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lunedì 23 settembre 2019

Epstein: la pedofilia non è una debolezza ma un crimine contro l’umanità

Pedogate: i pedofili commettono crimini contro l’umanità e, spesso, hanno in mano i destini dell’umanità
È morto Jeffrey Epstein, definito come un “American financier and convicted sexual abuse”.
Si legge che era un pedofilo e che apparteneva alla élite finanziaria del mondo. La casa in cui è stato arrestato era di oltre 2000 mq.
Uomo d’affari di giorno, criminale seriale e pedofilo nel tempo libero: Epstein viene descritto così, come se fosse una descrizione normale di una persona, avvocato e professore in alcuni casi, pedofilo e finanziere nel suo caso.
In realtà, sarebbe più appropriato parlare di un pedofilo, criminale seriale, che ha creato un business intorno al traffico di minori ed alla schiavitù sessuale.
La storia va letta dando il vero nome alle cose.
La pedofilia non è una debolezza umana, su cui si può sorvolare. Essa è da considerarsi un crimine contro l’umanità, che distrugge per sempre la vita del minore abusato e quella della sua famiglia, contestualmente minando le fondamenta della società civile, in quanto il patto segreto di omertà che si crea tra i sodali della rete di pedofili, per il fatto di aver compartecipato a festini o essersi scambiati foto pedopornografiche (o, peggio ancora, aver assistito alla morte di un minore abusato, che spesso si conclude con il traffico d’organi) è il più forte humus nel quale nascono altri reati, prima tra tutti la Corruzione.
Questi criminali hanno più vite. Nella vita visibile sono Premier, Presidenti di Regioni, Attori, Uomini d’affari, padri di famiglia. In quella nascosta finanziano e partecipano ad incontri, orge e festini, a viaggi organizzati ad hoc in Paesi poveri, dove i bambini vengono venduti e di cui possono abusare senza pietà.
Spesso i minori abusati muoiono per le violenze subite.
Il mercato di rifornimento dei bambini si approvvigiona in vari modi; all’estero con i viaggi a scopo sessuale.
Alcuni bambini vengono letteralmente venduti, vengono abusati, e di alcuni si perdono le tracce, in quanto si tratta di minori immigrati irregolari – quindi invisibili – o talmente poveri da non essere noti neanche all’anagrafe di Paesi altrettanto poveri; in altri casi, sono minori con disagio sociale o poveri di valori e di futuro, che inizialmente si offrono, con il fine di ottenere denaro per sé stessi e per la propria famiglia, ma poi diventano schiavi di un Sistema più grande di ognuno di noi e soprattutto di loro;
In Italia: già nel 2008 a Roma si contavano oltre 200 bambini di etnia Rom dei quali si erano perse le tracce. Non vogliamo ipotizzare quale sia la cifra raggiunta ad oggi;
L’inchiesta “Angeli e Demoni”, che ha squarciato il velo sui “Rapimenti di Stato” e su un Sistema di abusi sui bambini.
“IL MALE”, DUNQUE, ESISTE. ED E’ VICINO A NOI PIU’ DI QUANTO SI POTEVA IMMAGINARE.
Minori, sempre e comunque, troppo vulnerabili ed immaturi per poter esprimere un consenso consapevole e, quindi, sicuramente molestati ed abusati o ammaliati dal potere che i ricchi magnati o politici senza scrupoli emanano ed esercitano.
Epstein è morto ed ha portato nella sua tomba tanti segreti, nomi importanti e giri di affari internazionali costruiti su attività illecite: festini in isole deserte, spesso in Estremo Oriente o in lussuose quanto segrete dimore, pedopornografia e tanto altro.
Ma anche business come gestione di immobili o di attività commerciali, dove il denaro illecito viene “ripulito” attraverso la “naturale” rete di omertà e complicità che si crea tra ricchi amici, corrotti nell’animo e corrotti per qualunque altra attività illecita.
Subito dopo la morte di Epstein, il Presidente USA ha avallato la tesi dell’omicidio ed il Direttore del Carcere nonché due guardie sono stati rimossi dal loro ruolo. Le indagini sono in corso e tutti noi vorremmo conoscere la verità.
È facile immaginare che molti tra i personaggi che compongono questa immonda rete gestiscano un pezzo della politica del loro Paese o abbiano in mano alcune leve della finanza o siano, forse ancora peggio, degli “esempi” per i loro cittadini a causa della “faccia visibile” della loro vita.
Cosa penserebbero i cittadini o i sudditi o, semplicemente, gli spettatori di un film o i lavoratori se sapessero che i loro destini ed il loro pensiero o addirittura la loro realtà imprenditoriale è gestita, coordinata o finanziata da un pedofilo ?
Inoltre, un pedofilo (ovvero un criminale seriale) può avere a cuore le sorti del suo prossimo ? O è, invece, un persona talmente spregevole da essere disposta a tutto pur di salvare la sua immagine e mantenere il suo potere ?
La pedofilia è un’emergenza da affrontare in tutti gli Stati, per la rete ed il Sistema corruttivo trasversale che si crea tra i pedofili, al di là del credo politico di facciata.
Più la rete di pedofili è estesa e potente, più si crea un tacito accordo tra i suoi componenti per occultare, mentire, corrompere, perseguitare chi scopre qualcosa, chi denuncia, chi cerca di scappare ma anche chi sta indagando.
Chiunque attenta a tali segreti o infrange l’omertà è in pericolo di vita.
Non è difficile pensare che queste persone siano anche disposte ad uccidere, posto che “di norma” violentano bambini.
Da qui la necessità di scoprire le reti internazionali, formare il personale inquirente e tutti gli operatori o i professionisti che si occupano di bambini.
E’ inoltre fondamentale ascoltare i minori che hanno denunciato e proteggerli da eventuali ritorsioni.

