mercoledì 27 marzo 2019

LA GUERRA AL VENEZUELA È COSTRUITA SULLA MENZOGNA


Viaggiando con Hugo Chavez, mi fu subito chiara la minaccia del Venezuela. In una cooperativa agricola nello stato di Lara, la gente aspettava paziente e allegra, nonostante il caldo. Brocche d’acqua e succo di melone passavano di mano in mano. Una chitarra suonava; una donna, Katarina, si alzò e cantò con voce roca.
“Che cosa dicono le parole?” chiesi.
“Che siamo orgogliosi”, fu la risposta.
Gli applausi per lei si mischiarono a quelli per l’arrivo di Chavez. Sotto un braccio portava una borsa piena di libri. Indossava la sua grande camicia rossa e salutava le persone per nome, fermandosi ad ascoltare. La cosa che mi colpì di più era la sua capacità di ascoltare.
Poi si mise a leggere. Per quasi due ore lesse al microfono dalla pila di libri accanto a lui: Orwell, Dickens, Tolstoj, Zola, Hemingway, Chomsky, Neruda: una pagina qui, una riga o due là. La gente applaudiva e fischiava mentre lui passava da autore ad autore.
Poi gli agricoltori presero il microfono e gli raccontarono ciò che sapevano e ciò di cui avevano bisogno; un volto antico, che pareva scolpito dal tronco di un albero, fece un lungo discorso critico sul tema dell’irrigazione; Chavez prendeva appunti.
Qui coltivano vigneti, un’uva di tipo Syrah scuro. “John, John, vieni qui”, disse El Presidente, avendomi visto sonnecchiare nel calore e nelle profondità di Oliver Twist.
“Gli piace il vino rosso”, disse Chavez al pubblico esultante e fischiettante, facendomi dono di una bottiglia di “vino de la gente”. Le mie poche parole in cattivo spagnolo provocarono fischi e risate.
Guardando Chavez con la gente si capiva l’uomo che promise, al suo arrivo al potere, che ogni sua mossa sarebbe stata sottoposta alla volontà della gente. In otto anni, Chavez vinse otto elezioni e referendum: un record mondiale. Elettoralmente era il capo di stato più popolare dell’emisfero occidentale, probabilmente del mondo.
Tutte le principali riforme chaviste furono approvate, in particolare una nuova Costituzione, di cui il 71% della popolazione ratificò ciascuno dei 396 articoli che sancivano libertà fino ad allora inconcepibili, come l’articolo 123, che per la prima volta riconosceva i diritti umani delle razze miste, di cui Chavez faceva parte, e delle persone di colore.
In una delle sue lezioni di gruppo citava una scrittrice femminista: “Amore e solidarietà sono la stessa cosa”. Il suo pubblico lo capiva bene e si esprimeva con dignità, raramente con deferenza. La gente comune considerava Chavez e il suo governo come i loro primi campioni, come fossero di loro proprietà.
Questo era particolarmente vero per gli indigeni, per i meticci e per gli afro-venezuelani, storicamente considerati con disprezzo dagli immediati predecessori di Chavez e da quelli che oggi vivono lontano dai quartieri poveri, nelle dimore e negli attici di Caracas orientale, che fanno i pendolari a Miami dove hanno le loro banche e che si considerano “bianchi”. Sono il potente nucleo di ciò che i media chiamano “l’opposizione”.
Quando incontrai questa classe sociale, in periferie chiamate Country Club, in case arredate con lampadari bassi e brutti quadri, li riconobbi. Avrebbero potuto essere bianchi sudafricani, la piccola borghesia di Costantia e Sandton, pilastri delle crudeltà dell’apartheid.
I vignettisti della stampa venezuelana, di cui la maggior parte è di proprietà di un’oligarchia che si oppone al governo, ritraevano Chavez come uno scimmione. Un conduttore radiofonico lo chiamava “la scimmia”. Nelle università private, il modo di parlare dei figli dei benestanti è spesso un abuso razzista di coloro le cui baracche sono appena visibili attraverso l’inquinamento.
Sebbene la politica dell’identità sia di gran moda nelle pagine dei giornali liberali in occidente, razza e classe sono due parole che non si pronunciano quasi mai nella falsa “copertura” dell’ultimo, più crudo tentativo di Washington di agguantare il più grande deposito di petrolio al mondo e di reclamare ciò che considera il suo “cortile di casa”.
Nonostante le molte colpe dei chavisti – come permettere all’economia venezuelana di diventare ostaggio degli alti e bassi del petrolio e di non sfidare mai seriamente il grande capitale e la corruzione – essi hanno portato la giustizia sociale e l’orgoglio a milioni di persone e l’hanno fatto con una democrazia senza precedenti.
“Delle 92 elezioni che abbiamo monitorato”, dichiarò l’ex presidente Jimmy Carter, il cui Carter Center è un rispettato osservatore delle elezioni a livello globale, “direi che il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo”. Per contrasto, disse Carter, il sistema elettorale degli Stati Uniti, con la sua enfasi sul denaro, “è uno dei peggiori”.
