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domenica 30 giugno 2019
martedì 25 giugno 2019
Blog Emanuela Orlandi: Sit-in per Emanuela a 36 anni dalla sparizione
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giovedì 28 marzo 2019
Blog Emanuela Orlandi: “Emanuela Orlandi vittima di corruzione sessuale in Vaticano”. Intervista ad Alessandro Meluzzi
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giovedì 21 marzo 2019
Pedofilia e abusi, come uscire dall’«11 settembre» ecclesiale?
Quel che è venuto alla luce in varie parti del mondo a partire dal 2002 ha determinato una serie di scosse telluriche in tante diocesi e conferenze episcopali. La necessitàdi una conversione profonda e di un cambiamento di rotta. Il summit in Vaticano dal 21 al 24 febbraio.
Abusi su bambini e ragazzi da parte di preti e religiosi. Abusi a centinaia, a migliaia. Praticamente sempre coperti, insabbiati, non denunciati. Permettendo così all’abusatore di continuare a delinquere. «L’11 settembre della Chiesa» l’ha definito chi certo non può essere considerato un catastrofista: l’arcivescovo Georg Gänswein, già segretario di Benedetto XVI. Lo scandalo della pedofilia paragonato al grande attacco terroristico del 2001 agli Stati Uniti. In altri termini, un evento spartiacque, dopo il quale nulla potrà essere come prima. Esagerato?
Nella prospettiva di un comune fedele italiano, forse sì. Quel che è venuto alla luce dal 2002, con l’inchiesta del quotidiano «Boston Globe» (raccontata nel film Spotlight, vincitore dell’Oscar), in poi ha determinato una serie di scosse telluriche in molte diocesi e conferenze episcopali. Ha abbattuto vescovi, arcivescovi e cardinali; ha mandato in bancarotta Chiese locali; Usa, Belgio, Austria, Australia, Irlanda, Cile… immaginate – è un incubo che non si concretizzerà, ma utile per provare a comprendere lo sconcerto di una comunità ecclesiale – che tutti i vescovi italiani vengano rimossi, com’è accaduto di recente in Cile, per il loro silenzio sui casi di pedofilia, coperti, insabbiati, silenziati. Una tragedia. Che non riguarda solo né principalmente i singoli protagonisti, ma la credibilità della Chiesa. Il suo annuncio. Il Vangelo.
Come uscire dall’11 settembre ecclesiale? Nessuna guerra, se non interiore alla ricerca del male da estirpare. Ma una conversione sì. Un esercizio di sincerità – persino «spietato» – sì. E la ricerca di un cambiamento di rotta. Perché alla diagnosi deve sempre seguire la terapia. E questa che colpisce la Chiesa non è una banale febbriciattola.
Per questo motivo nell’agosto scorso papa Francesco ha scritto una «Lettera al popolo di Dio» (a tutti i battezzati, nessuno escluso, perché un peccato grave di alcuni membri riguarda l’intero corpo e nessuno può chiamarsi fuori) e ha convocato dal 21 al 24 febbraio in Vaticano un summit, a cui parteciperanno i presidenti delle Conferenze episcopali nazionali e i capi dei dicasteri.
«La prima regola per guarire è accettare di essere malati». E la malattia che esplode oggi ha origini antiche. La prima denuncia formale risale addirittura al 1051 a opera di Pier Damiani. Senza conseguenze. I Papi dell’epoca, come Gregorio VII, intervengono per arginare la corruzione del clero, ma ignorano la pedofilia. Emblematica ma tristissima è la vicenda di Giuseppe Calasanzio, fondatore degli Scolopi. La Controriforma è fatta di ombre e luci. Calasanzio è una luce che forze oscure tentano di spegnere. Venuto a sapere senza ombra di dubbio che un suo confratello, Giuseppe Cherubini, abusa degli alunni («orchi in tonaca e saio»), lo rimuove. Ma Cherubini gode di potenti protezioni in Vaticano. Calasanzio viene a sua volta inquisito e imprigionato. Basta poco, a quel tempo, anche solo la frequentazione di Galileo… Chi prende il suo posto a capo degli Scolopi? Cherubini, l’orco. Calasanzio sarà riabilitato e canonizzato. Ma l’episodio rimane.
di Umberto Folena
domenica 10 marzo 2019
Blog di Emanuela Orlandi: Il giallo del cimitero teutonico. Pietro Orlandi: “Aprite quella tomba”
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sabato 9 marzo 2019
La scomparsa di Emanuela Orlandi e la tomba al cimitero teutonico. Il fratello Pietro: “Il Vaticano non ci risponde da mesi”
di SERGIO TRASATTI/ La famiglia di Emanuela Orlandi, tramite il suo legale Laura Sgrò, ha presentato formale istanza al segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, per riaprire una tomba nel cimitero teutonico, che si trova all’interno delle Mura vaticane. Secondo una lettera anonima, in quella tomba potrebbe esserci il corpo della ragazza scomparsa il 22 giugno del 1983. Alla luce di questi nuovi sviluppi, il giallo è stato nuovamente approfondito a “La Storia Oscura” su Radio Cusano Campus. Pietro Orlandi, al microfono di Fabio Camillacci, ha fatto alcune precisazioni e rivelazioni importanti: “In realtà -ha esordito il fratello di Emanuela Orlandi- questa lettera anonima che abbiamo ricevuto, non è altro che la conferma di altre segnalazioni che avevamo avuto nei mesi precedenti. Segnalazioni che ci sono arrivate da fonti interne al Vaticano e soprattutto non anonime; ecco perché abbiamo avanzato istanza scritta alla Segreteria di Stato vaticana. E non è la prima istanza che presentiamo bensì la terza e a oggi non abbiamo ancora ricevuto risposta a nessuna delle tre. Tutto ciò conferma che il Vaticano non intende assolutamente collaborare per la ricerca della verità. Noi sappiamo da tempo di questa tomba al cimitero teutonico dove potrebbe essere sepolta mia sorella, così abbiamo chiesto un’indagine interna, una piccola collaborazione, anche riservata, per capire perché queste persone ci hanno segnalato che Emanuela è sepolta in quel camposanto”.
