sabato 28 luglio 2018

Il caso Orlandi non avrà mai pace finché chi sa non si deciderà a parlare

Il caso Orlandi non avrà mai pace, finché chi sa non si deciderà a parlare. Non solo il Vaticano, ma anche la procura della Repubblica di Roma ha le sue colpe. Non si doveva archiviare l’inchiesta proprio nel momento in cui la magistratura stava per ottenere il dossier custodito al di là del Tevere. Le nuove rivelazioni del giornalista Fittipaldi aprono interrogativi sia che risultino veritiere come pure no. Fossero costruite ad hoc, chi vorrebbero colpire? Il portavoce di papa Francesco Greg Burke ha definito la documentazione “falsa e ridicola”. Mi sento di affermare che sussistono elementi ancora più gravi delle nuove presunte rivelazioni. Esempio: non appaiono false né ridicole le confidenze fatte a Pietro Orlandi da Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo di Ratzinger, che avrebbe visto il dossier di Emanuela sulla scrivania di padre George. Ancora più sconcertante apparirebbe quanto confidato al fratello di Emanuela dal segretario di Stato Parolin, quando poco tempo fa gli ha sussurrato che lo stesso Papa ritiene il caso “troppo grave” per renderlo pubblico. Pietro è uscito dall’incontro sgomento. Quelle parole confermano che di sua sorella si sa, ma non se ne può parlare. Ecco perché la famiglia ha presentato un’istanza al Vaticano per un’audizione proprio con Parolin. Si renderà disponibile a testimoniare? Secondo me per essere sincero il cardinale ha peccato di ingenuità. Una cosa è certa: il dossier esiste. Infatti nel film da me diretto “La verità sta in cielo” riproduco per intero l’intercettazione del 12 ottobre 1983, in cui il vicecapo della vigilanza vaticana Raoul Bonarelli riceve l’ordine di non riferire ai magistrati italiani il possesso della documentazione su Emanuela “andata alla segreteria di Stato”.
Se il Vaticano dunque sa, il comportamento della procura romana non è da meno. Nella sequenza finale del film descrivo un fatto inedito: l’incontro tra il magistrato incaricato dell’inchiesta e un alto prelato, finalizzato alla consegna del dossier Orlandi in cambio della rimozione della salma del boss Enrico De Pedis dalla basilica di S. Apollinare, la cui sepoltura stava creando grave imbarazzo al Vaticano. Abbiamo ragione di credere che il magistrato in questione fosse Giancarlo Capaldo, il quale si è rifiutato di firmare la richiesta di archiviazione da parte del suo capo Giuseppe Pignatone. Non sappiamo chi fosse il prelato, anche se c’è ragione di credere che fosse proprio padre Georg. Nessuno, né alla procura né in Vaticano ha smentito tale sequenza, né potrebbero farlo: abbiamo prove inoppugnabili. Dunque perché l’archiviazione? Non voglio credere che siano fondate le parole della moglie Di Pedis confidate al telefono a Don Piero Vergari, il prete che ne ha proposto la sepoltura in chiesa. Le riproduco come da intercettazione: “il procuratore nostro sta archiviando tutto, è roba di pochi giorni, eh don Piè, resista!”. In una successiva intercettazione, la donna sottolinea con soddisfazione che il procuratore aggiunto Capaldo “è stato cacciato via… Pignatone sta facendo una strage ed era ora!”. E aggiunge che è stato fatto fuori anche il responsabile della squadra mobile Vittorio Rizzi, anche lui a capo dell’inchiesta. Sorprende che, in un periodo in cui le indagini erano ancora in corso (siamo nel 2012), la moglie di De Pedis conoscesse l’esito finale dell’archiviazione con un anticipo di ben 3 anni. È la prova che i corvi romani continuano a volare sopra le teste degli innocenti? In mezzo a tanta melma, la realtà traspare: lo stesso papa Francesco, pur così coraggioso, è costretto al silenzio. La scomparsa di Emanuela è chiaro che concerne alcuni collaboratori di Wojtyla. Non si possono rendere pubblici gli intrighi dell’entourage di un pontefice che è stato appena fatto santo? Pare senza grande convinzione da parte dello stesso Bergoglio. Se potessi dare un consiglio rivolgerei un appello: il caso Orlandi continuerà a perseguitarvi. Per il buon nome della Chiesa e della nostra magistratura, abbiate il coraggio della verità. Vedrete che alla fine sarete ripagati più della menzogna e del silenzio.

