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lunedì 3 dicembre 2018

Dopo la morte di Khashoggi, Trudeau non bloccherà una vendita di armi da 12 miliardi di dollari ai Sauditi, perché i soldi la spuntano sempre sull’omicidio


Ad almeno 5.000 miglia di distanza dalla città in cui il suo corpo è stato sepolto in segreto (intero o a pezzettini) dai suoi assassini sauditi, l’omicidio di Jamal Khashoggi ora irrita la coscienza (e i cordoni della borsa) di un’altra nazione. Perchè il Canada, patria del pensiero libero e democratico (sopratutto con Justin Trudeau), si trova di colpo a dover gestire l’eredità del predecessore (conservatore) del brillante e giovane Primo Ministro, insieme ad una semplice questione di coscienza o soldi: deve Trudeau stracciare un accordo militare con l’Arabia Saudita, risalente al 2014, del valore di 12 miliardi di dollari?
Quando Ottawa aveva deciso di vendere i suoi veicoli blindati leggeri (LAV) nuovi di zecca al regno saudita, i Sauditi erano già famosi per tagliare teste e sostenere furiosi e ben armati Islamisti. Ma Mohammed bin Salman non era ancora diventato l’erede al trono di questa pia nazione. I Sauditi non avevano ancora invaso lo Yemen, tagliato la testa ai suoi leaders sciiti, imprigionato gli stessi principi della famiglia reale, rapito il Primo Ministro libanese e smembrato Khashoggi.
Così, il governo conservatore canadese di Stephen Harper non si era fatto scupoli per rifilare i suoi LAV (come vengono chiamati questi mostriciattoli corazzati) a Riad, specificatamente per il “trasporto e la protezione” dei funzionari governativi.
Ora, difficilmente si può accusare Trudeau di essere un sostenitore del regime saudita. In agosto, gli uomini di Mohammed bin Salman avevano ordinato l’espulsione dell’ambasciatore canadese a Riad e avevano bloccato gli accordi commerciali con il Canada, dopo che il Ministro degli Esteri di Trudeau aveva protestato contro l’arresto nel regno [saudita] di alcuni attivisti per i diritti delle donne. I Canadesi avevano rilasciato false dichiarazioni, avevano affermato i Sauditi, che, per quanto riguarda le false dichiarazioni, avrebbero presto raggiunto una fama degna di un film dell’orrore holliwoodiano. Trudeau si è ritrovato sul libro nero dei Sauditi, insieme a Washington, perché, solo due mesi prima, Trump lo aveva definito debole e disonesto.”
Naturalmente, appena Khashoggi è stato fatto fuori nel consolato saudita di Istanbul, l’anima liberale del Canada ha iniziato a mobilitarsi. Sicuramente, ora Trudeau deve stracciare l’accordo del 2014 che riguarda tutti quei luccicanti mezzi corazzati che Harper aveva venduto ai Sauditi in quell’anno. Purtroppo, alcuni giorni fa si è scoperto che l’accordo comprendeva quella che il governo Trudeau ha descritto come una ‘clausola sulla cancellazione dell’accordo’ che, nel caso la transazione riguardante i veicoli blindati non venisse completata, costerebbe ai Canadesi miliardi di dollari.
Economicamente parlando, la cosa può anche avere un senso, fino ad un certo punto, ma, con tutto quello in cui sono coinvolti i Sauditi, c’è anche il fattore “opps!”
Perchè è venuto fuori, ahimè, che questi innocui LAV canadesi sono stati filmati nel 2017 nella provincia orientale dell’Arabia Saudita mentre soffocavano una rivolta di civili sciiti. Il Ministero degli Esteri canadese, che ora si chiama (e questo è un capolavoro di ironia) “Global Affairs Canada,” ha sospeso le esportazioni di armi e ha aperto un’indagine “completa ed approfondita.” Al giorno d’oggi abbiamo tutti familiarità con le “indagini complete ed approfondite,” come quella che i Sauditi stanno portando avanti con entusiasmo sulla scomparsa di Khashoggi, sepolto di nascosto; ovviamente, la versione canadese di questo tipo di inchiesta ha concluso che i veicoli provenienti dal Canada erano stati sottoposti a “modifiche” successive all’esportazione.
Adesso, chi dirige lo spettacolo a Riad è Mohammed bin Salman e ad Ottawa lo presenta Trudeau. Ma ora è arrivato, ancora una volta, il fattore saudita “opps!”
I LAV, come si è saputo in seguito, erano stati equipaggiati in segreto con torrette e mitragliatrici e questi veicoli erano stati utilizzzati nel 2017 in un’operazione in cui erano stati uccisi 20 civili, Ma, ecco che arriva il deus ex machina che batte tutti, il rapporto di Global Affairs aggiungeva (con ulteriore ed inconscia ironia) che non si era verificata nessuna violazione dei diritti umani, che le forze saudite “si erano sforzate di ridurre al minimo le perdite fra i civili” e che l’uso della forza (i lettori lo avranno ormai immaginato) era stato “proporzionato ed appropriato.”
Grazie a Dio, i Sauditi da quei veicoli sparavano con le mitragliatrici e non stavano attaccando i loro nemici con coltellacci e seghe da ossa.
Ma ora, e qui la vecchia metafora calza stranamente a pennello, Trudeau si è ritrovato con il coltello piantato nella schiena. Si fa avanti un certo Ed Fast, un parlamentare canadese dell’opposizione conservatrice, che, quando aveva ricoperto la carica di Ministro per il Commercio Internazionale di Ottawa, aveva contribuito a condurre in porto l’originale e redditizia vendita di armi ai Sauditi. Lui non ha nulla a che vedere con le minuzie del contratto. Le penali erano state volute dalla General Dynamics Land Systems, [l’azienda] che aveva assemblato in Ontario queste sciagurate macchine.
Inoltre, durante lo scorso fine settimana, Fast aveva aggiunto che il contratto andrebbe rispettato; il Canada dovrebbe invece punire i Sauditi confiscando le proprietà dei cittadini sauditi che si rendono colpevoli di violazioni dei diritti umani e terminare le importazioni di greggio saudita. E incrementare il trasbordo di petrolio canadese dall’Alberta, che confina con la Columbia Britannica, dove, opps!, Fast, guarda caso, fa il parlamentare.
Nessuno più dei Sauditi avrebbe potuto apprezzare meglio una cosa del genere. Perchè Fast, da buon recidivo, ha minimizzato alla grande l’omicidio Khashoggi. Ha descritto la decapitazione del giornalista saudita ad Istanbul e la sua sepoltura in segreto da parte dei Sauditi come una “questione” e una “situazione.” “Questione” intesa come “problema,” suppongo. Secondo il punto di vista di Fast, la mancata consegna delle armi non “punirebbe” realmente i Sauditi perchè, e ci risiamo, Riad non farebbe altro che rifornirsi di mezzi corazzati da altre nazioni.
Dennis Horak, un ex-ambasciatore canadese in Arabia Saudita (è strano come gli ex-ambasciatori occidentali a Riad abbiano l’abitudine di battere la grancassa per i Sauditi), aveva annunciato che la cancellazione [del contratto] “sarebbe servita solo a punire più di 3.000 lavoratori canadesi… che avrebbero visto i loro posti di lavoro, ad alta specializzazione, tipici della classe media, sparire a causa di una presa di posizione che non avrebbe avuto nessuna conseguenza sull’Arabia Saudita.” Un simile messaggio sarebbe stato “sprecato per la dirigenza saudita.” Vendere veicoli blindati non era un favore ma una “transazione commerciale.” Quello che dovremmo fare, aveva detto Horak al Toronto Star, è “parlare direttamente” con loro: “Impegnarci, piuttosto che disimpegnarci.”
Chi potrebbe mai credere che questo Horak sia lo stesso ambasciatore che, solo lo scorso agosto, i Sauditi avevano cacciato da Riad, dopo che il Ministro degli Esteri canadese aveva protestato per l’arresto, nel regno, degli attivisti per i diritti delle donne? Per l’amor di Dio, vuole forse ritornarci?
Non è difficile scoprire gli aspetti morali (o immorali) di questa storia. Le armi hanno sempre la meglio sull’omicidio. I nostri ragazzi della “classe media” e le loro famiglie (perché, fortunatamente, non ho notato molte donne fra i dirigenti delle aziende produttrici di armi) devono avere la sicurezza del posto di lavoro, qualunque sia il costo da pagare in termini di convitati di matrimonio yemeniti uccisi, ospedali rasi al suolo o giornalisti decapitati. E, neanche due settimane dopo aver appreso che i consolati sauditi possono svolgere attività molto più ambiziose del rilascio dei certificati di divorzio, la realtà delle cose è già riuscita a smussare gli scrupoli anche delle nazioni occidentali più liberali. In modo che “questioni” e “situazioni” non interferiscano nelle “transazioni commerciali” dell’economia globale.
Robert Fisk
Fonte: www.independent.co.uk

