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mercoledì 27 novembre 2019

La stampa australiana contro la censura del governo


La stampa australiana ha annerito i caratteri di stampa delle prime pagine e fatto annunci sulle reti televisive per protestare contro l’applicazione della legge sulla censura.
Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno una legislazione molto stringente a protezione dei segreti di Stato.
Non si sente mai parlare, e a ragione, di censura governativa in questi Paesi, cionondimeno essa è molto frequente.
Tre giornalisti sono perseguiti per aver rivelato che: − il governo aveva intenzione di utilizzare gli strumenti d’intercettazione dei “Cinque Occhi” (i quattro Paesi di cui stiamo parlano e gli Stati Uniti) per spiare i cittadini australiani; − le forze speciali australiane hanno commesso crimini di guerra in Afghanistan.

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lunedì 25 novembre 2019

François Hollande è il primo a riconoscere la sconfitta


L'ex presidente francese François Hollande ha per primo riconosciuto la sconfitta del vecchio mondo. In un’intervista all’AFP ha dichiarato:
«Cos’è accaduto in questa fase, forse l’ultima, del conflitto siriano? Hanno vinto tutti coloro cui si voleva impedire il trionfo: il regime di Bashar; la Turchia, che in realtà vuole dare la caccia ai kurdi, nostri alleati; infine Vladimir Putin, che è il pacificatore e i cui soldati sono andati, peraltro nello stesso tempo degli iraniani, a proteggere e salvare il regime di Bashar al-Assad».
François Hollande osserva la crisi del mondo occidentale, il cui principale leader, il presidente USA Donald Trump, ha deciso di non stare più al gioco:
«Siamo davanti a un problema della massima importanza per il futuro della NATO: come fidarsi del presidente americano Donald Trump?».

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venerdì 22 novembre 2019

L’alba del nuovo mondo, di Thierry Meyssan


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Re Salman riceve il presidente Vladimir Putin, il pacificatore.


