lunedì 7 ottobre 2019

Le auto elettriche coi motori nelle ruote


Indigo Technologies è una piccola azienda del Massachusetts (Stati Uniti) con una grande ambizione: cambiare il modo in cui funzionano le automobili elettriche, per renderle ancora più efficienti. Il suo fondatore, Ian Hunter, ha progettato e realizzato un motore elettrico che può essere inserito direttamente all’interno di ogni ruota, consentendo di ridurre i consumi e di aumentare l’affidabilità dei veicoli, grazie alla minore complessità della meccanica. Come 
racconta un articolo dell’Economist, Hunter non è il primo ad avere pensato a ruote motorizzate, ma la sua soluzione sembra essere più promettente dei prototipi circolati finora, che hanno fallito nel risolvere alcuni dei problemi tecnici e pratici.
La storia dell’automobile elettrica è molto più antica di quanto si possa immaginare. All’inizio del Novecento la possibilità di impiegare l’elettricità per muovere i veicoli era stata ampiamente esplorata, con sistemi all’avanguardia per l’epoca. All’Esposizione di Parigi del 1900, per esempio, l’ingegnere tedesco Ferdinand Porsche (il fondatore dell’azienda automobilistica Porsche) presentò un’auto che aveva un motore elettrico incorporato in ciascuna delle due ruote anteriori. In questo modo, aveva spiegato Porsche, erano stati esclusi componenti meccanici come cinghie di trasmissione e ingranaggi, rendendo più semplice la manutenzione.
La Lohner-Porsche poteva raggiungere i 35 chilometri orari e aveva un’autonomia di circa 50 chilometri. Era alimentata da batterie al piombo, non molto diverse da quelle che sono utilizzate ancora oggi nelle automobili per alimentare i loro circuiti elettrici. Come altri produttori di auto, alla fine anche Porsche decise di abbandonare la strada dell’elettrico, affidandosi ai motori a combustione interna che offrivano maggiore autonomia e flessibilità.

(Porsche)
Nei quasi 120 anni successivi, comunque, altri produttori e progettisti valutarono la possibilità di produrre automobili elettriche con i motori inseriti direttamente nelle ruote, sfruttando naturalmente soluzioni più moderne e pratiche della Lohner-Porsche. Prima o poi tutti dovettero fare i conti con alcune complicazioni, che finora non hanno permesso a questa tecnologia di diffondersi, o per lo meno di essere sperimentata con maggiore continuità dai produttori di automobili.
Un primo problema è che trasferire il motore dall’interno dell’auto alla ruota comporta una maggiore esposizione alle intemperie e agli agenti esterni. I componenti devono quindi essere ben isolati, per evitare che polvere e detriti possano compromettere il funzionamento del motore, o che l’acqua causi cortocircuiti. L’altro problema è legato al fatto che i motori appesantiscono le ruote, facendo aumentare la massa dell’auto che non può beneficiare della presenza degli ammortizzatori. Le ruote più pesanti fanno sì che il viaggio per gli occupanti dell’auto risulti meno confortevole e che l’auto stessa sia più difficile da governare.
Questi e altri ostacoli hanno fatto sì che finora i produttori di automobili elettriche abbiano imitato schemi e concezioni già applicate per le auto tradizionali. Di solito il motore elettrico è collocato nella parte frontale o posteriore (in alcuni casi i motori sono due, uno davanti e uno dietro) ed è poi collegato alle ruote, tramite un sistema per la trasmissione del movimento e per poter sterzare. La quantità di componenti meccanici è enormemente inferiore rispetto a quella delle auto tradizionali, ma ci sono comunque di mezzo diverse cose che potrebbero rompersi.
Indigo dice di avere risolto questi problemi grazie a T1, il suo sistema da inserire nelle ruote e che non è semplicemente un motore elettrico. Oltre a fornire il movimento, l’apparato comprende freni, un sistema attivo di sospensioni e uno per sterzare, riducendo al minimo le componenti meccaniche necessarie per realizzare l’auto.
La maggior parte dei problemi elettrici è stata risolta impiegando un motore che funziona a 48 volt, a fronte dei 400 utilizzati nella maggior parte delle attuali automobili elettriche. Questa scelta ha permesso di rendere il motore più facile da isolare, più resistente e più economico da produrre.
Ian Hunter ha spiegato all’Economist che i suoi T1 eliminano la necessità di avere un albero di trasmissione (che nelle auto tradizionali collega il motore alle ruote), le sospensioni e altri componenti meccanici piuttosto pesanti. La riduzione di peso consente di usare motori che consumano meno, e di conseguenza di installare batterie meno voluminose e pesanti. Oltre a essere più semplici da gestire, possono essere ricaricate più velocemente e anche attraverso i sistemi di ricarica che sfruttano le fasi di frenata. La minor massa complessiva del veicolo riduce inoltre il problema degli ammortizzatori, anche grazie al sistema di sospensioni inserito nelle ruote insieme al motore elettrico.
Indigo ha sviluppato diversi prototipi per testare il suo sistema ottenendo risultati incoraggianti, sia per quanto riguarda l’autonomia sia per quanto riguarda la sicurezza. Ogni ruota è infatti indipendente dalle altre e può sfruttare in ogni momento la potenza necessaria per superare particolari asperità del terreno, od ostacoli. Questo si traduce in una migliore tenuta di strada e una maggiore stabilità del veicolo.
Al momento Indigo non ha in programma la costruzione di una propria automobile, ma sta lavorando con diverse aziende automobilistiche per far conoscere le sue soluzioni tecnologiche. Entro la fine dell’anno potrebbe stringere i primi contratti, con la prospettiva di introdurre i suoi motori sulle automobili a guida autonoma.