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

giovedì 29 novembre 2018

Paul Craig Roberts – Cosa c’è veramente in gioco in queste elezioni


Un amarissimo articolo di Paul Craig Roberts sulle elezioni americane di medio termine ci presenta una situazione devastante in cui il presidente Trump appare completamente sopraffatto sul piano della politica internazionale dall’establishment contro cui ha fatto campagna elettorale e contro cui ha vinto le elezioni presidenziali. Ora la questione è se i “deplorabili” che l’hanno votato suggelleranno in maniera definitiva la vittoria dell’establishment – complice il lavaggio di cervello realizzato dai media –  o se sosterranno Trump imponendo, forse, una sterzata a questa deriva. 


Paul Craig Roberts, 6 novembre 2018

Non finisco mai di stupirmi della spensieratezza degli americani. I lettori mi mandano email in cui mi domandano perché mai sostengo Trump, che è il candidato dell’establishment. Se Trump fosse il candidato dell’establishment, perché l’establishment avrebbe passato due anni a cercare di distruggerlo?

Non riuscire a fare due più due è una cosa davvero straordinaria. Trump ha dichiarato guerra all’establishment durante tutta la campagna presidenziale e nel suo discorso inaugurale.

Come scrissi all’epoca, Trump ha grandemente sovrastimato il potere del presidente. Si aspettava che l’establishment, e i suoi dipendenti, si piegassero alla sua volontà, ma non conosceva Washington, né sapeva chi nominare per sostenere i suoi obiettivi. È stato totalmente sconfitto nella sua intenzione di normalizzare i rapporti con la Russia. Invece, ci troviamo di fronte alla Russia e alla Cina che si preparano alla guerra.

In altre parole, lo stesso risultato che avrebbe ottenuto Hillary.

Trump è stato così tormentato dall’establishment che ha problemi a pensare chiaramente. È stato il primo candidato non-establishment eletto dai cosiddetti “deplorabili”, da chissà quanto tempo. Bisogna tornare parecchio indietro nella storia per trovarne uno. Forse Andrew Jackson. Jimmy Carter e Ronald Reagan non rispecchiavano la scelta delle istituzioni democratiche e repubblicane, e l’establishment dominante si  mosse rapidamente per bloccare entrambe le presidenze. L’establishment democratico incastrò e rimosse sia il responsabile del bilancio di Carter che il capo dello staff, privando Carter di quelle competenze di cui aveva bisogno per il suo programma. L’establishment repubblicano riuscì a piazzare nei posti di potere dell’amministrazione Reagan persone fedeli a Bush, smussando così il suo programma economico riformista e la sua determinazione a porre fine alla guerra fredda. Ho combattuto entrambe le battaglie per Reagan, e ne porto ancora i lividi.

Trump è un outsider eletto dai “deplorabili”, quella classe media i cui posti di lavoro sono stati delocalizzati dalle multinazionali americane, a beneficio esclusivo dei dirigenti e dei grandi azionisti. Alcuni personaggi hanno svenduto la classe media americana, che sta scomparendo.

Nel resto del mondo, i veri alleati di Trump sono i presidenti di Venezuela, Bolivia, Nicaragua, l’ex presidente dell’Ecuador, e l’ex presidente dell’Honduras, che è stato rovesciato dal “primo presidente nero americano”, e la cui conseguenza è la carovana che si sta spostando verso il confine degli Stati Uniti. L’establishment è riuscito a confondere Trump in modo tale da fargli dichiarare la guerra dell’establishment contro i leader non-establishment in America Latina.

Ma allora, che importanza hanno le elezioni americane di medio termine?

Ci diranno se “i deplorabili” sono stati sottoposti al lavaggio del cervello dalle prostitute dei media dell’establishment e quindi non sosterranno Trump nelle elezioni della Camera e del Senato. Se i democratici, la cui politica è la Politica dell’Identità, conquistano la Camera e / o il Senato, Trump sarà reso completamente impotente. L’establishment spera di lanciare un chiaro segnale a tutti i futuri candidati presidenziali perché non facciano mai più appello al popolo contro gli interessi acquisiti dell’establishment.

In America la democrazia è una truffa. È l’oligarchia a governare, e il popolo, indipendentemente da come e quanto soffra sotto il dominio dell’oligarchia, deve sottomettersi e subire. Non più candidati alla presidenza, per favore, che rappresentino il popolo. Questa è la lezione che l’establishment spera di impartire alla marmaglia popolare nelle elezioni di medio termine.

Se l’America avesse dei media indipendenti, l’elezione dovrebbe riguardare la pericolosa situazione creata da Washington e che ha portato due paesi  potenti militarmente a prepararsi alla guerra con gli Stati Uniti. Questo è l’avvenimento più serio della mia vita. Tutto ciò per cui il presidente Reagan ha lavorato è stato rovesciato per gli interessi materiali del potere e per il profitto del complesso militare e della sicurezza.

Se l’America avesse dei media indipendenti, le elezioni riguarderebbero lo stato di polizia americano che – basato sulle menzogne sull’11 settembre, sulle armi di distruzione di massa, sull’uso delle armi chimiche, sulle bombe nucleari iraniane, sull’invasione russa dell’Ucraina – è stato accettato dagli ignavi americani. I responsabili di queste menzogne, che hanno causato pesantissimi crimini di guerra, per i quali le amministrazioni statunitensi dovrebbero essere incriminate, sono ricchi e prestigiosi. Il resto di noi ha sperimentato la perdita delle libertà civili e della privacy. Siamo tutti sottomessi allo stato di polizia.
Se l’America avesse dei media indipendenti, l’elezione riguarderebbe la deindustrializzazione degli Stati Uniti. Oggi, come chiarisce questo articolo, la delocalizzazione della produzione e dell’industria americana ha ridotto l’esercito americano a essere dipendente dai fornitori cinesi.
E l’amministrazione Trump crea problemi con la Cina!

Se l’America avesse dei media indipendenti, le elezioni riguarderebbero i 20 anni di crimini di guerra USA e NATO / UE contro Serbia, Afghanistan, Iraq, Somalia, Libia, Pakistan, Siria e Yemen, e il sostegno degli Stati Uniti e della NATO ai crimini di guerra di Israele contro quel che resta del popolo palestinese, e il sostegno USA e NATO / UE al regime neonazista stabilito dal regime di Obama in Ucraina che commette crimini di guerra contro le province separatiste russe, le cui popolazioni si rifiutano di accettare il rovesciamento da parte di Washington del governo ucraino democraticamente eletto e l’instaurazione di un regime neo-nazista da parte del “primo presidente nero americano”.
Se l’America avesse dei media indipendenti, le elezioni riguarderebbero la demonizzazione orchestrata dell’Iran. Quello stupido totale nominato da Trump a Segretario di Stato ha appena dichiarato (l’idiota non dovrebbe essere autorizzato ad aprir bocca) che Washington porterà alla rovina l’Iran a meno che il governo non accetti di comportarsi come uno stato normale.
Cosa intende dire Pompeo con “uno stato normale”? Vuol dire uno stato che prende ordini da Washington. L’Iran non ha invaso alcun paese. Il governo al potere è la continuazione del governo che rovesciò lo scià, un dittatore imposto all’Iran da Washington quando Washington e Londra rovesciarono il governo democraticamente eletto dell’Iran.
Ciò che l’infame Pompeo sta dicendo è che l’Iran deve sparire, perché l’Iran, come la Siria, sta ostacolando l’espansione di Israele nel sud del Libano, perché Iran e Siria riforniscono la milizia di Hezbollah, che per due volte ha respinto le invasioni israeliane del Libano meridionale. Il tanto decantato esercito israeliano è buono solo per uccidere donne e bambini nel ghetto disarmato di Gaza.

