Visualizzazione post con etichetta Res Noster Pubblica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Res Noster Pubblica. Mostra tutti i post

martedì 26 marzo 2019

STRAGE DEL SANGUE INFETTO / UN SUICIDIO DI MASSA…


I morti di Ustica? Sull’aereo c’era un pilota pazzo che s’è fatto scoppiare con tutti i passeggeri a bordo.
Il rogo di Viareggio? I passeggeri non hanno rispettato il divieto di fumare e così si sono dati fuoco. Se la sono cercata.
Gli inabissati del Moby Prince? Quei fessi si erano spostati tutti su un lato della nave per giocare a guardia e ladri. Uno ha acceso un fiammifero nella stiva per cercare l’altro e boom.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? Stavano comprando un chilo di marjuana prima di ripartire per l’Italia e si sa cosa succede in questi casi. Un diverbio sul prezzo e via.
Paolo Borsellino? Si è autobombato in via D’Amelio con la scorta perché si celebrassero tutti i processi Borsellino fino al quater e potesse passare alla storia. Peccato sia stato pareggiato da Ruby, anche lei col suo poker.
Adesso la “strage per il sangue infetto”. Finalmente le vittime hanno vuotato il sacco al processo di Napoli: tutti a zonzo per il mondo, dalle foreste africane alle carceri statunitensi, per provare il brivido dell’emozione, cioè rapporti sessuali con gorilla e galeotti, tanto per finire i propri giorni in gloria.
Finalmente, una buona volta, in un colpo solo i famigerati Misteri di Stato che hanno segnato la storia del nostro Paese risolti con un colpo di bacchetta magica. Altro che Poteri & Servizi non poi tanto segreti, altro che Depistaggi e collusioni mafiose: la verità era lì sotto il naso, più semplice che bere un bicchier d’acqua.

SCENEGGIATA NAPOLETANA
Uscendo dalle metafore tragicomiche, siamo all’indomani della sentenza pronunciata dalla sesta sezione penale del tribunale di Napoli, presieduta da Antonio Palumbo.
Dopo tre anni esatti dall’inizio di un processo cominciato 20 anni fa a Trento e dopo oltre una decina d’anni di indagini, è arrivata la storica pronuncia: tutti gli imputati assolti con formula piena, perché “il fatto non sussiste”. Nessun colpevole.
Candidi come un giglio l’ex re Mida della Sanità Duilio Poggiolini, immacolati come viole mammole ex dirigenti e funzionari del gruppo Marcucci, da sempre – almeno da metà anni ’70 – oligopolista nella importazione, lavorazione e distribuzione di emoderivati in Italia, come la Voce ha avuto modo di dettagliare in tanti anni di inchieste, a cominciare dal 1977, un articolo pubblicato dall’allora Voce della Campania diretta da Michele Santoro.
Appena dopo la sentenza, si è scatenata una ridda di ipotesi, visto che nessuno è responsabile per le morti di chi ha assunto gli emoderivati killer. Quale la pista in un futuro da seguire per rintracciare il vero movente della strage?
Da rammentare che i morti totale, secondo le stime più fresche, sono circa 6 mila. Tutte vittime impunite.
Prima pista. Una setta satanica. Ricordate le stragi con centinaia di morti negli Stati Uniti organizzati da perfide sette sataniche? In questo caso si tratta di un mega suicidio scandito in varie tappe, ritualmente celebrate da santoni ancora a piede libero.
Seconda pista. Una sparizione di massa. Di solito succede per una persona che fugge di casa, stavolta si tratta di migliaia di persone che non hanno più dato notizie di sé. Rivolgersi a “Chi l’ha visto?”.

Un carcere dell’Arkansas
Terza pista. Un rapimento perfetto senza richiesta di riscatto. Ricordate gli Ufo e le astronavi marziane? Non si tratta di fake news. Sono atterrate in gran segreto ogni 6 mesi a partire dagli anni ’80 e di volta in volta hanno prelevato decine e decine di persone. Si arriva, oggi, ad un totale, calcolatrice alla mano, di 6-7 mila soggetti volatilizzati.
Quarta pista. Il viaggio della speranza, “the last travel”. E’ l’ipotesi più suggestiva e articolata. Usciti di senno, moltissimi ammalati hanno deciso di godersela per l’ultima volta. La gran parte è partita per l’Africa, zoo safari e rapporti border line con gorilla e scimpanzè; un’altra parte è volata in Asia, e un’altra buona fetta negli Stati Uniti, con una meta ben precisa, visitare le carceri a stelle e strisce: Alabama, Louisiana e soprattutto Arkansas, come è emerso anche durante il processo partenopeo. Ma gli ultimi 007 sono finalmente riusciti a ribaltare l’assurda tesi portata avanti dagli avvocati delle parti civili: sangue ed emoderivati non arrivavano dalle galere americane, ma sono stati i folli pazienti-impazienti a volare lì per simpatizzare con i carcerati, ammalati di Aids e di altre patologie super infettive.
L’Uovo di Colombo, il quale – non a caso – ha scoperto l’America.
Siamo sicuri che le motivazioni della sentenza, le quali verranno rese note entro 90 giorni, quindi a fine giugno, sapranno dare una risposta definitiva e convincente a tali dubbi & arcani.