venerdì 27 luglio 2018

Pietro Orlandi racconta la storia di 35 anni

Pietro Orlandi racconta (5 luglio 2018) a Radio Cusano Campus “La Storia Oscura – Storia del crimine e della criminologia”  la scomparsa di sua sorella Emanuela 35 anni dopo.
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“Chiediamo che dopo la magistratura italiana, sia quella vaticana a indagare sulla scomparsa di mia sorella aprendo un’inchiesta interna perché Emanuela tuttora è iscritta all’anagrafe vaticana, è una cittadina vaticana e perché è chiaro che all’interno del Vaticano ci sono delle persone che hanno avuto delle responsabilità su quello che è successo”.
“Purtroppo, Emanuela è stato un tassello in un sistema di ricatti che ha coinvolto lo Stato, la Chiesa e la criminalità e per criminalità intendo la Banda della Magliana e la mafia. Perché secondo me l’ipotesi più probabile rimane la montagna di soldi che la mafia tramite la Banda della Magliana, in particolare Enrico De Pedis, fece transitare nelle casse dello IOR e in quelle del Banco Ambrosiano di Calvi. Soldi che Giovanni Paolo II utilizzò per la causa polacca di Solidarnosc. Di conseguenza, il sequestro di mia sorella, in quanto cittadina vaticana, servì a fare pressione in certi ambienti del Vaticano. Emanuela probabilmente è stata l’oggetto di un ricatto molto forte nei confronti della Chiesa.



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Pietro Orlandi

“Il Vaticano indaghi e dia risposte; se si sono sempre dichiarati non responsabili, dovrebbe essere nel loro interesse accertare come andarono le cose. Invece c’è sempre stata la volontà di insabbiare. E purtroppo, la magistratura italiana ha accettato passivamente questa volontà del Vaticano e non capisco perché visto che il capo della Procura di Roma nella richiesta di archiviazione ha scritto che ‘nonostante tutto esistono elementi indiziari che hanno avuto riscontro nel coinvolgimento di alcuni elementi legati alla Banda della Magliana nel sequestro di Emanuela Orlandi’. C’è qualcosa che non torna. E’ chiaro che c’è una volontà forte di chiudere la vicenda perché la verità è qualcosa che non deve uscire. Non a caso, l’anno scorso il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin quando lo incontrai mi ripetè una decina di volte che ‘purtroppo è una questione molto complicata’. Comunque, finchè non avrò la prova che Emanuela è morta per me sarà un dovere cercarla viva. Cioè per me è ancora viva perché non ho la certezza della morte. Non mi basta che Papa Francesco mi dica ‘Emanuela sta in cielo’. Il Pontefice me lo deve dimostrare perché se ad inchiesta aperta nel 2013 mi disse che Emanuela è morta, vuol dire che sa”.



