lunedì 13 agosto 2018

Roma Capitale fa memoria virtuale di Rita Atria e ignora da 9 mesi la richiesta di cittadinanza onoraria



Leggiamo tra le news del sito di Roma Capitale (26 luglio 2018) il ricordo della giunta capitolina alla Memoria di Rita Atria. 
Esprimiamo sconcerto per quanto letto perché ci sono errori sostanziali nel titolo («Mafia, Roma ricorda Rita Atria, la prima giovane che si è ribellata al sistema dell'omertà»), nella definizione di Rita come Collaboratrice e non correttamente come Testimone di Giustizia (ben due leggi ne hanno definito la differenza, se uniamo il titolo alla definizione di collaboratrice… diciamo che l'orrore semantico è fatto) e per aver "liquidato" una giornata di Memoria e Rispetto con un comodo comunicato senza nessuna azione di vera e reale commemorazione.

Infatti, nonostante i sollecitidopo quasi 9 mesi, come Associazione Antimafie “Rita Atria” non abbiamo ancora ricevuto, ad oggi, alcun cenno di risposta, solo un assordante silenzioda parte del Comune di Roma alla nostra richiesta, inoltrata, nel novembre dello scorso anno, alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, per il conferimento della cittadinanza onoraria a Rita Atria, la giovane Testimone di Giustizia, “uccisa” perché abbandonata dallo Stato, dall’indifferenza della società civile e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla e invece l’hanno lasciata nella completa solitudine di una casa estranea, in un palazzo di sette piani al civico 23 di Viale Amelia, proprio nella Capitale, luogo in cui risiedeva sotto protezione per le sue denunce contro le famiglie mafiose del partannese.
Vogliamo ribadire che nessun esponente delle Istituzioni, in particolare di quelle territoriali, pur invitate, ha ritenuto di dover essere presente fisicamente il 26 luglio scorso, a Roma in viale Amelia, che la vide lanciarsi nel vuoto in quel “volo” di solitudine, mentre noi, come ogni anno, abbiamo voluto tenere viva la testimonianza di Rita - come a Partanna, nel luogo in cui è sepolta -: eravamo lì per raccontare la storia di Rita, nel segno della Memoria Attiva, per condividere la sua scelta netta verso, come disse il giudice Paolo Borsellino, « il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale ». 
Non basta, quindi, scrivere sul sito di Roma Capitale, peraltro in un articolo inserito insieme a tanti altri nella sezione « Notizie», «Roma ricorda Rita Atria», con le dichiarazioni della Sindaca Virginia Raggi e dell’Assessore allo sport, politiche giovanili e grandi eventi cittadini Daniele Frongia, che in assenza di azioni concrete permangono dei meri slogan senza sostanza. È poi grave che nell’articolo di un sito isituzionale, come già accennato, si commetta l’errore macroscopico di definire Rita Atria «collaboratrice di giustizia»: no, lei era una «testimone di giustizia», che a differenza dei collaboratori non ha mai commesso reati, ma ha soltanto appreso o assistito ad eventi criminosi; Rita aveva deciso di denunciare la mafia partannese e i politici con essa collusi perché sognava un « altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore». 
Denunciamo a gran voce questa indifferenza da parte delle Istituzioni, spesso assenti quando si tratta di prendere posizioni concrete e responsabilità precise. Denunciamo ciò non per noi, ma per la Memoria di Rita, perché sia dato un segnale forte di giustizia ai cittadini, per non lasciare da solo chi decide di stare dalla parte giusta, dalla parte dello Stato, per dovere civico
Vorremmo che le Istituzioni tutte uscissero veramente dal silenzio, senza trincerarsi dietro dichiarazioni di circostanza, si assumessero responsabilità concrete, dandoci una risposta, riconoscendo finalmente la cittadinanza onoraria a Rita, sostenendo effettivamente i testimoni di giustizia. 
Noi continueremo ad andare avanti con le persone che vogliono esserci per testimoniare che Rita, la Verità vive, per dare voce a chi non ce l’ha più e per sostenere, per quanto possiamo, chi ha bisogno di amplificarla, affinché non resti isolato e non debbano esserci altre “Rita”.
Associazione Antimafie Rita Atria
Direttivo Nazionale

La Petizionehttps://www.change.org/p/sindaca-di-roma-rita-atria-chiediamo-alla-sindaca-di-roma-il-conferimento-della-cittadinanza-onoraria-0dea22f0-cb53-4779-bbee-8a86931d23cd

domenica 12 agosto 2018

P2 Story. La vera storia della P2 o dei misteri d’Italia

Prodotto nel 1985 dalla GVR di Prato con il patrocinio della Fondazione Lelio e Lisli Basso, il video dossier è andato in onda sulla Rai l'anno successivo. P2 Story è un documentario in 5 puntate della durata di circa un'ora ciascuno, in cui lo stesso Giuseppe Ferrara, nel ruolo di conduttore, ci svela le trame intricate e complesse della struttura e del modus operandi della loggia massonica Propaganda 2.
La ricostruzione è frutto del lavoro della Commissione Anselmi, commissione parlamentare che dall'82 all'84 ha indagato sulla P2 producendo una pila di faldoni impressionante.
All'inizio del film vengono introdotti alcuni dei personaggi principali, soffermandosi innanzitutto sulla figura di Ligio Gelli, Maestro Venerabile a capo della loggia.
Scopriamo qui che Gelli era una persona di umili origini, poco colta, il cui "talento" risiederebbe nella capacità di creare connessioni tra i personaggi chiave, un "ufficiale di collegamento" che mette in relazione le diverse istituzioni funzionali ai suoi scopi.
Altri personaggi importanti di questo primo episodio sono Michele Sindona, banchiere e criminale siciliano, mandante dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli, ucciso proprio per le indagini sulla Banca Privata Italiana dello stesso Sindona; l'arcivescovo Marcinkus, a capo dello IOR, figura poco trasparente, allontanata da Papa Giovanni Paolo II proprio per opporsi agli intrighi P2-IOR.