PROTAGONISTI & INTERPRETI
Hanno avuto la vista lunga, di tutta evidenza, alcuni protagonisti del processo.
In pole position il pm, Lucio Giugliano, che fin dalla prima udienza di tre anni fa esatti aveva chiesto il proscioglimento per alcuni imputati, come effettivamente è accaduto – e con formula piena – dopo tre anni per tutti. Aveva visto giusto nel chiedere subito una perizia tecnica d’ufficio a tre super esperti. Così come a chiedere l’escussione di uno dei testi-base, l’ematologo milanese Piermannuccio Mannucci.
All’esito del cui interrogatorio avrebbe voluto chiudere subito il processo, perché Mannucci escludeva categoricamente la possibilità non solo di provare il famoso nesso causale tra l’assunzione degli emoderivati killer e l’insorgere delle patologie, ma soprattutto perché ravvisava l’impossibilità di individuare quel “farmaco killer”, quell’emoderivato assassino.
E, ancor più, Mannucci rassicurava circa la bontà e la sicurezza di quegli emoderivati, perché “provenivano, così mi veniva detto dai dirigenti del gruppo Marcucci, dai campus universitari e dalle casalinghe americane”. Incredibile ma vero.
Peccato, però, che quel super teste, l’esperto mega galattico, fosse un teste in palese conflitto d’interessi, dal momento che è stato per anni consulente (stipendiato) di Kedrion, la corazzata di casaMarcucci, ed ha partecipato (gettonato) a svariati simposi medici organizzati sia in Italia che all’estero dalla stessa Kedrion.
Le fisiologiche “anomalie” sono proseguite nel corso dei tre anni di dibattimento fino al termine delle udienze. Uno degli avvocati delle parti civili, tale Emanuele Tomassi, nella sua “arringa” finale (sic) ha chiesto la prescrizione per tutti. L’avvocatura dello Stato (in rappresentanza del Ministero della Salute) che ha partecipato solo alle prime udienze processuali, non ha avuto neanche la faccia di presentare alcuna memoria conclusiva né ha avanzato alcuna richiesta, disertando l’aula: in tal modo manifestando con chiarezza la volontà di non chiedere nemmeno i risarcimenti civili come aveva sbandierato all’inizio, pari ad una cinquantina di milioni di euro. Tutto a posto e tutto in ordine.

LO STATO SULLA STRAGE? MA CHISSENEFREGA
A questo punto.
Ma chissenefrega se la tragedia degli emoderivati killer era nota fin dal 1977, come documenta la prima inchiesta della Voce. Mentre lorsignori negano. E a loro parere nessuno negli ambienti scientifici ha mai parlato in quegli anni di rischi da sangue infetto.
Chissenefrega del Congo Belga e dei campi di raccolta di sangue non perfettamente testato, campi organizzati dalle aziende del gruppo Marcucci.
Chissenefrega se il regista americano Kelly Duda, autore dello choccante docuflim “Fattore VIII”, è arrivato dagli Stati Uniti a verbalizzare, davanti alla sesta penale, per confermare l’arrivo di quel sangue dalle galere a stelle e strisce e in particolare da quella di Cummings nell’Arkansas.