Se l’America avesse dei media indipendenti, qualcuno chiederebbe a Pompeo che cosa esattamente sta facendo l’Iran che giustifichi il recesso unilaterale di Washington dall’Accordo nucleare iraniano, in opposizione alle firme europee, russe e cinesi, e l’imposizione di sanzioni che nessun altro paese del pianeta, tranne Israele, sostiene?

Ma, naturalmente, l’America non ha media indipendenti. Ha una collezione di puttane conosciute come NPR, Washington Post, New York Times, CNN, MSCBS, Fox News, ecc.

Senza un’informazione onesta e indipendente, non c’è responsabilità di governo. L’America non ha media onesti e indipendenti. Pertanto, in America non c’è responsabilità di governo.

“I deplorabili” si trovano di fronte a un dilemma. Il presidente che hanno eletto è stato sorpassato dall’establishment e non può rappresentarli. Invece, Trump consegna ai suoi sostenitori il guerrafondaio John Bolton come consigliere per la sicurezza nazionale e il guerrafondaio Pompeo come Segretario di Stato USA. Avrebbe anche potuto nominare Adolf Hitler. In effetti, Hitler era una persona più ragionevole.

Quindi, di nuovo, in America si sta svolgendo un’elezione in cui non si discute di nessuna delle cose importanti.

A meno che il popolo americano non si sollevi in una ribellione armata, come popolo libero è finito, e, naturalmente, non potrà insorgere. Non tanto perché la polizia e tutte le agenzie del governo sono state militarizzate, quanto perché il Marxismo Culturale ebraico e la Politica dell’Identità del Partito Democratico hanno disorganizzato il popolo americano, e tutti si scontrano gli uni con gli altri. Il Marxismo Culturale e la Politica dell’Identità hanno diviso la popolazione americana in vittime e carnefici. I veri carnefici e le vere vittime non fanno parte del quadro, una costruzione utile a un’agenda ideologica. Non è l’oligarchia il carnefice, ma il maschio bianco che vota Trump. Non sono i multi-miliardari la fonte dell’oppressione, ma la forza lavoro manifatturiera e industriale marginalizzata. Questa ex forza lavoro è bianca e nera, ma la Politica dell’Identità del Partito Democratico mette neri e bianchi gli uni contro gli altri.

La mia conclusione è che l’America è condannata. Le persone, con poche eccezioni, non sono abbastanza intelligenti per continuare ad esistere. Forse l’esito delle elezioni di oggi cambierà la mia opinione. Se il voto va all’establishment, tutto è perduto.

Fonte:
vocidallestero.it

martedì 27 novembre 2018

Francia, i medici: pessima idea i vaccini imposti ai neonati

In Francia oggi la consuetudine prevede di praticare ai neonati 11 vaccinazioni. Una scelta giustificata da motivazioni solide. Tre erano già obbligatorie, mentre le altre otto erano raccomandate. Nel 2018 sono state rese tutte obbligatorie. Avrebbero anche potuto diventare tutte "raccomandate". Le autorità sanitarie francesi, con la ratifica del Parlamento, hanno scelto la strada dell'obbligo per accrescere o mantenere la copertura vaccinale, di fronte alle forti resistenze espresse nei confronti di alcune vaccinazioni. Ai timori sugli effetti indesiderati di alcune vaccinazioni e alle richieste di ricerche più attive sulle loro conseguenze a lungo termine, le autorità sanitarie francesi hanno scelto di rispondere con l'autoritarismo, giudicando i genitori che si oppongono alle vaccinazioni come degli "irresponsabili": espongono i loro bambini al rischio di tetano, la collettività al rischio di morbillo, le donne incinte al rischio di rosolia. Per questi genitori, sono le autorità sanitarie che sono "irresponsabili": si rifiutano di prendere in considerazione avvertimenti che emergono dalla farmacovigilanza, esponendo i bambini a gravi effetti indesiderati, in particolare neurologici.

La autorità sanitarie francesi nel 2017 hanno deciso di forzare la mano, assumendo un atteggiamento paternalistico, anche nei confronti di chi domanda maggiori conoscenze, in particolare sugli adiuvanti. Questa risposta deresponsabilizza i genitori e gli Vaccinooperatori sanitari, e alimenta la diffidenza. Rischia di portare a uno scontro con genitori convinti di difendere i bambini. Certezza contro certezza, senza alcun progresso sulla strada della valutazione. Questa risposta è un triste segno di incapacità. Incapacità di affrontare una contestazione, quale che ne sia la parte di irrazionalità e di scientificità. Incapacità di costruire una risposta adeguata, in una società in cui il sapere è condiviso e multiplo. Incapacità di sostenere gli operatori sanitari nel loro ruolo di mediatori, fornendo dati non influenzati dalle opinioni per quantificare i rischi e i benefici.

La nostra società non deve essere obbligata a scattare sull'attenti. Raccomandare le vaccinazioni che hanno un rapporto tra benefici e rischi favorevole offre il vantaggio di imporre alle autorità sanitarie alcuni obblighi: l'obbligo di fornire argomenti di sostegno chiari, senza negare i dubbi, l'obbligo di modificare le raccomandazioni a seconda dell'evolversi delle conoscenze, l'obbligo di mantenere comportamenti  esemplari nei rapporti con le case farmaceutiche che producono i vaccini e nelle scelte di sanità pubblica.

("Obbligati?", editoriale apparso sul numero 412 della prestigiosa rivista medica francese "La Revue Prescrire", considerata a livello internazionale «un autentico caposaldo della letteratura medica fondata sulle prove e indipendente dagli interessi delle case farmaceutiche», come spiega "Voci dall'Estero", che ha tradotto e pubblicato l'intervento).

To see the article visit www.libreidee.org

lunedì 26 novembre 2018

DOCUMENTO / TUTTI I DANNI DEL GLIFOSATO MADE MONSANTO – BAYER


Pubblichiamo un interessante intervento dell'avvocato Valentina Scaramuzzo, specializzata nelle controversie legali in tema di salute e ambiente.