Maria Pia Capozza

martedì 17 settembre 2019

Menti raffinatissime: i poteri a cui Grillo ora svende l’Italia

Beppe Grillo “Fare la storia, cambiare l’Italia: occasione irripetibile”. Ogni volta che parte la supercazzola di Beppe Grillo, ci siamo: sta per succedere qualcosa di orrendo. Il segnale: basta che il padrone del Movimento 5 Stelle si metta a parlare come un rivoluzionario dei cartoni animati. Caricatura di se stesso solo in apparenza, l’infido Grillo: è il servitore decisivo del potere europeo, l’unico capace di ripristinare la totale sottomissione del Belpaese. Dopo l’ambigua e velleitaria sbornia gialloverde, che aveva illuso la Lega (e gli italiani) che le regole potessero davvero cambiare, è intervenuto l’uomo del Britannia: è stato l’ex comico a dare il via libera alla “soluzione finale”. Senza il suo intervento padronale, i valletti grillini – pur traumatizzati dall’incubo delle elezioni anticipate – non ce l’avrebbero fatta, a calare le brache fino al punto di arrendersi all’odiato Matteo Renzi, decretando in questo modo la morte politica del Movimento 5 Stelle. L’indecorosa trattativa è stata affidata a manovali recalcitranti come Di Maio e Zingaretti, che hanno finto di prendere sul serio l’imbarazzante prestanome Giuseppe Conte. Ma è evidente che a decidere è stato il Giglio Magico, che ha colto al volo l’assist – decisivo – del Mago di Genova.
Avverte il massone progressista Gianfranco Carpeoro: a Renzi, che da premier aveva bussato inutilmente alle superlogge reazionarie, è stata fatta balenare la possibilità – dopo la strana passerella del Bilderberg (unico politico italiano invitato, nel 2019) – di ottenere finalmente l’agognato accesso al santuario esclusivo della supermassomeria oligarchica. Compitino da svolgere, per superare la prova: evitare in ogni modo le elezioni anticipate, anche osando l’impensabile – le nozze coi vituperati, abominevoli grillini – pur di mettere fuori gioco Salvini. Missione compiuta, ma solo grazie al domatore genovese dei sub-parlamentari penstastellati. Dopo la lunga stagione della finta palingenesi (“uno vale uno”) e il precario intermezzo gialloverde, ora le acque sono ridiventate cristalline: l’Italia è chiaramente sotto padrone, e la mano del reggente è tornata in piena luce. Certo, il coro gracidante del mainstream si eserciterà puntualmente nel valutare solo l’effimero: l’acconciatura stagionale dei servi sciocchi dell’operazione, gli euro-camerieri del Pd, e magari i mielosi cinguettii del finto innamoramento con gli ex pseudo-rivoluzionari grillini, nullità politiche assolute e disperatamente avvinghiate alla poltrona. E così, ancora una volta, si eviterà la narrazione scomoda, veritiera, della tragicommedia in corso.
Matteo Renzi – il vero titolare del povero Zingaretti – è stato avvistato dalle parti della superloggia Maat, a suo tempo creata dallo stratega americano Zbigniew Brzesinski per dare al suo ultimo progetto (lo specchietto per allodole chiamato Barack Obama) un profilo di “pontiere” supermassonico tra “l’impero del male” (i Bush) e la massoneria democratica. Premessa: se non si entra nei territori elusivi delle Ur-Lodges, da cui peraltro non è possibile riportare “selfie”, non si riesce a leggere la trama del film: si assiste al semplice spettacolo delle comparse, senza scorgere né i mandanti né il loro movente. Letta solo dal basso, la politichetta nazionale si riduce a una questione di simpatie e antipatie personali, al massimo di presunte incompatibilità politiche – ridicolo, specie in questa Italia dove Zingaretti e Renzi, Grillo e Di Maio sono riusciti a dire tutto e il contrario di tutto praticamente ogni giorno, ribaltando alleanze e linea politica. Più facile che bersi un mojito sulla spiaggia romagnola del Papeete. Unica clausola: del “terzo livello” è bene che non si parli mai, così come per la mafia, altrimenti i Brzezinski e Obamagestori del sistema si irritano. E se esce un saggio come “Massoni”, di Gioele Magaldi, meglio ignorarlo, anche se diventa un bestseller: la scoperta del “chi è chi, ma per davvero” è qualcosa di troppo indigesto per la stampa, troppo rischioso.
Fu Brzezisnki, consigliere per la sicurezza nazionale sotto Jimmy Carter, a reclutare in Afghanistan il saudita Osama Bin Laden, come pedina contro l’Urss. Socio dei petrolieri Bush, il futuro capo di Al-Qaeda lasciò poi la superloggia “Three Eyes” per approdare alla “Hathor Pentalpha”, vero e proprio avamposto dei neocon, sospettata di aver progettato l’attentato dell’11 Settembre per accelerare, a mano armata, la globalizzazione solo mercantile e finanziaria del pianeta. Sempre Magaldi rivela che lo stesso Abu-Bakr Al-Baghadi, “califfo” del sedicente Stato Islamico, milita nella “Hathor”, che ha annoverato tra le sue fila, oltre al clan Bush, politici come Blair, Sarkozy, Erdogan. Tradotto: terrorismo e guerra. Afghanistan e Iraq, Libia e Siria, attentati in Europa firmati Isis ma propiziati da servizi segreti “distratti”. Tranne che in un paese: l’Italia. «Avevamo il miglior dispositivo antiterrorismo del mondo», ha ripetuto Carpeoro, sodale di Magaldi. Messaggio: agenti leali, fedeli alle istituzioni e decisi a dimostrare ai “professionisti del terrore” che non tutta l’Europa era caduta nelle loro mani, visto che almeno nel Belpaese l’intelligence avrebbe compiuto il suo dovere, sventando decine di attentati (anche se la notizia non è mai apparsa sui media). Unico indizio: lo stragista di Berlino – Anis Amri, mercatino di Natale 2016 – freddato a Milano dalla polizia.
Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Carpeoro svela i retroscena anche simbologici (templari, non islamici) degli attentati in Europa. E spiega: i settori eversivi della supermassoneria sovranazionale reazionaria – epicentro, la Francia – volevano essenzialmente spaventare il presidente socialista François Hollande, eletto nel 2012 grazie alla promessa di opporsi all’austerity europea promossa dal sistema di potere che usa la Germania come “ariete” del rigore da imporre agli altri paesi. Per inciso: Hollande era in quota alla superloggia progressista “Fraternitè Verte”, riferisce Magaldi, mentre la Merkel è saldamente arruolata nella “Golden Eurasia”, officina dell’oligarchia mercantilista e post-democratica. Nel 2012, quando Hollande si apprestava a “cambiare verso” alla politica francese provando ad allentare la stretta del rigore di bilancio, Beppe Grillo – a colpi di Vaffa – stava per lanciare la volata decisiva al Movimento 5 Stelle, che l’anno seguente sarebbe diventato il primo partito italiano, il più votato alla Camera. Il seguito è cronaca: la resa di Hollande al ricatto del terrore (Charlie Hebdo,CarpeoroBataclan) e l’obbedienza italiana alla legge del Rigor Montis, tramite grigi esecutori (Letta, Gentiloni) con in mezzo il menestrello Renzi, rivoluzionario solo a chiacchiere – proprio come il suo attuale socio, Beppe Grillo.