Una manifestazione di protesta degli ammalati per sangue infetto
Chissenefrega se l’ematologo e scrittore Elio Veltri, autore de “L’Italia non è un paese per onesti”, dedica un intero capitolo agli emoderivati killer ed anche lui ha verbalizzato a Napoli sostenendo che “quella del sangue infetto è la più grande strage di sempre a livello mondiale, del tutto ignorata dai media”.
Chissenefrega se la BBC nel 2007 ha realizzato un altrettanto choccante docufilm che documenta i primi stoccaggi di scatoloni di emoderivati in depositi frigoriferi nel Veneto, insieme a grandi partite di baccalà.
Chissenefrega se a novembre 2018 in Inghilterra, con tutti i maxi problemi che devono affrontare a cominciare dalla Brexit, hanno trovato il tempo per varare una commissione parlamentare d’inchiesta proprio sulla loro strage del sangue infetto, che ha mietuto 3 mila vittime.
Chissenefrega delle nostre vittime finite tra atroci sofferenze.
Chissenefrega delle sofferenze dei parenti.
Chissenefrega degli inferni che hanno dovuto sopportare per una burocrazia assassina e una giustizia negata.
Chissenefrega se tutti sono stati uccisi due volte.
Chissenefrega se anche la Memoria è stata calpestata.
Chissenefrega se tutti i media salvo rarissime mosche bianche non hanno dato lo straccio di un’informazione degna di tal nome in tre anni di processo. E neanche prima.
Chissenefrega se la politica è stata prima complice e poi del tutto assente e quindi connivente, come se la strage non fosse mai esistita.
Chissenefrega se il Capo dello Stato ogni tanto chiede “giustizia per i morti di Ustica” senza peraltro alzare un dito e sui morti per la strage del sangue infetto non sussurra neanche un alito.
Chissenefrega se il ministro per la Salute, la grillina Grillo, non ha alzato nemmeno un dito perché il suo ministero non fosse del tutto assente al processo di Napoli.
Chissenefrega se lo stesso ministero renderà sempre più impossibili le cause di risarcimento per i parenti delle vittime che continuano a morire, perché la tragica finestra temporale non è certo chiusa: come succede per un’altra tragedia oscurata, quella dei roghi tossici nella Terra dei Fuochi.

P.S. Si sono battuti come leoni gli avvocati di molte parti civili ed associazioni, Stefano Bertone ed Ermanno Zancla. Soli contro tutti.
Memorabile l’arringa finale di Bertone, otto ore, in cui ha dimostrato non solo il famoso “nesso causale” tra l’assunzione degli emoderivati killer e l’insorgere delle patologie; ma anche le letali “re-infezioni” e “sovra-infezioni”.
Perfetto sotto il profilo morale, giurisprudenziale e scientifico.
Verità e Giustizia, però, da sole non bastano per abbattere i Muri di Gomma del Potere.

lunedì 25 marzo 2019

PANTANI / 100 ANOMALIE E ORA LE IENE, SI RIAPRE IL CASO SEPOLTO DALLA NOSTRA “GIUSTIZIA”?


Riusciranno le Iene a far riaprire il caso Pantani per la giustizia di casa nostra morto e sepolto?
Gli verrà restituito quel Giro d'Italia 1999 vinto sulle montagne e poi scippato dalla camorra sotto gli occhi della "giustizia"?
Verranno trovati killer e mandanti che quella notte di San Valentino di 15 anni fa esatti lo riempirono di coca fino a fargli scoppiare il cuore e con una "giustizia" capace solo di archiviare la "pratica"?
Potrà aver Giustizia, quella vera, la mamma del Pirata, Tonina, l'unica a non arrendersi e ad invocarla con tutte le forze che le restano?
Sarà molto difficile abbattere quel muro di gomma che ha sempre caratterizzato il caso.
Un muro costruito alla procura di Forlì e fortificato da una sentenza definitiva pronunciata dalla Cassazione due anni e mezzo fa, sul fronte del "suicidio" di Marco Pantani nel residence "Le Rose" di Rimini.

SE 100 ANOMALIE VI SEMBRAN POCHE
Il giallo dalle 100 anomalie, lo ha sempre definito l'avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, una più sbalorditiva dell'altra, ma tutte fino ad oggi inutili per smontare la tesi del suicidio, che nonostante tutte quelle contraddizioni grosse come una casa hanno portato le toghe di primo, secondo e terzo grado a ottenere l'archiviazione perchè si tratta – secondo loro – appunto di un suicidio.