Thierry Meyssan rileva l’estrema gravità, non già del ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, bensì del crollo dei paradigmi del mondo attuale. Secondo l’autore, stiamo entrando in un breve periodo di transizione durante il quale gli attuali padroni del gioco – i “capitalisti finanziari” che, secondo Meyssan, non sono imparentati né con il capitalismo né con le banche delle origini – saranno messi da parte a tutto vantaggio del primato del diritto, secondo le normeformulate dalla Russia nel 1899.
Stiamo vivendo uno di quei momenti che capitano soltanto una o due volte in un secolo. Sta nascendo un nuovo ordine mondiale. Tutti i punti di riferimento validi fino a oggi stanno sparendo. È il trionfo di chi, prima alla gogna, ora s’impone; è la discesa agl’inferi di chi prima governava. Le dichiarazioni ufficiali e le interpretazioni giornalistiche non rispecchiano, con ogni evidenza, gli eventi che si concatenano. I commentatori, per non essere travolti dal vortice della storia, devono cambiare al più presto i loro schemi mentali, sino a sconvolgerli completamente.
A febbraio 1943 la vittoria sovietica sul Reich nazista segnò il rovesciamento delle sorti della seconda guerra mondiale. Quel che seguì fu ineluttabile. Si dovette attendere lo sbarco degli anglo-statunitensi in Normandia a giugno 1944, la conferenza di Yalta a febbraio 1945, il suicidio del cancelliere Hitler a febbraio 1945 e, infine, la capitolazione del Reich l’8 maggio 1945 per veder sorgere un mondo nuovo.
In un anno, da giugno 1944 a maggio 1945, il Grande Reich fu sostituito dal duopolio URSS-Stati Uniti. Dodici anni dopo Regno Unito e Francia, all’epoca ancora le prime potenze mondiali, avrebbero assistito alla decolonizzazione dei loro imperi.
Oggi stiamo vivendo un momento analogo.
Ogni periodo storico ha il proprio sistema economico e per proteggerlo costruisce una sovrastruttura politica. Con la fine della guerra fredda e lo smembramento dell’Unione Sovietica, il presidente Bush padre smobilitò un milione di militari e affidò il perseguimento della prosperità degli Stati Uniti ai padroni delle multinazionali. Costoro si allearono con Deng Xiaoping, delocalizzarono posti di lavoro in Cina, facendola diventare l’officina del mondo. Invece di portare prosperità ai cittadini, le multinazionali si accaparrarono i profitti, causando la progressiva e lenta sparizione delle classi medie occidentali. Nel 2001 le multinazionali statunitensi finanziarono gli attentati dell’11 settembre, al fine d’imporre al Pentagono la strategia Rumsfeld/Cebrowski di distruzione delle strutture statali. Il presidente Bush figlio trasformò il Medio Oriente Allargato nel teatro di una “guerra senza fine”.
La liberazione in una settimana di un quarto di territorio siriano non è soltanto la vittoria del presidente Bashar al-Assad – “l’uomo che deve andarsene” ormai da otto anni – segna altresì lo smacco della strategia militare finalizzata a consolidare la supremazia del capitalismo finanziario. Quel che sembrava inimmaginabile è accaduto. L’ordine del mondo si è ribaltato. Il seguito è ineluttabile.
L’accoglienza in pompa magna del presidente Vladimir Putin in Arabia Saudita ed Emirati Arabi è sintomo dello spettacolare capovolgimento delle potenze del Golfo, che hanno cominciato a spostarsi nel campo russo.
Anche l’altrettanto spettacolare redistribuzione delle carte in Libano sancisce lo smacco politico del capitalismo finanziario. In un Paese dollarizzato, dove non si trova un dollaro da oltre un mese, dove le banche chiudono gli sportelli e i prelievi bancari sono soggetti a limiti, non saranno le manifestazione contro la corruzione a fermare il rovesciamento del vecchio ordine.
Le convulsioni del vecchio ordine si allargano. La responsabilità della rivolta popolare contro le misure imposte dal capitalismo finanziario viene addossata dal presidente ecuadoregno, Lenin Moreno, al predecessore, Rafael Correa, nonché al presidente venezuelano Nicolás Maduro, emblema della resistenza a questa forma di sfruttamento dell’uomo. Ebbene, Correa vive in esilio in Belgio, Maduro non esercita alcuna influenza in Ecuador.
Il Regno Unito ha già fatto ripiegare le forze speciali dalla Siria e sta tentando di uscire dallo Stato sovranazionale di Bruxelles, l’Unione Europea. Dopo il progetto di Theresa May che conservava il Mercato Comune, il Paese, con il progetto di Boris Johnson, vuole rompere ogni legame con l’istituzione europea. Dopo gli errori di Nicolas Sarkozy, François Hollande ed Emmanuel Macron, la Francia ha perso repentinamente credibilità e influenza. Gli Stati Uniti di Donald Trump vogliono cessare di essere la “nazione indispensabile”, il “gendarme del mondo” al servizio del capitalismo finanziario, per diventare una grande potenza economica. Ritirano l’arsenale nucleare dalla Turchia e si apprestano a chiudere il CentCom in Qatar.
La Russia, riconosciuta da tutti come Paese “pacificatore”, sta facendo trionfare il diritto internazionale, cui essa stessa diede vita convocando nel 1899 la Conferenza Internazionale dell’Aia per la Pace, e i cui principi i membri della NATO hanno calpestato.
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La Conferenza Internazionale dell’Aia per la Pace del 1899, le cui implicazioni saranno comprese solo dopo oltre un secolo.
Così come la seconda guerra mondiale mise fine alla Società delle Nazioni per far nascere l’ONU, il mondo nuovo che sta per sorgere darà probabilmente vita a una nuova organizzazione internazionale, fondata sui principi della Conferenza del 1899, voluta dallo zar Nicola II e dal premio Nobel per la Pace, il francese Léon Bourgeois. Per far questo saranno però necessari lo scioglimento della NATO – che tenterà di sopravvivere allargandosi nel Pacifico – e quello dell’Unione Europea, Stato-rifugio del capitalismo finanziario.
Bisogna capire bene quanto sta accadendo. Stiamo entrando in un periodo di transizione. Nel 1916 Lenin diceva che l’imperialismo era lo stadio supremo del capitalismo, di quel capitalismo che fecero sparire le due guerre mondiali e la crisi della borsa del 1929. Il mondo di oggi è quello del capitalismo finanziario, quella forma di capitalismo che devasta, una a una, ogni economia a vantaggio di pochi super-ricchi. Il suo stadio supremo suppone la divisione del mondo in due campi: da un lato i Paesi stabili e mondializzati, dall’altro le regioni del mondo deprivate delle strutture statali, ridotte a semplici riserve di materie prime. Questo modello – contestato dal presidente Trump negli Stati Uniti, dai Gilet Gialli in Europa e dalla Siria in Levante – agonizza sotto i nostri occhi.