Quella del 10 agosto 2018 sarà ricordata nel mondo dell'agrochimica, e non solo, come una data storica. Un primo passo verso il riconoscimento di tutte le battaglie che da anni portano avanti i sostenitori della nocività dei pesticidi.
Da quel verdetto, emesso da una giuria di San Francisco, tutto il mondo ha gli occhi puntati su Dewayne Johnson, l'uomo che per oltre trenta anni ha lavorato come giardiniere in varie scuole pubbliche della California e si è ammalato di cancro al sistema linfatico.
Il tribunale di San Francisco lo scorso agosto ha infatti stabilito che la causa della malattia fu l'uso dell'erbicida "Roundup", un prodotto a base di glifosato, prodotto dalla Monsanto ('fresca' di fusione con Bayer, l'altro colosso mondiale della chimica di sintesi), riconosciuta colpevole per non aver informato i consumatori dei rischi alla salute, connessi all'utilizzo del proprio prodotto.
La giuria popolare del processo aveva condannato la Monsanto a pagare a Johnson 250  milioni di dollari, a titolo di danni punitivi (che normalmente vengono comminati alle imprese che  "agiscono incautamente"), oltre ai 39 milioni di dollari come risarcimento danni.
Sono trascorsi solo due mesi ed arriva un secondo verdetto.
Il giudice Suzanne Bolanos respinge la richiesta di Monsanto di rifare il processo per insufficienza di prove, ma riduce da 289 milioni di dollari a 78 milioni di dollari il risarcimento,  tagliando drasticamente i danni punitivi da 250 milioni a 39 milioni di dollari.
Se Johnson accetterà la somma, cosi determinata, entro il 7 dicembre, non ci sarà più alcun altro processo, in caso contrario ci sarà un nuovo processo.
Intanto, i legali della Monsanto insistono nel voler ricorrere in appello.
Il caso Dewayne Johnson contro Monsanto è la prima denuncia, di fronte ad un tribunale, in cui si sostiene il legame tra il glifosato e cancro.
Gli avvocati Robert Kennedy jr e Michael L.Baum, difensori di Johnson, il 5 settembre, intervenuti in un udienza pubblica al Parlamento Europeo, hanno riferito: "Il giudice non ci ha permesso di mostrare l'80% dei documenti che abbiamo, che mostrano come la Monsanto ha manipolato la scienza, ha aiutato a scrivere studi sotto falso nome e ha soppresso i risultati cancerogeni  di Roundup e glifosato". 

MONSANTO PAPERS
Michael L.Baum ha spiegato inoltre che la raccolta di documenti fa parte dei cosiddetti "Monsanto Papers", ottenuti attraverso la procedura di 'scoperta', cioè una procedura civile pre-processuale statunitense, che permette alle parti di ottenere prove l'una dall'altra.
Ha descritto in dettaglio quella che considera la 'strategia' targata Monsanto: manipolare la scienza e sopprimere i risultati sulla cancerogenicità, utilizzando i documenti divulgati come prove. Testimonianze e prove, presentate al processo dai legali del Johnson, hanno dimostrato che i segnali di allarme, osservati nella ricerca scientifica, risalgono ai primi anni '80 e sono aumentati solo nel corso dei decenni. Ma con ogni nuovo studio che mostrava danni, la Monsanto ha lavorato non solo per non avvertire gli utenti, ma per creare la "propria scienza", per dimostrare che erano al sicuro.
L'azienda, spesso, ha spinto la sua versione della scienza, nel regno pubblico, attraverso il lavoro di ghostwritten, progettato per apparire indipendente e, quindi più credibile. L'autore fantasma, il ghostwriting, è una grave forma di inquinamento scientifico, una strategia di riciclaggio dei messaggi di cui si serve certa industria, specie nel settore farmaceutico, chimico ed agrochimico. Ecco cosa accade: l'industria scrive un articolo scientifico, se lo fa firmare da scienziati noti e questi prestanome vengono profumatamente retribuiti. Segue poi la diffusione dell'articolo su riviste scientifiche, e/o sui mezzi di informazione di massa, in barba al conflitto d'interessi, all'etica professionale ecc.. ecc…
Dai Monsanto Papers è emerso che molti scienzati, impegnati a dimostrare la non tossicità del glifosato e contrari all'agricoltura biologica, sono risultati legati da contratti più o meno fantasma con la mutinazionale.
Nella lista dei "prestanome" anche i vertici all'EFSA, l'Autorità Europea per la sicurezza alimentare (oggi tutti rimossi), responsabili di aver prodotto pareri scientifici non derivanti da sperimentazioni autonome, bensì da dati copiati dai documenti forniti dalla Monsanto, ricerche nelle quali risultava che il glifosato fosse una sostanza non pericolosa per la salute umana, smentendo di fatto quello che da anni ha sempre sostenuto lo IARC (Associazione Internazionale per la ricerca sul cancro), organo che fa capo alla stessa Organizzazione Mondiale per la Salute (OMS), la quale ha definito senza mezzi termini il Roundup genotossico, cancerogeno per gli animali, "probabilmebnte cancerogeno" per l'uomo.

E L'EUROPA COSA FA ?
Gioca continuamente al rinvio, esprime parere negativo al rinnovo della licenza di questo pesticida, ma solo a partire dal 2022, invece di applicare da subito il principio di "Precauzione". Sino a tale data, si salvi chi può!
La decisione della UE era stata presa il 27 novembre 2017, al culmine di una tortuosa trattativa politica. Alla fine, 18 paesi si erano espressi a favore del via libera all'uso della sostanza per altri cinque anni. Decisivo, a far pendere il piatto della bilancia, era stato il sì della Germania (guarda caso, sede della multinazionale Bayer), che aveva vinto l'ostilità di altri paesi (ad esempio Italia e Francia) che avrebbero preferito un vincolo più stretto. Il voto dei governi aveva peraltro sconfessato quello dell'Europarlamento, contrario a una proroga per il glifosato.
Dal canto suo, il Parlamento Europeo ha istituito una commissione speciale incaricata di esaminare la procedura di autorizzazione della Ue per i pesticidi, in risposta alle preoccupazioni sul sistema di valutazione dei rischi che hanno accompagnato il rinnovo per cinque anni dell'autorizzazione al commercio dell'erbicida glifosato, deciso dalla maggioranza degli Stati Ue e dalla Commissione europea.
La Commissione speciale del Parlamento Europeo, dovrà valutare: 1) eventuali carenze nel modo in cui le sostanze sono valutate scientificamente e approvate; 2) il ruolo della Commissione Europea nel rinnovo della licenza di glifosato ed eventuali conflitti di interesse nella procedura di approvazione; 3) il ruolo delle agenzie dell'Ue e se esse dispongono di personale e finanziamenti adeguati per adempiere al loro mandato.
Solo qualche settimana prima il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione in cui affermava che la pubblicazione dei cosiddetti "Monsanto Papers" – i documenti interni della Monsanto, azienda proprietaria e produttrice del Roundup, di cui il glifosato è la principale sostanza attiva – ha fatto sorgere dubbi in merito alla credibilità di alcuni studi utilizzati dall'Ue ai fini della valutazione della sicurezza. La risoluzione affermava che la procedura di autorizzazione dell'Ue dovrebbe basarsi unicamente su studi pubblicati e indipendenti sottoposti a revisione paritaria e commissionati dalle autorità pubbliche competenti, e che le agenzie dell'Unione europea dovrebbero essere rafforzate per consentire loro di lavorare in questo modo.

Fabian Tomasi. In apertura l'avvocato Kennedy con Dewayne

IL GLIFOSATO KILLER IN ARGENTINA
Ma ritorniamo in America. Forse Dewahine Jonhson non avrebbe mai voluto diventare un simbolo della lotta contro il glifosato, così come non lo avrebbe voluto essere Fabian Tomasi, uomo simbolo della lotta contro i pesticidi in Argentina e morto lo scorso 7 settembre all'età di 53 anni. Era diventato il simbolo della lotta degli agricoltori argentini contro il glifosato.
Aveva iniziato a lavorare per un'azienda agricola all'età di 23 anni. Doveva riempire i serbatoi degli aerei, usati per l'irrorazione degli erbicidi sui campi di soia. Serbatoi che contenevano  soprattutto glifosato. Fabian, che lavorava come gli altri operai agricoli senza nessuna formazione specifica, nessuna precauzione dai veleni, seguendo un solo consiglio: "non metterti contro vento, così i gas non ti raggiungono", comincia ben presto ad accusare gravi disturbi,  fino a che gli viene diagnosticata una polineuropatia tossica grave. Ma non è il solo. Nella sua stessa famiglia, il fratello, anche lui esposto all'irrorazione di erbicidi, era già morto per un tumore al fegato. Nelle campagne circostanti, i tumori sono il triplo di quelli che si riscontrano nelle città.
L'Argentina non ha mai regolamentato l'uso dei pesticidi, e Fabian comincia la sua battaglia affinché sia riconosciuta la relazione tra la  malattia e il  suo lavoro incessante nell'agrochimica. La stampa internazionale ne parla. Le foto del suo corpo fanno il giro del mondo. Diventa l'emblema delle lotte ambientaliste.
Si batte in particolare contro il glifosato, il pesticida prodotto dalla Monsanto e irrorato nella misura di 300.000 tonnellate all'anno sui campi argentini di soia transgenico.
"Siamo colpiti da un sistema di produzione che si preoccupa più di riempire le tasche di alcuni che della salute delle persone", diceva durante una delle sue ultime interviste televisive, parlando degli effetti dei pesticidi sulla salute dell'uomo.
Fabian Tomasi è morto senza aver ottenuto un processo.
Poche settimane prima della sua morte, commentando la condanna della Monsanto al maxirisarcimento in favore di Dewayne Johnson, aveva detto: "Non ho bisogno di soldi, ho bisogno di vivere. Non sono imprese, sono operatori della morte". 
(…) "Quando me ne sarò andato, continuate a difendere la verità".

