kurt Hassert, un geografo tedesco che fece il Gran Tour proprio in Abruzzo "Il prosciugamento venne realizzato per conto del Principe da Frantz Mayor De Montricher, il più grande idraulico del XIX secolo, degno erede del genio di Leonardo". Ma esiste un'opera di Leonardo, su tutte, che si avvicina tantissimo al prosciugamento del Fucino, ovvero il prosciugamento delle paludi Pontine. In una carta geografica, datata 1514, attraverso un'insolita visuale a volo d'uccello, Leonardo realizzò a penna, inchiostro ed acquerello una cartina che riproduce le paludi Pontine, dal Circeo a Terracina fino alla piana di Fondi.

Questa fa parte dei progetti e degli studi compiuti dal maestro per il prosciugamento delle stesse. Nel Cinquecento l'idea di bonificare quest'area, da sempre considerata impossibile, affascinò anche Leonardo da Vinci che studiò un sistema di canali e di macchine idrovore. Il progetto venne commissionato e finanziato da Papa Leone X ma questo non vide mai la luce poiché il pontefice morì pochi anni dopo. Ma il sistema studiato da Leonardo era talmente efficace che venne usato per i successivi progetti del periodo fascista. Fu infatti Benito Mussolini, che per un lungo periodo visse a Villa Torlonia a Roma, a prosciugare le paludi, inaugurando nel dicembre del 1932 la città di Littoria. Ci si chiede quindi come sia possibile che Leonardo, affascinato dal prosciugamento delle paludi Pontine, possa essere rimasto indifferente alla più grande opera idraulica dell'antichità? Esiste infatti qualcos'altro che lega i nomi di Torlonia e da Vinci, qualcosa di molto più importante, che scopriremo mercoledì prossimo. @francescoproia (autore dei romanzi "Polvere di Lago" e "Il Principe del Lago")

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giovedì 18 gennaio 2018

Un buon anno per la conquista dello spazio


Sarà un ottimo anno per l’esplorazione spaziale. L’organizzazione per la ricerca spaziale indiana ha in programma di lanciare sulla Luna la sonda Chandrayaan-2, un orbiter, lander e rover senza equipaggio (in grado di orbitare, atterrare e muoversi sul satellite). A luglio, la giapponese Hayabusa 2 raggiungerà la sua destinazione, l’asteroide 162173 Ryugu, nel tentativo di riportare sulla Terra alcuni campioni.
E a giugno la Cina comincerà la missione verso il “lato oscuro” della Luna. Per prima cosa, un satellite per le comunicazioni con la Terra verrà posizionato a 60mila chilometri oltre la Luna. Questo satellite di collegamento da 425 chili guiderà il secondo elemento della missione, un veicolo in grado di atterrare e muoversi, sulla faccia nascosta della Luna, dove nessuno è mai arrivato prima.


Uno dei vantaggi di trovarsi su questo lato è che la Luna scherma i segnali radio provenienti dalla Terra e quindi si captano meglio le onde radio provenienti dal resto dell’universo. Ma Chang’e 4, la missione cinese, porterà anche dei semi e degli insetti, che serviranno a capire se piante e animali possono crescere sulla superficie lunare.
“Il container spedirà patate, semi di Arabidopsis e uova di bachi da seta”, ha spiegato Zhang Yuanxum, progettista del container. “Le uova si schiuderanno e diventeranno bachi da seta, in grado di produrre anidride carbonica, mentre le patate e i semi emetteranno ossigeno attraverso la fotosintesi. Insieme, potrebbero creare un ecosistema elementare sulla Luna”. Un sistema semplice, ma anche un primo passo verso una presenza umana più stabile sulla Luna.
I progetti delle vecchie potenze
Anche le vecchie potenze spaziali stanno facendo qualcosa di completamente nuovo. La Russia sta testando un motore nucleare che potrebbe ridurre i tempi di percorrenza verso Marte – da diciotto mesi ad appena sei settimane.
A ottobre l’Agenzia spaziale europea avvierà una missione su Mercurio. A maggio la Nasa lancerà la missione InSight, mentre la sonda Osiris-Rex raggiungerà l’asteroide Bennu ad agosto e comincerà a raccogliere campioni in vista del suo rientro sulla Terra.