Conferendo diritti e privilegi a uno stato parallelo di autorità popolare, con sede nei quartieri più poveri, Chavez descrisse la democrazia venezuelana come “la nostra versione dell’idea di Rousseau di sovranità popolare”.
Seduta nella sua minuscola cucina nel barrìo La Linea, Beatrice Balazo mi disse che i suoi figli erano la prima generazione di poveri a frequentare la scuola per un’intera giornata, pasto caldo incluso, per imparare musica, arte e danza. “Ho visto la loro sicurezza sbocciare come un fiore”, ha detto.
Nel barrìo La Vega, ho ascoltato un’infermiera, Mariella Machado, una donna di colore di 45 anni con una strepitosa risata, rivolgersi ad un consiglio urbano su argomenti che vanno dai senzatetto alla guerra illegale. Quel giorno, stavano lanciando Mision Madres de Barrio, un programma mirato alla povertà tra le madri single. Secondo la Costituzione, le donne hanno il diritto di essere pagate come badanti e possono prendere prestiti da una banca speciale per donne. Ora le casalinghe più povere ricevono l’equivalente di $ 200 al mese.
In una stanza illuminata da un singolo tubo fluorescente, ho incontrato Ana Lucia Ferandez, di 86 anni, e Mavis Mendez, di 95 anni. Una trentatreenne, Sonia Alvarez, era venuta con i suoi due figli. Una volta, nessuno di loro poteva leggere e scrivere; ora stavano studiando matematica. Per la prima volta nella sua storia, il Venezuela ha quasi il 100% di alfabetizzazione.
Questo è il lavoro di Mision Robinson, che è stato progettato per adulti e adolescenti a cui precedentemente era negata un’educazione a causa della povertà. Mision Ribas offre a tutti l’opportunità di un’istruzione secondaria, chiamata bachillerato (i nomi Robinson e Ribas si riferiscono ai leader indipendentisti venezuelani del XIX secolo)
Mavis Mendez, nei suoi 95 anni, ha visto una sfilza di governi, per lo più vassalli di Washington, presiedere il furto di miliardi di dollari di bottino di petrolio, in gran parte trasportato a Miami. “Non avevamo importanza dal punto di vista umano”, mi disse. “Vivevamo e morivamo senza una vera istruzione, senza acqua corrente e cibo che non potevamo permetterci. Quando ci ammalavamo, i più deboli morivano. Ora posso leggere e scrivere il mio nome e molto altro ancora, e checché ne dicano i ricchi e i media, noi abbiamo piantato i semi della vera democrazia e io ho la gioia di vederli crescere”.
Nel 2002, durante un colpo di stato appoggiato da Washington, i figli e le figlie, i nipoti e i pronipoti di Mavis si unirono a centinaia di migliaia di persone che scesero dai barrios sulle colline e pretesero che l’esercito rimanesse fedele a Chavez.
“La gente mi ha salvato”, mi disse Chavez. “Lo hanno fatto con i media contro di me, impedendo anche i fatti di base di ciò che è accaduto. Per un eroico esempio di democrazia popolare, ti suggerisco di non guardare oltre”.
Dalla morte di Chavez nel 2013, il suo successore Nicolas Maduro ha perso la sua etichetta derisoria sulla stampa occidentale come “ex autista di autobus” ma ne ha acquisito un’altra come la reincarnazione di Saddam Hussein. Il modo in cui i media abusano di lui è a dir poco ridicolo. Da quando governa, il calo del prezzo del petrolio ha causato un’iperinflazione e devastato i prezzi in una società che importa quasi tutto il suo cibo; eppure, come ha riferito il giornalista e cineasta Pablo Navarrete questa settimana, il Venezuela non è la catastrofe che è stata dipinta. “C’è cibo ovunque”, ha scritto. “Ho girato molti video di cibo nei mercati [in tutta Caracas] … È venerdì sera e i ristoranti sono pieni.”
Maduro fu rieletto presidente nel 2018. Una sezione dell’opposizione ha boicottato le elezioni, una tattica tentata contro Chavez, ma il boicottaggio è fallito: 9.389.056 persone hanno votato; sedici partiti hanno partecipato e sei candidati si sono presentati per la presidenza. Maduro ha ottenuto 6.248.864 voti, ovvero il 67,84%.
Il giorno delle elezioni, ho parlato con uno dei 150 osservatori elettorali stranieri. “Il voto è stato assolutamente equo”, mi disse. “Non c’è stata alcuna frode, nessuna delle clamorose accuse dei media sta in piedi. Zero. Veramente incredibile.”
Come in una pagina del ricevimento del tè di Alice nel Paese delle Meraviglie, l’amministrazione Trump ha presentato Juan Guaidò, una creatura del National Endowment for Democracy della CIA, come “legittimo presidente del Venezuela”. Sconosciuto all’81 per cento del popolo venezuelano, secondo The Nation, Guaidò non è stato eletto da nessuno.