venerdì 4 ottobre 2019

Angeli e Demoni: giro d’affari di oltre un miliardo di euro per distruggere famiglie

Maria Pia Capozza-photo di MARIA PIA CAPOZZA

Il mio intervento alla manifestazione di oggi a Roma “Angeli e demoni”:  International Protest
Oggi rappresento due associazioni: la Giovanna d’Arco Onlus, attiva per il contrasto agli abusi sui minori e la Themis & Metis, che ha come mission la lotta alla corruzione.
Da anni siamo attivi per offrire informazione (attraverso convegni o sui nostri canali social ed ovunque ne abbiamo la possibilità) e formazione (corsi di formazione – anche online – sulle tematiche della tutela dei minori, del contrasto agli abusi sui minori e della lotta alla corruzione).
Seguiamo con interesse, le varie inchieste che emergono sui temi che affrontiamo. L’inchiesta “Angeli e Demoni” quasi “miracolosamente” ha tolto il velo su un fenomeno che, in realtà, esiste da anni e sul quale non si è mai fatta chiarezza.
“Angeli e Demoni”, un’inchiesta talmente sconvolgente che il Procuratore Capo di Reggio Emilia ha così commentato: «Mi sono occupato di ’Ndrangheta per anni, ma questa inchiesta è umanamente devastante».
A questo proposito ricordiamo che già nel “marzo 1999 Carlo Giovanardi, allora vicepresidente della Camera, presentava al ministro della Giustizia Oliviero Diliberto un’accorata interrogazione parlamentare: quattro fratellini la notte del 12 novembre 1998 erano stati portati via dalle forze dell’ordine. I genitori non erano indagati né accusati di nulla, ma la cuginetta, dopo mesi di trattamenti con psicologi e assistenti sociali di Mirandola, aveva prima raccontato di abusi da parte dei genitori, poi via via coinvolto altri bambini, portando a una raffica di arresti e minori sottratti. Erano i primi atti del dramma poi noto come ‘I diavoli della Bassa Modenese’, anni di processi per presunti abusi, riti satanici e sacrifici umani, che si conclusero con il carcere per alcuni genitori, assoluzioni piene per altri (tra questi i genitori dei 4 fratellini, Lorena Morselli e Delfino Covezzi), sei adulti morti di dolore (tra i quali Delfino e don Giorgio Govoni, ritenuto il capo della setta e condannato a 14 anni, pienamente riabilitato post mortem). Una ventina i bambini spariti per sempre, anche i figli degli assolti.
Com’è noto, psicologi e assistenti sociali di allora erano in gran parte gli stessi oggi coinvolti nell’inchiesta choc di Reggio Emilia ‘Angeli e Demoni’”.
Viene spontaneo domandarsi cosa sia l’affido familiare ed il perché di tutta questa violenza verso bambini, ma anche il perché sia così importante sottrarli ai loro genitori.
L’affidamento è stato creato come uno strumento a tutela di quel minore, che solo temporaneamente risulti privo di un ambiente familiare idoneo alla propria crescita. L’affido è stato istituito anche come una forma di aiuto alla famiglia del minore, aiuto che si aggiunge ad altri eventuali interventi pubblici di sostegno (ad esempio, buoni alimentari, assegni familiari, sostegno nel pagamento di bollette). L’affidamento del minore a soggetti terzi, individuati in base alle indicazioni della legge, dura per il periodo in cui sussiste l’impedimento nella famiglia di origine. Tale situazione di disagio deve essere circoscritta nel tempo. L’obiettivo dell’istituto dell’Affido è contribuire ad eliminare la causa che abbia impedito alla famiglia di origine di prendersi cura del minore ed aiutare il minore a fare ritorno nel suo nucleo familiare.
Ed invece, scopriamo che non ci sono dettagli o stime sui minori che ritornano nella loro famiglia di origine ed anzi ci sono migliaia di genitori che sono scesi in piazza per “chiederne la restituzione”, quasi si trattasse di un sequestro. O forse, è un sequestro di Stato?