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Ma il principale evento dell’anno, senza alcun dubbio, è il lancio da Cape Canaveral, negli Stati Uniti, del veicolo Falcon heavy di Elon Musk (la finestra di lancio si apre il 15 gennaio). “Sarà elettrizzante”, ha dichiarato Musk lo scorso luglio. “Esiste una concreta possibilità che non arrivi in orbita… Spero che arrivi abbastanza lontano dalla rampa di lancio da non danneggiarla. Se succedesse anche solo questo, la considererei una vittoria. La paura di non farcela è alta”.
Musk sta cercando di ridurre le aspettative, ma il suo è anche realismo. Falcon heavy lancerà nell’orbita terrestre un carico due volte e mezzo più grande di quelli lanciati durante le altre spedizioni: più di 50 tonnellate. Inoltre, il razzo principale e i due ausiliari (booster) sono concepiti per tornare sulla Terra e atterrare, per essere riutilizzati, una cosa che trasformerebbe l’economia dei lanci spaziali. Ammesso che la cosa funzioni.
È quasi sicuro che prima o poi si troverà il modo per farlo, ma siamo effettivamente di fronte a un nuovo tipo di progetto, non all’aggiornamento di uno precedente, e ci sono molti elementi in un veicolo grande come Falcon heavy che non possono essere testati a terra. L’aerodinamica è diversa, i carichi sono diversi e nessuno ha mai lanciato in orbita un veicolo dotato di 27 razzi. In questo caso vale il vecchio adagio: tutto può accadere ed è probabile che accadrà.
Ma Elon Musk è anche uno dei più grandi showman e promotori di se stesso della nostra epoca, e rimane quindi un irriducibile ottimista. A inizio dicembre ha twittato:
È facile lasciarsi trasportare dall’entusiasmo, naturalmente, ma dopo Falcon heavy verrà Space launch system, il veicolo della Nasa concepito per lanciare 70 tonnellate nell’orbita terrestre, mentre la versione successiva sarà dotata di una capacità di 130 tonnellate (anche se i suoi razzi non saranno riutilizzabili). I piani futuri di Musk prevedono il Bfr (Big fucking rocket) per andare su Marte.
È questo il tipo di veicoli che servono per affrontare dei viaggi spaziali davvero ambiziosi. Quando nel 1972 ho visto in tv l’ultimo allunaggio degli Apollo, immaginavo che razzi del genere ci sarebbero stati all’inizio degli anni ottanta (si guardi 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick, uscito nel 1968, per una visione assolutamente plausibile del tipo di tecnologia che avremmo potuto avere a inizio secolo).
Invece i fondi sono stati tagliati e la guerra fredda è finita. Per quarant’anni qualsiasi iniziativa spaziale è stata messa in naftalina, se si escludono le missioni interplanetarie senza equipaggio e una Stazione spaziale internazionale nell’orbita terrestre. Ma sembra che quest’anno ci siamo rimessi in carreggiata e che arriveremo effettivamente da qualche parte. Quarant’anni buttati, ma meglio tardi che mai.
(Federico Ferrone)
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mercoledì 17 gennaio 2018

Ferdinando Imposimato e la sua ansia di giustizia tra i corridoi di piazzale Clodio


La morte di Ferdinando Imposimato mi ha colpito come un pugno in faccia. Ci sono persone che non pensi possano morire mai e lui era una di queste. Magistrato coraggioso, hanno ricordato tutti elencando le infinite indagini che hanno accompagnato la sua lunga vita dedicata alla giustizia, ma anche diffidente, suscettibile e talvolta iroso nel difendere le sue tesi e così prolifico da continuare a scrivere libri sui tanti misteri di cui si era occupato con l'ostinazione di chi non si rassegna a cercare la verità, andando oltre a quella sancita dalle sentenze che proprio lui aveva contribuito a scrivere. La verità giudiziaria, diceva, è fondata sulle prove, su ciò che è possibile accertare, sui responsabili che è possibile arrestare, ma poi ci sono lande inaccessibili di cui si conosce l'esistenza ma non si riescono a raggiungere. Misteri, segreti di fronte ai quali non si è mai arreso.