Dopodiché scopriamo il carattere internazionale dell'organizzazione. Soprattutto il traffico di droga e di armi in Sudamerica, uno dei capitoli più importanti della P2, per un giro d'affari da diverse centinaia di milioni di dollari all'interno di un'operazione denominata "South America Connection".
Inevitabile, è anche il riferimento alle stragi: Brescia (28/5/1974), l'Italicus (4/8/1974) la  stazione di Bologna (2/8/1980). Si parla anche del caso Moro, ucciso perché "i comunisti non dovevano salire al governo".
Non mancano nel documentario anche immagini di fiction, in cui vengono rappresentati l'omicidio di Boris Giuliano, il quale, indagava anch'egli su Sindona e sui flussi di droga provenienti dal Sudamerica e, l'omicidio di Pier Santi Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia, divenuto scomodo per i tentativi di analizzare i flussi finanziari della regione.


L'ultima parte si apre con una considerazione che dà speranza e fiducia verso le istituzioni: esiste ancora una parte sana, la commissione parlamentare, i giudici e i funzionari che hanno fatto il loro lavoro, altrimenti non sarebbe potuto emergere e denunciare il "golpe strisciante".
Alcuni esponenti della Commissione asseriscono che Andreotti sia stato l'uomo che più si è servito della P2, usandola come mezzo per la conservazione del potere, in un complesso intrigo che coinvolge soprattutto i servizi segreti americani.
Tra le riflessioni finali, spiccano quelle della scrittrice Rossana Rossanda: "Le istituzioni, se rimangono separate dal controllo popolare, diventano terreno di colture dei poteri forti".
Questa enorme opera di Ferrara rappresenta un documento imprescindibile per tutti quelli che vogliano studiare il fenomeno piduista.
Il docufilm è del 1985 e già da allora il rapimento di Emanuela Orlandi viene classificato come un "sinistro messaggio ricattatorio verso il pontefice". I ricattatori chiedono cose impossibili per avere segrete cose possibili. Il rapimento Sindona ricattava il governo italiano, il rapimento Orlandi quello vaticano.


                            Docufilm intero

L'articolo P2 Story. La vera storia della P2 o dei misteri d'Italia proviene da Blog di Emanuela Orlandi.

sabato 11 agosto 2018

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 9 ago 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Chi pagherà alla Siria 388 miliardi di dollari di danni di guerra?
 

 
Mahathir Mohamad libera la Malesia dall'influenza saudita
 

 
La Slovacchia implicata in un sequestro a Berlino nel 2017
 

 
Comincia la grande purga su internet
 

 
Il Pentagono rinvia il processo alla «mente» dell'11 settembre
 

 
La vera storia della caduta dell'Emirato islamico di Mukalla
 

 
Israele ricomincia con gli omicidi mirati di scienziati del Medio Oriente
 

 
Per la Libia, Trump scommette sull'Italia contro la Francia
 

 
In preparazione l'annuncio del piano degli Stati Uniti per il Medio Oriente
 

 
Israele bombarda un gruppo di Daesh in Siria
 

 
L'ONU si riposiziona sulla linea di demarcazione siriano-israeliana
 

 
Gli Emirati, primo Stato a riaprire l'ambasciata a Damasco
 

 
Il mito di una «NATO araba»
 

 
La Siria libera tutta la linea di demarcazione con Israele
 

 
L'Iran rifiuta la proposta USA di un incontro al vertice
 

 
La Turchia fallisce il rapimento di un cittadino turco in Mongolia
 
Controversie

 
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L’intervista di Paul Craig Roberts all’American Herald Tribune