Maduro è “illegittimo”, dice Trump (che ottenne la presidenza degli Stati Uniti con tre milioni di voti in meno rispetto al suo avversario), un “dittatore”, ribadisce l’evidentemente squilibrato vicepresidente Mike Pence e “un trofeo petrolifero”, rincara il consigliere della “sicurezza nazionale” John Bolton (che quando lo intervistai nel 2003 mi disse: “Ehi, sei un comunista, forse persino Laburista?”).
Come suo “inviato speciale in Venezuela” (specializzato in colpi di stato), Trump ha nominato un criminale dichiarato, Elliot Abrams, i cui intrighi al servizio dei presidenti Reagan e George W. Bush hanno contribuito a far scoppiare lo scandalo Iran-Contra negli anni ’80 e precipitato l’America centrale in anni di sanguinoso squallore.
Senza scomodare Lewis Carroll, questi “pazzi” appartengono ai cinegiornali degli anni ’30. Eppure le loro menzogne sul Venezuela sono state accolte con entusiasmo da quelli pagati per dire le cose come stanno.
Sulla rete televisiva indipendente inglese Channel 4 News, Jon Snow ha inveito contro il deputato laburista Chris Williamson, “Guarda, tu e il signor Corbyn vi siete cacciati in una situazione molto brutta [sul Venezuela]!”. Quando Williamson ha cercato di spiegare perché minacciare un paese sovrano è sbagliato, Snow lo interruppe. “Hai parlato abbastanza!”.
In effetti, nel 2006, Channel 4 News aveva accusato Chavez di aver tramato la fabbricazione di armi nucleari con l’Iran: una fantasia. L’allora corrispondente da Washington, Jonathan Rugman, permise a un criminale di guerra, Donald Rumsfeld, di paragonare Chavez a Hitler, senza contraddittorio.
Tempo fa i ricercatori della University of the West of England studiarono i reportage della BBC sul Venezuela su di un periodo di dieci anni. Esaminarono 304 reportage e scoprirono che solo tre di questi si riferivano a una qualsiasi delle politiche positive del governo. Per la BBC, il record democratico del Venezuela, la legislazione sui diritti umani, i programmi alimentari, le iniziative sanitarie e la riduzione della povertà non sono avvenuti. Il più grande programma di alfabetizzazione nella storia umana non è accaduto, proprio come i milioni che marciano a sostegno di Maduro e in memoria di Chavez, non esistono.
Quando alla giornalista della BBC Orla Guerin è stato chiesto perché avesse filmato solo una marcia dell’opposizione, lei ha twittato dicendo che era “troppo difficile” coprire due marce in un solo giorno.
Una guerra è stata dichiarata al Venezuela, la cui verità è “troppo difficile” da riferire.
È troppo difficile riferire che il crollo dei prezzi del petrolio dal 2014 è in gran parte il risultato di macchinazioni criminali di Wall Street.
È troppo difficile denunciare come sabotaggio il blocco dell’accesso del Venezuela al sistema finanziario internazionale dominato dagli Stati Uniti.
È troppo difficile riportare le “sanzioni” di Washington contro il Venezuela, che hanno causato la perdita di almeno 6 miliardi di dollari nelle entrate del Venezuela dal 2017, inclusi 2 miliardi di dollari di medicinali importati, come illegali, o di dichiarare un atto di pirateria il rifiuto della Bank of England di restituire la riserva d’oro del Venezuela.
Alfred de Zayas, ex relatore delle Nazioni Unite, ha paragonato tutto ciò ad un “assedio medievale” progettato “per mettere in ginocchio i paesi”. È un attacco criminale, dice. È simile a quello affrontato da Salvador Allende nel 1970 quando il presidente Richard Nixon e il suo equivalente di John Bolton, Henry Kissinger, si proponevano di “far urlare l’economia [del Cile]”. Seguì la lunga notte buia di Pinochet.
Il corrispondente del Guardian, Tom Phillips, ha twittato una foto di un berretto su cui le parole in spagnolo significano in gergo locale: “Rendi il Venezuela fottutamente figo”. Il giornalista-pagliaccio potrebbe essere la fase finale di gran parte della degenerazione del giornalismo mainstream.
Se il tirapiedi della CIA Guaidò e i suoi suprematisti bianchi prendessero il potere, sarebbe il 68° rovesciamento di un governo sovrano da parte degli Stati Uniti, la maggior parte dei quali democrazie. Seguirà sicuramente una svendita delle utenze e delle risorse minerarie del Venezuela, insieme al furto del petrolio del paese, come delineato da John Bolton.
Sotto l’ultimo governo controllato da Washington a Caracas, la povertà raggiunse proporzioni storiche. Non c’era assistenza sanitaria per coloro che non potevano pagare. Non c’era educazione universale; Mavis Mendez e milioni come lei non potevano leggere o scrivere.
Quant’è figo questo, Tom?
John Pilger
Scelto e tradotto per comedonchisciotte.org da Gianni Ellena