L'avvocato Antonio De Rensis
Una scena del crimine che somiglia non poco a quella di un altro "suicidio" che non sta in piedi, quello di David Rossi, il responsabile della comunicazione per il Monte dei Paschi di Siena cinque anni fa volato dal quarto piano di palazzo Salimbeni. E anche lui fino ad oggi "archiviato".
Sangue dappertutto, un corpo devastato dalle ferite, segni di trascinamento: tutti elementi incompatibili con il suicidio e invece classici di una lite furibonda, con ogni probabilità per far ingurgitare al Pirata la pozione killer, acqua & coca.
E poi cento altri elementi, appunto: dal giubbotto rosso che non gli apparteneva e ritrovato nella stanza del residence, all'involucro del cornetto Algida nel cestino dei rifiuti; dalle telefonate alla recption per chiamare i carabinieri alla possibilità che i suoi killer siano tranquillamenti passati dall'entrata posteriore del residence; dalle primissime indagini che con hanno cavato un ragno dal buco e solo inquinato la scena del crimine fino alle perizie che fanno a pungni una con l'altra.
Nella puntata delle Iene lo spacciatore di droga che solitamente forniva a Marco la coca, Fabio Carlino, conferma quanto ha sempre detto: il campione non mostrava assolutamente volontà suicidiarie, l'aveva visto un paio di giorni prima ed era su di tono, e poi la quantità di polvere bianca trovatagli nel sangue (una quarantina di grammi) era del tutto incompatibile con quanto usava sempre, segno di una coazione, della messinscena di un suicidio.
Poi alcuni elementi nuovi. L'intervista con una prostituta russa, Elena, che pare lo abbia incontrato il giorno precedente a quello di San Valentino: anche lei conferma che non gli era sembrato diverso dal solito. Quella di un barista che lo aveva visto passare davanti al suo esercizio uno o due giorni prima. E quella di un giovane dipendente di un residence, qualche giorno prima di un esame che era in procinto di affrontare all'università: sostiene che Marco ha dormito per una notte in quel residence (che, appunto, non è il "Le Rose"). Tutte circostanze in netto contrasto con la sentenza firmata dalla Cassazione, secondo la quale Marco non è uscito per giorni dal Le Rose, perchè era ultradepresso.
Basteranno, questi elementi raccolti dalle Iene, per far riaprire il caso? Staremo a vedere. Fatto sta che quella mole di "anomalie" sarebbe già dovuta abbondantemente bastare per documentare, per filo e per segno, che non si è trattato di suicidio, ma di omicidio in piena regola. Con ogni probabilità un delitto di camorra.

QUEL GIRO D'ITALIA COMPRATO DALLA CAMORRA
E passiamo all'altro filone di indagine: quello sul Giro del 1999 comprato, appunto, dalla malavita napoletana che aveva scommesso palate di miliardi di lire sulla sconfitta del Pirata. Una pista però mai battuta con determinazione a Forlì, che pure ha raccolto una significativa quantità di prove.
Tutto comincia con una lettera di Renato Vallanzasca alla madre del grande ciclista, in cui le scrive di aver saputo da un detenuto di camorra recluso nel suo stesso carcere come la malavita organizzata aveva puntato forte sulla sconfitta di Marco a quel Giro: "''O pelato non arriva a Milano", era il tam tam tra gli uomini dei clan.
La madre di Marco consegna la lettere alla procura di Forlì che apre un fascicolo. Dopo alcune non ardue ricerche viene inviduato il camorrista detenuto. Dal suo interrogatario arrivano conferme, parecchi dettagli e perfino i nomi di altri camorristi che conoscono la story. Vengono interrogati alcuni di questi, che confermano la combine, pur se quasi tutti "de relato": sono venuti cioè a loro volta a conoscenza della vicenda da altri camorristi.
Ed emerge un quadro allucinante. Quel prelievo di sangue di Marco a Madonna di Campiglio venne taroccato grazie alla complicità dei sanitari incaricati di esaminare il sangue: furono "convinti" con metodi non proprio inglesi ad alterare la provetta, sottraendone del plasma, in modo tale da modificare l'ematocrito, che "magicamente" salì a 53 rispetto al valore 48 dell'autoanalisi effettuata la sera precedente e al valore accertato dal laboratorio di Imola solo sei ore dopo il prelievo manipolato.
Tre i sanitari coinvolti, e un capo equipe: Wim Jeremiasse, medico olandese e grande esperto di gare internazionali fra Tour, Vuelta e Giro, che alla fine dell'esame sbottò: "oggi è morto il ciclismo".
"E proprio quel giorno anche Marco è morto, lo hanno ucciso", disse all'epoca – e ha confermato ai microfoni delle Iene – il suo amico e massaggiatore Primo Pergolato, che fornisce altri dettagli: "La sera prima Marco era tranquillissimo, soprattutto dopo aver effettuato l'autoanalisi che aveva riscontrato il valore di 48. Quindi nessun problema. La mattina dopo, il dramma e Marco che s'infuria, sbatte i pugni sul muro, urla la sua disperazione. Capisce che lo hanno incastrato. Mancavano ormai due tappe facili e poi c'era la vittoria: che senso mai avrebbe avuto prendere qualcosa quando tutti sapevamo che la mattina dopo c'era il controllo?".
Il dottor Jeremiasse, sconvolto dopo quell'esame, non ha mai potuto verbalizzare davanti ai giudici: perchè dopo appena otto mesi con la sua auto è finito in un lago semighiacciato sulle montagne austriache.
E una montagna di elementi, anche stavolta, per battere la pista del Giro d'Italia taroccato e la combine che anche un cieco può vedere. Ma cosa scrivono i pm di Forlì? Ci sono moltissimi elementi che lo documentano, ma non sono sufficienti per proseguire nelle indagini, quindi l'inchiesta va archiviata. Ai confini della realtà.