AHT: Lei crede che nessun accordo con Washington possa essere ritenuto degno di fiducia; che cosa ci insegna la storia a questo proposito?
PCR: C’è una maglietta con la scritta: “Certo che puoi fidarti del governo, chiedi agli Indiani.” Alcuni governi sono più degni di fiducia di altri. Reagan, per esempio, aveva detto che avrebbe posto termine alla stagflazione e lo ha fatto. Reagan avevava detto che avrebbe terminato la guerra fredda e lo abbiamo fatto. Eisenhower ci aveva messo in guardia sul pericolo che rappresentava per la democrazia il complesso militare industriale, e noi abbiamo ignorato l’avvertimento.
Sembra che, quando c’è la possibilità di ritagliarsi grosse fette di potere e il governo è nelle mani di persone che perseguono programmi politici occulti, questi programmi vengono portati avanti con l’inganno. Per esempio, la “guerra al terrore” è in realtà una guerra contro quei paesi mussulmani che hanno una politica estera indipendente dai voleri di Washington e di Israele; è una guerra alle libertà civili degli Stati Uniti, ma è anche una guerra a quelle nazioni del Medio Oriente che ostacolano l’espansionismo territoriale di Israele. Ma Washington finge che sia una “guerra per la democrazia,” una “guerra per la libertà dal terrorismo, “ ecc.
I Russi hanno imparato, o avrebbero dovuto farlo, che, per Washington, nessun accordo è significativo. Quando la Russia aveva acconsentito alla riunificazione della Germania, le era stato promesso che la NATO non si sarebbe spostata di un centimetro verso est, ma l’amministrazione Clinton ha portato la NATO fino alla frontiera con la Russia. L’amministrazione Bush ha buttato nel cesso il trattato Anti-ABM e la Russia è ora minacciata dalle batterie dei missili antibalistici che si trovano a ridosso dei suoi stessi confini.
Non bisogna sforzarsi troppo per vedere che la parola di Washington, nella maggior parte dei casi, non vale nulla.
AHT: Perchè chiama gli stati europei “vassalli?” Quali sono i costi per gli Europei?
PCR: Tutta l’Europa, il Canada, la Gran Bretagna, l’Australia, il Giappone e la Corea del Sud sono vassalli di Washington. Ad essi non è consentito avere una politica estera o economica indipendente. L’Europa, per sempio, non ha nessun interesse a mettersi in conflitto con la Russia, ma è costretta a farlo da Washington. La NATO, l’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, che, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica non aveva più scopo di esistere, serve ora come copertura ai crimini di guerra di Washington in Medio Oriente, in Serbia e in Nord Africa. Tutti i leaders europei, con l’eccezione di Charles de Gaulle, [hanno servito e] servono Washington, non i loro popoli. Nessuno dei vassalli di Washington è uno stato sovrano. Se, per esempio, la Francia fosse uno stato sovrano, sarebbe una decisione tutta francese permettere, o no, che una banca francese presti denaro alle aziende che intrattengono attività commerciali con l’Iran. Ma la Francia non è uno stato sovrano e il maggiore istituto di credito francese è stato costretto a pagare miliardi di dollari di penale a Washington per aver finanziato società che facevano affari con l’Iran. Un altro esempio è quello dei cantieri navali francesi che avevano un contratto con la Russia per la costruzione di navi militari, navi che non hanno potuto consegnare per l’opposizione di Washington. Più o meno una settimana fa, il governo tedesco è stato informato da Washington che, se avesse collaborato con la Russia alla costruzione del gasdotto Nord-Stream 2, sarebbe stato colpito da sanzioni.
Gli esempi sono infiniti.
AHT: Lei ha più volte criticato la Russia per aver cercato di blandire Washington; crede che Russia voglia scendere a compromessi?
PCR: Non ho mai criticato la Russia per aver offerto l’altra guancia nel tentativo di raggiungere un accordo con Washington. Rispetto i tentativi della Russia per evitare la guerra. Mi sono chiesto se questi sforzi siano in grado di evitare una guerra o se invece rischino di provocarla. Ho espresso la preoccupazione che la grande resistenza di Putin agli insulti ed alle provocazioni finisca con l’attirarne ancora di più, fino al punto che l’unica alternativa rimasta alla Russia sarebbe la guerra. Ho suggerito che, forse, un atteggiamento più fermo da parte della Russia manderebbe un messaggio di allarme all’Europa sull’aggressività di Washington e potrebbe costringere gli Europei ad adottare nei confronti della Russia una politica più indipendente, che ridurrebbe le probabilità di un conflitto armato.
AHT: Riuscirà la Russia a stare in bilico fra Iran ed Israele, in Siria?
PCR: Se il governo russo non riuscirà a capire che la politica di Washington in Medio Oriente è determinata da Israele, allora il governo russo è completamente fuori di testa. Israele vuole destabilizzare la Siria e l’Iran perché queste due nazioni sostengono gli Hezbollah, la milizia libanese che ha frustrato per ben due volte i tentativi israeliani di occupare il Libano meridionale. Israele vuole le risorse idriche di quella regione. Se Israele riuscisse ad utilizzare l’esercito americano per togliere di mezzo i propri avversari, porterebbe avanti il suo progetto senza incontrare ostacoli.
Il governo russo si rende sicuramente conto che un Iran destabilizzato è una minaccia per la Russia anche più grande di una Siria destabilizzata.
AHT: In una sua frase famosa lei ha detto: “La Russia potrà entrare a far parte dell’Occidente solo se si arrenderà all’egemonia di Washington.” Ce la può spiegare?