martedì 26 marzo 2019

STRAGE DEL SANGUE INFETTO / UN SUICIDIO DI MASSA…


I morti di Ustica? Sull’aereo c’era un pilota pazzo che s’è fatto scoppiare con tutti i passeggeri a bordo.
Il rogo di Viareggio? I passeggeri non hanno rispettato il divieto di fumare e così si sono dati fuoco. Se la sono cercata.
Gli inabissati del Moby Prince? Quei fessi si erano spostati tutti su un lato della nave per giocare a guardia e ladri. Uno ha acceso un fiammifero nella stiva per cercare l’altro e boom.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? Stavano comprando un chilo di marjuana prima di ripartire per l’Italia e si sa cosa succede in questi casi. Un diverbio sul prezzo e via.
Paolo Borsellino? Si è autobombato in via D’Amelio con la scorta perché si celebrassero tutti i processi Borsellino fino al quater e potesse passare alla storia. Peccato sia stato pareggiato da Ruby, anche lei col suo poker.
Adesso la “strage per il sangue infetto”. Finalmente le vittime hanno vuotato il sacco al processo di Napoli: tutti a zonzo per il mondo, dalle foreste africane alle carceri statunitensi, per provare il brivido dell’emozione, cioè rapporti sessuali con gorilla e galeotti, tanto per finire i propri giorni in gloria.
Finalmente, una buona volta, in un colpo solo i famigerati Misteri di Stato che hanno segnato la storia del nostro Paese risolti con un colpo di bacchetta magica. Altro che Poteri & Servizi non poi tanto segreti, altro che Depistaggi e collusioni mafiose: la verità era lì sotto il naso, più semplice che bere un bicchier d’acqua.

SCENEGGIATA NAPOLETANA
Uscendo dalle metafore tragicomiche, siamo all’indomani della sentenza pronunciata dalla sesta sezione penale del tribunale di Napoli, presieduta da Antonio Palumbo.
Dopo tre anni esatti dall’inizio di un processo cominciato 20 anni fa a Trento e dopo oltre una decina d’anni di indagini, è arrivata la storica pronuncia: tutti gli imputati assolti con formula piena, perché “il fatto non sussiste”. Nessun colpevole.
Candidi come un giglio l’ex re Mida della Sanità Duilio Poggiolini, immacolati come viole mammole ex dirigenti e funzionari del gruppo Marcucci, da sempre – almeno da metà anni ’70 – oligopolista nella importazione, lavorazione e distribuzione di emoderivati in Italia, come la Voce ha avuto modo di dettagliare in tanti anni di inchieste, a cominciare dal 1977, un articolo pubblicato dall’allora Voce della Campania diretta da Michele Santoro.
Appena dopo la sentenza, si è scatenata una ridda di ipotesi, visto che nessuno è responsabile per le morti di chi ha assunto gli emoderivati killer. Quale la pista in un futuro da seguire per rintracciare il vero movente della strage?
Da rammentare che i morti totale, secondo le stime più fresche, sono circa 6 mila. Tutte vittime impunite.
Prima pista. Una setta satanica. Ricordate le stragi con centinaia di morti negli Stati Uniti organizzati da perfide sette sataniche? In questo caso si tratta di un mega suicidio scandito in varie tappe, ritualmente celebrate da santoni ancora a piede libero.
Seconda pista. Una sparizione di massa. Di solito succede per una persona che fugge di casa, stavolta si tratta di migliaia di persone che non hanno più dato notizie di sé. Rivolgersi a “Chi l’ha visto?”.