DA FORLI' A NAPOLI
Nel frattempo finisce in naftalina la solita sceneggiata che va in onda alla Commissione Antimafia. Tutti stupiti, tutti orripilati per quanto è successo. Avete mai letto lo straccio di un qualcosa partorito dall'Antimafia? Neanche uno starnuto.

La procura della repubblica di Napoli
L'avvocato De Renzis, comunque, non si arrende. Archiviata l'inchiesta di Forlì, ne chiede la riapertura, due anni e mezzo fa, alla procura di Napoli. Nella domanda, infatti, pone in risalto tutti gli elementi circa la combine di camorra per quel Giro maledetto. Rammenta che parecchi collaboratori di giustizia sono già ben noti alla procura partenopea per altre vicende malavitose. Quindi la procura di Napoli è la più adatta – anche per 'memoria' storica – a riaprire il caso.
Il fascicolo passa alla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea ed è affidato al pm Antonella Serio. La Voce le chiese ragguagli sulla situazione un paio di mesi dopo l'assegnazione di quel fascicolo bollente. Così rispose: "Il procuratore facente funzione tiene molto al caso che è ora alla mia attenzione. Comincerò presto le indagini".
Il procuratore facente funzione era all'epoca Nunzio Fragliasso, al quale è poi subentrato l'attuale procuratore capo, Giovanni Melillo.
In questi due anni e mezzo non si è avuta alcuna notizia sul giallo Pantani. Sono state fatte indagini oppure no? Che esito hanno mai avuto?
All'avvocato De Renzis è subentrato, a novembre 2017, un legale del foro di Catanzaro, Sabrina Rondinelli, che subito interpellata della Voce non ha mai voluto parlare del caso.
Due giorni fa, il 12 febbraio, colpo di scena. Rondinelli vola via, sparita nel nulla senza lasciar traccia. Solo un laconico messaggio via internet in cui dice: "mi devo assentare nei prossimi mesi e non posso più seguire il caso come merita. Invito la famiglia a continuare con la convinzione che Marco è stato ucciso". Un giorno dopo il servizio delle Iene.
Cosa ha fatto l'avvocato calabrese in questo anno e mezzo? In cosa è consistita la sua attività? Ha cercato di capire cosa succedeva alla procura di Napoli?
Ai microfoni delle Iene, per illustrare la situazione e ricostruire le cento anomalie, ci ha pensato Antonio De Renzis.

Fonte: www.lavocedellevoci.it

LEGGI ANCHE:

CASO PANTANI / GIALLO ALGIDA: E' FIRMA DI CAMORRA?

 di PAOLO SPIGA
Caso Pantani. Tra un'incredibile archiviazione e l'altra spunta il giallo del gelato. Una delle più macroscopiche anomalie denunciate dell'avvocato Antonio De Rensis, legale della famiglia Pantani, riguarda proprio una carta gelato rinvenuta nel contenitore dei rifiuti della stanza dove Marco è stato "suicidato". Il gup, Vinicio Candolini, nel suo provvedimento di archiviazione di giugno scorso, …read more → 

GIALLO PANTANI / L'UOMO CHE VENNE UCCISO TRE VOLTE

 di Andrea Cinquegrani

sabato 23 marzo 2019

SANGUE INFETTO / IL 25 MARZO A NAPOLI LA “STORICA” SENTENZA


Processo per il sangue infetto. A Napoli la sentenza verrà pronunciata il 25 marzo dal presidente della sesta sezionale penale del tribunale, Antonio Palumbo.
Una sentenza "storica", dal momento che le prime indagini risalgono a quasi 40 anni fa, il processo è cominciato a Trento 20 anni fa, poi trasferito a Napoli dove è ricominciato tre anni fa, aprile 2016.
Il capo di imputazione è man mano scalato da strage ad epidemia colposa ed infine ad omicidio colposo plurimo. La Voce ha scritto decine e decine di inchieste e articoli su quella tragedia largamente annunciata. Fin dal 1977…

BIG PHARMA & C.