PCR: Gli Stati Uniti sono un impero che, come quello di Roma, tollera con molta difficoltà le nazioni indipendenti. Le basi della politica estera degli Stati Uniti erano state formulate nel 1991 dall’allora Capo del Pentagono Paul Wolfowitz. Conosciuta come “Dottrina Wolfowitz” (reperibile su Internet), definisce come scopo principale della politica americana la prevenzione della crescita di qualsiasi nazione, in modo particolare della Russia, che possa in qualche modo ostacolare l’unilateralità di Washington. La Dottrina Wolfowitz è pienamente in vigore ed è la ragione per cui la Russia e il suo presidente sono stati demonizzati con oltraggiose bugie e false accuse, fin da quando la Russia aveva bloccato la prevista invasione della Siria (voluta da Obama) e il bombardamento dell’Iran. I Neoconservatori sono furiosi perché la Russia (e la Cina) hanno raggiunto un livello militare tale che permette loro, uniche nazioni al mondo, di non doversi piegare ai voleri di Washington.
AHT: Qual’è il modo migliore per trattare con gli Stati Uniti?
PCR: Il modo migliore per Russia, Cina, Iran e Corea del Nord di trattare con Washington è ignorare Washington e andare per la propria strada. Devono sganciarsi completamente dai sistemi occidentali che vengono usati per tenerli sotto controllo, dal sistema di compensazione SWIFT, dall’Internet con i server in America, dall’uso del dollaro americano come moneta di riserva, dal pareggio di bilancio nelle banche occidentali, dall’accettazione, all’interno dei propri confini, delle ONG finanziate dall’Occidente, dei media di proprietà straniera, dei capitali e delle banche occidentali nella propria economia. La maggior parte di questi avvertimenti riguarda la Russia e la Cina. La Corea del Nord è un paese chiuso, ma l’Iran è parzialmente aperto, come si è potuto vedere alcuni anni fa dai tentativi, sponsorizzati dagli Stati Uniti, di dar vita ad una “Rivoluzione Verde.”
Se volete sapere la verità, la propaganda americana è stata, fin dalla Seconda Guerra Mondiale, la forza più di successo in tutto il mondo. In tutte le nazioni, con l’eccezione forse della Corea del Nord, ci sono persone, compresi gli uomini politici, che credono alla propaganda americana. Vogliono solo copiare i successi magnificati dalla propaganda americana.
AHT: Lei ha scritto in precedenza: “Il problema di Washington con l’Iran non è mai stato il programma nucleare iraniano.” Allora, qual’è?
PCR: Washington ha due problemi con l’Iran. Il primo è che l’Iran è una nazione sovrana che contrasta la politica degli Stati Uniti. L’altro problema è che l’Iran è sulla strada di Israele. L’Iran sostiene gli Hezbollah e gli Hezbollah impediscono ad Israele l’annessione del Libano meridionale.
AHT: Una settimana prima della firma dell’accordo sul nucleare iraniano lei aveva scritto: “Il finto problema del nucleare serve a mascherare l’intenzione di Washington di abbattere l’indipendenza dell’Iran; finora il governo e i media iraniani hanno seguito le indicazioni di Washington e dei suoi organi di stampa venduti nell’accettare come vera una questione in realtà fittizia. Se l’Iran sopravviverà, sarà un miracolo.” Crede ancora che l’Iran abbia commesso un errore firmando l’accordo? E’ cambiato qualcosa da allora?
PCR: Non ho detto che l’Iran aveva fatto un errore firmando l’accordo. Indubbiamente, l’Iran non aveva scelta. Se l’Iran non avesse firmato il trattato avrebbe gettato al vento la protezione fornitagli dalla Russia. Avevo semplicemente avvertito l’Iran sul fatto che Washington non avrebbe tenuto fede agli accordi e ne sarebbe uscita il più in fretta possibile. Evidentemente avevo ragione. Una delle prime azioni di Trump è stata proprio quella di ritirarsi dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano e minacciare di sanzioni gli altri firmatari, se non si fossero anch’essi ritirati dell’accordo.
Nel caso dell’Iran, Trump fa gli interessi di Israele, che lo comanda a bacchetta. Ogni persona sulla Terra con un minimo di cognizione sa che l’Iran non ha un progetto per la costruzione di armi atomiche e che, anche secondo la CIA, ha rinunciato molti anni or sono ad un simile programma di armamento. L’Iran ha tenuto fede agli accordi che ha firmato. Sono gli Stati Uniti che si sono rifiutati di farlo. Il problema è se Gran Bretagna, Francia e Germania staranno ai patti o faranno il contrario, così come ordinato da Washington. E’ chiaro che Russia e Cina, a meno che i loro due governi non impazziscano, terranno fede all’accordo.
AHT: Che suggerimenti pratici darebbe agli Iraniani per controbilanciare il ritiro statunitense dall’accordo?
PCR: La mia risposta a questa domanda è praticamente identica a quella di una domanda precedente: l’Iran dovrebbe sganciarsi completamente dall’Occidente.
L’Iran dovrebbe perseguire accordi di cooperazione militare con l’alleanza russo-cinese. L’Iran dovrebbe usare gli introiti petroliferi per i servizi sociali di base dei suoi cittadini e per investimenti in Russia, Cina e, tramite la Cina, nelle altre economie asiatiche. L’Iran dovrebbe capire che il credo religioso è una questione interna della nazione, che non va esportato e dovrebbe concentrarsi sul compito di rendere l’Iran un paese felice. Visto che è sotto attacco da parte degli Stati Uniti e di Israele, l’Iran ha assolutamente bisogno del sostegno della sua gente e questo significa che l’Iran non può essere governato come l’America e non può permettersi una politica che favorisca solo i ricchi e i benestanti.
L’Iran, come la Russia, sta cercando di creare una popolazione moralmente elevata, immune alla depravazione dell’Occdente.
Il problema è se i Russi e gli Iraniani potranno resistere alla dissolutezza dell’Occidente e segnare la via per il futuro.
Paul Craig Roberts
Fonte: ahtribune.com