Non sapevo che aveva 81 anni, anzi non mi sono mai chiesta quanti anni avesse, perché chiederselo se era attivo e dinamico come un quarantenne? Come quando lo incontravo, mentre correva con la toga svolazzante per i corridoi di piazzale Clodio, alto e ancora biondo, quel sorriso beffardo e disincantato da napoletano che tutto sa e sdrammatizza. Negli ultimi anni ci eravamo ritrovati e lo avevo scoperto disponibile come sempre, impegnato fino all'ultimo nelle tante battaglie della sua vita. Difficile descrivere il suo inesauribile attivismo: aveva esordito come poliziotto e ha finito con l'essere non soltanto scrittore, ma anche protagonista di film a lui dedicati, dedito al contempo all'impegno politico, sociale e negli ultimi anni anche umanitario nell'ambito di quelle organizzazioni internazionali che hanno saputo sfruttare la sua competenza e la sua versatilità.
Nel 1986, dopo aver lasciato la magistratura per le continue minacce della mafia, è stato consulente legale delle Nazioni Unite nella lotta alla droga, su incarico dell'Onu ha anche addestrato giudici colombiani, boliviani, peruviani ed ecuadoriani contro il narcotraffico. Ma questo fa parte della biografia ufficiale, io conosco un Imposimato privato che continuava a coltivare la sua ansia di giustizia per ogni dove. Talmente giovane da avvicinarsi al Movimento 5 Stelle, che apprezzava per la sua battaglia contro la corruzione, correndo perfino il rischio di essere eletto Capo dello Stato. La passione per la politica l'aveva scoperta  nel 1987, quando era stato eletto senatore nelle liste del Pci. Una scelta maturata in silenzio, in omaggio al fratello Franco ucciso quattro anni prima dalla camorra, forse per il suo impegno sindacale nella fabbrica Face Standard di Maddaloni, cittadina del casertano dove erano nati.
Il tarlo segreto che lo logorava era che il fratello fosse morto a causa sua, come mi confidò un giorno. Una vendetta per quel processo sulla Banda della Magliana, che aveva chiuso nel 1981mandando alla sbarra alti prelati, finanzieri, usurai, malavitosi e camorristi. Anche se per avere giustizia, proprio lui, ha dovuto aspettare quasi venti anni: soltanto nel 2001 con il processo Spartacus è stata accertata la matrice mafiosa dell'agguato. Una vicenda cui il regista Francesco Rosi dedicò il film "I tre fratelli", in cui si affronta il tema ricorrente della sua vita: l'incolmabile distanza tra verità processuale e verità reale.
Imposimato non è stato soltanto il giudice istruttore del Caso Moro, come tutti sanno, o quello dell'attentato al Papa come pochi ricordano. Si era anche occupato di Michele Sindona, aveva istruito il processo sul crac bancario, ed erano cominciate le minacce mafiose che nel 1986 lo hanno convinto a lasciare la toga per incarichi non meno pericolosi. Per qualche anno ci siamo persi vista, ma poi ci siamo ritrovati. Uno dei nostri argomenti preferiti era proprio il processo Moro e i suoi irresolubili enigmi. A lui si deve la scoperta della prigione in via Montalcini e questo ha indissolubilmente legato il suo nome a quell'inchiesta. La più difficile, la meno fortunata. "Ma dai Ferdinando, come si fa a credere che Moro sia stato tenuto per 55 giorni in un appartamento di periferia, come si fa a credere che sia stato ammazzato in quel garage accessibile a tutti, in quel box talmente stretto che se si apre il portellone della Renault non si può chiudere la saracinesca?". Non si arrabbiava, anzi sorrideva alle mie parole, mi gratificava: "Anche tu sei una combattente della giustizia e non ti rassegni mai".
Sappiamo oggi che quell'inchiesta fu costruita sulle bugie di Morucci, su quegli "aggiustamenti" della verità che hanno relegato il delitto Moro nel recinto di ciò che "è dicibile". Peggio che Morucci fu addestrato dal Sisde a schivare gli argomenti più imbarazzanti, quel servizio civile con cui intratteneva rapporti anche in giovane età. Ma non è vero che Imposimato si sia mai arreso a questa verità parziale. "Il terrorismo va combattuto senza mezzi termini e senza incertezze, ma anche smascherando coloro che si giovano del terrorismo con il pretesto di combatterlo. L'Europa e gli Stati Uniti non si illudano. Fingendo di non vedere e di non capire, prima o poi dovranno pagare un conto molto salato", ha scritto e detto molte volte. Negli ultimi tempi si riferiva all'islamismo, ma non ha mai ignorato che la stessa ricetta fosse applicabile al terrorismo nostrano. Nel 2008 nel libro Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro, si è inoltrato in quella palude di segreti che il processo aveva ignorato perché "i tempi non erano maturi"come avrebbe detto Buscetta. Più di recente, nel saggio su I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia, il magistrato si è inoltrato su un terreno ancora più inclinato che conduce al ruolo di Gladio e dove cita le testimonianze di alcuni militari come Ladu e Puddu.
Imboccata questa strada non si è più fermato: nel 2011 ha annunciato che avrebbe denunciato il governo degli Stati Uniti perché a conoscenza degli imminenti attentati dell'11 settembre e non li avrebbe evitati. Qualcuno ha cominciato a pensare che era andato un po' fuori di testa, invece  era un discorso che maturava da tempo. Nel libro più recente La Repubblica delle stragi impunite,  fa risalire la strategia stragista a Portella delle Ginestre e la conclude con la strage di via D'Amelio, affrontando il ruolo dei servizi segreti stranieri e italiani, delle agenzie internazionali, quei think tank, stile Hiperion, dove opposti interessi si incontrano per decidere le sorti del mondo anche all'insaputa dei governi. Davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul Caso Moro, un paio di anni fa, la sua rabbia è esplosa quando ha scoperto che la Digos era a conoscenza di un'informativa del Sismi su Giorgio Conforto, l'agente doppio del Kgb (in ottimi rapporti con l'Ufficio Affari riservati) in casa del quale furono arrestati proprio Faranda e Morucci. "Nessuno me ne ha mai parlato e pensare che erano proprio queste le notizie che a me interessavano di più".
Caro Ferdinando, te ne sei andato quando avevi ancora molte cose da fare, altri incarichi da assumere, segreti da ricostruire, libri da scrivere. Poco prima di Natale qualcuno ti ha incontrato dalle parti di piazza Zanardelli, barricato nel tuo immancabile loden grigio, con un pacco di giornali sotto il braccio, diretto verso ponte Cavour, quello che porta al Palazzaccio. Quella Casa Madre dove eri tornato, dopo tanti anni in giro per il mondo e dove, rientrato nei ranghi giudiziari, hai concluso la tua carriera di magistrato come Presidente onorario aggiunto della Cassazione.  In definitiva l'incarico che hai amato di più.
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martedì 16 gennaio 2018