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mercoledì 13 novembre 2019

[Reseau Voltaire] Les principaux titres de la semaine 12 nov 2019


Réseau Voltaire
Focus




En bref

 
La Turquie expulsera les jihadistes de Daesh à partir du 11 novembre
 

 
Les banques libanaises priées de se recapitaliser
 

 
Les USA pourront conserver leur position de 1er producteur de pétrole
 

 
Réouverture en trompe-l'œil des banques libanaises
 

 
Les États-Unis se dissocient du négationnisme turc
 

 
Démission de Saad Hariri
 
Controverses
Fil diplomatique

 
Mike Pompeo sur le retrait des États-Unis de l'accord de Paris
 

 
Réaction turque à la proposition française d'interdiction du port du foulard durant les sorties scolaires
 

 
Intervention de Jean-Yves Le Drian à l'Assemblée nationale sur l'offensive militaire turque dans le nord-est syrien
 

 
Donald Trump sur la mort d'Abou Bakr al-Baghdadi
 

 
Mike Pompeo sur la mort d'Abou Bakr Al-Baghdadi
 

 

« Horizons et débats », n°24, 11 novembre 2019
Le capitalisme à Hong Kong
Partenaires, 11 novembre 2019

« Horizons et débats », n°23, 28 novembre 2019
Trump contre la guerre
Partenaires, 11 novembre 2019
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Il Kurdistan immaginato dal colonialismo francese di Thierry Meyssan

TUTTO QUEL CHE VI NASCONDONO SULL’OPERAZIONE TURCA “FONTE DI PACE” (2/3)



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Una delegazione kurda è ricevuta all’Eliseo dal presidente francese François Hollande e dal ministro degli Esteri dell’epoca, Jean-Yves Le Drian, presente anche Bernard-Henri Lévy, organizzatore dei disastri di Tunisia, Egitto e Libia.

Contrariamente a un luogo comune, il Rojava non è uno Stato pensato per il popolo kurdo, bensì una fantasticheria del colonialismo francese, nata nel periodo tra le due guerre. Insieme ai kurdi si voleva creare uno Stato fantoccio, analogamente al Grande Israele da fondarsi con gli ebrei. Un obiettivo del colonialismo rispolverato dai presidenti Sarkozy, Hollande e Macron, che l’hanno spinto sino alla pulizia etnica nella regione dove il nuovo Stato doveva sorgere.