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

venerdì 10 agosto 2018

Rita Atria: racconto di due giornate di Memoria Attiva

www.ritaatria.it

Pubblichiamo due articoli che raccontano la giornata di Memoria Attiva dedicata a Rita Atria.

Una giornata intensa con due eventi di grande intensità.

fonte: www.articolo21.org

26 luglio 2018. In un torrido e silente pomeriggio d’estate romano, una melodia si diffonde in Viale Amelia, accarezzando le persone, i portoni e le finestre con la dolcezza sublime delle sue note: è l’Ave Maria di Shubert. Rita Atria, giovane donna, testimone giustizia a soli 17 anni, Lei che voleva vivere e crescere in «un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle…»,  aveva affidato al suo diario, molto prima di quel Volo di solitudine il 26 luglio 1992, il desiderio che fossero le note dell’Ave Maria ad accompagnarla nell’ultimo viaggio, temeva che i mafiosi l’avrebbero uccisa… dopo la morte del giudice Paolo Borsellino ad ucciderla è stata l’assenza dello Stato, l’indifferenza della società civile e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla e invece l’hanno lasciata nella completa solitudine di una casa estranea, in quel palazzo di sette piani al civico 23 di Viale Amelia, lontana da qualsiasi affetto, senza sostegno. Rita sa, probabilmente ha capito tutto, Lei che ha denunciato non solo i boss di Partanna, ma anche i politici collusi, ha fatto nomi e cognomi: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi… Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta».
Iniziare a raccontare dalla “fine” ascoltando l’Ave Maria, per riprendere il filo della memoria risvegliandola con le emozioni prima che con le parole. Un filo di Memoria Attiva, tessuto giorno dopo giorno, questo l’impegno dell’Associazione Antimafie “Rita Atria”, per tenere viva la testimonianza di Rita, di cui la tragica fine è simbolo di un percorso tanto travagliato, quanto coerente e fermo, per combattere quotidianamente quel pensiero mafioso diffuso: «Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci».
Quest’anno ripartiamo da noi – come sottolineato dalle fondatrici dell’Associazione, Santina Latella e Nadia Furnari, rispettivamente Presidente e Vicepresidente -, senza ”personalità importanti”, dalle persone del quartiere che sono presenti, da chi da ogni anno è qui per ricordare Rita, da chi non la conosceva e sentendo risuonare l’Ave Maria si è avvicinato, vuole capire, sapere… Quindi ripartire da un esame di coscienza collettivo, dal partecipare tutti attivamente, affinché la storia di Rita, la sua scelta netta verso, come disse il giudice Paolo Borsellino, « il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale », si incarni nelle persone, nella lotta quotidiana per la ricerca di verità e giustizia, di liberazione, attraverso la denuncia concreta delle violenze mafiose e quindi nell’impegno per la difesa dei diritti e della dignità.
Per questo, ognuno dei presenti è chiamato a prendere la parole ed esprimere un pensiero, come in un passaggio di testimone. «Sono qui per me», dice Paolo, un giovane studente universitario, e si legge negli occhi l’urgenza di sapere, comprendere ciò che è stato e sottrarlo all’oblio, farsene carico.
Annamaria, che abita nel palazzo di fronte al civico 23, è qui con noi ogni anno: «Quel giorno non ero a Roma», dice con rammarico, quasi volesse prendersi il peso dell’assenza collettiva, «Sento di doverci essere», la presenza come testimonianza, affinché il racconto di Rita sia d’esempio oggi per tutti. Eppure Rita – ricorda Nadia Furnari – almeno negli ultimi istanti, dopo quel Volo, non era sola: c’erano con lei alcune donne che abitavano nel palazzo, che le hanno stretto la mano, l’hanno abbracciata come delle madri, dandole quel conforto che non ha ricevuto in vita dalla vera madre, che l’ha “disconosciuta”. Una di queste donne, tutti gli anni ci ascolta affacciata dalla finestra, quasi che il dolore del ricordo non le permettesse di avvicinarsi…
Eppure, per evitare che le persone vengano isolate occorre avvicinarsi alle storie degli altri, affinché la testimonianza e la denuncia diventi un dovere civico diffuso e collettivo e che finalmente emergano le responsabilità delle stragi del 1992-1993: Rita è la settima vittima di Via D’Amelio, insieme al giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Oggi è scritto in una sentenza che vi furono depistaggi da parte di uomini delle istituzioni. «Noi vogliamo sapere la verità. Per quanto brutta possa essere», esclama Rossella, nel corso del suo intervento.
Già nel 1960, Leonardo Sciascia, ne Il giorno della civetta,  utilizzando la metafora della ”linea della palma” che saliva da sud a nord, fino a Roma e oltre, descriveva la mutazione dell’Italia, la diffusione capillare della mafia, del pensiero mafioso, dei metodi mafiosi. Quella metafora è da tempo realtà: perché la mafia è a Roma, come centro di potere, è stata ed è una questione di classi dirigenti, esiste una “borghesia mafiosa” che inquina questo paese… Lo sapeva bene il giudice Borsellino e nei suoi ultimi giorni di vita gli si manifestò senza “maschere” e ne rimase sconvolto, lui che si ritrovò da solo, come Falcone, «servitore dello Stato in terra infidelium»: «Ho visto la mafia in diretta»… «Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».
Rita Atria, donna che aveva spezzato il patriarcato mafioso, non è a conoscenza di quello che ha visto Borsellino, ma sa che cosa è veramente la mafia, conosce i suoi codici e le collusioni di cui si alimenta. Rita, stella luminosa in particolare per le tutte le donne e per tutti giovani, rosa rossa che emana il fresco profumo di libertà, ci lascia un testamento prezioso da raccogliere: «L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo…».
Per questo l’Associazione Antimafie “Rita Atria” sta chiedendo da mesi alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, che venga riconosciuta la cittadinanza onoraria a Rita Atria. Mentre nell’aula capitolina si è purtroppo dato spazio alla mozione se intitolare una via della città al fascista Almirante (sic!), invece non è degna neanche di un minimo cenno di risposta e quindi giace inascoltata la richiesta dell’Associazione per la cittadinanza onoraria a Rita, che ha incarnato senza compromessi con la sua testimonianza i valori costituzionali. Inoltre, a questo ventiseiesimo anniversario dalla sua morte, le istituzioni del territorio, pur invitate, hanno ritenuto di non essere presenti neanche per un “saluto”. Questa assenza pesa oggi come allora, ma andiamo avanti con i nostri compagni di viaggio, con le persone che vogliono esserci per testimoniare che la Verità vive.
Foto di Valentina Ersilia Matrascia