Dal cilindro delle “menti raffinatissime” che hanno dominato il backstage europeo in questi anni, nel 2017 è uscito Emmanuel Macron. La strage di Nizza – 14 luglio – ha siglato nel sangue il suo esordio di finto “avvocato del popolo”: sangue sull’anniversario della Presa della Bastiglia, emblema di libertà per i massoni progressisti. L’anno seguente, la rabbia dei francesi (imbrogliati, traditi) sarebbe esplosa nelle strade invase dai Gilet Gialli, ma senza riuscire a trasformarsi in proposta votabile. Colpa anche del sistema politico transalpino, bloccato dall’ineleggibile Marine Le Pen che domina l’opposizione, congelandola. In ogni caso il massone Macron, già banchiere Rothschild (prescelto da Papa Francesco come grande amico del Vaticano) si è distinto nella guerra contro l’Italia gialloverde, e in particolare contro Salvini. Un’Italia strana, ibrida, bifronte. Con un’ulteriore stranezza: la delega ai servizi segreti rimasta a Palazzo Chigi anziché al Viminale, com’era sempre stato, fino ai tempi dell’ottimo Minniti. «Non cambiate i vertici dei servizi», si era raccomandato Carpeoro. Poi invece il governo Conte ha licenziato quelli che erano stati gli impeccabili tutori della sicurezza italiana. «In realtà – accusa Carpeoro – a ordinare il cambio della guardia è stato direttamente il massone reazionario Jacques Attali, mentore di Macron». Un caso, se poi a Mosca viene intercettato il colloquio tra il leghista Savoini e alcuni emissari di seconda fila del potere russo?
La barzelletta che oggi va per la maggiore è che Matteo Salvini sia impazzito, sulla spiaggia di Milano Marittima. “Il cinghialone leghista, drogato dal boom delle europee”. Affermazioni deliranti: eppure sono i giornalisti nostrani a biascicarle, pur di non dire la verità. Che è tragicamente semplice: gli amici italiani di Macron hanno sabotato l’unico politico di cui avevano paura. L’unico, con tutti i suoi limiti, che aveva messo in allarme il sistema del dominio europeo che vuole un’Italia succube e depredabile, grazie alla cortese collaborazione dell’establishment tricolore. Tutto si era messo nel peggiore dei modi fin dall’inizio, con la bocciatura di Paolo Savona: l’ex ministro di Ciampi, voluto da Salvini, avrebbe avuto la statura per rinegoziare condizioni onorevoli per l’Italia, provando a risollevare l’economia nazionale liberandola dai vincoli più soffocanti. L’oligarca tedesco Günther Oettinger, massone reazionario, si è affrettato ad avvertici che sarebbero stati “i mercati” a Paolo Savonainsegnarci come votare. A ruota, Sergio Mattarella – nel bocciare Savona – ha ripetuto (ufficialmente, da presidente della Repubblica) che sono proprio “i mercati” a decidere chi governa, e non i cittadini: comanda lo spread, non gli elettori.
La Lega ha abbozzato; perso Savona, sperava comunque di introdurre elementi progressisti nell’economia nostrana, grazie anche agli economisti keynesiani (Bagnai, Rinaldi) ingaggiati da Salvini: i soli a introdurre una narrazione “di sinistra” nel cimitero politico italiano. Solo in casa leghista, infatti, è risuonato un paradigma alternativo al rigore mortale del “ce lo chiede l’Europa”, santificato da Monti e Letta, Renzi e Gentiloni, fino all’ultima comparsa del teatrino italico, il professor-avvocato Giuseppe Conte. Nei momenti decisivi, il finto amico del popolo Beppe Grillo non ha mai mancato di far sapere da che parte stesse: nel 2016 tentò di traghettare il gruppo europarlamentare del Movimento 5 Stelle tra gli ultras dell’Eurozona, nell’Alde. Ma Grillo un tempo non agitava lo spettro del referendum sull’euro? Appunto: è la sua tecnica. Dietro al Vaffa, il piano nascosto: il vero obiettivo. L’orrendo Salvini? E’ stato cucinato a fuoco lento: assediato dalle inchieste sullo stop ai migranti, minacciato dai gossip sulla Russia, boicottato sulla riforma strategica della de-tassazione. Colpo di grazia: il voto dei grillini per Ursula von der Leyen. Ha staccato la spina, quando ha capito che non sarebbe arrivato vivo a fine anno: era questo, il progetto messo a punto dai vari Grillo e Macron, Attali e Renzi.
Il loro ometto del momento? Conte, fattosi improvvisamente imperioso, nei toni. Mancava solo il Pd, ma a reclutarlo è bastato poco. E ancor meno fatica è costato il tradimento suicida dei 5 Stelle, con l’inevitabile esilio del peso-piuma Di Maio. Se il peggior potere europeo deve ringraziare qualcuno, per il favoloso Conte-bis, può certo applaudire le anime morte del Pd e il loro condottiero Matteo Renzi, che ora potrà sperare di essere finalmente accolto a bordo, al pari di personaggi come Massimo D’Alema e Giorgio Napolitano, fino a Pier Carlo Padoan. Ma senza il vero protagonista dell’inciucio – il Mago di Genova, l’uomo del Vaffa e del Britannia – i vari Macron, Merkel, Attali e Oettinger non avrebbero avuto di che brindare. Un conto è convincere il “partito della Boschi” a turarsi il naso, sopportando gli ex rivoluzionari all’amatriciana. Ben altra impresa, invece, Grillo e Renziè indurre gli sventurati grillini a tradire la loro storia, cioè gli ideali di trasparenza sbandierati per dieci anni, fino a naufragare tra le spire di quello che fino a ieri insultavano come “il partito di Bibbiano”.
C’è riuscito, eccome, il mago Beppe, anche se orfano del massone Gianroberto Casaleggio, a sua volta compagno di avventura – agli albori – del prestigioso Enrico Sassoon, eminente pensatore e uomo di primissimo piano dell’élite supermassonica internazionale. E’ capace di tutto, del resto, Giuseppe Piero Grillo detto Beppe: prima di attraversare a nuoto lo Stretto di Messina, nel 2013, era riuscito a incantare persino gli irriducibili NoTav. Retropensiero: quei fessi. Come tutti gli altri italiani, del resto. Abbindolati in modo spettacolare da un ex comico, e ora venduti alla banda Macron: cioè al cuore nero della peggior destra economica, tecnocratica e supermassonica, quella che – usando l’ex sinistra, in tutta Europa – confisca la democrazia per meglio rapinare i cittadini. Grazie a Grillo, se non altro, ora è tutto più chiaro. Caduto anche l’ultimo velo, l’Elevato è in vena di regali: riesce finalmente a riconsegnare l’Italia agli stranieri, ma in compenso apre gli occhi agli italiani. Compresi quelli che un anno fa credettero di votare per il mitico, fenomenale “cambiamento”.
(Nel libro “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014, Gioele Magaldi dichiara che sue affermazioni sono comprovate da documenti d’archivio. Si tratta di 6.000 pagine di dossier riservati, che l’autore è disposto a esibire in caso di contestazioni. Nessuno dei soggetti citati si è però azzardato a contraddire l’autore).