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L’Alto Commissario francese per il Levante, generale Henri Gourraud, recluta, con l’ausilio dei turchi, 900 uomini del clan kurdo dei Millis per reprimere la ribellione nazionalista araba ad Aleppo e Raqqa. Questi mercenari combatteranno come gendarmi francesi sotto la bandiera che diventerà l’attuale vessillo dell’Esercito Siriano Libero (telegramma del 5 gennaio 1921).
Fonte: Archivi dell’esercito francese.
Aeccezione del principe Rewanduz, il popolo kurdo non ha mai sognato l’unificazione. Nel XIX secolo Rewanduz, ispirandosi al concetto tedesco di Nazione, progettava di unificare prioritariamente la lingua dei kurdi. Ancor oggi esistono molte lingue che determinano una separazione molto netta fra i clan kurmanji, sorani, zazaki e gurani.
Secondo documenti che per primo ha studiato l’intellettuale libanese Hassan Hamadé – che ora scrive un sorprendente saggio – nel 1936 il presidente del consiglio dei ministri francese, Léon Blum, negoziò con il capo dell’Agenzia Ebraica, Chaim Wiezmann, e con i britannici la creazione di un Grande Stato di Israele che si sarebbe esteso dalla Palestina all’Eufrate, comprendente quindi Libano e Siria, all’epoca protettorati francesi. Il progetto fallì per la furiosa opposizione dell’Alto Commissario francese per il Levante, conte Damien de Martel. All’epoca, Francia e – probabilmente – Regno Unito miravano a creare uno Stato kurdo a est dell’Eufrate.
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Il 4 febbraio 1994 il presidente Mitterrand riceve una delegazione kurda di membri del PKK turco.
La questione kurda tornò a essere prioritaria con il presidente francese François Mitterrand. In piena guerra fredda la moglie Danielle divenne la “madre dei kurdi” [del clan dei Barzani].
Il 14 e 15 ottobre 1989 Danielle Mitterrand organizzò a Parigi un congresso dal titolo «I kurdi: l’identità culturale, il rispetto dei diritti dell’uomo». La moglie di Mitterrand svolse anche un ruolo di primo piano nella falsa imputazione alla crudeltà del presidente Saddam Hussein della morte dei kurdi del villaggio di Halabja durante la guerra fra Iraq e Iran; rapporti dell’US Army hanno invece stabilito che, nel corso di una terribile battaglia, gas iraniani sono stati trasportati dal vento [1].
Nel 1992 Danielle Mitterrand prese altresì parte alla creazione di un governo fantoccio kurdo, nella zona irachena occupata dagli anglosassoni.
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Il 31 ottobre 2014, sotto il portico dell’Eliseo, mentre il presidente francese François Hollande riaccompagna il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Un altro ospite è appena uscito dalla porta di servizio, il kurdo filo-turco Salih Muslim.
Nel 2011, durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, Alain Juppé stipulò un Protocollo segreto con la Turchia per creare uno pseudo-Kurdistan. La Siria non reagì. Il 31 ottobre 2014 il presidente François Hollande ricevette ufficialmente all’Eliseo il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan e, ufficiosamente, il co-presidente dello YPG, Salih Muslim, per mettere a punto lo smembramento della Siria. I combattenti kurdi cessarono di riconoscersi siriani e iniziarono una lotta per conquistare una patria propria. Immediatamente la Siria smise di versare loro lo stipendio.
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Alla fine della battaglia di Kobané, François Hollande cambia campo e, per rimarcare il proprio sostegno ai kurdi, l’8 febbraio 2015 riceve all’Eliseo una delegazione filo-USA dello YPG.
Dopo alcuni mesi però il presidente Barack Obama richiama la Francia all’ordine: Parigi non può negoziare uno pseudo-Kurdistan per alimentare i vecchi sogni coloniali, può farlo solo il Pentagono, che deve mettere in atto il piano etnico Rumsfeld/Cebrowski.
Hollande si piega e riceve una delegazione kurda di combattenti filo-USA di Aïn al-Arab (Kobané, in lingua kurda). La Turchia invece rifiuta di sottomettersi a Washington. È l’inizio di una lunga divergenza tra i membri dell’Alleanza Atlantica. Ritenendo che il voltafaccia dei francesi violi l’accordo del 31 ottobre 2014, i servizi segreti turchi organizzano insieme a Daesh gli attentati del 13 novembre 2015 contro la Francia e del 22 marzo 2016 contro il Belgio, a sua volta allineatosi a Washington [2]. Il presidente Erdoğan aveva annunciato senza giri di parole gli attentati contro il Belgio e la stampa al suo servizio li rivendicò. Infine, Salih Muslim organizza la coscrizione obbligatoria dei giovani kurdi e costruisce la propria dittatura; Ankara emette un mandato di arresto contro di lui.
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Decreto di kurdizzazione forzata del nord della Siria. Il documento, divulgato dalle vittime assiro-cristiane, dimostra la pulizia etnica compiuta dalle FDS, inquadrate dagli USA.