VALENTINA SCARAMUZZO

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venerdì 23 novembre 2018

Livigni: ci governa la cupola che liquidò Kennedy e Mattei

Vorrei tornare su Enrico Mattei, di cui sono stato uno strettissimo collaboratore, per dire che in Italia è avvenuto qualcosa di orrendo, di sporco. Era stata fatta una inchiesta, quando l’aereo precipitò a Bascapè: un’inchiesta vergognosa, fatta da depistaggi e coperture della verità. Un’altra mezza inchiesta era stata subito chiusa. Nel 1994 ho pubblicato un libro con la Mondatori che si chiama “La grande sfida”, e sono riuscito avere documentazioni top secret dagli archivi della Jfk Library di Boston, dall’Eisenhower Library e, con mia sorpresa, ho scoperto che tra Mattei e Kennedy c’era una corrispondenza molto stretta. Dopo la crisi di Suez, quando Inghilterra e Francia erano state invitate dagli Stati Uniti a ritirarsi durante la Guerra di Suez, perché gli Usa temevano uno shock petrolifero, l’Italia avanzò la proposta di coprire un ruolo di nazione strategica, sul Mediterraneo, in sostituzione di Francia e Inghilterra. Kennedy era d’accordo, però bisognava dare stabilità politica al governo italiano, che cambiava ogni due mesi (c’era stata la crisi del governo Tambroni, che durò un mese e mezzo). Per dare stabilità politicabisognava scegliere un uomo e fare riforme. Kennedy esaminò tutti i possibili interlocutori italiani, e li scartò subito: via Fanfani, via Gronchi. E arrivò a Mattei: di lui, Kennedy era affascinato. E iniziarono delle trattative.
Una prima trattativa avvenne all’Hotel Excelsior di Roma, in grandissimo segreto. Mattei non si fece assistere da nessuno. Kennedy chiese alle grandi compagnie americane di mettere Mattei in condizioni di fare affari, di offrirgli contratti migliori di Mario Draghiquelli che aveva con l’Unione Sovietica. Dopo lunghe trattative, venne fatto un contratto tra l’Eni e la Esso per la fornitura di 12 milioni di tonnellate l’anno di greggio a condizioni veramente migliori di quelle che Mattei aveva con l’Urss. Dopo l’accordo commerciale, segretissimo, si passò alla trattativa politica. Parteciparono il responsabile della politicaestera di Kennedy e il futuro capo della Cia in Italia. Mattei doveva andare a dicembre 1962 a incontrare Kennedy. Non ne parlò con nessuno, neanche con me. Era abbastanza teso, in quei giorni: aveva ricevuto minacce. La cosa che mi colpì è che era stato in Sicilia, il 18 ottobre 1962. C’era stato un incontro a Gela, un Cda della Agip Mineraria. Lui transitò da Palermo, mi chiamò e mi disse: «Ti voglio vedere subito in aeroporto». Arrivò con l’aereo aziendale, mi diede indicazioni su fatti che stavamo svolgendo e io gli dissi: «Presidente, venga entro l’anno, perché abbiamo fatto una realizzazione, a Gela, che voleva lei: un grande deposito costiero per importare dalla raffineria di Gela i prodotti sul mercato». Lui disse: «Non posso venire, ho parecchi impegni, ci vediamo il prossimo anno».
Dopo sette giorni ricevo una sua telefonata. Io mi trovo a Palermo, avevo un incarico di “scout man”, l’uomo dei servizi segreti nel petrolio che cerca di sapere cosa fanno le altre compagnie. Mi disse: «Sto partendo per Gela». «Presidente, ma… come mai?». «Poi glielo dico». Arrivai a Gela prima di lui, andai al Motel Agip e mi dissero: «Non atterra qui». L’Agip aveva un aeroporto privato, l’aeroporto di Ponte Olivo, con una pista molto sorvegliata. Ma la sera prima avevano messo una carica di tritolo e rotto la pista per non farlo atterrare, per farlo venire con l’elicottero. E lui dovette atterrare a Catania, arrivò intorno alle 13. Abbiamo parlato di problemi in corso che riguardavano l’Iraq. Nessun libro, dei 300 e rotti pubblicati nel mondo su Mattei, ha mai parlato dell’Iraq. Sapevo che c’era una questione in Iran: non si era riusciti a entrare nel consorzio dopo la caduta di Mossadeq, fatto cadere dagli angloamericani perché aveva nazionalizzato il petrolio (fatto cadere con l’uso dei sicari Enrico Matteidell’economia). Mossadeq fu denunziato come se fosse un pazzo, e invece era molto saggio: era presidente del Consiglio del primo governo democratico iraniano, un governo eletto dal popolo.
Gli americani tornarono con gli inglesi e riaprirono le compagnie angloamericane, fecero un consorzio e noi siamo stati rifiutati. E Mattei disse: «Andiamoci a prendere il petrolio in Iraq». Che cosa era successo? Io ho conosciuto a Taormina Dino Grandi, ex ministro degli esteri del governo Mussolini, che mi ha informato che nel 1934 l’Agip, fondata nel 1926, era riuscita a ottenere in Iraq il più grande giacimento nell’area di Kirkuk, nell’area curda. Era riuscita per l’abilità di Grandi che venne a patti con gli inglesi, che avevano l’85% del territorio iracheno. Una concessione enorme, con una sessantina di concessioni. L’Iraq è un’invenzione di Churchill, che aveva capito che – tirando una linea, un rettangolo, e unificando sciiti, curdi, sunniti e turcomanni – avrebbe creato un paese in eterno confitto, facilmente governabile e dominabile da un punto di vista coloniale. Dino Grandi diede appoggio all’Inghilterra, perché scadeva il protettorato inglese nel 1934, presso la Società delle Nazioni, la futura Onu. In contropartita, l’Inghilterra accettò che l’Agip rilevasse una piccola società petrolifera, e poi accettò che questa si ingrandisse fino a diventare una concessione importante, che si chiama Mossul Oil Field.
E però avvenne che nel 1935 le truppe italiane invadono l’Etiopia, gli inglesi ricattano la Agip, dicono: «Se vuoi che noi interveniamo alla Società delle Nazioni per non fare sanzioni e un embargo petrolifero, ci devi cedere la Mossul Oil Field». Grandi trattò, e alla fine trovarono una soluzione: sarebbe andato a inglesi e americani il 51%, però l’Agip avrebbe mantenuto il 39% e una presenza strategica nella “golden share” della società, cioè avrebbe partecipato alle politiche e alle strategie. Quando Grandi tornò a Roma, Mussolini ebbe paura e disse: «No, cediamo la società, perché gli inglesi poi mi possono giocare un brutto scherzo, e io non posso fermare in Etiopia le truppe con un embargo». Mattei sapeva tutto questo, e dopo che fummo rifiutati dal consorzio iraniano disse: «Andiamoci a prendere il petrolio in Iraq». Si formò un gruppo molto ristretto. Io lavorai con l’équipe che andò in Iraq quando Khassem, nel 1958, abbatté la monarchia irachena di Re Faysal. Khassem venne contattato nel mese di agosto, in una caserma, mentre fuori si sparava. Gli fu portata una credenziale di Mattei, in cui diceva: «Vogliamo fare con voi un contratto paritetico, un partenariato, non un contratto in cui vi vede paese esattore di tasse Khassemo di royalty. Facciamolo insieme, facciamo una società paritetica che si occuperà anche di altre cose connesse al petrolio». Lui accettò e disse: «Voglio però prima cacciare via l’Iraq Petroleum Company».