domenica 15 settembre 2019

11 SETTEMBRE / BUSH & CIA, LA LUNGA SCIA DI COLLUSIONI E DEPISTAGGI


Sono trascorsi 18 anni dalla tragedia delle Torri Gemelle che ha causato oltre 3 mila vittime e i cittadini americani stanno aprendo gli occhi sulle responsabilità di quell’11 settembre. Nonostante l’establishment a stelle strisce abbia fatto di tutto e cerchi ancora adesso di fare di tutto per nascondere le tremende verità.
Secondo un ultimo rilevamento, quasi il 60 per cento degli statunitensi pensa che il governo Usa insabbi quelle responsabilità.

George Bush
All’interno di questa larga, predominante fetta, c’è una parte dell’opinione pubblica che sostiene apertamente la pista della cospirazione interna: cioè che si sia trattato di un “lavoro interno” (“an inside job”) dell’allora amministrazione Bush (senior); non pochi poi addebitano colpe agli israeliani, soprattutto tra coloro che parlano di esplosivi all’interno delle Torri Gemelle.
Dal congresso degli Stati Uniti (sotto la presidenza Obama) è stato elaborato un ponderoso documento, dal quale emergono responsabilità riconducibili all’Arabia Saudita, che avrebbe coperto le frange estremistiche del terrore islamista. Ma niente di più. Dopo tanto lavoro, partorito un topolino. Tanto più per il fatto che dagli Usa non sono mai state intraprese azioni politiche o legali nei confronti di quel Paese, peraltro considerato un alleato strategico nel sempre bollente scacchiere mediorientale.

FAMIGLIE AMERICANE CONTRO SAUDITI
Due anni fa è partita un’azione legale (a fini risarcitori) intentata dai familiari delle vittime dell’11 settembre, proprio contro il governo saudita, accusato, appunto, di collusioni con i terroristi. Sostiene Andrew Maloney, il legale delle famiglie: “I sauditi hanno coperto. Sapevano che quel mattino erano arrivati a Los Angeles degli uomini di Al Qaeda. Così come lo sapeva bene la CIA”.
Eccoci al nodo, la Cia. Di cui si parla diffusamente nelle 6 mila e 800 pagine di carte e documenti presentati davanti alla Corte dall’avvocato Maloney. Il quale ha chiamato a testimoniare, tra gli altri, Fahad al-Thumairy, importante ufficiale saudita a Los Angeles e all’epoca imam alla moschea di Culver City, in California, frequentata da alcuni componenti del commando. Nel 2003 Thumairy è stato fermato all’aeroporto di Los Angeles (proveniente dalla Germania) e rimpatriato in Arabia Saudita perchè “sospettato di legami con i terroristi”. Ma oggi lavora ancora per il governo di Riyad. “Potete crederlo, questo?”, si è chiesto Maloney in aula.

Fahad al-Thumairy
Il legale sta cercando di ottenere dall’FBI – per via giudiziaria – tutti i contatti intercorsi con la Cia nei mesi precedenti e susseguenti all’attacco delle Torri Gemelle. Per dimostrare come la Cia fosse perfettamente a conoscenza dei piani di strage, non abbia fatto nulla per contrastarli e abbia molto limitato la condivisione delle informazioni con lo stesso Fbi.
Una guerra tutta interna agli Stati Uniti, dunque, con una Cia in campo – in combutta coi vertici governativi dell’epoca – per colludere, fiancheggiare, coprire e depistare, e un Fbi nei panni degli sprovveduti, tanto che nelle testimonianze di non pochi agenti dell’Fbi – anche apicali – fanno sempre capolino espressioni del tipo “ci hanno fregati”, “non ci hanno comunicato”, “ci hanno nascosto” e via di questo passo. Alice nel paese delle meraviglie, il potente e super attrezzato Federal Bureau ofInvestigation?