In ottobre 2015 il Pentagono crea le Forze Democratiche Siriane (FDS), unità di mercenari kurdi, turchi e siriani, nonché di alcuni arabi e cristiani. La pulizia etnica può essere così organizzata senza assumersene pubblicamente la responsabilità. Le FDS espellono le famiglie arabe, nonché quelle cristiano-assire. Combattenti venuti da Iraq e Turchia s’installano nelle case di questa gente e prendono possesso delle loro terre. L’arcivescovo cattolico-siriaco di Hassaké-Nisibi, monsignor Jacques Behnan Hindo, dichiarerà di aver sentito più volte leader kurdi parlare di un piano di estirpazione dei cristiani del “Rojava”. Le forze speciali francesi assistono senza fiatare a siffatti crimini contro l’umanità.
Il 17 marzo 2016 l’autonomia del “Rojava” (pseudo-Kurdistan in Siria) è dichiarata [3]. Temendo l’unione tra il PKK turco e il clan Barzani iracheno, che aprirebbe la strada alla creazione di un Grande Kurdistan, il governo iracheno invia armi al PKK per rovesciare i Barzani. Segue una serie di assassinii di personalità kurde a opera di clan tra loro rivali.
A fine 2016 il ritiro parziale dell’esercito russo e la successiva liberazione di Aleppo da parte dell’Esercito Arabo Siriano determinano il rovesciamento definitivo delle sorti della guerra. Coincidono con l’arrivo alla Casa Bianca, a gennaio 2017, del presidente Donald Trump, il cui programma elettorale prevedeva di mettere fine alla strategia Rumsfeld/Cebrowski, di cessare il sostegno massiccio agli jihadisti, nonché il ritiro dalla Siria della NATO e delle truppe USA.
Dal canto suo la Francia favorisce la partenza per il “Rojava” di giovani combattenti anarchici, convinti di andare in difesa della causa kurda e invece mandati a combattere per l’Alleanza Atlantica [4]. Tornati in Francia, si riveleranno altrettanto incontrollabili dei giovani jihadisti francesi. Secondo la DGSI (intelligence interna) uno di questi combattenti tenterà di abbattere un elicottero della gendarmeria durante l’evacuazione dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes [5].
A giugno 2017 il presidente Trump autorizza un’operazione congiunta dell’Esercito Arabo Siriano (comandato dal presidente Bashar al-Assad) e delle FDS (ovvero dei mercenari kurdi filo-USA) per liberare Raqqa, la capitale di Daesh [6].
La guerra è finita, ma né Francia né Germania vi si rassegnano.
Progressivamente, il controllo dello YPG sfugge agli Stati Uniti, che finiscono per disinteressarsene. L’organizzazione diventa così un giocattolo dei francesi, allo stesso modo dei Fratelli Mussulmani, marionette nelle mani dei britannici.
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Questa mappa è stata pubblicata a gennaio 2019 da Anadolu Agency. In essa sono segnate nove basi francesi, otto delle quali fatte installare dal presidente Emmanuel Macron.
La Turchia fa allora pubblicare dall’agenzia ufficiale Anadolu Agency la mappa delle basi militari francesi in “Rojava”, portate a nove da Emmanuel Macron. In precedenza si conosceva soltanto quella del gruppo cementiere Lafarge. Così facendo, Ankara vuole dimostrare che, contrariamente alle dichiarazioni ufficiali e a differenza degli Stati Uniti, la Francia continua a essere favorevole alla divisione della Siria.
A febbraio 2018 l’ambasciatore della Federazione Russa all’ONU, Vassily Nebenzia, rivela che i kurdi siriani hanno amnistiato 120 leader di Daesh e li hanno assorbiti nello YPG.
Da settembre 2018 il presidente Trump prepara il ritiro delle truppe USA da tutta la Siria [7]. L’abbandono del “Rojava” è condizionato all’interruzione della strada iraniana che potrebbe attraversare il territorio per raggiungere il Libano. In agosto il presidente Erdoğan s’impegnerà a provvedervi. I GI’s sovrintendono alla distruzione delle strutture difensive dei kurdi. Il 16 settembre Russia, Turchia e Iran raggiungono un accordo. Da questa data la fine dello pseudo-Kurdistan diventa imminente. Non comprendendo quanto sta accadendo, la Francia è sbalordita quando le truppe turche invadono brutalmente lo pseudo-Stato autonomo e di fronte alla popolazione che fugge dal territorio illegalmente occupato.
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Innamorato della propria immagine e totalmente disconnesso dalla realtà, Jean-Yves le Drian garantisce dal palcoscenico televisivo di France2 che la Francia persegue i propri obiettivi in Siria senza correre rischi.
Invitato dal telegiornale di France2, il 10 settembre il ministro degli Esteri Jean-Yves le Drian cerca di rassicurare i francesi sulle conseguenze del fiasco. Assicura che la Francia ha il controllo della situazione: gli jihadisti detenuti in “Rojava” non saranno liberati ma giudicati sul posto, benché in questo pseudo-Stato non ci siano istituzioni. Prosegue affermando che il presidente Erdoğan minaccia a vuoto la Francia. Si rifiuta infine di rispondere a una domanda sulla missione che sul posto può svolgere l’esercito francese, in piena disfatta.
Non si conosce quale sarà la sorte degli jihadisti prigionieri e delle popolazioni civili che hanno sottratto questa terra ai legittimi proprietari; non si hanno altresì notizie dei soldati delle nove basi militari francesi, presi tra due fuochi: da un lato l’esercito turco, tradito dal presidente Hollande, dall’altro lo YPG, che il presidente Macron ha abbandonato e i cui membri hanno di nuovo dichiarato fedeltà alla Repubblica Araba Siriana.

