giovedì 6 dicembre 2018

Mosca – Costantinopoli: scisma nella chiesa ortodossa. L’opinione di Aleksandr Dugin


Come riportato da Ria Novosti, il 3 novembre il presidente ucraino Petro Poroshenko e il patriarca Bartolomeo hanno firmato un accordo di collaborazione e cooperazione tra l’Ucraina e il Patriarcato di Costantinopoli.
Il presidente ucraino su twitter, ha definito l’evento “storico”, aggiungendo: “L’accordo che oggi abbiamo firmato completa il processo di conferimento del “tomos” (decreto ecclesiastico) secondo tutti i canoni della Chiesa ortodossa”.
Il Patriarca di Costantinopoli, da parte sua, ha affermato che questo accordo contribuirà ad accelerare la concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina. Inoltre, è convinto che sarà importante sia per le relazioni bilaterali, sia per l’ortodossia nel suo insieme.
Poroshenko è intenzionato ad ottenere da Costantinopoli il conferimento dell’autocefalia alla struttura non canonica (secondo il Patriarcato di Mosca) della chiesa ucraina (patriarcato di Kiev). A metà ottobre, il Patriarcato di Costantinopoli con l’annuncio di dare avvio a tale procedura, ha abrogato l’atto del 1686 che sanciva il trasferimento della “Metropolia” di Kiev sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca, togliendo, contemporaneamente, anche l’anatema posto dalla Chiesa ortodossa russa sui due leader delle strutture ecclesiastiche non canoniche ucraine:  a Filarete, capo del “Patriarcato di Kiev” e a Macario, capo della Chiesa ortodossa autocefala ucraina (Filarete fondò la sua struttura nel 1992 con il sostegno dell’allora presidente ucraino Leonid Kravchuk.  la Chiesa ortodossa autocefala ucraina venne fondata dal Direttorio della Repubblica Popolare dell’Ucraina nel 1920 n.d.r.).


Kiev-Pecherskaya Lavra

Il Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha interpretato l’azione di Costantinopoli come “scisma” e ha annunciato la rottura delle sue relazioni  con Costantinopoli su tutto il proprio territorio canonico, che comprende anche l’Ucraina e la Bielorussia. Secondo il metropolita Hilarion (presidente del Dipartimento delle relazioni estere del Patriarcato di Mosca n.d.r.), Costantinopoli con questo atto ha perso il diritto di venir considerato il centro di coordinamento dell’Ortodossia.
Ecco, in esclusiva, l’opinione del famoso politologo russo professor Aleksandr Dugin riguardo la delicata questione:
“Si tratta di uno scisma tra il patriarcato di Costantinopoli e il patriarcato di Mosca. L’aspetto più negativo di tutta la questione è che il governo ucraino potrà utilizzare questo fatto come pretesto per prendere, anche con la violenza, le parrocchie e le chiese del patriarcato di Mosca presenti sul territorio ucraino. Le chiese del patriarcato di Mosca in Ucraina sono predominanti, rappresentano la forza più grande nel contesto religioso. Inoltre, con questa decisione di pianificare la metropolia indipendente, il governo di Kiev avrà la possibilità di esercitare pressione sulla Russia addirittura per provocare la guerra. Se inizierà a scorrere il sangue Mosca dovrà reagire. Questo è molto grave.


Aleksandr Dugin

Per ciò che riguarda l’aspetto storico. Il patriarcato di Mosca da secoli non dipende da quello di Costantinopoli. Anche da un punto di vista gerarchico il patriarcato di Costantinopoli ha un’autorità, ma senza potere concreto all’interno della chiesa ortodossa. Ha solo un potere simbolico, non è più alto gerarchicamente, possiamo definirlo come “primo tra uguali”. Il patriarcato di Costantinopoli non ha mai giocato un ruolo importante nella nostra storia.
Da un punto di vista della fede, non c’è nessuna eresia, niente di dottrinale, questa decisione va semplicemente contro gli interessi del nostro patriarcato. Questo è uno “scisma” autentico. Più grave, come conseguenza,  sarà invece la rottura con il Monte Athos, (che si trova sotto la giurisdizione ecclesiastica del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli n.d.r.) che per noi rappresenta un punto di riferimento spirituale, mistico molto importante. Penso comunque che i pellegrini russi continueranno a visitare il Monte Athos”.
Eliseo Bertolasi