TUTTA CIA, DEPISTAGGIO PER DEPISTAGGIO
Sembrerebbe proprio di sì, stando a quanto raccolto dagli autori di un libro-inchiesta, “The Watchdogs didn’t Barc: The CIA, NSA, and the Crimes of the War on Terror”.
A firmarlo John Duffy, uno scrittore e attivista di sinistra, e Ray Novosielsky, un regista, i quali tra l’altro dieci anni fa, nel 2009, intervistarono un consulente della Casa Bianca (sotto le presidenze Bush senior e Clinton) per l’antiterrorismo, Richard Clark. In quella occasione Clark lanciò delle pesantissime accuse contro i vertici della Cia e del suo numero uno, George Tenet,a proposito della rocambolesca e mai chiarita cattura di Osama bin Laden: hanno nascosto tutte le informazioni – è il tono del j’accuse – così come hanno celato le notizie sull’arrivo negli Usa dei futuri terroristi Khalid al-Mihdhar eNawaf al-Hazmi.

Osama bin Laden
Davanti al Congresso Usa, nel 2002 Tenet aveva respinto i primi addebiti, sostenendo di non essere a conoscenza di eventuali pericoli prima dell’11 settembre. Clamorosamente smentito, tra l’altro, da una serie di cablogrammi che contenevano informazioni sugli spostamenti di quei terroristi.
Circa 50-60 ufficiali della Cia, oltre ovviamente al capo Tenet, erano a conscenza di quei fatti, è il senso dell’accusa di Clark, il quale parla senza peli sulla lingua di “agenti doppi”.

I due autori raccolgono svariate testimonianze, lungo il percorso di quella che definiscono la “cospirazione del silenzio”.
Uno dei principali agenti Fbi dell’antiterrorismo, Ali Soufan,esclama: “E’ orribile. Ancora non sappiamo cosa è successo, hanno nascosto tutto. L’11 settembre ha cambiato la storia. Ciò ha portato alle invasioni dell’Afghanistan e dell’Iran, l’estrema instabilità del Medio Oriente, la crescista dell’islamismo militante ma ha anche condotto gli Stati Uniti ad un regime quasi poliziesco”. Parole bollenti.
“Sono triste e depresso per queste cose”, osserva Mark Rossini,uno dei due agenti Fbi di maggior grado posti al coordinamento dell’operazione che ha portato alla misteriosa cattura di Osama bin Laden.
“Ci volevano chiaramente nascondere delle verità”, sottolineano altri due ufficiali di lunga esperienza all’Fbi, Pat D’Amuro Dale Watson.

Terry Strada
Durissime le affermazioni di Terry Strada, leader del gruppo “9/11 Families & Survivors United for Justice Against Terrorism”. Le sue parole: “E’ molto triste che ci sia ancora tutta questa oscurità su quella tragedia. E’ frustrante, e mi fa molto arrabbiare. E’ uno schiaffo in faccia. Pensano di essere al di sopra di tutto, sopra la legge e di non dover rispondere alle famiglie e al mondo. E’ semplicemente disgustoso”.

IL J’ACCUSE DI FERDINANDO IMPOSIMATO
Quasi dieci anni fa è stato Ferdinando Imposimato, il memorabile magistrato antiterrorismo e antimafia, a firmare un report infuocato sull’11 settembre che tirava pesantemente in ballo i vertici Usa e della Cia.
Imposimato, infatti, venne incaricato dal tribunale dell’Aja per i crimini contro l’umanità di preparare un dettagliato dossier per far luce su molti controversi aspetti. Un lavoro che Ferdinando prese molto a cuore. Consultò montagne di documenti, gli demmo una mano per tradurne alcuni (per anni ha scritto per la Voce), redasse un rapporto ponderoso, circa 150 pagine, che venne presentato a New York.

Ne emergeva un quadro probatorio schiacciante. Prove documentali sui contatti della Cia con una serie di terroristi, alcuni dei quali tranquillamente acquartierati negli Usa senza che nessuno alzasse un dito.
Un nome su tutti, quello di Mohamed Atta, il pilota del primo aereo – l’American Airlines Flight11– che si è schiantato contro le Torri Gemelle.
Nato in Egitto nel 1968, Atta trascorre parecchi anni in Germania e all’inizio del 2001 si trasferisce nel States. A Venice, in Florida, prende il brevetto di pilota. In tutti i mesi precedenti all’attacco, fa la spola tra Europa e Usa, e da uno Stato all’altro all’interno degli stessi Usa. Libero di volare come un fringuello, nonostante il suo nome compaia in chiara evidenza ai terminali della Cia e della stessa Fbi nella black list.

Mohammed Atta
Il vertice della Casa Bianca, in quei mesi del 2001, è tenuto costantemente informato dalla Cia: ossia Bush e i suoi scagnozzi sanno bene di che personaggio si tratta, così come di parecchi altri rampanti terroristi. Ma nessuno compie un… atto, una sola azione per fermarli.
Imposimato fornisce ampi ragguagli; fa nomi, cognomi e indirizzi dei principali personaggi coinvolti; così come di coloro i quali avrebbero dovuto vigilare, controllare e fermare quell’azione terroristica e non lo hanno fatto.
E’ successo qualcosa dopo quel potente atto d’accusa stradocumentato? Niente. Così come dopo altre accuse e inchieste al calor bianco, in Italia una per tutte quella firmata da Giulietto Chiesa sull’autodisastro delle Torri Gemelle.

BUSH & FRIENDS
Del resto, perché mai George W. Bushavrebbe dovuto alzare un dito, amico com’era della famiglia bin Laden?

Bjorn Borg e Loredana Bertè
Perché nell’agenda Bush va rammentata un’altra data da novanta. Quella di una gara di tennis e poi di un super pranzo. Tra le guest star il re della racchetta Bjorn Borg e la sua compagna di allora, Loredana Bertè. A raccontare la story alla Voce fu l’avvocato Carlo Taormina, che allora tutelava gli interessi della coppia Borg-Bertè.

Ma c’era un altro ospite eccellente, a quel meeting: Osama bin Laden. Proprio lui, il Principe del Terrore.

mercoledì 4 settembre 2019

Perché il Movimento 5 Stelle sui vaccini ha fallito. Parola del Corvelva


Riceviamo dal Corvelva, l’associazione veneta che da molti anni si impegna sul fronte dell’uso consapevole dei vaccini. E pubblichiamo.