Un carcere dell’Arkansas
Terza pista. Un rapimento perfetto senza richiesta di riscatto. Ricordate gli Ufo e le astronavi marziane? Non si tratta di fake news. Sono atterrate in gran segreto ogni 6 mesi a partire dagli anni ’80 e di volta in volta hanno prelevato decine e decine di persone. Si arriva, oggi, ad un totale, calcolatrice alla mano, di 6-7 mila soggetti volatilizzati.
Quarta pista. Il viaggio della speranza, “the last travel”. E’ l’ipotesi più suggestiva e articolata. Usciti di senno, moltissimi ammalati hanno deciso di godersela per l’ultima volta. La gran parte è partita per l’Africa, zoo safari e rapporti border line con gorilla e scimpanzè; un’altra parte è volata in Asia, e un’altra buona fetta negli Stati Uniti, con una meta ben precisa, visitare le carceri a stelle e strisce: Alabama, Louisiana e soprattutto Arkansas, come è emerso anche durante il processo partenopeo. Ma gli ultimi 007 sono finalmente riusciti a ribaltare l’assurda tesi portata avanti dagli avvocati delle parti civili: sangue ed emoderivati non arrivavano dalle galere americane, ma sono stati i folli pazienti-impazienti a volare lì per simpatizzare con i carcerati, ammalati di Aids e di altre patologie super infettive.
L’Uovo di Colombo, il quale – non a caso – ha scoperto l’America.
Siamo sicuri che le motivazioni della sentenza, le quali verranno rese note entro 90 giorni, quindi a fine giugno, sapranno dare una risposta definitiva e convincente a tali dubbi & arcani.

PROTAGONISTI & INTERPRETI
Hanno avuto la vista lunga, di tutta evidenza, alcuni protagonisti del processo.
In pole position il pm, Lucio Giugliano, che fin dalla prima udienza di tre anni fa esatti aveva chiesto il proscioglimento per alcuni imputati, come effettivamente è accaduto – e con formula piena – dopo tre anni per tutti. Aveva visto giusto nel chiedere subito una perizia tecnica d’ufficio a tre super esperti. Così come a chiedere l’escussione di uno dei testi-base, l’ematologo milanese Piermannuccio Mannucci.
All’esito del cui interrogatorio avrebbe voluto chiudere subito il processo, perché Mannucci escludeva categoricamente la possibilità non solo di provare il famoso nesso causale tra l’assunzione degli emoderivati killer e l’insorgere delle patologie, ma soprattutto perché ravvisava l’impossibilità di individuare quel “farmaco killer”, quell’emoderivato assassino.
E, ancor più, Mannucci rassicurava circa la bontà e la sicurezza di quegli emoderivati, perché “provenivano, così mi veniva detto dai dirigenti del gruppo Marcucci, dai campus universitari e dalle casalinghe americane”. Incredibile ma vero.
Peccato, però, che quel super teste, l’esperto mega galattico, fosse un teste in palese conflitto d’interessi, dal momento che è stato per anni consulente (stipendiato) di Kedrion, la corazzata di casaMarcucci, ed ha partecipato (gettonato) a svariati simposi medici organizzati sia in Italia che all’estero dalla stessa Kedrion.
Le fisiologiche “anomalie” sono proseguite nel corso dei tre anni di dibattimento fino al termine delle udienze. Uno degli avvocati delle parti civili, tale Emanuele Tomassi, nella sua “arringa” finale (sic) ha chiesto la prescrizione per tutti. L’avvocatura dello Stato (in rappresentanza del Ministero della Salute) che ha partecipato solo alle prime udienze processuali, non ha avuto neanche la faccia di presentare alcuna memoria conclusiva né ha avanzato alcuna richiesta, disertando l’aula: in tal modo manifestando con chiarezza la volontà di non chiedere nemmeno i risarcimenti civili come aveva sbandierato all’inizio, pari ad una cinquantina di milioni di euro. Tutto a posto e tutto in ordine.

LO STATO SULLA STRAGE? MA CHISSENEFREGA
A questo punto.
Ma chissenefrega se la tragedia degli emoderivati killer era nota fin dal 1977, come documenta la prima inchiesta della Voce. Mentre lorsignori negano. E a loro parere nessuno negli ambienti scientifici ha mai parlato in quegli anni di rischi da sangue infetto.
Chissenefrega del Congo Belga e dei campi di raccolta di sangue non perfettamente testato, campi organizzati dalle aziende del gruppo Marcucci.
Chissenefrega se il regista americano Kelly Duda, autore dello choccante docuflim “Fattore VIII”, è arrivato dagli Stati Uniti a verbalizzare, davanti alla sesta penale, per confermare l’arrivo di quel sangue dalle galere a stelle e strisce e in particolare da quella di Cummings nell’Arkansas.