mercoledì 5 dicembre 2018

Rete Voltaire: I principali titoli della settimana 5 dic 2018


Rete Voltaire
Focus




In breve

 
Israele-Libano: chi vìola la risoluzione 1701?
 

 
Tsahal ripulisce la frontiera dai tunnel dello Hezbollah
 

 
Riad finanzia la Muqata'a, Doha invece finanzia Gaza
 

 
Giornata insurrezionale nel centro di Parigi, a Marsiglia e Avignone
 

 
Confermata la nostra versione dell'incidente di Kertch
 

 
La marina ucraina vìola lo spazio marittimo russo
 

 
Le clausole segrete dell'accordo sul gas tra Cipro, Grecia, Italia e Israele
 

 
Controproposta russa all'«Accordo del secolo»
 
Controversie
 Roma (Italia) |
Il tentativo di Donald Trump di riequilibrare i flussi commerciali sino-statunitensi non è funzionale soltanto alla volontà di riportare negli Stati Uniti i posti di lavoro persi con la delocalizzazione. Le nuove infrastrutture di trasporto e di comunicazione cinesi sono una minaccia sempre più incombente per la posizione di leader mondiale degli Stati Uniti. Il braccio di ferro per Huawei mostra come preoccupazioni economiche e preoccupazioni militari si congiungano. Già diversi Stati hanno constatato che Washington non è per il momento in grado di decodificare gli strumenti Huawei, così, come già in Siria, hanno riequipaggiato completamente i loro servizi d'intelligence con tecnologia prodotta dal leader cinese delle telecomunicazioni e vietato ai funzionari di usarne di tipo (...)

 
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TRONCHETTI PROVERA / ASSOLTO NELLA SPY STORY, “IL FATTO NON COSTITUISCE REATO”. E POTEVA NON SAPERE…


3 a 2. Dopo una battaglia giudiziaria durata 8 anni Marco Tronchetti Provera viene assolto dall'accusa di ricettazione per una brutta storia di spionaggio industriale. Secondo la Corte d'Appello di Milano, infatti, "il fatto non costituisce reato", mentre invece per ben due volte la Cassazione aveva sostenuto e documentato esattamente il contrario, chiedendo la condanna del patròn della ormai gialla Pirelli (è per oltre la metà dei cinesi).
Cassazione contro Appello, dunque, una giustizia spezzata esattamente a metà.
La fresca assoluzione è anche in stridente contrasto con le pesanti condanne inflitte nel 2009 ai due super spioni al servizio di Telecom e quindi di Tronchetti Provera all'epoca dei fatti, il 2004: Giuliano Tavaroli, il capo della security di Telecom, e Fabio Ghioni, un grosso pirata informatico (facevano parte del cosiddetto Tiger Team) hanno patteggiato una condanna rispettivamente a 3 anni e 8 mesi e 3 anni e 4 mesi.

Giuliano Tavaroli. Sopra, Marco Tronchetti Provera

Sorge spontanea la domanda: come mai il Capo – ossia Tronchetti Provera – alla fine la fa franca mentre i suoi dipendenti sono stati condannati? Poteva "non sapere" ? Nelle loro difese, infatti, i due hanno sempre sostenuto che l'ordine di spionaggio era arrivato dal numero uno e certo non era partito da loro. Ovvio, lo capisce anche un bimbo delle elementari: difficile che una decisione così delicata venga assunta in modo autonomo da due dipendenti senza l'avallo del capo.
Tronchetti si è difeso sostenendo che era sì al corrente della situazione, ma che per trovare la soluzione operativa venne fatta una brevissima riunione, cinque minuti e via. Come dire: deciso il da farsi, vedetevela poi voi sul 'come procedere'.
Ci ha creduto la Corte d'Appello, non ci aveva creduto la Cassazione.