E così si iniziò a dare assistenza legale a Khassem esaminando, concessione per concessione, l’Iraq Petroleum Company, per vedere dove questa società aveva mancato. Su 60 e rotti concessioni, la società ne aveva sfruttato solo tre, con un atteggiamento di scorrettezza enorme: si era mantenuta come riserva le altre risorse, privando il popolo iracheno di quelle royalty, ancorché irrisorie. Nel 1962 Khassem revocò le concessioni, queste 57 concessioni, all’Iraq Petroleum Company. Era una bomba! Una delle più grandi compagnie del mondo veniva buttata fuori, perché Khassem avrebbe fatto entrare l’Eni. Seguii da vicino la faccenda, ma non eravamo sicuri di essere sfuggiti ai servizi segreti americani e inglesi, perché in Italia c’era parecchia gente che voleva la fine di Mattei – parecchia. Lui aveva rotto con Fanfani: mandò all’opposizione i fanfaniani siciliani, che non erano gente troppo facile – erano Gioia, Lima. Avevano indirizzato i finanziamenti alla Dc, a Fanfani, a Moro. Era rottura totale, e Fanfani era presidente del Consiglio. Poi c’è la questione Cefis: Mattei lo aveva cacciato fuori, il vicepresidente, che era un uomo dei servizi inglesi.
Mattei era isolato, e durante la trattativa ho scoperto, con i documenti avuti, che c’erano stati interventi pesantissimi dell’ambasciata americana e inglese a Roma su Fanfani, per fermare Mattei, e Fanfani ha risposto: «Io Mattei non lo posso fermare, non ho il potere». È una cosa gravissima: «Fermare a ogni costo». Khassem fece una società nazionale per creare poi una società paritetica con noi, fece sapere che voleva dare un annunzio al giornalismo internazionale di questo progetto della costituzione della compagnia nazionale: non c’era più influenza esterna. Noi abbiamo detto: «Prendi tempo!». Era il 16 settembre del 1962. E Khassem, per la smania di dimostrare al popolo che stava lavorando per il bene dell’Iraq, rilasciò un’intervista che ci fece gelare. Disse: «Io ho revocato le concessioni all’Iraq Petroleum company e sto realizzando una società paritetica con l’Eni». Ci siamo sentiti persi: era grave, gravissimo. Abbiamo detto a Mattei di stare attento, di non viaggiare più in aereo. E quindi arrivò in Sicilia il giorno 26 ottobre. Eravamo terrorizzati. Io ho detto: «Presidente, non riparta questa sera per Milano. Venga con me, andiamo in campagna, mia moglie ha campagne vicino Palermo. Si riposi, non chiami neanche sua Eugenio Cefismoglie. Un amico andrà a Roma e avviserà sua moglie, ma lo farà in modo privato: per un mese, “faccia finta di…”». Lui disse: «No, devo andare. Devo incontrarmi a Milano con l’onorevole Tremelloni questa sera e poi devo partire, devo fare il contratto con l’Algeria».
Era un altro contratto molto osteggiato dagli angloamericani, ma soprattutto da Fanfani perché non voleva che Mattei portasse avanti una politica di rottura nei confronti delle Sette Sorelle (fu Mattei a definirle così, in verità all’inizio voleva dire “sorellastre” ma poi i giornalisti l’hanno modificato). E’ voluto partire lo stesso, Mattei. E quella sera l’aereo è caduto. In Italia abbiamo avuto una porcheria degna di nessun paese al mondo. Quando pubblicai “La grande sfida”, il procuratore Vincenzo Calia di Pavia, zona dove l’aereo è caduto, riaprì l’inchiesta perché la novità era il rapporto Mattei-Kennedy. Indagò con molta serietà, Calia. Ho avuto l’onore di collaborare da vicino con l’avanzamento inchiesta, e si accertò l’avvenuto sabotaggio. Si sono riesumati i corpi di Mattei e Bertuzzi, il pilota, e si sono trovate tracce di esplosivo: Compound 200, un esplosivo molto potente. Si è accertato che l’esplosivo era stato messo sotto i comandi del carrello, e si può fare attraverso il ruotino: si infila la carica con una calamita. La notte tra il 25 e il 26, l’aereo era stato portato dentro l’hangar militare della Nato (quello che vi dico è nell’inchiesta), ed è stato sabotato dai servizi: l’ho scritto. L’aereo, quando il pilota azionò la cloche per scendere, è andato in aria, è esploso.
Ebbene, quest’inchiesta, che stava arrivando ai mandanti, già individuati (il magistrato stava acquisendo ulteriori elementi per le prove) è stata archiviata nel 2003. Dicono che Mattei non si sa perché è morto, alcuni dicono in un incidente: è una vergogna che una verità sia stata occultata. Se ammazzano un uomo non succede niente: un paese indegno. (Io ci ho perduto la moglie, nel luglio 2007: una macchina ci ha speronato e mia moglie è morta. Ebbene, chi ci ha speronato – che era ubriaco e drogato – sta passeggiando tranquillo, si diverte, va alle feste. Denunziato per omicidio colposo, ma non succederà niente!).  Ritorniamo a Mattei. Archiviata l’inchiesta, io ho fatto un libro in 25 giorni, lavorando notte e giorno, che si chiama “Caso Mattei, un giallo Italiano”. Perché giallo italiano? Perché alla fine è stata gestito da italiani, da uomini per cui l’escalation di Carlos MarcelloMattei nella politica avrebbe dichiarato la fine politica o manageriale. E poi ho messo in evidenza, da una serie di documenti, un rapporto tra l’assassinio di Kennedy e quello di Mattei. A Catania c’era, quel giorno, Carlos Marcello, che è stato implicato nell’assassinio di Kennedy. Il tutto converge sull’oligarchia britannica – sulla Permidex, controspionaggio inglese.
Siamo sempre lì: il centro del mondo nella finanza è Londra, e quindi Mattei ha messo in difficoltà gli inglesi. Kennedy lo stesso, perché ha rotto i rapporti con l’oligarchia britannica della politica a fini finanziari, e ha posto fine alla guerra in Corea senza interpellare gli inglesi. Non ci sono prove, ma c’è un legame comune. Quindi Mattei è stato ucciso, anche se tutti quelli che hanno scritto libri, come Bruno Vespa, dicono è caduto per un incidente aereo. Negli anni ‘90 è accaduto qualcosa di grave, ma i giornali italiani non hanno parlato di nulla perché fanno solo propaganda, poi alla fine le verità vengono negate. E’ successo questo: cade il Muro di Berlino, e il ministro Scotti avverte il capo del governo che manovre strane stavano avvenendo da parte di importanti banche d’affari contro l’economia italiana. Poi ribadisce: me lo ha detto Parisi. Mi ha detto pure che potrebbero avvenire stragi o uccisioni. Nel ‘92 avvenne la strage di Capaci, dove la mafia ha avuto solo un ruolo di supporto militare. Invece è una strage con gruppi di potereBenito Livignipiù o meno occulto, che prepararono una svolta economica e politica: «Vogliamo sedere in Parlamento, vogliamo governare». Allora l’Italia avvia la svendita dell’economiapubblica.
Voglio parlare dell’Eni. Quando finì la guerra si avviò un dibattito tra i cattolici sociali e la sinistra italiana, guidata dai comunisti. Dovevano decidere quale struttura economica si doveva dare lo Stato italiano dopo il fascismo. I cattolici sociali hanno rifiutato il liberismo con una grande intuizione, perché il liberalismo penalizza le classi più deboli e spesso anche la vita della gente. Si creò un compromesso con lo Stato imprenditore che opera con le leggi del mercato in concorrenza, indirizzando in aree depresse anche l’economia privata. Viene privatizzato l’Eni, nel 1994 viene privatizzato l’Iri, altre aziende dello Stato nel campo delle telecomunicazioni. Alla fine di questo scempio, di questa carneficina, si sono divisi tutto. E nessuno ha mai parlato. Un pezzo alla sinistra, un pezzo alla destra: un’operazione scellerata di abbrutimento. L’unica denunzia viene fatta dal movimento civile americano di Lyndon LaRouche, ma Ciampi diventò presidente e tutto fu insabbiato. Tutto il patrimonio immobiliare dell’Eni, stimato in 100.000 miliardi, viene svenduto a un fondo Goldman Sachs. Stranamente, l’uomo che ha condotto questa operazione è stato Mario Draghi, che poi è diventato vicepresidente della Goldman. Non si può accettare, si tratta della logica più miserabile. Io l’ho denunziato, ma non è successo niente.
(Benito Livigni, dichiarazioni rilasciate in un recente incontro pubblico, ripreso da YouTube e riproposto da “Imola Oggi” il 2 novembre 2018).