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 12 gennaio 2018


Rete Voltaire
Focus
 Damasco (Siria) |
Da una decina di anni in qua, gli Stati Uniti sono prigionieri della loro contraddizione di fronte all'Islam. Da un lato, pensano a se stessi come alla terra della libertà religiosa, dall'altro utilizzano i Fratelli Musulmani per destabilizzare il Medio Oriente allargato, e da un altro lato ancora lottano contro lo straripamento del terrorismo islamico fuori da questa regione. Hanno vietato qualsiasi ricerca che consenta di distinguere l'Islam in quanto religione dalla sua manipolazione a fini politici. Dopo aver rotto con il terrorismo dei Fratelli Musulmani, Donald Trump ha deciso di riaprire questo dossier, rischiando di provocare delle violenze nel suo stesso paese. Perché negli Stati Uniti la libertà di praticare l'Islam non implica la libertà di entrare in (...)




In breve

 
Analisi dei droni che hanno attaccato Hmeimim
 

 
Cosa succede in Iran?
 

 
Israele e Iran sfruttano insieme l'oleodotto Eilat-Ashkelon
 

 
Cosa sta accadendo in Giordania?
 
Controversie

 
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lunedì 15 gennaio 2018

Una storia disegnata nell'aria. Per raccontare Rita che sfidò la mafia con Paolo Borsellino


Martedì 16 gennaio 2018 alle ore 20.30 presso il Teatro del Buratto in Maciachini, a Milano, va in scena lo spettacolo Una storia disegnata nell'aria. Per raccontare Rita che sfidò la mafia con Paolo Borsellino.
Milano - Un monologo toccante, profondo e potente quello di Guido Castiglia, per raccontare la storia di Rita Atria, la più giovane testimone di giustizia in Italia, morta suicida a soli 17 anni, una settimana dopo la strage di via d'Amelio, in cui perse la vita il giudice Borsellino. Uno spettacolo che fa emergere prepotentemente che al di là del silenzio complice e colpevole, dell'interesse personale a discapito di quello comune, della logica prepotente del sopruso e dell'intimidazione, nella quale Rita era immersa fin dall'infanzia, può esistere un mondo migliore, dove sia possibile respirare il fresco profumo della libertà.  
Milano -La storia di Rita Atria è emblematica, è una storia nella quale emerge forte il desiderio di affermare una realtà libera da veti e mutismi, da intimidazioni velate e soprusi subiti. Lo spettacolo racconta di Rita, dei suoi tatuaggi emotivi, della sua voglia di vivere e della sua capacità di trasformare, grazie all'aiuto di Paolo Borsellino, il sentimento di vendetta in senso di giustizia. 
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domenica 14 gennaio 2018

The D Daily is out! Edition of 14 gennaio 2018

Domenica 14
The D Daily
:-) Think Different (-:
Published by
Gianfranco
14 gennaio 2018
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Today's headline
La Teoria delle Risonanze Evolutive - Achille Damasco
thumbnail www­.byoblu­.com - Diego Fusaro su Papa Francesco: ispirato da George SorosDiego Fusaro, filosofo noto ai dibattiti televisivi, critico sulla globalizzazione e sulle élite che la sostengono, analizza e critica il disco…
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Ferdinando Imposimato - Vaccini Obbligatori: Atto Illegittimo, che Viola la Libertà dei Cittadini!