Il tribunale di Napoli

Alla sbarra l'ex re mida della sanità ministeriale, Duilio Poggiolini, ed alcuni ex funzionari del gruppo Marcucci, da sempre oligopolista nella importazione, lavorazione e distribuzione di emoderivati.
Patriarca storico di quelle aziende Guelfo Marcucci, passato a miglior vita proprio alla vigilia del processo. Nel quale non sono mai entrati né il timoniere della corazzata di famiglia Kedrion, ossia il rampollo Paolo Marcucci, né tantomeno la sorella Marilina (ad inizio 2000 coeditore dell'Unità e oggi primattrice nella Fondazione che organizza il Carnevale di Viareggio) ed Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato e una carriera politica decollata sotto le protettive ali dell'ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo.
Grande amico della dinasty dei Marcucci e storicamente legato a Poggiolini (con il quale ha condiviso la condanna penale e civile per la Farmatruffa, con un risarcimento da 5 milioni di euro a testa), neanche Sua Sanità è mai entrato in questo processo, né come imputato e nemmeno come teste: quando ad esempio è stata chiamata a verbalizzare davanti alla sesta sezione del tribunale di Napoli anche la Dc Maria Pia Garavaglia, che gli è poi succeduta sulla poltrona di ministro.
Appena 9 le parti costituite in giudizio: malati o familiari di alcune vittime.


Andrea Marcucci

Ma la "strage del sangue infetto" conta almeno 5 mila caduti sul campo degli emoderivati killer. Una cifra superiore, ad esempio, rispetto a quella registrata in Inghilterra, dove si contano circa 3 mila vittime.
Paradosso nei paradossi, a Napoli il processo riguarda solo le case farmaceutiche nostrane – in particolare quelle del gruppo Marcucci – perché le azioni penali riferite alle case estere è stato archiviato e con ogni probabilità potrà ricominciare, non si sa in quale o in quali procure, dopo la conclusione di questo procedimento.
Tutto il processo è ruotato intorno ad un interrogativo base: riuscire a dimostrare il nesso causale tra l'assunzione (o le assunzioni) di emoderivati e l'insorgenza delle patologie che hanno condotto in molti casi alla morte.


I CONFLITTI DEL SUPER TESTE



L'avvocato Stefano Bertone

Un nesso che la difesa delle parti civili – ossia gli avvocati Stefano Bertone ed Ermanno Zancla – hanno dimostrato carte, documenti scientifici e perizie alla mano. E sono anche riusciti a provare la validità scientifica di "re-infezioni" e "sovra-infezioni". Proprio come quando un plotone di esecuzione ti uccide più volte.
Di diverso avviso il pubblico ministero, Lucio Giugliano, che fin dalla prima udienza ha chiesto l'assoluzione per alcuni imputati e nella sua requisitoria finale ha chiesto l'assoluzione di tutti gli imputati perché "il fatto non sussiste".
Ovviamente dello stesso avviso i legali degli imputati – in prima fila Alfonso Stile e Massimo Di Noia – che non vogliono sentire parlare di prescrizione ma chiedono una assoluzione piena nel merito (la stessa che chiede il pm).
Fin dalla prima udienza il pm Giugliano ha richiesto una perizia tecnica d'ufficio che – durata diversi mesi – ha partorito un vero e proprio topolino. La perizia, infatti, si è basata in modo particolare sulle tesi di un ematologo milanese, che poi è stato anche il primo teste di questo processo, maggio 2016, ossia Piermannuccio Mannucci.
Un teste in palese conflitto di interessi, visto è stato consulente (pagato) di Kedrion ed ha partecipato (gettonato) a svariati simposi nazionali e internazionali organizzati dalla stessa Kedrion.
Gli avvocati di parte civile hanno chiesto lo stralcio della posizione di Mannucci, accusato di falsa testimonianza.
Quando in udienza è stato chiesto all'ematologo meneghino da dove provenissero mai – a suo sapere – quegli emoderivati, così ha risposto: "Mi dicevano (il riferimento è ai funzionari delle aziende Marcucci, ndr) che era di fonte certa, sicura, proveniendo dai campus universitari americani e dalle casalinghe statunitensi". Alice nel Paese delle Meraviglie…

SANGUE DAL CARCERE

Elio Veltri

In successive verbalizzazioni due testi hanno fornito versioni opposte.
L'ematologo e scrittore Elio Veltri (autore del recente "L'Italia non è un paese per onesti", in cui un capitolo è dedicato ai traffici del sangue e dei suoi derivati) ha dichiarato che quei prodotti arrivavano dagli Stati Uniti, dall'Asia e dall'Africa.
Il regista americano Kelly Duda, autore dodici anni fa di uno choccante docufilm "Fattore VIII", ha illustrato i suoi due anni di lavoro e descritto per filo e per segno una delle fonti base di provenienza. Le carceri statunitensi, in particolare quello di Cummings, nell'Arkansas.
Un docufilm della BBC dello stesso anno (2007) ha illustrato i medesimi scenari.
Risale invece addirittura a 42 anni fa, luglio 1977, la prima inchiesta della Voce su quegli emoderivati: inchiesta in cui si parlava dei campi di raccolta organizzati nell'ex Congo belga dalle aziende del gruppo Marcucci, che proprio in quegli anni – metà/fine '70 – vedevano germogliare le loro fortune.
P.S. Grandi assenti, nei tre lunghi anni di processo partenopeo, i media. Si contano sulle dita di una (1) mano i nomi dei giornalisti che hanno fatto capolino nell'aula 212 del tribunale penale di Napoli.
C'è da sperare che almeno in occasione della sentenza si possa vedere qualcuno. Per rendere Memoria – oltre che Giustizia – alle migliaia di vittime della strage per il sangue infetto.