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Mirella Gregori Emanuela Orlandi

emanuelaorlandi.altervista.org

giovedì 26 luglio 2018

Strage di Ustica, il depistaggio è (ri)partito


L’aveva chiesto il sindaco di Bologna  Virginio Merola chiudendo il suo intervento in occasione del 38° Anniversario della Strage di Ustica:  “e per favore non parlate in questi giorni di bomba”. Invece il depistaggio è partito, subdolamente, incuneandosi in spazi  marginali e forse non osservati con la dovuta attenzione, in programmi radiofonici Rai senza contradditorio, in pagine interne di “prestigiose” testate nazionali o in edizioni provinciali con l’avvallo di Magistrati in pensione. Sempre basandosi su falsità, ma con un nuovo obiettivo, oltre sostenere la bomba,  portare discredito sulle Sentenze della Magistratura civile che condannano i Ministeri di Trasporti e Difesa per i loro comportamenti legati alla Strage di Ustica.
Da anni si continua a sostenere la tesi bomba sulla  base di una perizia che è stata in realtà bocciata a causa dei tanti  errori riscontrati proprio dagli stessi Magistrati che l’avevano commissionata. Oggi si afferma che la Sentenza penale con la quale vengono assolti dal reato di alto tradimento i vertici dell’Aeronautica,  asserisce che il DC9 è caduto per una bomba: ancora un falso.
La Sentenza infatti sottolinea che quello che è stato giudicato è, appunto, solo il reato di Alto tradimento,  che nulla ha a che fare con la ricerca degli autori o delle cause della strage;  i Generali sono stati rinviati a giudizio e processati  per il reato di alto tradimento  per non avere  informato il Governo, nell’immediatezza dell’evento, della presenza di traffico americano in cielo, come risultava invece  dalle telefonate della notte, della presenza di un tracciato radar con una indicazione di una manovra d’attacco al DC9 e poi dell’ipotesi di una esplosione che era stata paventata dai primi soccorritori.
Lasciatemi sottolineare che gli odierni paladini della bomba sono stati processati proprio per non aver dato indicazioni sulla possibilità di una bomba, ma per aver sostenuto la tesi del cedimento strutturale! Si sostiene il falso, ma bisogna denunciare con forza ad opinione pubblica e organi di informazione che siamo in presenza di una vera e propria operazione di depistaggio. Un’operazione di depistaggio perpetuata nel momento che è in corso una  indagine della procura di Roma, alla quale si tende a togliere credibilità, e mentre sono in via di definizione processi civili sulle responsabilità dei Ministeri dei Trasporti e della Difesa.
Questo oggi è l’aspetto più preoccupante: affermando un inesistente contrasto di fondo tra Magistratura civile e Magistratura Penale si possono mettere in difficoltà davanti all’opinione pubblica collegi giudicanti. A me pare ancora importante fare queste precisazioni!
Daria Bonfietti. Presidente Associazione parenti vittime Strage di Ustica