Rita Atria, 26 anni dopo la morte commemorazione a Partanna



“L’ho capito da lei cosa vuol dire avere coraggio. Ho imparato che nella vita non ci si deve inchinare alla prepotenza e che alla giustizia non servono parole tonanti, ma racconti veri, fatti concreti”. Scriveva così Rita Atria, in una lettera indirizzata allo zio Paolo, Borsellino. Amareggiata perché definita “pentita” pur non avendo nessuna colpa, se non l’onta “gravissima” di aver denunciato a 17 anni mafiosi e politici del suo paese, trasformando l’iniziale voglia di vendetta per l’uccisione di padre e fratello in sete di giustizia, grazie a quel giudice che credette alle sue dichiarazioni prendendola sotto la propria ala. Rita Atria, la “picciridda” di Borsellino, la settima vittima di via d’Amelio che quasi mai nessuno cita. Per lei stamattina un fiore sulla tomba a Partanna: un modo semplice scelto dall’Associazione Antimafie Rita Atria per ricordarla nel 26esimo anniversario della morte, avvenuta in solitudine dopo un volo dal settimo piano di una palazzina di viale Amelia a Roma, a una settimana dalla strage in cui persero la vita il magistrato e la sua scorta. “Siamo qui per ricordarla con coerenza. Nel Paese dell’apparenza abbiamo preferito dare un taglio discreto – è intervenuta la fondatrice dell’associazione, Nadia Furnari – Rita vive nelle parole che ha scritto, nelle sue denunce e nel suo gesto, tanto estremo che definirla vittima della sola mafia ci pare riduttivo”. Presenti i presìdi dell’associazione sul territorio e la testimone di giustizia Michela Buscemi, che con le donne del digiuno portò a spalla la bara di Rita. L’associazione ha organizzato anche un altro momento di memoria nella Capitale, dove da tempo chiede venga conferita la cittadinanza onoraria a Rita, ma attende ancora una risposta dalla Giunta capitolina.

Nel pomeriggio, un folto corteo ha colorato le vie di Partanna, quello delle bandiere di Libera sventolate dai ragazzi arrivati per rendere omaggio a Rita, da Torino a Vibo Valentia. “Vedere così tanti giovani in un luogo simbolo fa ben sperare – ha detto il sindaco Nicola Catania – Rita è stata e continua a essere per noi un segnale di positività, pur nella tragicità della sua vicenda. Il suo coraggio, la sua determinazione e forza di ribellione sono elementi portanti di una comunità ancora in cerca di riscatto per i soprusi subiti quotidianamente”. A Partanna anche i rappresentanti di tutte le forze dell’ordine che hanno ricordato come sia importante “non abbassare mai la guardia”, e Vincenzo Agostino, padre dell’agente ucciso Antonino insieme alla moglie, che ha parlato di fenomeno mafioso presente a tutti i livelli, da combattere con maggior vigore. Salvatore Inguì, di Libera Trapani, ha ricordato: “Rita Atria parlava della mafiosità che c’è in ognuno di noi. Senza la capacità di metterci costantemente in discussione e il desiderio di realizzare una vera giustizia sociale, la lotta alla mafia non è che un’ipocrisia”.


mercoledì 8 agosto 2018

RAI / BURIONI ATTACCA IL CANDIDATO FOA SUI VACCINI: UN CAVERNICOLO



Attacco su tutti i fronti a 360 gradi dai media di regime al candidato presidente Rai Marcello Foa. Da Repubblica al Corsera una velina pressocchè identica: "ultrà di Putin", "contro le Ong", "sovranista", "no euro" e – tanto per aggiungere un ingrediente al minestrone che non guasta mai – anche "No Vax".
Su quest'ultimo fronte entra in scena (anzi in sceneggiata) il solito scienziato (sic) pret a porter, Roberto Burioni, il Verbo Unico sul tema, il solo degno di dare il suo parere e gli altri tutti zitti, muti e "somari" (dal titolo della sua ultima illeggibile fatica letteraria), in ginocchio ad ascoltare il verbo del Vate.
In perfetto conflitto d'interessi, Burioni, come la Voce ha più volte documetato, per i suoi rapporti d'affari con svariate società farmaceutiche in tema di brevetti.
E già ce lo immaginiamo, Fratel Burioni, tra alambicchi & provette, cappucci & grembiulini per inventare le sue miracolose pozioni: visto è iscritto al Grande Oriente d'Italia. Il fatto è che Burioni se ne vergogna, non lo ammette, dice che non è vero. Mostrando un indomito coraggio che non sarà poi tanto gradito ai confratelli del GOI, fieri invece di esserlo.
Ma eccoci all'ultima polemica.