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mercoledì 21 novembre 2018

Il ritorno dei caudillos latinoamericani


La “primavera del socialismo” dell’America Latina è al termine. Dopo oltre un decennio di Presidenti progressisti socialisti che anteponevano le persone al clientelismo, gli oligarchi dell’America latina, attraverso la prevaricazione dei tribunali, dei parlamenti e dei sistemi elettorali, hanno messo dei caudillos in carica in tutta la regione. A differenza del passato, quando i generali locali, con un cenno del capo dalla base locale della CIA, chiamavano i carri armati e le truppe per cacciare i Presidenti eletti democraticamente, i leader fascisti di oggi hanno scoperto che i social media, associati a giudici e legislatori corrotti, può mettere in scena quelli che sono, essenzialmente, “colpi di stato costituzionali” soft.
La primavera del socialismo in America Latina ha visto molte nazioni adottare politiche estere indipendenti, esenti dai dettami provenienti da Washington. Con gli Stati Uniti impaludati nei pantani [delle operazioni] militari in Afghanistan e in Iraq, l’America Latina si è liberata dalle catene politiche, finanziarie e militari che la legavano a Washington. Le nuove libertà dell’America Latina hanno irritato i neo-conservatori e gli ufficiali militari negli Stati Uniti, in particolare John Bolton, l’Ambasciatore di George W. Bush non confermato dal Senato presso le Nazioni Unite, e John Kelly, Comandante del Southern Command degli Stati Uniti a Miami. Sia Bolton, Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Donald Trump, sia Kelly, Capo dello Staff di Trump, sono ora in posizioni [atte] per essere complici dell’ascesa dei caudillos in America Latina, vendicandosi dei leader progressisti e dei loro partiti politici.
La primavera progressista socialista dell’America Latina era al suo apice quando il Presidente venezuelano Hugo Chavez, a capo di un blocco di nazioni latinoamericane e caraibiche che serviva come alternativa alla neo-coloniale Organizzazione degli Stati americani dominata dagli Stati Uniti, era una fonte d’ispirazione per altri leader progressisti nella regione. Tra questi, il Presidente argentino Nestor Kirchner e la sua vedova, Cristina de Fernandez Kirchner, che in seguito è stata eletta presidente; il Presidente nicaraguense Daniel Ortega; i Presidenti brasiliani Luiz Inácio Lula da Silva (“Lula”) e Dilma Rousseff; la Presidente cilena Michelle Bachelet; il Presidente ecuadoriano Rafael Correra; il Presidente boliviano Evo Morales; il Presidente del Paraguay Fernando Lugo; il Presidente haitiano Jean-Bertrand Aristide; il Presidente honduregno Manuel Zelaya; i Presidenti uruguaiani Jose (Pepe) Mujica e Tabaré Vazquez; [il Presidente del Guatemala] Alvaro Colom; e i leader di centro-sinistra nella Repubblica Dominicana, El Salvador, Perù, St. Vincent, Dominica e St. Lucia. I critici di destra della primavera latino-americana hanno definito la tendenza “Marea rossa” in modo spregiativo.
Chavez è stato l’intuizione che sta dietro la creazione dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA)(1), non sotto il controllo americano, e della Comunità degli Stati dell’America latina e dei Caraibi (CELAC)(2).
La primavera del socialismo dell’America latina ha iniziato a svelarsi dopo che gli Stati Uniti – principalmente attraverso la CIA e il Southern Command -, hanno architettato i colpi di stato da manuale a Haiti e Honduras, un tentativo di colpo di stato militare in Ecuador e “colpi di stato costituzionali” in Paraguay e in Brasile. Dopo che a Chavez è stata diagnosticata una forma aggressiva di cancro, il suo blocco bolivariano è stato assediato da Washington. Oggi solo il Venezuela, il Nicaragua, la Bolivia e l’Uruguay rimangono come vestigia del blocco progressista e tutte sono sotto assedio, in misura diversa, da parte di Washington e dai regimi “capitalisti clientelari” in Colombia, Brasile, Argentina, Cile e Perù.
L’elezione di Jair Bolsonaro, un politico di estrema destra dell’inadeguatamente nominato Partito Social-Liberale (PSL), a Presidente del Brasile rappresenta un ritorno al periodo dei caudillos sostenuti dall’esercito, nei “giorni della diplomazia delle cannoniere” di Washington e dell’imposizione di “Repubbliche delle banane” nell’emisfero occidentale.
Bolsonaro, un auto-proclamatosi ammiratore di Adolf Hitler, di Benito Mussolini e della precedente dittatura militare del Brasile, ha iniziato a dimostrarsi come una versione di estrema destra dei passati dittatori militari latinoamericani, ancor prima di essere eletto Presidente. Bolsonaro non ha fatto mistero di voler guidare un blocco di destra delle nazioni latinoamericane, asservito alle dottrine nazionaliste e razziste dell’amministrazione Trump. Bolsonaro ha aperto un dialogo con il Presidente di destra del Paraguay, Mario Abdo Benitez – il cui padre è stato Segretario privato del dittatore nazista Alfredo Stroessner – nel promettere di stringere legami più stretti tra Brasilia e Asuncion.
Il Presidente della destra colombiana, Ivan Duque, ha anche tenuto colloqui con Bolsonaro con l’intenzione di entrare a far parte di un blocco di estrema destra delle nazioni latinoamericane per un futuro Conservative Summit of the Americas, che probabilmente attirerà la partecipazione del Signor Trump. L’ex stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, impegnato con i suoi piani per un vertice dei partiti politici europei di estrema destra soggetto a una segreteria di Bruxelles chiamata “The Movement”, ha dato consigli a Bolsonaro e al suo ambizioso figlio, il deputato brasiliano Eduardo Bolsonaro.
Bolsonaro ha anche tenuto conversazioni con il Presidente di destra argentino Mauricio Macri, un socio commerciale di Trump, in attesa di formare una nuova alleanza di destra in America Latina. Bolsonaro ha ricevuto Jacqueline van Rysselberghe e Jose Durana, due senatori cileni di destra dell’Unione Democratica Indipendente (UDI) del Presidente cileno Sebastian Piñera, la quale considera benevolmente la brutale dittatura del generale Augusto Pinochet.
Bolsonaro e i membri di “The Movement” di Bannon con sede a Bruxelles stanno anche dando consigli alle forze boliviane di estrema destra, guidate da Maria Anelin Suarez capo della coalizione di opposizione Las Calles, che stanno cercando di estromettere Evo Morales dalla presidenza. Bolsonaro ha inviato uno dei suoi deputati eletti, Carla Zambelli, in Bolivia per organizzare, insieme a Suarez, Las Calles e gli associati di Bannon, la “marcia nazionale” contro Morales del 10 ottobre 2018. Bolsonaro ha segnalato che i suoi sforzi anti-Morales hanno il sostegno dell’Argentina di Macri e del Cile di Piñera, nel fomentare l’opposizione a Morales in Bolivia.