Perché il Movimento 5 Stelle sui vaccini ha fallito? La risposta è semplice: perché i suoi rappresentanti non hanno esercitato le loro funzioni e inoltre hanno tradito le promesse fatte in campagna elettorale.
Il Movimento 5 Stelle sulla questione vaccini ha tradito le sue promesse ma ha fatto un unico sforzo: inviare un suo emissario alla Conferenza Stampa del 27 giugno 2019.  Il partito della “legalità e della trasparenza” il cui Ministro ha firmato la Relazione finale della Commissione “Uranio Impoverito” non ottempera ai suoi doveri e i suoi rappresentanti, parlamentari della Repubblica italiana, violano l’articolo 361 codice
penale,  ovvero “omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale”. Già, perché due sono le cose: o noi abbiamo mentito, pertanto un qualsiasi Parlamentare ci avrebbe dovuto denunciare per “Procurato allarme presso l’Autorità”, articolo 658 codice penale, oppure abbiamo ottemperato a tutti gli obblighi di legge, per cui abbiamo agito nella legalità. Chi dei due non rispetta la legge?
I fatti: la nostra Associazione nel 2018 ha deciso di commissionare a due laboratori analisi qualitative di alcuni vaccini, a proprie spese. Dobbiamo ripetere che abbiamo solo fatto ciò che lo Stato, mediante la sua Commissione Parlamentare di Inchiesta “Uranio Impoverito”, non ha fatto?
Dobbiamo ricordare che la medesima Commissione aveva le analisi dei vaccini tra gli scopi costitutivi? Dobbiamo ricordare che la relazione finale di febbraio 2018 è stata firmata dall’allora deputata Giulia Grillo?


Giulia Grillo
Ricordiamolo, male non fa. Con Delibera del 30 giugno 2015 è stata istituita la Commissione parlamentare di inchiesta che per brevità soprannominiamo “Uranio Impoverito”. All’Articolo. 1, lettera D di questa delibera, possiamo leggere che la Commissione aveva “il compito di indagare… componenti  dei vaccini somministrati al personale militare”. Non solo: la relazione finale pubblicata il 7 febbraio 2018, nelle conclusioni del capitolo “vaccini”, diceva che “il completamento dell’analisi documentale sui dossier di registrazione fin qui svolta (dalla commissione ndr), richiede la verifica sperimentale su vaccini da prelevare a campione… solo in tal modo è possibile controllare la conformità alla scheda tecnica nonché la presenza di componenti non dosati… questo obiettivo, già prefissato dalla legge istitutiva della Commissione non ha trovato attuazione a causa delle limitate risorse economiche a disposizione della Commissione”.
Quindi lo Stato si pone un obiettivo, non lo finanzia e non lo rispetta.
Quando nel 2018 abbiamo ricevuto i primi risultati delle analisi, allarmanti, abbiamo prontamente avvisato tutti gli enti regolatori: EMA, Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute e AIFA, enti che per mesi si sono rimbalzati tra loro il problema.
Oggi alcuni risultati sono stati confermati interlaboratorio e mediante standard di controllo certificato, ovvero, lo spieghiamo per i meno avvezzi alla terminologia, abbiamo commissionato l’acquisto di alcuni composti per vaccino tra quelli rilevati per poterli confrontare e identificare. Di più non potevamo permetterci, non essendo noi ente di ricerca e finanziando questi lavori con le sole entrate in donazioni e quote associative.
In questo modo abbiamo identificato alcuni composti che evidenziano palesi non conformità in base alle normative nazionali ed europee, ma il fatto che solo questi siano stati acquistati e confrontati per identificarli non significa che tutti gli altri segnali emersi durante le analisi siano inesistenti. Esistono e ci sono, ma per confermare la loro precisa identità si necessita di altri studi che onestamente non competono al cittadino
né per logica né per legge.
Vogliamo qui ricordare che viviamo in Italia, quel meraviglioso Paese fatto anche di leggi e norme, tra cui il programma di controllo annuale della composizione dei medicinali commercializzati, ai sensi dell’art. 53, comma 15 del D.Lgs. 219/2006, dove si prevede l’obbligo di garantire che i farmaci in commercio corrispondano esattamente alle specifiche di qualità delle procedure autorizzative, concetto ribadito dal “Piano di Attività per l’anno 2018 – AIFA”,  dal “Piano di Attività per l’anno 2019  – AIFA” e il “Piano delle Performance 2019-2020 – AIFA”  per il contrasto al crimine farmaceutico. Basti pensare che l’articolo 445 del codice penale, “Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica” e l’articolo 443  del codice penale, “Commercio o somministrazione di medicinali guasti”, prevedono pene fino a 10 anni di carcere.
Il cittadino ha la possibilità, e per noi il dovere, di segnalare possibili difetti di produzione e difformità nella composizione di qualsiasi medicinale e l’ente preposto alla gestione di queste segnalazioni è proprio l’AIFA che, mediante il sistema di Rapid Alert, che recepisce disposizioni europee, si è data l’obiettivo di rispondere alle segnalazioni entro ventiquattro ore e di gestirle al 100%.
Ovvero, dovrebbero rispondere ad ogni segnalazione entro ventiquattro ore dalla ricezione.
Ventiquattro ore… ed è passato un anno.
Corvelva non ha mai detto di avere ragione, abbiamo informato e chiesto aiuto alle istituzioni che si sono mostrate sorde e questo avrà un costo politico certo, e lo avrà a maggior ragione nei confronti dei partiti che hanno costruito la propria propaganda elettorale sulla libertà di scelta e contro l’obbligo introdotto dalla legge Lorenzin e del partito che si ergeva a paladino della democrazia diretta e che, non solo è rimasto sordo, ma ha attaccato pubblicamente tramite un suo rappresentante un’associazione di privati cittadini, con accuse infondate e pretestuose in un contesto dai toni pacati e rispettosi, qual era la conferenza stampa tenutasi alla Camera dei Deputati.
Le nostre domande restano tuttora inevase:
AIFA ha mai eseguito analisi sul prodotto finito?
Se sì, dove sono le analisi di AIFA o dell’Istituto Superiore di Sanità?
Quante altre segnalazioni dei cittadini sono pervenute ad AIFA o altro organo, e sono rimaste inevase?
Concludiamo dicendo che sono stati ritirati dal commercio 62 farmaci nel 2016, 54 nel 2017 e 40 nel 2018,  per un totale di oltre 150 farmaci ritirati dal commercio nell’ultimo triennio, e nella quasi totalità dei casi il ritiro è avvenuto su segnalazione spontanea del produttore stesso.
Ricordiamo che tutti questi farmaci avevano superato i requisiti degli standard internazionali ed erano pertanto «certificati e conformi alle procedure e ai requisiti condivisi a livello europeo e internazionale sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili». Eppure, non erano sicuri, e sono stati ritirati dal commercio.