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

venerdì 22 marzo 2019

PROCURA DI ROMA / I “MISTERI” DEL DOPO PIGNATONE


Valzer di nomine nelle procure italiane. Oltre un centinaio nei prossimi mesi, con un Csm super impegnato a ridisegnare la mappa del potere giudiziario in Italia.
Nel suo fresco numero l'Espresso, con un'inchiesta della firma antimafia Lirio Abbate, punta i riflettori e sciorina una sfilza di nomi e papabili per i prossimi, delicati incarichi, procura per procura.

Si parte, of course, dalla più bollente del nostro Paese, quella di Roma. Così dettaglia Abbate: "L'epicentro del terremoto è Roma. Giuseppe Pignatone andrà in pensione a maggio e il posto è già stato bandito per evitare di lasciarlo scoperto a lungo. I candidati sono tredici. Oggi piazzale Clodio non è più il 'Porto delle nebbie'. Pignatone lascia a chi erediterà il suo ruolo una grande responsabilità. Vale a dire, continuare a tenere alto il livello della giustizia a Roma senza troppo rispetto per i potenti, come mai prima di lui era stato fatto nella Capitale. Qui sono state squarciate zone grigie, si è puntato dritto alle mafie, nazionali e internazionali" e via continuando con le grandi imprese targate 'Mafia Capitale'.

Proseguono le trombe di Abbate: "Ma anche sulla politica corrotta e collusa sono arrivate condanne e sequestri di beni, decisi e applicati per la prima volta nei casi di corruzione proprio dai pm guidati da Pignatone".
Un paradiso in terra, la procura capitolina, un Eden dove finalmente i cittadini possono trovare i portoni spalancati per ospitare la Giustizia, quella vera. Altro che il famigerato 'Porto delle Nebbie'!

A questo punto, prima di lasciare la procura tra inni e fanfare, non resta a Pignatone che risolvere qualche problemino lasciato ai posteri.
Prendiamo il caso Alpi. E' fresca del 4 febbraio la firma apposta da Pignatone all'ennesima richiesta di archiviazione per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La richiesta è del pm Elisabetta Ceniccola, che ancora una volta chiede al gip di turno (per un anno è stato Andrea Fanelli, chissà chi è il prossimo) di archiviare la "pratica". Nonostante le clamorose evidenze emerse dal processo di Perugia, che un anno e mezzo fa non solo ha liberato dalla galera (vi ha trascorso 16 anni da innocente) Hashi Omar Assan, ma ha anche descritto il "depistaggio di stato" messo in atto da inquirenti e forze dell'ordine per proteggere e far scappare in Inghilterra il teste fasullo Ali Rage, alias Gelle.
Prima di lasciare Roma perchè il capo Pignatone non spiega la "non inchiesta" della sua procura, che si configura a questo punto come l'ennesimo depistaggio? Alla faccia di ogni ipocrita volontà di far Giustizia?

Passiamo all'eterno mistero che ancora avvolge la sparizione di Emanuela Orlandi e della sua amica Mirella Gregori. Mesi fa è sembrato che si aprisse uno squarcio, con il ritrovamento di misteriose ossa in Vaticano. Poi niente, erano ossa stravecchie.
Ma circa un anno fa avevano fatto capolino altre verità molto più clamorose: ossia tracce di una documentazione top secret e conservata nella super cassaforte del Vaticano, in cui venivano messe nero su bianco tutte le spese sostenute per nascondere Emanuela per un anno – a metà dei '90 – in una residenza gestita da alcune suore a Londra.
Come mai quella pista non è stata mai battuta? Perchè la procura capitolina ha paura di ficcare il naso in Vaticano? Perchè si genuflette davanti ad ogni ostacolo? Misteri.
Come di misteri è avvolto, ancora oggi, il giallo sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini. Senza che la procura di Roma alzi un dito, neanche mezzo.