Da Nord a Sud, si scopre che l’Italia è diventato il Paese delle “Case Famiglia”: non esistono stime ufficiali ma da quelle sommarie, si può immaginare che ci siano oltre 1800 strutture e quasi 30mila minori fuori dalle loro case d’origine. Tra cui 1626 sono bambini al di sotto dei sei anni. I bambini e i ragazzi ospitati in queste comunità costano dai 70 ai 120 euro al giorno.
Le Case Famiglia vengono addirittura consigliate come una buona attività di Business su appositi siti.
I soldi sono “sicuri” in quanto le case Famiglia sono pagate dai Comuni, ovvero con soldi pubblici, fino a che il bambino resta lì e spesso la permanenza è fino alla maggiore età.
Un giro d’affari che si aggira oltre ad un miliardo di euro all’anno.
Chi monitora come vengono affidati gli appalti e come vengono spesi i soldi? Non si trovano Bilanci Sociali sulla questione.
Come stanno i bambini dentro le strutture?
Chi monitora il loro miglioramento e chi si occupa di verificare e favorire il ritorno dei bambini nelle loro famiglie?
Mancano monitoraggi, verifiche, controlli.
Emergono ingenti flussi di denaro pubblico e conflitti di interesse tra assistenti sociali, magistrati, psicologi, politici e case famiglie in tutta Italia
Emerge, in modo drammatico, che le famiglie in difficoltà non solo non vengono aiutate ma addirittura vengono private dei loro figli.
Appare chiara l’esistenza di un “Sistema” in tutta Italia (ed in Europa) di “ladri di bambini”.
Resta confermato, quindi, che esiste un Sistema che regge il Business Sociale ovvero una rete capillare che coinvolge professionisti, politici, magistrati.
Resta anche confermato che il Business è di almeno un miliardo di soldi pubblici.
Sul sito del Dipartimento per le Politiche della Famiglia, si legge l’ultimo “Rapporto di Monitoraggio sulle Politiche per la Famiglia delle Regioni e Province Autonome” del 19 Marzo 2018 e scopriamo che “Nel quadriennio 2014/2017, il Dipartimento per le politiche della famiglia ha destinato, con quattro diverse Intese, oltre 20 milioni di euro per lo sviluppo di servizi e/o interventi a favore dell’infanzia e della famiglia cui si è aggiunto il cofinanziamento da parte delle Regioni pari al 20% del finanziamento assegnato, anche attraverso la valorizzazione di risorse umane”.
Lo Stato spende solo 20 milioni di euro per aiutare le Famiglie disagiate ed oltre un miliardo di euro per sostenere le Case Famiglie che dovrebbero aiutare “momentaneamente” alcune di quelle famiglie.
Inoltre, secondo l’ISTAT in Italia e è aumentato il “rischio di povertà (20,6% dal precedente 19,9%) le quote di famiglie gravemente deprivate (12,1% dal precedente 11,5%) e quelle a bassa intensità lavorativa (12,8% dal precedente 11,7%)”.
Leggiamo, anche, che “Il principale obiettivo da raggiungere in modo coeso, condiviso e partecipato a livello dell’UE è la definizione del concetto di famiglia come soggetto sociale, affinché possano essere definite politiche familiari esplicite e chiaramente incentrate sul soggetto “famiglia”, al fine di valorizzarlo nella propria dimensione relazionale e di reciprocità. ….
Insomma, l’obiettivo dichiarato è aiutare la famiglia in stato di disagio ma lo si fa soltanto con pochi “spiccioli” mentre il grosso degli investimenti di soldi pubblici viene destinato a Case Famiglie.
Molti genitori che hanno denunciato la sottrazione dei loro bambini, raccontano di sottrazioni effettuate da “commandi” di dodici o tredici persone – tra operatori dei Servizi Sociali e del Terzo Settore e/o forze dell’Ordine – e suggellate da provvedimenti di Magistrati dei Tribunali dei Minori che hanno messo la loro firma su tragedie familiari.