SPIE CONTRO SPIE, LA GUERRA PER BRASIL TELECOM  
Ecco in breve cosa era successo. Nella guerra di Telecom, una delle partite più grosse si giocò, una quindicina d'anni fa, per il controllo di Brasil Telecom. Il gruppo anti Tronchetti ingaggiò una società investigativa, la Kroll, per dossierare Tronchetti (il quale, a sua volta, era coinvolto nell'altro grande scandalo sui dossieraggi illegali contro i rivali industriali e personali). L'ex vicepresidente dell'Inter venne a saperlo e quindi ordinò al suo team – capeggiato appunto da Tavaroli, braccio destro Ghioni – di trovare le prove. Il team riuscì a trafugare un cd made in Kroll e questo venne poi consegnato alla procura di Milano e anche a quella brasiliana. Insomma, una vera e propria guerra per bande.
Tronchetti ha sempre sostenuto di "non conoscere la provenienza illecita di quel cd"; la Cassazione, Tavaroli e Ghioni hanno sempre sostenuto il contrario. E la Terza Corte d'Appello di Milano ora ha messo la pietra tombale sulla vicenda credendo alle parole di Tronchetti.

Il tribunale di Milano

Incredibile ma vero. Ecco come funziona la giustizia italiana. Immaginate un piccolo imprenditore alle prese con una vicenda del genere: sarebbe rimasto stritolato da questo infernale meccanismo. Il Grande Tronchetti invece no: e può anche vantarsi di aver rinunciato alla prescrizione.
La vicenda fa andare in brodo di giuggiole il Corriere della Sera, che attacca l'accanimento giudiziario – figurarsi – contro gli imprenditori. Scrive Federico De Rosa: "La vicenda di Tronchetti è anche un riscatto nei confronti di un mondo, quello degli imprenditori, messi troppo spesso sotto accusa".
Un ultimo cenno alla motivazione, "il fatto non costituisce reato". Cosa, il dossieraggio? Lo spionaggio? La "non conoscenza" di Tronchetti su ciò che i suoi spioni facevano?
Siamo davvero ai confini della realtà.
P.S. Ricorderete l'altra maxi inchiesta sui dossieraggi voluti da Tronchetti ed eseguiti dal suo Tiger team sui suoi rivali industriali, politici e anche sportivi. Fece spiare perfino i calciatori della Juve e dell'Inter (in particolare Bobo Vieri) e la sua stessa moglie, Afef, sulla cui fedeltà evidentemente nutriva dei dubbi.
Ha subito qualcosa Tronchetti per quelle migliaia di spiate? Per aver fatto pedinare e intercettare a più non posso? Ancora una volta una giustizia a due facce. E sempre viene calpestata la giustizia con la G maiuscola.

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martedì 4 dicembre 2018

OLOF PALME / IL CASO DELL’OMICIDIO DI MARCA NAZI STA PER RIAPRIRSI


Forse, dopo 32 anni, la verità è più vicina. Potrebbero presto accendersi i riflettori su uno dei gialli internazionali più oscuri e fino ad oggi rimasti irrisolti, l'omicidio di Olof Palme, il mitico leader  socialdemocratico che ha consolidato, negli anni di premiership, lo sviluppo, la giustizia sociale e il welfare nel suo Paese, la Svezia.
E' fresco di stampa, infatti, un libro scritto da un giornalista svedese, Jan Stocklassa, titolato "L'archivio Larsson: la chiave per capire l'assassinio di Palme".
Già dal titolo si capisce che la fonte è nel maxi archivio accumulato in anni di investigazione da Stieg Larsson, il celebre autore della serie "Millennium". In particolare, da un esame attento dell'immenso materiale raccolto da Larsson, emergerebbe – o meglio, si consoliderebbe – una pista tra le varie che furono a suo tempo, e lungo gli anni, seguita: quella dell'ultradestra para nazi, un cui uomo, a suo tempo, fu inquisito e poi scagionato.
Ma dalle carte ora emergerebbe un nuovo nome, un simpatizzante di gruppi ultrà come il "Movimento di resistenza nordico", xenofobo, antisemita e filonazista. Un perfetto mix al quale si ispirano gli attuali "sovranisti" svedesi, e in particolare, "Sverigedemokraterna", formazione che si è presentata con un discreto risultato alle ultime elezioni.