Una manifestazione di protesta degli ammalati per sangue infetto
Chissenefrega se l’ematologo e scrittore Elio Veltri, autore de “L’Italia non è un paese per onesti”, dedica un intero capitolo agli emoderivati killer ed anche lui ha verbalizzato a Napoli sostenendo che “quella del sangue infetto è la più grande strage di sempre a livello mondiale, del tutto ignorata dai media”.
Chissenefrega se la BBC nel 2007 ha realizzato un altrettanto choccante docufilm che documenta i primi stoccaggi di scatoloni di emoderivati in depositi frigoriferi nel Veneto, insieme a grandi partite di baccalà.
Chissenefrega se a novembre 2018 in Inghilterra, con tutti i maxi problemi che devono affrontare a cominciare dalla Brexit, hanno trovato il tempo per varare una commissione parlamentare d’inchiesta proprio sulla loro strage del sangue infetto, che ha mietuto 3 mila vittime.
Chissenefrega delle nostre vittime finite tra atroci sofferenze.
Chissenefrega delle sofferenze dei parenti.
Chissenefrega degli inferni che hanno dovuto sopportare per una burocrazia assassina e una giustizia negata.
Chissenefrega se tutti sono stati uccisi due volte.
Chissenefrega se anche la Memoria è stata calpestata.
Chissenefrega se tutti i media salvo rarissime mosche bianche non hanno dato lo straccio di un’informazione degna di tal nome in tre anni di processo. E neanche prima.
Chissenefrega se la politica è stata prima complice e poi del tutto assente e quindi connivente, come se la strage non fosse mai esistita.
Chissenefrega se il Capo dello Stato ogni tanto chiede “giustizia per i morti di Ustica” senza peraltro alzare un dito e sui morti per la strage del sangue infetto non sussurra neanche un alito.
Chissenefrega se il ministro per la Salute, la grillina Grillo, non ha alzato nemmeno un dito perché il suo ministero non fosse del tutto assente al processo di Napoli.
Chissenefrega se lo stesso ministero renderà sempre più impossibili le cause di risarcimento per i parenti delle vittime che continuano a morire, perché la tragica finestra temporale non è certo chiusa: come succede per un’altra tragedia oscurata, quella dei roghi tossici nella Terra dei Fuochi.

P.S. Si sono battuti come leoni gli avvocati di molte parti civili ed associazioni, Stefano Bertone ed Ermanno Zancla. Soli contro tutti.
Memorabile l’arringa finale di Bertone, otto ore, in cui ha dimostrato non solo il famoso “nesso causale” tra l’assunzione degli emoderivati killer e l’insorgere delle patologie; ma anche le letali “re-infezioni” e “sovra-infezioni”.
Perfetto sotto il profilo morale, giurisprudenziale e scientifico.
Verità e Giustizia, però, da sole non bastano per abbattere i Muri di Gomma del Potere.

Al via le riprese di un film su Nikola Tesla - Cine Citta


Al via le riprese di un film su Nikola Tesla  Cine Citta

Nikola Tesla, geniale inventore del XX e XXI secolo,nonché una delle menti più visionarie di tutta la storia dell’uomo moderno, sarà il protagonista di un progetto cinematografico scritto e diretto da Alessandro Parrello: Nikola Tesla, the man from the future.
Il progetto, che sarà il primo di 5 episodi racchiusi in un film sulla scienza, è stato scritto e pensato per un pubblico internazionale e proprio in questi giorni si stanno tenendo a Londra i casting per la ricerca degli interpreti principali, a cura della casting director Teresa Razzauti, qui in veste anche di co-produttore assieme alla WEST 46TH FILM.
Tesla è stato un grande innovatore con circa 300 brevetti tra cui l’invenzione della corrente alternata in uso ancora oggi.
Commenta Parrello: “Sono un grande appassionato di scienza, e tecnologia e nell’ultimo anno ho iniziato a documentarmi sulla vita e i molti brevetti di Nikola Tesla, un genio con molte fobie che non ha avuto la giusta collocazione tra le menti più brillanti della storia. Per questo vorrei raccontare uno dei momenti chiave della nascita dell’ attuale corrente elettrica, collaborando con degli attori stranieri per coinvolgere un vasto pubblico internazionale. Userò degli innovativi sistemi di ripresa in realtà virtuale che lasceranno lo spettatore incredulo di quello che vedranno”.

lunedì 25 marzo 2019

PANTANI / 100 ANOMALIE E ORA LE IENE, SI RIAPRE IL CASO SEPOLTO DALLA NOSTRA “GIUSTIZIA”?