Molti genitori si sono suicidati in quanto accusati ingiustamente di aver abusato dei propri figli.
Dai giornali si apprende che a Reggio Emilia, decine di persone, tra cui il sindaco Pd di Bibbiano Andrea Carletti – arrestato -, politici, medici, assistenti sociali, liberi professionisti e psicologi e psicoterapeuti di una Onlus sono stati raggiunti da misure cautelari varie. I reati contestati fanno ipotizzare che si fosse creata una rete, con l’obiettivo di strappare i bambini illecitamente ai genitori per darli ad altri. E per raggiungere questo obiettivo ogni mezzo era lecito: comprese false relazioni, terapeuti travestiti da personaggi «cattivi» delle fiabe in rappresentazione dei genitori, falsi ricordi di abusi sessuali generati attraverso impulsi elettrici per alterare lo stato della memoria dei piccoli in prossimità dei colloqui giudiziari. Si parla di «lavaggio del cervello».
I falsi dossier dell’indagine di Reggio Emilia sono composti da disegni dei bambini falsificati con l’aggiunta di dettagli a carattere sessuale, abitazioni descritte falsamente come fatiscenti, stati emotivi dei piccoli relazionati in modo ingannevole, travestimenti dei terapeuti da personaggi «cattivi» delle fiabe messi in scena ai minori in rappresentazione dei genitori intenti a fargli del male, denigrazione della figura paterna e materna.
Ricordiamo anche il caso de “Il Forteto” una comunità di recupero per minorenni nata negli anni ’70 a Vicchio del Mugello, vicino Firenze, con altre vittime, per maltrattamenti e abusi sessuali su minori.
I racconti dei ragazzi de Il Forteto, raccolti da Le Iene sono devastanti: “Sono arrivato a 13 anni perché mio padre era stato accusato di abusi sessuali”, racconta Paolo, uno dei ragazzi della comunità, alla Iena nel primo dei tre servizi dedicati a questo caso. “Sono arrivato al Forteto e sono stato abusato. Erano rapporti completi”.
Queste due storie di orrore e molte altre che sembrano diverse, ad una più attenta osservazione, appaiono simili.
Simili nel metodo: creazione di una rete criminale – che comprende operatori del Terzo Settore ed Organi Istituzionali: Politici, Magistrati, Assistenti Sociali, Ispettori – per togliere i bambini alle famiglie e darli in Affido a strutture di accoglienza del Terzo Settore – Cooperative e Onlus finanziate con Fondi Pubblici.
Simili nell’obiettivo: abusare dei Minori dati in Affido.
Simili nel Movente: ottenere soldi e potere attraverso la commissione di reati in associazione a delinquere.
Le conferme vengono dalle dichiarazioni dei Carabinieri, che hanno seguito l’indagine sugli illeciti affidamenti di minori in provincia di Reggio Emilia è «un business illecito di diverse centinaia di migliaia di euro di cui beneficiavano alcuni degli indagati, mentre altri si avvantaggiavano a vario titolo dell’indotto derivante dalla gestione dei minori attraverso i finanziamenti regionali». Grazie a questi fondi venivano, inoltre, organizzati anche numerosi corsi di formazione e convegni ad appannaggio di una Onlus, «in elusione del codice degli appalti e delle disposizioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione».
Tutto questo alimenta Sistemi e reti di corruzione capillari che contano su connivenze tra Istituzioni e Terzo Settore, mala gestio dei soldi pubblici, corruzione in atti giudiziari e, soprattutto, violenza inaudita e manipolazione verso bambini, distruzione di famiglie, suicidi di madri e padri disperati.
