giovedì 19 aprile 2018

I cristiani siriani: «Le armi chimiche un pretesto per fare la guerra» famigliacristiana.it

«Siamo stati svegliati alle 4 di notte dal sibilo dei missili e abbiamo capito che gli attacchi erano in corso. Si sono udite delle esplosioni nei dintorni di Damasco. Qui al centro per ora tutto è tranquillo ma la gente è preoccupata per il futuro. La popolazione vuole vivere in pace e non sotto l'incubo delle bombe». Al Sir, l'agenzia della Cei, le parole di padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della Capitale, a Damasco, racconta l'attacco congiunto di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sferrato nella notte contro tre obiettivi a Damasco e Homs. Si tratterebbero di un centro di ricerca nella capitale siriana, di un impianto di stoccaggio di armi chimiche e di una struttura contenente armi chimiche ed equipaggiamenti, entrambi a ovest di Homs. La risposta militare di Trump al presunto utilizzo di armi chimiche contro la città siriana di Douma, che gli Usa hanno da subito attribuito al regime di Bashar al Assad, non si è fatta attendere oltre. «Sapevamo che esisteva l'intenzione di bombardare da parte degli Usa dopo il presunto attacco chimico alla Ghouta orientale ma la speranza era riposta in un'indagine oggettiva sull'uso di armi chimiche e che per questo non ci sarebbero stati lanci di missili», dichiara il frate che spera che «non si ripeta quanto già avvenuto in Iraq che fu invaso nel 2003 (da una coalizione formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri Stati, ndr) perché il regime di Saddam Hussein era stato accusato di possedere armi di distruzione di massa. Armi che non furono mai trovate. La volontà è distruggere la Siria. Il progetto va avanti con queste bombe. Non ci resta che pregare per la pace ora più che mai».
All'agenzia DIRE monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, accusa Donald Trump: «Usano l'argomento degli attacchi chimici solo per continuare la guerra, alimentare il commercio di armi e compiacere l'Arabia Saudita», ha detto. «Vogliono dimostrare il loro potere ma come vescovi e come cristiani diciamo che alla storia delle armi chimiche non crediamo», ha aggiunto il Vescovo dopo i raid contro obiettivi governativi a Damasco e Homs. «Questo è solo un argomento per alimentare la guerra in Siria e il commercio delle armi, sfruttando la lotta tra sunniti e sciiti e compiacendo l'Arabia Saudita e le altre potenze del Golfo».
Il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen
Il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen

IL VICARIO APOSTOLICO DI ALEPPO: «CON QUESTI MISSILI HANNO GETTATO LA MASCHERA»

Molto critico sui raid di Usa, Francia e Gran Bretagna anche il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen, che al Sir ha detto: «Con questi missili hanno gettato la maschera. Prima era una guerra per procura. Ora a combattere sono gli attori principali. Sono sette anni, è iniziato l'ottavo, che si combatte sul suolo siriano e ora che gli attori minori sono stati sconfitti, in campo sono scesi i veri protagonisti del conflitto».
Le bombe della scorsa notte sono state sganciare come reazione ai presunti attacchi chimici nel Ghouta: «Aspettiamo gli esperti per indagare sul presunto attacco chimico a Douma ma dopo questi raid sarà tutto più difficile», dice Khazen. «Ogni appello alla pace cade nel vuoto, solo papa Francesco continua a sperare nella pace e noi con lui. Intanto cresce la sofferenza della popolazione che chiede pace e in cambio ottiene bombe e missili. Qui la gente si aspettava qualcosa di simile e purtroppo è avvenuto». L'auspicio di mons. Abou Khazen è che «questi attacchi non si allarghino anche in altri luoghi della regione perché sarebbe davvero pericoloso e tutto potrebbe sfuggire di mano. Serve una soluzione condivisa da raggiungere senza menzogne. Non abbiamo altre armi che la preghiera. Oggi», conclude il francescano, «il Vangelo ci propone il racconto degli Apostoli sulla barca in mezzo alla tempesta, di notte, salvati da Gesù che, apparso loro, diceva: "Sono io, non abbiate paura!". Questa sia la nostra speranza e la nostra forza». Proprio nei giorni scorsi era stata annunciata dal vicario l'organizzazione di una «Giornata di preghiera nazionale per la pace».