Bolsonaro ha detto che con lui come Presidente del Brasile, lui e l’Argentina con Macri e il Cile con Piñera sconfiggeranno il “socialismo” in Bolivia e in Venezuela. Bolsonaro è stato chiamato il “Trump dei tropici”. Bolsonaro ha promesso di sequestrare le terre delle tribù indigene del Brasile e consegnarle a uomini d’affari privati ​​per lo sfruttamento. Ha anche definito gli afro-brasiliani “obesi e pigri” e la gente proveniente da Haiti, dall’Africa e dal Medio Oriente arabo la “feccia dell’umanità”. Bolsonaro ha dato ai leader dell’opposizione brasiliana due scelte: l’esilio o l’esecuzione.
C’è una forte possibilità che Bolsonaro, Macri, Piñera, Abdo Benitez e Duque perseguano la rinascita dell’Operazione Condor(3), un’alleanza favorita dalla CIA delle agenzie di polizia segreta e di intelligence delle dittature militari latinoamericane che sono esistite dal 1968 al 1989. [L’Operazione] Condor, che aveva la benedizione del Segretario di Stato americano e del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Henry Kissinger, era responsabile della localizzazione e dell’assassinio dei leader di sinistra che si erano rifugiati in Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador, Paraguay, Perù, Stati Uniti, e Uruguay.
La Bolivia, circondata dai governi di destra in Brasile, Argentina, Paraguay e Cile, e dal Perù arrendevole a Washington, dovrà affrontare crescenti pressioni politiche, economiche e militari per negare a Morales un quarto mandato come Presidente nel 2019. Il Venezuela, già paralizzato per le sanzioni economiche imposte dall’amministrazione Trump, vedrà il Brasile e la Colombia consentire che le loro regioni di confine siano utilizzate per operazioni paramilitari, sostenute dalla CIA, contro il governo del Presidente Nicolas Maduro, il successore scelto da Chavez.
Il governo di Ortega in Nicaragua continuerà anche a subire gli sforzi di destabilizzazione della CIA, con il sostegno del governo di Bolsonaro in Brasile.
Solo il governo entrante progressista di sinistra di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) in Messico e [quello di] Cuba saranno in grado di aiutare la sopravvivenza delle poche sacche di populismo di sinistra nell’emisfero occidentale. I diritti dei lavoratori, dei contadini, delle popolazioni indigene, degli studenti e del clero non evangelico in America Latina saranno presto assaliti in un modo che non si è più visto dai tempi dei caudillos, delle giunte [militari] e dell’[Operazione] Condor. “Lula”, che rimane il leader politico più popolare in Brasile, è detenuto in carcere per 12 anni, con accuse inventate da un apparato giudiziario e legale di destra.
L’emisfero deve ora guardare a AMLO; al Presidente post-Castro di Cuba, Miguel Díaz-Canel; all’ex Presidente dell’Uruguay Mujica; e ai rimanenti Primi Ministri progressisti degli Stati caraibici di lingua inglese per salvare i leader di Bolivia, Venezuela e Nicaragua dall’imminente assalto fascista. Mujica ha avvertito che l’elezione di Bolsonaro rappresenta lo stesso tipo di mentalità che ha visto Hitler eletto in Germania. Mujica ha detto, alla vigilia delle elezioni brasiliane, che “gli esseri umani hanno poca memoria. Con la richiesta insistita di cambiamento, si può passare al peggio.” L’America Latina e l’opposizione anti-Trump negli Stati Uniti devono stare in guardia contro un nuovo patto fascista simile all’Asse guidato da Bolsonaro, Trump, Macri, Duque e compagni di viaggio, come Jimmy Morales, il Presidente comico del Guatemala, diventato fascista, e il dittatore della Repubblica delle banane honduregna Juan Orlando Hernandez.
Wayne Madsen
29/10/2018
Scelto e Tradotto per www.comedonchisciotte.org da NICKAL88
Note a cura del traduttore
  • L’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (spagnolo: Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) è un’organizzazione intergovernativa basata sull’idea dell’integrazione sociale, politica ed economica dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi. La denominazione “Bolivariana” si riferisce all’ideologia di Simón Bolívar, il leader indipendentista sudamericano del 19° secolo nato a Caracas, il quale voleva che l’America ispanica si unisse come un’unica “Grande nazione”.
Fondata inizialmente da Cuba e Venezuela nel 2004, è associata a governi socialisti e socialdemocratici che desiderano consolidare l’integrazione economica regionale basata su una visione di assistenza sociale, scambio e aiuto economico reciproco. I dieci Paesi membri sono Antigua e Barbuda, Bolivia, Cuba, Dominica, Grenada, Nicaragua, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine e Venezuela. Il Suriname vi è stato ammesso come Paese ospite in un summit del febbraio 2012. Le nazioni dell’Alleanza Bolivariana possono condurre scambi commerciali utilizzando una valuta regionale virtuale, nota come SUCRE. Il Venezuela e l’Ecuador hanno fatto il primo accordo commerciale bilaterale utilizzando il Sucre, anziché il dollaro USA, il 6 luglio 2010. L’Ecuador si è ritirato dal gruppo nell’agosto 2018.
Traduzione dall’Inglese all’Italiano
  • Comunità degli Stati dell’America latina e dei Caraibi (spagnolo: Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, CELAC) è un blocco regionale di Stati dell’America latina e dei Caraibi, elaborato il 23 febbraio 2010 (vertice del Gruppo Rio) e creato il 3 dicembre 2011, a Caracas, in Venezuela, con la firma della Dichiarazione di Caracas. Si compone di 33 Paesi sovrani nelle Americhe che rappresentano circa 600 milioni di persone.
La CELAC è un esempio di una spinta decennale per una più profonda integrazione in America Latina. La CELAC è stata creata per approfondire l’integrazione latino-americana e per ridurre l’influenza significativa degli Stati Uniti sulla politica e l’economia dell’America Latina. È considerata un’alternativa all’Organizzazione degli Stati americani (OAS), l’ente regionale fondato dagli Stati Uniti e da altre 21 nazioni dell’America Latina come contromisura per la potenziale influenza sovietica nella regione.
Nel luglio 2010, la CELAC ha scelto il Presidente del Venezuela Hugo Chávez e il Presidente del Cile Sebastián Piñera, in qualità di co-Presidenti del forum per redigere statuti per l’organizzazione.
Traduzione dall’Inglese all’Italiano
  • Operazione Condor (inglese: Operation Condor; spagnolo: Operación Cóndor; portoghese: Operação Condor) fu il nome dato dall’establishment dei servizi segreti statunitensi, la CIA e l’amministrazione della presidenza di Richard Nixon, a una massiccia operazione di politica estera statunitense, che ebbe luogo negli anni settanta del XX secolo, in alcuni stati del Sud America, volta a tutelare l’establishment in quegli stati dove l’influenza socialista e comunista era ritenuta troppo potente, nonché a reprimere le varie opposizioni ai governi partecipi dell’iniziativa. […]
Le procedure per mettere in atto questi piani furono di volta in volta diverse, tutte però ebbero in comune il ricorso sistematico alla tortura e all’omicidio degli oppositori politici. Spesso ambasciatori, politici o dissidenti rifugiati all’estero furono assassinati anche oltre i confini dell’America Latina. Alcune fra le nazioni coinvolte furono Cile, Argentina, Bolivia, Brasile, Perù, Paraguay e Uruguay. 

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