martedì 12 novembre 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 12 nov 2019

Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Dall'11 novembre la Turchia espellerà gli jihadisti di Daesh
 

 
Gli Stati Uniti potrebbero conservare l'attuale posizione di primo produttore mondiale di petrolio
 

 
L'illusoria riapertura delle banche libanesi
 
Controversie

 
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lunedì 4 novembre 2019

La genealogia della questione kurda, di Thierry Meyssan

TUTTO QUEL CHE VI NASCONDONO SULL’OPERAZIONE TURCA “FONTE DI PACE” (1/3)

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Decine di migliaia di civili kurdi fuggono davanti all’esercito turco, abbandonando la terra conquistata, di cui speravano fare la loro patria.


Unanime, la comunità internazionale moltiplica le condanne dell’offensiva militare nel Rojava e assiste impotente alla fuga di decine di migliaia di kurdi, inseguiti dall’esercito turco. Tuttavia nessuno interviene, forse ritenendo che, a causa dell’inestricabile situazione creata dalla Francia e dei crimini contro l’umanità commessi da combattenti e civili kurdi, un massacro sia l’unica via che consenta di ristabilire la pace.


utte le guerre implicano un processo di semplificazione: su un campo di battaglia ci sono soltanto due schieramenti, ognuno deve scegliere il proprio. In Medio Oriente, dove esiste un incredibile numero di comunità e ideologie, il processo è particolarmente travagliato: la specificità di ognuno di questi gruppi non ha più modo di esprimersi e tutti sono costretti ad allearsi con qualcun altro, che tuttavia condannano.
Quando una guerra è al termine, tutti cercano di cancellare i crimini commessi volontariamente o involontariamente, nonché, talvolta, di far sparire alleati scomodi, che si è desiderosi di dimenticare. Molti tentano di ricostruirsi un passato per rendere immacolata la propria immagine. A questo stiamo assistendo con l’operazione turca Fonte di pace alla frontiera siriana e con le inaudite reazioni che suscita.
Per capire quanto sta accadendo non basta sapere che tutti stanno mentendo. Bisogna anche scoprire ciò che nascondono e prenderne atto, anche se chi ha sinora riscosso la nostra ammirazione si rivela un bastardo.