martedì 17 aprile 2018

La segregazione di Julian Assange equivale metterci tutto a tacere

DI JOHN PILGER johnpilger.com In questa lettera, ventisette scrittori, giornalisti, cineasti, artisti, accademici, ex ufficiali dei servizi segreti e democratici, chiedono al governo dell'Ecuador di concedere a Julian Assange il diritto alla libertà di parola. Se non era chiaro che il caso di Julian Assange non è mai stato solo una questione legale, ma una lotta per la protezione dei diritti umani fondamentali, adesso lo è. Nel citare i suoi tweet che dissentono sulla validità della recente detenzione del presidente catalano Carles Puidgemont in Germania, e in seguito alle pressioni dei governi statunitense, spagnolo e britannico, il governo ecuadoriano ha installato un jammer elettronico per impedire ad Assange di comunicare con il mondo esterno via internet e telefono.
Per rendere il suo isolamento totale, il governo ecuadoriano gli ha pure rifiutato il permesso di ricevere visite. Nonostante due sentenze delle Nazioni Unite che considerano illegittima la sua detenzione e che esigono il suo immediato rilascio, Assange è di fatto prigioniero da quando è stato portato per la prima volta nel carcere di Wandsworth a Londra, nel dicembre 2010. Non è mai stato accusato di alcun crimine. Il caso svedese contro di lui è crollato ed è stato archiviato, ma nel frattempo gli Stati Uniti hanno intensificato i loro sforzi per portarlo a processo. Il suo unico "crimine" è quello di essere un vero giornalista – uno che dice al mondo le verità che le persone hanno il diritto di sapere.
Il governo ecuadoriano, con il suo vecchio presidente, si schierò con coraggio contro l'arrogante strapotere degli Stati Uniti e concesse asilo ad Assange come rifugiato politico. La legge internazionale e la moralità dei diritti umani erano dalla sua parte.
Oggi, sotto enorme pressione da parte di Washington e dei suoi sodali, un nuovo governo in Ecuador giustifica il bavaglio che ha imposto ad Assange affermando che "il comportamento di Assange, tramite i suoi messaggi sui social media, mette a rischio le buone relazioni che questo paese ha con il Regno Unito, il resto dell'UE ed altre nazioni".
Questa censura alla libertà di parola non sta avvenendo in Turchia, in Arabia Saudita o in Cina, ma nel cuore stesso di Londra. Se il governo ecuadoriano non cesserà la sua spregevole azione, diventerà anch'esso agente di persecuzione, anziché rappresentare la valorosa nazione che ha difeso l'autonomia e la libertà di parola. Se l'UE e il Regno Unito continuano a sostenere il vergognoso zittire di un vero dissidente, significa che la libertà di parola sta davvero morendo in Europa. Non si tratta unicamente di mostrare sostegno e solidarietà. Ci appelliamo a tutti coloro che si preoccupano di far valere i diritti umani di chiedere al governo dell'Ecuador di continuare a difendere i diritti di un coraggioso attivista, giornalista e informatore.
Chiediamo che i suoi diritti umani di base siano rispettati come se fosse un cittadino ecuadoriano, che sia protetto a livello internazionale e che non venga messo a tacere o espulso.
Se non c'è libertà di parola per Julian Assange, non c'è libertà di parola per nessuno di noi – a prescindere da ciò che ognuno pensa.
Chiediamo al presidente Moreno di porre fine all'isolamento di Julian Assange ora.
John Pilger
1.04.2018
Scelto e tradotto per comedonchisciotte.org da Gianni Ellena
Elenco dei firmatari (in ordine alfabetico):
Pamela Anderson, attrice e attivista
Jacob Appelbaum, giornalista freelance
Renata Avila, avvocato internazionale per i diritti umani
Sally Burch, giornalista britannico/ecuadoriano
Alicia Castro, ambasciatrice dell'Argentina nel Regno Unito 2012-16
Naomi Colvin, Courage Foundation
Noam Chomsky, linguista e teorico politico
Brian Eno, musicista
Joseph Farrell, ambasciatore WikiLeakse e membro del Consiglio del Centro di Giornalismo Investigativo
Teresa Forcades, Suora Benedettina, Monastero di Montserrat
Charles Glass, autrore, giornalista e conduttore britannico/americano
Chris Hedges, giornalista
Srecko Horvat, filosofo, Movimento per la Democrazia in Europa 2025 (DiEM25)
Jean Michel Jarre, musicista
John Kiriakou, ex agente antiterrorismo della CIA ed ex investigatore senior, Comitato per le Relazioni Estere del Senato degli Stati Uniti
Lauri Love, informatico e attivista
Ray McGovern, ex analista della CIA, consigliere presidenziale
John Pilger, giornalista e regista
Angela Richter, regista teatrale, Germania
Saskia Sassen, sociologa, Columbia University
Oliver Stone, regista
Vaughan Smith, giornalista inglese
Yanis Varoufakis, economista, ex Ministro delle Finanze greco
Natalia Viana, giornalista investigativa e condirettore di Agencia Publica, Brasile
Ai Weiwei, artista
Vivienne Westwood, stilista e attivista
Slavoj Žižek, filosofo, Birkbeck Institute for Humanities.