mercoledì 25 luglio 2018

Douma, i gas nervini e la memoria corta


Un rapporto provvisorio dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) ha annunciato il 6 luglio di non aver trovato la prova dell’utilizzo di gas nervino nell’attacco che secondo le milizie ribelli jihadiste filo-saudite sarebbe stato compiuto il 7-8 aprile scorso dalle truppe governative siriane nel sobborgo di Douma, nell’area di Ghouta Orientale, dove potrebbe invece essere stato usato il cloro.
“Dai risultati è emerso che non sono stati usati gas nervini o prodotti derivati”, ha riferito l’Opac nel rapporto provvisorio.
Lo scorso 7 aprile la cittadina alla periferia di Damasco è stata bombardata dall’aviazione governativa siriana e i ribelli hanno denunciato l’uso di armi chimiche. La settimana seguente, dopo che gli insorti si erano ritirati, gli ispettori dell’agenzia Onu hanno cominciato le indagini, in particolare in un palazzo vicino alla piazza principale e in una panetteria indicati come i luoghi dei possibili attacchi.
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Dal rapporto preliminare dell’Opac emerge che nei due siti sono stati trovati “residui di esplosivi e componenti chimiche organiche clorate”, cioè nessuna prova decisiva di un attacco con bombe al cloro, anche se non può essere escluso.
A Douma, la missione dell’Opac ha svolto attività di raccolta di campioni ambientali e di dati e ha intervistato testimoni del presunto attacco chimico. “In un paese vicino” alla Siria non meglio specificato, gli agenti dell’Opac “hanno raccolto o ricevuto campioni biologici e ambientali e hanno condotti interviste con i testimoni” del presunto impiego di armi chimiche a Douma.
Nel rapporto provvisorio, la missione dell’Opac giunge a concludere che, “in base ai risultati delle indagini, nessun agente nervino o prodotto del suo decadimento è stato individuato nei campioni ambientali o nel plasma delle presunte vittime”. Tuttavia, “con residui di esplosivo sono stati trovati tracce di clorina”.
Il cloro non è un’arma chimica ma un prodotto chimico che può risultare tossico e persino letale ad elevate concentrazioni, più volte impiegato nel conflitto siriano e non solo dai governativi: la sua facile reperibilità lo rende idoneo anche a inscenare attacchi chimici a fini propagandistici.
Secondo i ribelli nell’attacco di Douma morirono circa 40 persone anche se siriani e russi parlarono subito di montatura orchestrata ad arte (numerosi civili testimoniarono l’allestimento di un set cinematografico da parte dei ribelli di Jaysh al-Islam per inscenare gli effetti dell’attacco chimico) per determinare un intervento militare occidentale, come poi accadde la settimana successiva con i raid missilistici punitivi scatenati dagli anglo-franco-americani contro “obiettivi per la produzione di armi chimiche” del regime di Damasco.
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Se l’attacco chimico è stata una messa in scena, il raid punitivo è stata poco più di una sceneggiata: ha colpito con oltre 100 missili da crociera edifici e obiettivi vuoti pre-selezionati insieme ai russi che non hanno fatto intervenire le loro difese antimissile basate in Siria.
Una “ammuina” che forse ha salvato la faccia agli Occidentali senza recar danno a russi e siriani.
Il rapporto dell’OPAC ha fatto luce anche sulle accuse rivolte dai ribelli jihadisti ali governativi siriani circa l’uso di armi chimiche ad al-Hamadaniya il 30 ottobre 2016 e Karm al-Tarrab, il 13 novembre 2016.
“Sulla base delle informazioni ricevute e analizzate, la narrativa prevalente delle interviste e i risultati delle analisi di laboratorio, l’OPAC non può determinare con sicurezza se una determinata sostanza chimica è stata utilizzata come arma negli incidenti avvenuti nel quartiere di Al-Hamadaniya e nell’area di Karm al-Tarrab”.
Il rapporto dell’OPAC su Douma è passato quasi inosservato benchè nell’aprile scorso politici, analisti e opinionisti colsero l’occasione (anche in Italia) per accusare Damasco e Mosca di crimini di guerra e di aver voluto gasare i bambini di Ghouta.
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La vicenda venne strumentalizzata ai fini della caccia alle streghe legata alla “nuova guerra fredda” e ai fini politici interni con effetti esilaranti e al tempo stessi patetici.
Ampi ambienti della politica italiana arrivarono addirittura a sostenere che non si poteva criticare l’interventismo bellico di Usa, Francia e Gran Bretagna (la rappresaglia non attese un rapporto dell’OPAC) perché sono nostri alleati della Nato.
Posizione assurda sia perchè l’Alleanza Atlantica è nata per difendere la libertà (anche di critica e di espressione) non per soffocarla ma soprattutto perché Londra, Parigi e Washington non hanno certo coinvolto la Nato nè chiesto il consenso degli alleati per condurre un’azione bellica unilaterale.
Fragoroso il silenzio con cui quelle schiere di indignati per le stragi di bambini siriani hanno accolto il rapporto dell’OPAC.
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Tace persino chi arrivò a definire “propaganda russa” un editoriale di Analisi Difesa che ipotizzò la montatura orchestrata per creare il casus belli e coinvolgere direttamente le potenze occidentali nella guerra contro Bashar Assad.
Eppure non era poi così difficile intuire le ragioni dell’ennesima montatura tesa a dimostrare l’uso di gas nervini da parte del regime di Assad dopo che Barack Obama aveva definito l’impiego di armi chimiche il “filo rosso” il cui superamento avrebbe determinato l’intervento bellico statunitense.
Per questo i ribelli, sconfitti sul campo di battaglia, (e i loro alleati arabi) cercano periodicamente di inscenare attacchi chimici che i governativi non hanno nessuna esigenza militare né ovviamente politica per scatenare. Bashar Assad è un dittatore ma, anche in virtù del ruolo che ricopre da 18 anni di cui 7 di guerra, sarebbe ridicolo considerarlo uno stupido.
Foto: Die Welt e Douma Media Center e US DoD