mercoledì 28 agosto 2019

GIALLI / BORSELLINO, ROSSI, PANTANI: E’ DEPISTAGGIO CONTINUO

L’eterno giallo sulla strage di via D’Amelio. La vergogna di una verità non raggiunta, di una giustizia che non arriva. E lo scandalo di un maxi depistaggio di Stato, orchestrato proprio da chi avrebbe dovuto operare per mandare in galera killer e mandanti: ed invece ha coperto, occultato, sviato.
La più colossale menzogna costruita calpestando la memoria del giudice coraggio Paolo Borsellino, il simbolo, con Giovanni Falcone, nella vera, autentica lotta alle mafie e ai loro riciclaggi stramiliardari.

Falcone, Borsellino e Antonino Caponnetto. In apertura Paolo Borsellino e, sullo sfondo, il tribunale di Palermo
I cittadini sono ormai stufi di marce, marcette, sbandierate e sceneggiate: vogliono la verità su quei morti, e vedere finalmente sotto processo tutti quelli che fino ad oggi l’hanno fatta franca.
Siamo alla seconda puntata sui Misteri d’Italia, che sono in piedi da decenni, come tanti sepolcri imbiancati. Abbiamo parlato del caso clou, quello che ha visto l’assassinio a Mogadiscio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. E adesso siamo al giallo della strage di via D’Amelio, che guarda caso ha non pochi punti in comune.

QUEL DEPISTAGGIO CHE HA NOMI E COGNOMI
In primo luogo perché, come nel giallo Alpi, siamo in presenza di un clamoroso Depistaggio di Stato. Sul quale fino ad oggi non si sono levate proteste, in mezzo ad un totale, complice silenzio politico e istituzionale. Nessuna forza politica, infatti, è scesa in campo per dire una parola su quel depistaggio, né il governo gialloverde, né l’impalpabile opposizione, né s’è udita una sillaba da parte del presidente mummia Sergio Mattarella. Una vergogna.
Un depistaggio sul quale s’è aperto un processo: alla sbarra tre poliziotti che facevano parte, all’epoca delle prime indagini, del team guidato dall’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera. Un uomo anche dei Servizi segreti, La Barbera, sul quale è stata scaraventata tutta la responsabilità per il depistaggio, vale a dire il taroccamento del pentito Vincenzo Scarantino.
Adesso La Barbera non può difendersi, perché da una quindicina d’anni è passato a miglior vita. Non può quindi più raccontare se ha fatto tutto di testa sua, se ha organizzato la tragica sceneggiata da solo, oppure se ci sono stati interventi dall’alto, ad esempio dei magistrati dai quali funzionalmente e gerarchicamente dipendeva.

Il falso pentito Vincenzo Scarantino
A questo punto sorge spontanea la domanda: riuscirà mai il processo in corso sul depistaggio a chiarire quale effettivo ruolo hanno giocato i magistrati?
Vorranno e potranno raccontare quello che è veramente successo i tre poliziotti ora alla sbarra? Sarà verità oppure omertà? Staremo a vedere.
Il nodo sta tutto nella costruzione a tavolino del pentito Scarantino. Una costruzione emersa mano a mano, attraverso non poche testimonianze. La verbalizzazione sulla strage di Scarantino era servita a far condannare 7 innocenti che hanno scontato la bellezza di 16 anni di galera.
Proprio come è successo per il giovane somalo che ha scontato sempre 16 anni (sembra un macabro rituale) per un omicidio mai commesso, quello di Ilaria e Miran, sulla base della testimonianza taroccata di un altro somalo, alias Gelle.
Nella sua ultima verbalizzazione Scarantino (e così poi ha fatto la moglie) ha descritto per filo e per segno tutta l’operazione-taroccamento. E’ stato minacciato, intimidito, convinto non certo con metodi anglosassoni ad imparare un copione a memoria. Ogni giorno, prima delle udienze processuali, veniva istruito come uno scolaretto, gli veniva fatta ripetere la parte. Gli era stato anche detto che in caso difficoltà avrebbe potuto chiedere di andare in bagno, lì dove avrebbe trovato un poliziotto pronto a ricordagli la parte e imbeccargli le risposte. Ai confini della realtà.

Nino Di Matteo
Tutto questo è ormai storia. Ora occorre arrivare agli autori del testo della sceneggiata. In che misura e con quali ruoli sono coinvolti i tre magistrati che ne hanno “gestito” il pentimento, ossia Anna Maria PalmaCarmine Petralia e Nino Di Matteo?
La figlia di Paolo, Fiammetta Borsellino, ha più volte puntato l’indice nei confronti dei magistrati che fino ad oggi non hanno subito alcuna conseguenza, né civile, né penale. Chiede con la forza e la passione civile che la animano di accertare per ciascuno le precise responsabilità. Potranno saltare fuori dal processo che vede alla sbarra i tre poliziotti?
Da tener presente un elemento non da poco. Uno dei tanti magistrati che hanno seguito le prime piste per far luce sulla strage di via D’Amelio è stata Ilda Boccassini. Toga di gran prestigio, la quale ha potuto valutare l’attendibilità di Scarantino. E prima di passare alla procura di Milano, ha inviato una memoria ai suoi colleghi – evidentemente Palma, Petralia e Di Matteo in prima fila – per metterli in guardia da un pentito del tutto inattendibile e inaffidabile come Scarantino. Ma di tutta evidenza i colleghi non hanno tenuto in alcun conte le sue parole.
Sarà possibile approfondire tale circostanza nel corso dell’odierno processo per il maxi depistaggio?