To see the article visit comedonchisciotte.org

lunedì 16 aprile 2018

Newsletter Voce delle Voci mercoledì 4 aprile 2018

La Newsletter di mercoledì 4 aprile 2018











PAOLO MIELI SUPER STAR / CONTESO TRA MASSONI DEL GRANDE ORIENTE E DELLA GRAN LOGGIA







TSUNAMI SU FACEBOOK / LE "STRANE" PREMONIZIONI DEL MANGIAPAESI GEORGE SOROS

  di Andrea Cinquegrani


I BIG DEI VACCINI / GLAXO & C., MILIARDI & CONFLITTI SULLA PELLE DEI BAMBINI

  di Andrea Cinquegrani




Proposta per un inviato molto speciale

  di Luciano Scateni
Repubblica è il quotidiano che ha adottato come tuttologo l'autore di Gomorra, Roberto Saviano. Al suo libro si deve la successiva, omonima fiction, prodotta e messa in onda da Sky, multinazionale televisiva presente in mezzo mondo. Il danno di immagine per Napoli è difficilmente ...continua



STRAGE DI VIAREGGIO / PARTI CIVILI DA ROTTAMARE, QUESTIONE DI STILE

  
Processo di appello per la strage di Viareggio, si muovono i primi passi. Sono appena scaduti i termini per la presentazione delle memorie difensive per gli imputati tedeschi, ossia le società Gatx (Germania e Austria) e Officina Jughental di Hannover. Tra gli imputati eccellenti l'ex big ...continua


IL RACCONTO DI PASQUA – Un nuovo imperdibile Dizionario a cura di Luciano Scateni

  di Redazione
Grande autore di memorabili racconti per la Voce, Luciano Scateni ci dona a partire da questa domenica di Pasqua un nuovo, imperdibile Dizionario delle parole: sono rare, eppure comprese nella lingua italiana di oggi. Molto più che un "divertissement" da scrittore di razza, questo ...continua









domenica 15 aprile 2018

Verso il dopoguerra del Medio Oriente Allargato, di Thierry Meyssan

Contestando le finzioni della propaganda atlantista, Thierry Meyssan interpreta le relazioni internazionali collocandole in una prospettiva di lungo termine. Secondo Meyssan, negli ultimi sette anni non c'è stata guerra civile in Siria, ma una guerra regionale nel Medio Oriente Allargato che dura da diciassette anni. Da questo conflitto così vasto, da cui la Russia esce vincitrice nei confronti della NATO, sta emergendo gradualmente un nuovo equilibrio mondiale.