Fonte: www.analisidifesa.it

martedì 24 luglio 2018

Rita Atria: Memoria Attiva - 26 luglio 1992-2018

Associazione Antimafie Rita Atria luglio 2018

L’Associazione Antimafie Rita Atria, come ogni anno, farà Memoria Attiva di Rita portando una RosaRossa sulla sua tomba la mattina e con l’evento ufficiale alle 18.30 a Roma in viale Amelia, 23 dove ha spiccato il suo “Volo”. Per noi è un momento di bilancio rispetto alle attività svolte nel nostro “anno solare” che inizia il 26 luglio e finisce il 25 luglio dell’anno successivo.
In questo clima sociale dove l’oblio sembra prevalere sulla Memoria (spariti dalle memorie collettive fatti, luoghi e persone) permettendo ai professionisti del revisionismo storico di sfoderare dentature sorridenti e lineamenti facciali falsamente contriti dal dolore, noi proviamo a resistere senza fare un solo passo indietro rispetto all’eredità di Rita.
Ci saranno due "eventi".... quello informale, quasi privato alle 10.15 al cimitero di Partanna con gli amici di sempre e con Michela Buscemi per noi donna simbolo dei valori della Testimonianza che insieme alle donne del digiuno portò sulle sue spalle la bara di Rita e ancora oggi è Testimone di come Rita sia stata oltraggiata anche da morta.
L’evento serale (al parco archeologico di Selinunte) al quale eravamo stati invitati a partecipare dalla parrocchia di Selinunte allo spettacolo “In Viaggio con Rita Atria e Stefania Noce” di e con l’attrice Stefania Mulè è rinviato a data da destinarsi per problemi di calendarizzazione.
Alle 18.30 a Roma l’iniziativa ufficiale, in viale Amelia 23 per fare Memoria di un volo di cui tutti siamo responsabili. Per ricordare a noi stessi che spesso le persone non si suicidano ma le lanciamo noi dalle finestre, con le nostre discriminazioni, con i nostri pregiudizi, con le nostre amnesie, con la nostra ipocrisia. Lo ribadiamo: Rita Atria non è solo Vittima della sua famiglia mafiosa e della mafia; ma è Vittima di una società che non ha saputo decidere da che parte stare e di uno Stato al tempo assente e “distratto”. Oggi, anche grazie al sacrificio di Rita i Testimoni sono più tutelati e i figli dei mafiosi non devono necessariamente seguire le orme dei genitori… come scrivere Rita L'unico sistema per eliminare tale piaga (la mafia, ndr) è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore.”
Saremo a Roma per ricordare alla Sindaca Raggi che da novembre 2017 al protocollo di Roma giace inascoltata la domanda di cittadinanza onoraria. Non sono serviti solleciti telefonici e via pec a far cambiare stato a quella che per la burocrazia, forse, è solo una pratica che può attendere.
Rita Atria è la settima Vittima di via D’Amelio. È bene tenerlo a mente anche se lo si dimentica spesso.
"Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare, forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo" Rita Atria
Direttivo nazionale
Associazione Antimafie “Rita Atria”
Si allega il link alla raccolta firme