Roberto Burioni. In apertura, Foa

Scrive il Corsera: "ora riemerge dalla memoria della Rete un intervento assai dubbioso del giornalista italo svizzero sull'efficacia dei vaccini. Lo ha scoperto il virologo Roberto Burioni che ha ripescato un'intervista concessa al sito Informarexresistere in cui Foa ricorda che 'in Svizzera i vaccini non sono obbligatori. La gente può scegliere di non vaccinarsi eppure la popolazione non è particolarmente malata".
Suona la fanfara Repubblica: "Il 3 dicembre 2017 in una videointervista al videoblog 'Crescere informandosi', Foa esprime un punto critico sull'obbligatorietà dei vaccini. 'Iniettare 12 vaccini in un arco temporale di tempo molto stretto nel corpo di un bambino, provoca uno choc nel corpo. I vaccini dovrebbero esere limitati allo stretto indispensabile e solo per le malattie davvero gravi".
Ecco i commenti di Mago Burioni via twitter alle estrapolazioni effettuate dai due media di Palazzo.
Scrivono sul quotidiano di via Soferino: secondo Burioni "il presidente Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti. Sulla salute ci vuole corretta informazione, non la diffusione di balle mortali con i soldi del canone". A valutare se siano o meno balle abbiamo un Giudice Unico, il Mago Burioni.
Più conciso il quotidiano diretto da Mario Calabresi: "Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti".
Come del resto "cavernicoli, ignoranti ed egoisti" sono il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier e il virologo Giulio Tarro, allievo di Albert Sabin, l'inventore del vaccino antipolio. Forse qualcosina in più di Burioni ne sanno (ce ne vuol poco, del resto), forse qualche titoluccio accademico in più lo hanno nel loro curriculum, forse quel diritto alla Verità che il solo Burioni si arroga andrebbe un momentino rivisto.
Sorge spontanea la domanda: ma come mai l'Onnisciente Burioni non accetta un confronto pubblico con Montagnier e Tarro? Ha paura di qualcosa? Teme una figura barbina? O si scopra che il re è nudo?
E non hanno diritto di parola coloro i quali non mettono in dubbio l'utilità dei vaccini, ma le modalità di produzione (lo abbiamo scritto altre volte) e di utilizzo, da effettuare basandosi nel modo più assoluto sul principio di "Precauzione", come hanno stabilito un quarto di secolo fa la Nazioni Unite, ribadito 18 anni fa l'Unione Europea e ripetuto ad ogni convegno Montagnier, Tarro e altri scienziati che non la pensano come Mago Burioni.

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martedì 7 agosto 2018

Il crepuscolo della guerra, di Thierry Meyssan

Se si considera la guerra in Siria non un avvenimento a sé stante, bensì l’esito d’un conflitto mondiale durato un quarto di secolo, è d’obbligo interrogarsi sulle conseguenze della fine delle ostilità, ormai prossima. L’epilogo di questa guerra segna la disfatta di un’ideologia, quella della globalizzazione e del capitalismo finanziario. Le nazioni che non l’hanno capito, soprattutto dell’Europa occidentale, si emargineranno da sole dal resto del mondo.