Genealogia del Problema

Se si prestasse fede al racconto dei media europei, si potrebbe pensare che i turchi cattivi stanno sterminando i kurdi buoni, che invece i saggi europei tentano di salvare, malgrado gli spregevoli statunitensi. Ebbene, queste potenze non svolgono il ruolo che si attribuisce loro.
Innanzitutto è opportuno ricollocare gli avvenimenti attuali nel contesto della “Guerra contro la Siria”, di cui non sono che una battaglia, nonché in quello del “Rimodellamento del Medio Oriente Allargato”, di cui il conflitto siriano è solo una tappa.
In occasione degli attentai dell’11 settembre 2001, il segretario della Difesa USA, Donald Rumsfeld, e il nuovo direttore della Trasformazione della Forza, ammiraglio Arthur Cebrowski, adeguarono la strategia del Pentagono al capitalismo finanziario. Decisero di dividere il mondo in due zone: l’area della globalizzazione economica e l’area da considerare come semplice riserva di materie prime. Le forze armate USA avrebbero dovuto distruggere le strutture statali di questa seconda regione del mondo, affinché nessuno potesse opporre resistenza alla nuova divisione del lavoro [1]. Si cominciò con il Medio Oriente Allargato.
Nel 2003, dopo la distruzione di Afghanistan e Iraq, doveva essere la volta della Siria (Syrian Accountability Act), ma parecchi imprevisti richiesero il rinvio dell’operazione fino al 2011. Il piano d’attacco fu riorganizzato, tenendo conto dell’esperienza coloniale britannica nella regione. Londra consigliò di non distruggere completamente gli Stati, di ripristinare uno Stato minimale in Iraq e di mantenere in piedi governi fantocci in grado di amministrare la vita quotidiana delle popolazioni. Sull’esempio della Grande Rivolta Araba del 1915 di Lawrence d’Arabia, occorreva organizzare una “Primavera araba” per issare al potere la Confraternita dei Fratelli Mussulmani, al posto di quella dei wahabiti [2]. Si cominciò col rovesciare i regimi filo-occidentali di Tunisia ed Egitto, poi si attaccarono Libia e Siria.
In un primo tempo la Turchia, membro della NATO, si rifiutò di partecipare alla guerra contro la Libia – suo primo cliente – e contro la Siria, con cui aveva creato un mercato comune. Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, ebbe l’idea di prendere due piccioni con una fava. Propose all’omologo turco, Ahmet Davutoğlu, di risolvere insieme la questione kurda, in cambio dell’entrata in guerra della Turchia contro Libia e Siria. I due ministri firmarono un Protocollo segreto in cui si prevedeva la creazione di un Kurdistan, non nei territori kurdi della Turchia, bensì in quelli aramaici e arabi della Siria [3]. La Turchia, che è in ottimi rapporti con il governo regionale del Kurdistan iracheno, mirava alla creazione di un secondo Kurdistan per mettere fine all’indipendentismo kurdo sul proprio territorio. L’interesse della Francia, che nel 1911 aveva reclutato tribù kurde per reprimere i nazionalisti arabi, era creare nella regione un Kurdistan-marionetta, allo stesso modo in cui i britannici riuscirono a creare una colonia ebrea in Palestina. Francesi e turchi ottennero il sostegno degli israeliani, che controllavano già il Kurdistan iracheno tramite il clan Barzani, ufficialmente membro del Mossad.
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In marrone chiaro, il Kurdistan disegnato dalla Commissione King-Crane, convalidato dal presidente USA Woodrow Wilson e adottato nel 1920 dalla Conferenza di Sèvres.
I kurdi sono in origine un popolo nomade (questo è il significato del termine “kurdo”) che si spostava nella valle dell’Eufrate, in Iraq, nella Siria e nella Turchia attuali. Organizzato non in tribù bensì in clan, e noto per il proprio coraggio, diede origine a numerose dinastie – fra cui quella di Saladino il Magnifico – che regnarono nel mondo arabo e persiano, e fornì truppe suppletive a numerosi eserciti. All’inizio del XX secolo, dei kurdi furono reclutati dagli ottomani per massacrare le popolazioni non-mussulmane di Turchia, in particolare gli armeni. Questi kurdi si sedentarizzarono in seguito in Anatolia, gli altri invece rimasero nomadi. Alla fine della prima guerra mondiale, il presidente statunitense Woodrow Wilson, in applicazione del paragrafo 12 dei 14 punti del suo famoso discorso (gli scopi della guerra), immaginò un Kurdistan sulle rovine dell’Impero Ottomano. Per delinearne il territorio, inviò sul posto la Commissione King-Crane; nel frattempo i kurdi proseguivano il massacro degli armeni. Gli esperti individuarono una zona in Anatolia e misero in guardia Wilson sulle conseguenze devastatrici di un espansionismo dei kurdi o di uno spostamento dal territorio loro destinato. L’Impero Ottomano fu rovesciato dall’interno da Mustafa Kemal, che proclamò la Repubblica e rifiutò l’amputazione di territorio prevista dal progetto Wilson. Alla fine, il Kurdistan non vide la luce.
Per un secolo i kurdi tentarono la secessione dalla Turchia. Negli anni Ottanta i marxisti-leninisti del PKK avviarono una vera e propria guerra civile, repressa molto duramente da Ankara. Molti kurdi del PKK si rifugiarono nel nord della Siria, protetti dal presidente Hafez al-Assad. Quando il loro leader, Abdullah Öcalan fu arrestato dagli israeliani e consegnato ai turchi, abbandonarono la lotta armata. Alla fine della guerra fredda, il PKK, non più finanziato dall’Unione Sovietica, fu infiltrato dalla CIA e si trasformò: abbandonò la dottrina marxista e divenne anarchico, rinunciando alla lotta contro l’imperialismo e mettendosi al servizio della NATO. L’Alleanza Atlantica fece ricorso alle azioni terroristiche del PKK per contenere l’impulsività di un suo membro, la Turchia.