JPEG - 41.8 Kb
Tutte le guerre finiscono con vincitori e vinti. La guerra di diciassette anni nel Medio Oriente Allargato non fa eccezione. Eppure, benché Saddam Hussein e Muammar Gheddafi siano stati eliminati e la Siria stia per uscirne vincente, il vero perdente di questa guerra è il popolo arabo.
Si può anche fingere di credere che il problema sia limitato alla Siria; e che in Siria il problema sia solo nella Ghuta; e che nella Ghuta l'Esercito dell'Islam abbia perso. Ma quest'episodio non basta a mettere fine ai conflitti che stanno devastando la regione, distruggendo intere città e uccidendo centinaia di migliaia di persone.
Ebbene, la favola del contagio delle "guerre civili" [1] consente ai 130 Stati e organizzazioni internazionali che partecipano ai summit degli "Amici della Siria" di negare le proprie responsabilità e di mantenere alta la testa. E, siccome non accetteranno mai lo smacco subito, continueranno le loro angherie in altri scenari operativi. In altri termini: la loro guerra nella regione finirà ben presto, però continuerà altrove.
Guardando i fatti da questa angolatura, quanto accaduto in Siria dalla dichiarazione di guerra degli Stati Uniti – il Syrian Acountability Act – del 2003, quasi 15 anni fa, avrà forgiato l'Ordine del mondo che ora si sta formando. Infatti, mentre quasi tutti gli Stati del Medio Oriente Allargato sono stati indeboliti, talvolta distrutti, solamente la Siria è ancora in piedi e indipendente.
Sicché il Pentagono non potrà più mettere in atto, né qui né altrove, la strategia dell'ammiraglio Cebrowski, rivolta a distruggere società e istituzioni di Paesi non globalizzati e a taglieggiare i Paesi globalizzati per aver accesso alle materie prime e alle fonti di energia.
Su spinta del presidente Trump, le Forze armate USA stanno lentamente cessando di sostenere gli jihadisti e cominciano a ritirarsi dal terreno di battaglia. Fatto che non li trasforma in filantropi, ma in realisti. Dovrebbe trattarsi della svolta che mette fine alla loro militanza per la rovina degli Stati.
Riallacciandosi alla Carta Atlantica, patto con il quale Londra e Washington nel 1941 si accordarono per controllare insieme gli oceani e il commercio mondiale, gli Stati Uniti ora si preparano al sabotaggio delle ambizioni commerciali del loro rivale cinese. Per limitare gli spostamenti della flotta cinese nel Pacifico, Donald Trump riforma i Quad (con Australia, Giappone e India) e contemporaneamente nomina consigliere per la Sicurezza John Bolton, che sotto Bush Jr. compì l'impresa di coinvolgere gli Alleati nella sorveglianza militare degli oceani e del commercio globale.
Nei prossimi anni il grande progetto cinese delle vie della seta (terrestre e marittima) non dovrebbe andare in porto. Poiché Bejing ha deciso di far passare le merci dalla Turchia, invece che dalla Siria, e dalla Bielorussia, invece che dall'Ucraina, in questi due Paesi stanno per nascere "disordini".
Già nel XV secolo la Cina tentò di riaprire la via della seta, costruendo una gigantesca flotta di 30.000 uomini, comandati dall'ammiraglio mussulmano Zheng He. Nonostante l'accoglienza calorosa nel Golfo Persico, in Africa e nel Mar Rosso di questa pacifica armata, il progetto fallì. L'imperatore fece bruciare l'intera flotta. Per cinque secoli La Cina si ripiegò su se stessa. Per ideare "la Via e la Cintura", il presidente Xi si è ispirato all'illustre predecessore, l'imperatore Ming Xuanzong, ma, come costui, potrebbe essere indotto ad affossare l'impresa, qualunque sia l'entità degli investimenti e, quindi, delle perdite.
Da parte sua, il Regno Unito non ha rinunciato al piano di una nuova "rivolta araba", sul modello di quella che nel 1915 portò al potere gli wahabiti dalla Libia all'Arabia Saudita. Tuttavia, la "primavera araba" del 2011, che avrebbe dovuto consacrare i Fratelli Mussulmani, si è infranta contro la resistenza siriano-libanese.
Londra intende mettere a profitto il "pivot verso l'Asia" degli Stati Uniti per ritrovare lo splendore del suo antico impero. Il Regno Unito si appresta a lasciare l'Unione Europea e dirige la propria potenza offensiva contro la Russia. Strumentalizzando il caso Skripal, ha tentato di radunare attorno a sé il maggior numero possibile di alleati, ma è incorso in alcuni inconvenienti, per esempio il rifiuto della Nuova Zelanda di continuare nel ruolo di dominion docile. Come nel caso delle guerre in Afghanistan, Jugoslavia e Cecenia, la logica suggerisce a Londra di reindirizzare i propri jihadisti contro Mosca.
La Russia, unica grande potenza a uscire vittoriosa dal conflitto in Medio Oriente, ha conseguito l'obiettivo che fu della zarina Caterina II: l'accesso al Mediterraneo e la salvezza della culla del cristianesimo, su cui la sua cultura si fonda.
Mosca ora dovrebbe dare impulso all'Unione Economica Euroasiatica, cui la Siria è candidata dal 2015, quando però la sua adesione fu sospesa per richiesta dell'Armenia, preoccupata dall'ingresso nello spazio economico comune di un Paese in guerra. La situazione attuale è però diversa.
Da quando la Russia ha rivelato il nuovo arsenale nucleare, l'equilibrio mondiale è diventato bipolare. Non sarà una cortina di ferro a dividere il mondo in due, ma la volontà degli occidentali, che già stanno separando i sistemi bancari e, presto, separeranno internet. L'equilibrio dovrebbe fondarsi sulla NATO, da un lato e, dall'altro, non più sul Patto di Varsavia, bensì sull'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. In trent'ani la Russia ha voltato la pagina del bolscevismo e ha spostato la propria zona d'influenza dall'Europa Centrale al Medio Oriente.
Con movimento oscillatorio l'Occidente, da ex "mondo libero", si sta trasformando in un insieme di società coercitive e fintamente consensuali. L'Unione Europea si sta dotando di una burocrazia più pervasiva e opprimente di quella dell'Unione Sovietica. Per contro, la Russia torna a essere il campione del Diritto Internazionale.

To see the article visit www.voltairenet.org