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Donald Trump e Vladimir Putin durante il vertice bilaterale di Helsinki del 16 luglio 2018.
Le guerre mondiali non finiscono semplicemente con un vinto e un vincitore: il loro esito traccia i contorni di un nuovo mondo.
La prima guerra mondiale si è conclusa con la sconfitta degli imperi tedesco, russo, austroungarico e ottomano. La fine delle ostilità è stata suggellata dalla nascita di un’organizzazione internazionale, la Società delle Nazioni (SDN), incaricata di eliminare la diplomazia sotterranea e di regolare i conflitti tra gli Stati membri per mezzo dell’arbitraggio.
La seconda guerra mondiale si è conclusa con la vittoria dell’Unione Sovietica sul Reich nazista e sull’Impero del Giappone dell’hakkō ichi’u [1], cui ha fatto seguito una rincorsa degli Alleati per occupare le spoglie della Coalizione vinta. Ne è nata una nuova struttura, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), incaricata di prevenire nuove guerre impostando il diritto internazionale attorno a una duplice legittimazione: l’Assemblea Generale, dove ogni Stato conta uno, indipendentemente dalle dimensioni, e il Consiglio di Sicurezza, direttorio formato dai cinque principali vincitori.
La guerra fredda non è stata la terza guerra mondiale. Non si è conclusa con la sconfitta, bensì con l’implosione dell’Unione Sovietica. Non ha dato origine a nuove istituzioni e gli Stati dell’ex Unione Sovietica sono stati assorbiti da organizzazioni preesistenti.
La terza guerra mondiale è iniziata in Jugoslavia, è proseguita in Afghanistan, Iraq, Georgia, Libia, Yemen, e ora sta per concludersi in Siria. Il campo di battaglia è stato circoscritto ai Balcani, al Caucaso e a quello che ormai viene chiamato Medio Oriente Allargato. È costata la vita a tante popolazioni mussulmane e cristiano-ortodosse, senza troppo dilagare nel mondo occidentale. Dopo il vertice Putin-Trump di Helsinki, questo conflitto mondiale ora sta finendo.
Le profonde trasformazioni che hanno modificato il mondo negli ultimi 26 anni hanno trasferito parte del potere dei governi ad altre entità, amministrative e private, e viceversa. Si è visto, per esempio, un esercito privato, Daesh, proclamarsi Stato sovrano. Nonché il generale David Petraeus organizzare, quando era a capo della CIA, il più vasto traffico d’armi della storia e, dopo le dimissioni, proseguirlo in nome d’una società privata, il fondo speculativo KKR [2].
Questa situazione può essere descritta come scontro tra una classe dirigente transnazionale, da un lato, e governi responsabili di fronte ai governati, dall’altro.
Diversamente da quel che vuol far credere la propaganda, che addossa le cause delle guerre a circostanze contingenti, i conflitti hanno radici in rivalità e ambizioni profonde e d’antica data. Occorrono anni prima che gli Stati si ergano gli uni contro gli altri. È spesso è solo con il tempo che possiamo comprendere i conflitti che ci divorano.
Per esempio, pochissimi hanno capito quel che stava accadendo con l’invasione giapponese della Manciuria (1931); ci è voluta l’invasione tedesca della Cecoslovacchia (1938) per comprendere che le ideologie razziste avrebbero condotto alla seconda guerra mondiale. E sono rari quelli che hanno capito sin dalla guerra di Bosnia-Erzegovina (1992) che l’alleanza tra NATO e islam stava per aprire la via alla distruzione del mondo mussulmano [3].
Nonostante i lavori di storici e giornalisti, ancor oggi molti non hanno preso coscienza dell’enormità della macchinazione di cui tutti siamo stati vittime. Costoro si rifiutano di ammettere che la NATO coordinava truppe ausiliarie saudite e iraniane sul continente europeo. Eppure, è un fatto incontestabile [4].
Si rifiutano anche di ammettere che al Qaeda, accusata dagli Stati Uniti di aver compiuto gli attentati dell’11 settembre, ha combattuto poi agli ordini della NATO in Libia e Siria. Eppure, è un fatto incontestabile [5].
Il piano iniziale, che prevedeva di far ergere il mondo mussulmano contro il mondo ortodosso, si è modificato strada facendo. Lo «scontro di civiltà» non c’è stato. L’Iran sciita si è rivoltato contro la NATO, di cui era al servizio in Jugoslavia, e si è alleato alla Russia ortodossa per salvare la Siria multiconfessionale.
Dobbiamo aprire gli occhi sulla storia e prepararci all’alba di un nuovo sistema mondiale dove alcuni amici di ieri potrebbero diventare nostri nemici, e viceversa.
A Helsinki, l’accordo con la Federazione di Russia non è stato concluso dagli Stati Uniti, bensì dalla Casa Bianca: il nemico comune di Putin e di Trump è un gruppo transnazionale che esercita un potere negli Stati Uniti. Ritenendo di essere lui, e non il presidente eletto, il rappresentante degli USA, questo potentato non ha esitato ad accusare immediatamente il presidente Trump di tradimento.
Questo gruppo transnazionale è riuscito a convincerci che le ideologie sono morte e che la Storia è finita. Ha presentato la globalizzazione, ossia la dominazione anglosassone per mezzo della diffusione della lingua e dello stile di vita americano, come conseguenza dello sviluppo delle tecniche di trasporto e di comunicazione. Ci ha assicurato che un sistema politico unico, la democrazia (ossia il «governo del Popolo, da parte del Popolo, per il Popolo»), sarebbe stato ideale per tutti gli uomini e che era possibile imporlo ovunque con la forza. Infine, ha presentato la libera circolazione delle persone e dei capitali come la soluzione di tutti i problemi di manodopera e d’investimento.
Tuttavia, queste asserzioni, che noi tutti accettiamo nella vita di ogni giorno, non resistono un solo minuto alla riflessione.
Dietro queste menzogne, questo gruppo transnazionale ha sistematicamente eroso il Potere degli Stati e accaparrato ricchezze.
Lo schieramento che sta per uscire vincitore da questa lunga guerra difende invece l’idea che, per scegliere il proprio destino, gli uomini devono organizzarsi in Nazioni, definite in nome di un territorio, di una storia o d’un progetto comune. Sostiene quindi le economie nazionali contro la finanza transnazionale.
Abbiamo appena assistito alla Coppa del Mondo di calcio. Se l’ideologia della globalizzazione avesse vinto, avremmo dovuto sostenere non solo la squadra della nostra nazione, ma anche quella di altri Paesi, in ragione dell’appartenenza a strutture sovranazionali comuni. Per esempio, belgi e francesi avrebbero dovuto sostenersi reciprocamente, agitando bandiere dell’Unione Europea. Ma a nessun tifoso è venuta l’idea di farlo. È un indice che serve a misurare il fossato che separa, da un lato, la propaganda che ci propinano e che ripetiamo, e, dall’altro, il nostro comportamento spontaneo. Nonostante le apparenze, la vittoria superficiale dell’ideologia della globalizzazione non ha modificato quello che davvero siamo.
Non è evidentemente un caso che la Siria, dove migliaia di anni fa fu pensata e attuata l’idea di Stato, sia la terra su cui questa guerra si conclude. Ed è perché sono sostenuti da un vero Stato, che mai ha smesso di funzionare, che Siria, popolo siriano, esercito, e suo presidente hanno potuto resistere alla più gigantesca coalizione della storia, formata da 114 membri delle Nazioni Unite.