Due anni fa l'avvocato della famiglia, Stefano Macioti, ha chiesto la riapertura dell'inchiesta basandosi su una prova inoppugnabile: quella del DNA, il cui test ha dimostrato come sulla scena del delitto non si trovasse solo Ignoto 1, ossia Pino Pelosi, ma anche un secondo e forse un terzo soggetto (Ignoto 2 e Ignoto 3). A questo punto Macioti ha semplicemente chiesto che quel test del DNA venisse esaminato e il caso venisse riaperto. Facile come bere un bicchier d'acqua.
Pensate che qualcosa si sia mosso? Neanche un battito d'ali. Il pm del caso, Francesco Minisci, s'è tuffato negli impegni sindacali, diventando presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati e certo non aveva tempo da perdere in bazzecole del genere.
D'accordo il capo Pignatone? Perchè non fa sapere qualcosa prima di godersi la dorata pensione?

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

giovedì 21 marzo 2019

Pedofilia e abusi, come uscire dall’«11 settembre» ecclesiale?


Quel che è venuto alla luce in varie parti del mondo a partire dal 2002 ha determinato una serie di scosse telluriche in tante diocesi e conferenze episcopali. La necessitàdi una conversione profonda e di un cambiamento di rotta. Il summit in Vaticano dal 21 al 24 febbraio.


Abusi su bambini e ragazzi da parte di preti e religiosi. Abusi a centinaia, a migliaia. Praticamente sempre coperti, insabbiati, non denunciati. Permettendo così all’abusatore di continuare a delinquere. «L’11 settembre della Chiesa» l’ha definito chi certo non può essere considerato un catastrofista: l’arcivescovo Georg Gänswein, già segretario di Benedetto XVI. Lo scandalo della pedofilia paragonato al grande attacco terroristico del 2001 agli Stati Uniti. In altri termini, un evento spartiacque, dopo il quale nulla potrà essere come prima. Esagerato?
Nella prospettiva di un comune fedele italiano, forse sì. Quel che è venuto alla luce dal 2002, con l’inchiesta del quotidiano «Boston Globe» (raccontata nel film Spotlight, vincitore dell’Oscar), in poi ha determinato una serie di scosse telluriche in molte diocesi e conferenze episcopali. Ha abbattuto vescovi, arcivescovi e cardinali; ha mandato in bancarotta Chiese locali; Usa, Belgio, Austria, Australia, Irlanda, Cile… immaginate – è un incubo che non si concretizzerà, ma utile per provare a comprendere lo sconcerto di una comunità ecclesiale – che tutti i vescovi italiani vengano rimossi, com’è accaduto di recente in Cile, per il loro silenzio sui casi di pedofilia, coperti, insabbiati, silenziati. Una tragedia. Che non riguarda solo né principalmente i singoli protagonisti, ma la credibilità della Chiesa. Il suo annuncio. Il Vangelo.
Come uscire dall’11 settembre ecclesiale? Nessuna guerra, se non interiore alla ricerca del male da estirpare. Ma una conversione sì. Un esercizio di sincerità – persino «spietato» – sì. E la ricerca di un cambiamento di rotta. Perché alla diagnosi deve sempre seguire la terapia. E questa che colpisce la Chiesa non è una banale febbriciattola.
Per questo motivo nell’agosto scorso papa Francesco ha scritto una «Lettera al popolo di Dio» (a tutti i battezzati, nessuno escluso, perché un peccato grave di alcuni membri riguarda l’intero corpo e nessuno può chiamarsi fuori) e ha convocato dal 21 al 24 febbraio in Vaticano un summit, a cui parteciperanno i presidenti delle Conferenze episcopali nazionali e i capi dei dicasteri.
«La prima regola per guarire è accettare di essere malati». E la malattia che esplode oggi ha origini antiche. La prima denuncia formale risale addirittura al 1051 a opera di Pier Damiani. Senza conseguenze. I Papi dell’epoca, come Gregorio VII, intervengono per arginare la corruzione del clero, ma ignorano la pedofilia. Emblematica ma tristissima è la vicenda di Giuseppe Calasanzio, fondatore degli Scolopi. La Controriforma è fatta di ombre e luci. Calasanzio è una luce che forze oscure tentano di spegnere. Venuto a sapere senza ombra di dubbio che un suo confratello, Giuseppe Cherubini, abusa degli alunni («orchi in tonaca e saio»), lo rimuove. Ma Cherubini gode di potenti protezioni in Vaticano. Calasanzio viene a sua volta inquisito e imprigionato. Basta poco, a quel tempo, anche solo la frequentazione di Galileo… Chi prende il suo posto a capo degli Scolopi? Cherubini, l’orco. Calasanzio sarà riabilitato e canonizzato. Ma l’episodio rimane.
di Umberto Folena