I fatti accaduti non sono isolati e dimostrano l’esistenza di una rete, capillare e ben organizzata, all’interno delle Istituzioni, che supporta crimini come la pedofilia e la pedopornografia. Il volume d’affari dietro la pedopornografia è ingente e dietro ogni foto distribuita sui canali pedopornografici, si nasconde un abuso.
La politica e le Istituzioni dovrebbero sentire il dovere di intervenire in modo radicale, i Media dovrebbero avviare più inchieste in contemporanea per evidenziare quanto il fenomeno sia diffuso.
Abbiamo una “Commissione di Inchiesta su Il Forteto”, avviata soltanto a febbraio 2019 e di cui non conosciamo lo stato dei lavori.
Abbiamo una “Squadra speciale appena istituita sull’inchiesta “Angeli e Demoni”” di cui sappiamo che si occuperà principalmente di rivedere il settore affidi per il futuro ma non si occuperà dei fatti di Bibbiano.
Le domande, tutte senza risposta, sono tante:
1) dov’era chi doveva controllare sugli appalti, sull’assegnazione ma anche sull’esecuzione di appalti concessi con fondi pubblici? Come mai i fondi pubblici risultano assegnati alle stesse Cooperative ed alle stesse Onlus da anni e sempre per lo stesso servizio? Il criterio di rotazione non vale?
2) Ci sono stati controlli in loco presso Il Forteto o le Case Famiglia della Provincia di Reggio Emilia? Chi ha firmato i verbali, le relazioni; chi ha intervistato i minori e le loro famiglie? Chi ha valutato i risultati dei programmi di intervento sui minori che, oggi, risultano essere stati abusati da anni?
3) Chi risarcirà i danni ai bambini abusati ed ai loro genitori a cui sono stati strappati? Chi provvederà al recupero psico-fisico dei danni subiti?
Le risposte non possono tardare a venire.
La risposta a tutte le domande, inoltre, deve essere quella di effettuare maggiori controlli quotidiani, ispezioni, programmi di prevenzione e di intervento. Punizioni esemplari per chi delinque.
Partecipando alla manifestazione, chiediamo:
• il RIDIMENSIONAMENTO DEI COMPITI DEL TRIBUNALI PER I MINORENNI al primario obiettivo di giudicare i minori colpevoli di reati, ovvero alle competenze in materia penale e l’istituzione di altre forme di tutela dei minori e delle loro famiglie, con personale specializzato e formato continuamente sui temi dei conflitti di coppia, mediazione, abusi e pedofilia.
• l’ABOLIZIONE dell’art.403 c.c., che prevede l’intervento urgente di “messa in sicurezza” del minore a mezzo dei Servizi Sociali del Comune, semplicemente, su segnalazione di una terza persona e dopo aver riferito al Sindaco, ottenendo l’eventuale supporto della forza pubblica.
• AIUTO per le famiglie in difficoltà economica o con disagio sociale.
• SUPPORTO e RISARCIMENTO DANNI per gli allontanamenti illeciti.
• ISPEZIONI a tappeto e riapertura dei fascicoli per riesaminare questioni controverse, al fine di far ritornare i bambini nelle loro famiglie di origine.
• di PARTECIPARE come Terzo Settore sano e di essere chiamati come parti sociali a verificare che questi controlli siano effettuati, che siano monitorati il benessere psico-fisico dei bambini e delle loro famiglie, che siano assicurati alla giustizia tutti coloro che continuano a lucrare su questo Business.
In particolare, Themis & Metis e la Giovanna d’Arco onlus attiveranno dei corsi di formazione online, a basso costo o gratuiti – se riceveranno dei finanziamenti ad hoc – per formare il personale che opera con i bambini ma anche per informare le famiglie sui propri diritti e sulle procedure da seguire, in caso di separazione o divorzio e di gestione della coppia genitoriale.

mercoledì 2 ottobre 2019

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