Dunque, mister x, il killer del premier – di cui nel libro non si fa comunque il nome – sarebbe un personaggio oggi ben vivo e vegeto, attivissimo sotto il profilo politico, militante della ultradestra. Secondo l'autore, il killer avrebbe da sempre nutrito un odio violento nei confronti di Olof Palme, trucidato la notte del 28 febbraio 1986, all'uscita da un cinema e in compagnia della moglie.
Un vero choc per la Svezia, che amava profondamente il suo Olof, protagonista in anni di vera democrazia e trasparenza trasferita ai palazzi del potere.


Stocklassa con il suo libro. In apertura Olof Palme

Subito vennero battute dagli inquirenti varie piste: terroristi di destra o di sinistra, di matrice mediorientale, legati ai servizi segreti sudafricani; ma anche di estrema destra.
Il "Kennedy del Grande Nord" aveva già "visto", con anni e anni di anticipo, problemi che in questi ultimi tempi si stanno manifestando: come la questione immigrati. La sua fu una politica di porte aperte agli esuli, allora soprattutto cileni e altri sudamericani in fuga dalle dittature che imperversano nelle loro nazioni.

Un Paese in qualche modo "poco allineato", la Svezia di Palme: si oppose con forza, infatti, sia alla guerra d'invasione Usa nel Vietnam che alla politica di riarmo dell'Urss di Breznev, espresse tutta la sua solidarietà all'African National Congress di Nelson Mandela (per questo fu seguita la pista dei servizi sudafricani), fu vicino alle battaglie del movimento femminista, instaurò una linea dura contro tutti i fascismi.
Larsson ha lavorato sia per conto proprio sul giallo Palme, che in collaborazione con i servizi segreti svedesi, la Sapo. In una intervista giorni fa pubblicata sul quotidiano Expressen, Jan Stocklassa racconta di aver trovato negli archivi, tra le carte e i documenti di Larsson, appunti, immagini, articoli e dossier che dimostrano come lo stesso Larsson stesse lavorando al caso fino alla sua morte (anche questa avvolta dal mistero, vista la relativamente giovane età dell'autore di "Millennium").
Oggi, quindi, il caso Palme è di nuovo aperto, visti gli elementi emersi. Del resto, già due anni fa la Procura di Stoccolma aveva istituito una nuova squadra speciale per dedicarsi al caso.

Un caso fondamentale per due motivi: il primo, per dare finalmente verità e giustizia alla figura di un grande uomo politico come Olof Palme, autentico simbolo di un socialismo dal volto umano e ancora amatissimo dai suoi connazionali; in secondo luogo, perchè si può tracciare un filo rosso (o meglio nero) tra i prodromi di quella destra paranazi e quella in doppiopetto con la medaglia del sovranismo appuntata oggi sul petto: in realtà barbari, razzisti e xenofobi che vogliono imporre la loro legge con la violenza criminale.