Nel 1991 la comunità internazionale fece guerra all’Iraq, che aveva invaso il Kuwait. A conclusione della guerra gli occidentali incoraggiarono le opposizioni sciite e kurde a rivoltarsi contro il regime sunnita del presidente Saddam Hussein. Stati Uniti e Regno Unito consentirono il massacro di 200 mila persone, ma occuparono una zona del Paese che vietarono all’esercito iracheno. Ne cacciarono gli abitanti e vi raggrupparono i kurdi iracheni. Dopo la guerra del 2003 questa zona venne integrata nell’Iraq e diventò il Kurdistan iracheno, raccolto attorno al clan Barzani.
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La mappa di stato-maggiore del piano Rumsfeld/Cebrowski per il «Rimodellamento del Medio Oriente Allargato».
Fonte: “Blood borders – How a better Middle East would look”, Colonel Ralph Peters, Armed Forces Journal, June 2006.
Agli inizi della guerra contro la Siria, il presidente Bashar al-Assad accordò la nazionalità siriana ai rifugiati politici kurdi e ai loro figli. I kurdi si misero immediatamente al servizio di Damasco per difendere il nord del Paese dagli jihadisti stranieri. Ma la NATO risvegliò il PKK turco e lo spedì a mobilitare i kurdi siriani e iracheni in vista della creazione di un Grande Kurdistan, come prevedeva sin dal 2001 il Pentagono, e come aveva messo nero su bianco la mappa di stato-maggiore, divulgata dal colonnello Ralph Peters nel 2005.
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La mappa del «Rimodellamento del Medio Oriente Allargato», modificata dopo lo smacco della prima guerra contro la Siria.
Fonte: “Imagining a Remapped Middle East”, Robin Wright, The New York Times Sunday Review, September 28, 2013.
Questo progetto, imperniato sulla divisione della regione su basi etniche, non collima affatto con quello del presidente Wilson del 1919, finalizzato a riconoscere i diritti del popolo kurdo, né con quello francese, finalizzato a ricompensare i mercenari. Era troppo vasto e difficilmente controllabile. Gli israeliani invece ne erano entusiasti perché vi vedevano uno strumento per contenere la Siria dalle retrovie. Alla fine si dovette prendere atto dell’impossibilità di realizzarlo. L’USIP, un istituto dei “Cinque Occhi” legato al Pentagono, propose di modificarlo: un ridimensionamento del Grande Kurdistan a favore di un allargamento del Sunnistan irakeno [4], da affidare a un’organizzazione jihadista, il futuro Daesh.
I kurdi dello YPG, branca siriana del PKK, tentarono di creare un nuovo Stato, il Rojava, con l’ausilio delle forze statunitensi. Vennero sfruttati dal Pentagono per confinare gli jihadisti nella zona loro assegnata. Non ci fu mai contrasto teologico o ideologico tra YPG e Daesh, solo rivalità per un territorio da spartirsi sulle macerie di Iraq e Siria. Del resto, quando l’Emirato di Daesh crollò, lo YPG aiutò gli jihadisti a ricongiungersi con le forze di Al Qaeda a Idlib, consentendogli di attraversare il loro “Kurdistan”.
Riguardo ai kurdi iracheni del clan Barzani, parteciparono direttamente alla conquista dell’Iraq da parte di Daesh. Secondo il PKK, Masrour “Jomaa” Barzani, figlio del presidente, nonché capo dell’intelligence del governo regionale kurdo iracheno, partecipò il 1° giugno 2014 ad Amman alla riunione segreta della CIA in cui venne pianificata l’operazione [5]. I Barzani non scatenarono mai battaglie contro Daesh. Si contentarono di imporgli il rispetto del proprio territorio e di inviarne i combattenti ad affrontare i sunniti. Fecero di peggio: lasciarono che, nella battaglia di Sinijar, Daesh riducesse in schiavitù dei kurdi non-mussulmani, gli yezidi. Quelli che si salvarono lo furono grazie ai combattenti del PKK turco e dello YPG siriano, inviati sul posto.
Il 27 novembre 2017, con il sostegno di Israele, i Barzani organizzarono nel Kurdistan iracheno un referendum di autodeterminazione, che perdettero nonostante gli evidenti brogli. La sera dello scrutinio, il mondo arabo scoprì con stupore a Erbil una marea di bandiere israeliane. Secondo la rivista Israel-Kurd, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si era impegnato, in caso di vittoria, a trasferire 200 mila kurdi israeliani per proteggere il nuovo Stato.
Per avere diritto all’autodeterminazione un popolo deve innanzitutto essere unito. Così non è mai stato nel caso dei kurdi. Deve inoltre abitare un territorio ove è maggioranza, cosa che vale per l’Anatolia, ma solo a cominciare dal genocidio degli armeni; per il nord dell’Iraq, ma solo dopo la pulizia etnica della zona di divieto di volo durante il dopo-Tempesta del deserto; infine per il nord-est della Siria, ma solo dopo l’espulsione degli assiri cristiani e degli arabi. Riconoscere oggi ai kurdi questo diritto equivarrebbe a legittimare i loro crimini contro l’umanità.
(segue…)

giovedì 31 ottobre 2019

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 30 ott 2019


Rete Voltaire
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