Riusciranno le Iene a far riaprire il caso Pantani per la giustizia di casa nostra morto e sepolto?
Gli verrà restituito quel Giro d'Italia 1999 vinto sulle montagne e poi scippato dalla camorra sotto gli occhi della "giustizia"?
Verranno trovati killer e mandanti che quella notte di San Valentino di 15 anni fa esatti lo riempirono di coca fino a fargli scoppiare il cuore e con una "giustizia" capace solo di archiviare la "pratica"?
Potrà aver Giustizia, quella vera, la mamma del Pirata, Tonina, l'unica a non arrendersi e ad invocarla con tutte le forze che le restano?
Sarà molto difficile abbattere quel muro di gomma che ha sempre caratterizzato il caso.
Un muro costruito alla procura di Forlì e fortificato da una sentenza definitiva pronunciata dalla Cassazione due anni e mezzo fa, sul fronte del "suicidio" di Marco Pantani nel residence "Le Rose" di Rimini.

SE 100 ANOMALIE VI SEMBRAN POCHE
Il giallo dalle 100 anomalie, lo ha sempre definito l'avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, una più sbalorditiva dell'altra, ma tutte fino ad oggi inutili per smontare la tesi del suicidio, che nonostante tutte quelle contraddizioni grosse come una casa hanno portato le toghe di primo, secondo e terzo grado a ottenere l'archiviazione perchè si tratta – secondo loro – appunto di un suicidio.

L'avvocato Antonio De Rensis
Una scena del crimine che somiglia non poco a quella di un altro "suicidio" che non sta in piedi, quello di David Rossi, il responsabile della comunicazione per il Monte dei Paschi di Siena cinque anni fa volato dal quarto piano di palazzo Salimbeni. E anche lui fino ad oggi "archiviato".
Sangue dappertutto, un corpo devastato dalle ferite, segni di trascinamento: tutti elementi incompatibili con il suicidio e invece classici di una lite furibonda, con ogni probabilità per far ingurgitare al Pirata la pozione killer, acqua & coca.
E poi cento altri elementi, appunto: dal giubbotto rosso che non gli apparteneva e ritrovato nella stanza del residence, all'involucro del cornetto Algida nel cestino dei rifiuti; dalle telefonate alla recption per chiamare i carabinieri alla possibilità che i suoi killer siano tranquillamenti passati dall'entrata posteriore del residence; dalle primissime indagini che con hanno cavato un ragno dal buco e solo inquinato la scena del crimine fino alle perizie che fanno a pungni una con l'altra.
Nella puntata delle Iene lo spacciatore di droga che solitamente forniva a Marco la coca, Fabio Carlino, conferma quanto ha sempre detto: il campione non mostrava assolutamente volontà suicidiarie, l'aveva visto un paio di giorni prima ed era su di tono, e poi la quantità di polvere bianca trovatagli nel sangue (una quarantina di grammi) era del tutto incompatibile con quanto usava sempre, segno di una coazione, della messinscena di un suicidio.
Poi alcuni elementi nuovi. L'intervista con una prostituta russa, Elena, che pare lo abbia incontrato il giorno precedente a quello di San Valentino: anche lei conferma che non gli era sembrato diverso dal solito. Quella di un barista che lo aveva visto passare davanti al suo esercizio uno o due giorni prima. E quella di un giovane dipendente di un residence, qualche giorno prima di un esame che era in procinto di affrontare all'università: sostiene che Marco ha dormito per una notte in quel residence (che, appunto, non è il "Le Rose"). Tutte circostanze in netto contrasto con la sentenza firmata dalla Cassazione, secondo la quale Marco non è uscito per giorni dal Le Rose, perchè era ultradepresso.
Basteranno, questi elementi raccolti dalle Iene, per far riaprire il caso? Staremo a vedere. Fatto sta che quella mole di "anomalie" sarebbe già dovuta abbondantemente bastare per documentare, per filo e per segno, che non si è trattato di suicidio, ma di omicidio in piena regola. Con ogni probabilità un delitto di camorra.