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lunedì 3 dicembre 2018

SOROS / LA STRENUA E CONTINUA DIFESA GRIFFATA REPUBBLICA


Repubblica scende l'ennesima volta in campo per difendere l'onore e il prestigio del "miliardario-filantropo di sinistra", George Soros, una vera icona secondo il quotidiano diretto da Mario Calabresi.
Stavolta la story è incentrata sulla bagarre che si è scatenata negli Usa tra Facebook e lo stesso Soros. Nel mirino dell'inviato speciale in bretelle dagli Usa, Federico Rampini, è finita la numero due di Facebook, Sheril Sandberg, una delle più note giornaliste americane, stimata per le sue qualità investigative.
Ecco cosa scrive il bretellato, riportando quanto riferisce un articolo del New York Times (non si è neanche scomodato più di tanto, Rampini, per scrivere la paginata pro Soros di Repubblica): "Fu lei in persona – scrive il super corrispondente – a commissionare 'fango' su Soros, per il solo fatto che il miliardario-filantropo di sinistra aveva osato criticare Facebook. Tutto ebbe inizio a gennaio, all'ultimo World Economic Forum di Davos. Vi partecipavano sia Sandberg che Soros. Lui criticò pubblicamente Facebook e Google, li definì pericolosi per la democrazia, invocò nuove regole e maggiori controlli sui giganti oligopolisti dell'economia digitale".
Ma eccoci al cuore della singolar tenzone. Riprendono le trombe di Rampini anti Sandberg: "Ma la Sandberg anzichè ripondere nel merito (alle accuse di Soros, ndr), chiese ai suoi collaboratori di indagare su Soros, sui suoi moventi, su eventuali interessi finanziari. Per esempio, se stesse effettuando 'vendite allo scoperto' in Borsa per arricchirsi dopo aver fatto scendere il titolo di Facebook. In cerca di prove per accusarlo di aggiotaggio, insomma: perchè se uno ti critica deve essere un delinquente che ci specula sopra".


Federico Rampini. In alto, Soros

Non basta. Il prode Rampini non ha terminato la genuflessione nei confronti del suo magnate-filantropo: "Soros risultava indigesto da tempo ai vertici dei social media, ma tutte le sue campagne si svolgevano alla luce del sole, per esempio finanziando un'associazione che si chiama 'Free from Facebook' e denuncia da tempo i pericoli di questa rete sociale".
Non è certo finita, ci sono altre cartucce nel cinturone del pistolero Rampini: "Sandberg ha fatto ingaggiare una nota società di relazioni pubbliche legata alla destra repubblicana, Definers Public Affairs, che ha cominciato una campagna anti Soros, rispolverando anche argomenti antisemiti. Proprio come si usa fare nel campo dei suprematisti bianchi, per i quali Soros è il capro espiatorio ideale, il regista del 'complotto giudaico-plutocratico' di hitleriana memoria".
E il tric trac finale: "Quando sul NYT cominciarono ad uscire le prime rivelazioni, Zuckerberg  e l'intero vertice aziendale fecero quadrato intorno alla Sandberg per difenderla. E lei cominciò ad accumulare bugie su bugie".
"La Sandberg sapeva tutto fin dall'inizio e fu la vera regista".
Sorgono spontanee un paio di domande. Sulle 'prodezze' di Soros, a cavallo della sua Open Society Foundation tanto umanitaria, se ne conoscono in dettaglio di tutti i colori e da un bel pezzo.
Dalla narrazione rampiniana, invece, sembra sia tutto spuntato fuori oggi come il cavolo a merenda.
Secondo punto. Ma conosce qualcosa mister Rampini del giornalismo d'inchiesta? Sa che è l'anima della vera informazione, e non i lecchinaggi di palazzo? Cosa c'è di strano se lady Sandberg ha sguinzagliato i suoi reporter a caccia di notizie sulle tante acrobazie finanziarie dal magnate? Sui suoi giganteschi affari? Sulle sue malefatte internazionali? Sa mister Rampini che Soros con una mano finanzia le Ong e con l'altra cerca di divorarsi interi Paesi pezzo pezzo, come da qualche anno sta cercando di fare con la Macedonia, mentre l'Italia potrebbe entrare presto nel suo mirino?
Finalmente qualcuno cerca di alzare i veli sull'impero Soros. Anche se a Rampini non piace…

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