DAVID ROSSI / GENOVA INDAGA SU SIENA (?)
Passiamo ad altri due gialli senza mai alcuna risposta. Nemmeno parziale. Con il concreto rischio che vadano a finire definitivamente in naftalina. Stiamo parlando dei casi di David Rossi e Marco Pantani. Accumunati, anche stavolta, da non poche, tragiche somiglianze.

David Rossi
Una cortina di silenzio sta sempre più avvolgendo la morte dell’ex responsabile delle comunicazioni per il Monte dei Paschi di Siena, David Rossi, volato giù dal quarto piano della sede centrale in via dei Salimbeni, a Siena.
Un caso che la procura di Siena ha più volte cercato di archiviare, sostenendo la tesi del suicidio. Una tesi che non sta in piedi, manifestamente infondata, per tutta una serie di anomalie che anche uno scolaretto delle elementari sarebbe in grado di vedere.
Per questo oltre un anno fa il fascicolo è passato alla procura di Genova, che dovrebbe indagare anche sulle stesse indagini farlocche portate avanti a Siena.
Ma da Genova non arrivano notizie. Tutto fermo, a quanto pare. Come mai? C’è forse qualche remora nel cavar fuori scomode verità sulle inerzie, quanto meno, dei colleghi senesi?
Periodicamente saltano fuori alcune news, soprattutto per i servizi mandati in onda dalla Iene. Ed emergono di volta in volta notizie su festini, attività massoniche, strani intrecci all’interno del Montedei Paschi, interventi vaticani. Poi di nuovo cala il silenzio più assordate.
Una scena del crimine che parla da sola, come documentano alcune perizie. Quella sulla dinamica della caduta del corpo, da cui risulta chiaro come si sia verifica una spinta e non si possa essere trattato di una caduta da suicidio Poi la perizia grafologica, per dimostrare come le due lettere lasciate ai familiari da David Rossi fossero state scritte sotto coazione. E soprattutto quella medica che evidenzia segni di colluttazione sul corpo, da trascinamento e da sollevamento: che fanno letteralmente a pugni con ogni ipotesi di suicidio.
Senza contare uno degli elementi base. I vertici MPS – già teatro di diverse altri morti sospette di funzionari in quei bollenti anni di “crisi”, come viene documentate nel libro “Morte dei Paschi di Siena” di Elio Lannutti – erano a conoscenza del fatto che a brevissimo David Rossi si sarebbe recato dai magistrati per raccontare la sua verità sugli scandali targati Mps. Una testimonianza che poteva risultare devastante. Per questo David non doveva parlare.

MARCO PANTANI / GIRI E GIRONI INFERNALI
Così come non avrebbe mai dovuto parlare Marco Pantani sugli scandali del doping nelle corse e sulle mani delle scommesse pilotate dalla camorra in occasione del Giro d’Italia del 1999.
Un giallo che dovrebbe tornare ancor più di attualità oggi, dopo le recenti rivelazioni su un altro giallo, la morte del calciatore David Astori.

Marco Pantani
La fine di Pantani resta avvolta in una cortina di nebbia su cui la magistratura non ha voluto far luce. La scena del crimine, quel 14 febbraio 2004 al residence Le Rose di Rimini, parlava in un modo che più chiaro non si può.
Una stanza sottosopra, il letto squarciato, un giubbotto non si sa chi di chi e soprattutto un corpo che racconta di ferite, trascinamento, tracce ematiche, tutto evidente frutto di una colluttazione. E ancora, una pallina di pane e coca che avrebbe dovuto subito indirizzare gli inquirenti verso una pista ben precisa: Pantani venne “abboffato” con palline di pane e coca, tali da provocargli un arresto cardiaco.
Ma quella scena del crimine è stata subito inquinata: indagini fatte con i piedi e, per fare un solo esempio, tracce di un cornetto Algida nel contenitore dei rifiuti, lì lasciato – così scrivono i magistrati – da chi ha subito fatto le indagini: forse per concentrarsi meglio…
Cento e passa anomalie, ha denunciato con amarezza il legale della famiglia Pantani, Antonio De Rensis. Che si è dovuto arrendere davanti alla richiesta di archiviazione sancita dalla procura di Forlì e poi ratificata dalla Cassazione.
Sotto il mero profilo tecnico resta in vita una flebile inchiesta alla Procura di Napoli, affidata al pm antimafia Antonella Serio. Lo stesso De Renzis, ingoiata la sentenza della Cassazione, ha cercato di far riaprire il caso del Giro d’Italia 1999, quello che decretò la fine sportiva e anche umana del Pirata. Un Giro chiaramente comprato e taroccato dalla camorra, che aveva scommesso miliardi di lire, all’epoca, sulla sconfitta del campione.

L’avvocato Antonio De Rensis
Il quale fu fermato, infatti, al tappone di Madonna di Campiglio. Per uno ematocrito troppo elevato, frutto di una combine, proprio perché la camorra aveva effettuato quelle maxi scommesse. Non ci volle molto a “convincere” con metodi non proprio inglesi i medici dell’equipe ad alterare quei dati. “Oggi il ciclismo è morto”, disse quel giorno il capo equipe, un medico svedese, Wim Jeremiasse, dopo qualche mese “affondato” in un lago austriaco.
Della combine aveva parlato un camorrista in carcere a RenatoVallanzasca, e da lì partì l’indagine della procura di Forlì. Che identificò quel camorrista, il quale confermò la sua versione, poi ribadita da diversi altri pentiti di camorra. Ma che fa la procura di Forlì? Se ne frega, ritiene le prove non sufficienti e archivia!
De Renzis chiede alla procura di Napoli la riapertura del caso quasi tre anni fa: proprio perché è coinvolta la camorra e hanno parlato dei pentiti.
Ma da allora di quel fascicolo giudiziario non si sa più niente.
La giustizia è sempre in fase di archiviazione.