QUEL GIRO D'ITALIA COMPRATO DALLA CAMORRA
E passiamo all'altro filone di indagine: quello sul Giro del 1999 comprato, appunto, dalla malavita napoletana che aveva scommesso palate di miliardi di lire sulla sconfitta del Pirata. Una pista però mai battuta con determinazione a Forlì, che pure ha raccolto una significativa quantità di prove.
Tutto comincia con una lettera di Renato Vallanzasca alla madre del grande ciclista, in cui le scrive di aver saputo da un detenuto di camorra recluso nel suo stesso carcere come la malavita organizzata aveva puntato forte sulla sconfitta di Marco a quel Giro: "''O pelato non arriva a Milano", era il tam tam tra gli uomini dei clan.
La madre di Marco consegna la lettere alla procura di Forlì che apre un fascicolo. Dopo alcune non ardue ricerche viene inviduato il camorrista detenuto. Dal suo interrogatario arrivano conferme, parecchi dettagli e perfino i nomi di altri camorristi che conoscono la story. Vengono interrogati alcuni di questi, che confermano la combine, pur se quasi tutti "de relato": sono venuti cioè a loro volta a conoscenza della vicenda da altri camorristi.
Ed emerge un quadro allucinante. Quel prelievo di sangue di Marco a Madonna di Campiglio venne taroccato grazie alla complicità dei sanitari incaricati di esaminare il sangue: furono "convinti" con metodi non proprio inglesi ad alterare la provetta, sottraendone del plasma, in modo tale da modificare l'ematocrito, che "magicamente" salì a 53 rispetto al valore 48 dell'autoanalisi effettuata la sera precedente e al valore accertato dal laboratorio di Imola solo sei ore dopo il prelievo manipolato.
Tre i sanitari coinvolti, e un capo equipe: Wim Jeremiasse, medico olandese e grande esperto di gare internazionali fra Tour, Vuelta e Giro, che alla fine dell'esame sbottò: "oggi è morto il ciclismo".
"E proprio quel giorno anche Marco è morto, lo hanno ucciso", disse all'epoca – e ha confermato ai microfoni delle Iene – il suo amico e massaggiatore Primo Pergolato, che fornisce altri dettagli: "La sera prima Marco era tranquillissimo, soprattutto dopo aver effettuato l'autoanalisi che aveva riscontrato il valore di 48. Quindi nessun problema. La mattina dopo, il dramma e Marco che s'infuria, sbatte i pugni sul muro, urla la sua disperazione. Capisce che lo hanno incastrato. Mancavano ormai due tappe facili e poi c'era la vittoria: che senso mai avrebbe avuto prendere qualcosa quando tutti sapevamo che la mattina dopo c'era il controllo?".
Il dottor Jeremiasse, sconvolto dopo quell'esame, non ha mai potuto verbalizzare davanti ai giudici: perchè dopo appena otto mesi con la sua auto è finito in un lago semighiacciato sulle montagne austriache.
E una montagna di elementi, anche stavolta, per battere la pista del Giro d'Italia taroccato e la combine che anche un cieco può vedere. Ma cosa scrivono i pm di Forlì? Ci sono moltissimi elementi che lo documentano, ma non sono sufficienti per proseguire nelle indagini, quindi l'inchiesta va archiviata. Ai confini della realtà.

DA FORLI' A NAPOLI
Nel frattempo finisce in naftalina la solita sceneggiata che va in onda alla Commissione Antimafia. Tutti stupiti, tutti orripilati per quanto è successo. Avete mai letto lo straccio di un qualcosa partorito dall'Antimafia? Neanche uno starnuto.

La procura della repubblica di Napoli
L'avvocato De Renzis, comunque, non si arrende. Archiviata l'inchiesta di Forlì, ne chiede la riapertura, due anni e mezzo fa, alla procura di Napoli. Nella domanda, infatti, pone in risalto tutti gli elementi circa la combine di camorra per quel Giro maledetto. Rammenta che parecchi collaboratori di giustizia sono già ben noti alla procura partenopea per altre vicende malavitose. Quindi la procura di Napoli è la più adatta – anche per 'memoria' storica – a riaprire il caso.
Il fascicolo passa alla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea ed è affidato al pm Antonella Serio. La Voce le chiese ragguagli sulla situazione un paio di mesi dopo l'assegnazione di quel fascicolo bollente. Così rispose: "Il procuratore facente funzione tiene molto al caso che è ora alla mia attenzione. Comincerò presto le indagini".
Il procuratore facente funzione era all'epoca Nunzio Fragliasso, al quale è poi subentrato l'attuale procuratore capo, Giovanni Melillo.
In questi due anni e mezzo non si è avuta alcuna notizia sul giallo Pantani. Sono state fatte indagini oppure no? Che esito hanno mai avuto?
All'avvocato De Renzis è subentrato, a novembre 2017, un legale del foro di Catanzaro, Sabrina Rondinelli, che subito interpellata della Voce non ha mai voluto parlare del caso.
Due giorni fa, il 12 febbraio, colpo di scena. Rondinelli vola via, sparita nel nulla senza lasciar traccia. Solo un laconico messaggio via internet in cui dice: "mi devo assentare nei prossimi mesi e non posso più seguire il caso come merita. Invito la famiglia a continuare con la convinzione che Marco è stato ucciso". Un giorno dopo il servizio delle Iene.
Cosa ha fatto l'avvocato calabrese in questo anno e mezzo? In cosa è consistita la sua attività? Ha cercato di capire cosa succedeva alla procura di Napoli?
Ai microfoni delle Iene, per illustrare la situazione e ricostruire le cento anomalie, ci ha pensato Antonio De Renzis.

Fonte: www.lavocedellevoci.it

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domenica 24 marzo 2019

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