La famiglia Orlandi chiede di aprire quella tomba. Pietro Orlandi a tal proposito ha ribadito: “Ovviamente chiediamo di aprire la tomba. A noi direttamente non ci hanno mai risposto, contrariamente a quanto detto ai giornalisti dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti, il quale ne ha parlato solo perchè sollecitato dai cronisti quando si è saputo della nostra istanza scritta. Ma ripeto, sono mesi che noi attraverso il nostro avvocato chiediamo al Vaticano di fare chiarezza su quella tomba e sulle segnalazioni che abbiamo ricevuto. Perché questo muro di gomma? Emanuela è una cittadina vaticana è iscritta all’anagrafe vaticana, forse l’unica cittadina vaticana rapita, possibile che non ci sia interesse da parte di quello Stato a cercare di scoprire cosa sia successo? Non fanno altro che dire ‘per noi il caso è chiuso, ci deve pensare lo Stato italiano perché è scomparsa in Italia’. E’ assurdo tutto questo -ha aggiunto Pietro Orlandi a Radio Cusano Campus- è come se nel caso Regeni lo Stato italiano dicesse alla famiglia ‘guardate è successo in Egitto quindi se ne deve occupare la magistratura egiziana per noi il caso è chiuso’.
Strane coincidenze. Orlandi ha poi sottolineato: “Nell’ultima istanza abbiamo anche ribadito la necessità di un’audizione per alcuni cardinali che sono ancora in vita e che sanno che fine ha fatto Emanuela. Tra loro c’è monsignor Piero Vergari, che da rettore della basilica di Sant’Apollinare si attivò per far avere all’ex boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis l’inusuale sepoltura nella cripta della stessa basilica. Ma tu guarda che strana coincidenza, in quel cimitero teutonico, tra le varie persone che possono essere seppellite lì, ci sono anche quelle della confraternita che ha sede in quel camposanto. E chi fa parte di quella confraternita? Proprio don Vergari che in passato fu anche indagato per il sequestro di Emanuela. E forse non è nemmeno un caso che la storia delle ossa venute alla luce nella Nunziatura Apostolica d’Italia, sia uscita dopo che l’avvocato Sgrò aveva annunciato al Vaticano la nostra intenzione di presentare istanza scritta per la tomba al cimitero teutonico. Di fatto la storia della Nunziatura ha rallentato tutto su quell’altro fronte. E’ chiaro che dietro la scomparsa di Emanuela c’è un forte intreccio tra Stato, Chiesa e criminalità. Questo ha portato a occultare la verità per oltre 35 anni. E’ come un vaso di Pandora: se lo apri escono fuori tante cose brutte. Ricordo che circa un mese dopo la scomparsa di mia sorella, ci fu un palese invito tra la Presidenza del Consiglio e il Vaticano in relazione alla scomparsa di Emanuela a ‘non aprire quella falla che difficilmente si potrà chiudere’. E’ chiaro -ha concluso Pietro Orlandi- che sapevano cosa era successo ed era qualcosa da proteggere, da tenere nascosta per sempre”.
mercoledì 6 marzo 2019
Bergoglio fa il globalista? Oscura il suo passato fascista
C’era una volta in Argentina un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni ’70 aderì alla Guardia de Hierro, un’organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l’organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di Ferro, il movimento romeno del comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava: «Meglio così». Della sua vicinanza alla Guardia de Hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino “Clarin”, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista. Per la cronaca, la Guardia di Ferro era un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul “Corriere della Sera” una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell’estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il ’38 si fosse già convertito all’antifascismo. Testi ripubblicati di recente, “Da inviato di guerra” (ed. Ar).
Evidentemente anche nell’Argentina dei Peron il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti. Nel ’74, dopo la morte di Peron, il movimento legionario si sciolse. Era un gruppo di 3.500 militanti 15mila attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l’ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de Hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi. A Bergoglio fu poi affidata un’istituzione in difficoltà, l’Università del Salvador. Bergoglio la risanò e l’affidò a due ex-camerati della Guardia de Hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l’accusa di omertà da parte del Premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983.
Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali: «Per noi è un’amara sconfitta che Bergoglio sia diventato Papa». E Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: «Bergoglio non ci avvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi». Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista. Ho tratto fedelmente questa ricostruzione dalle pagine del libro di Emidio Novi, “La riscossa populista”, appena uscito per le edizioni Controcorrente (pp.286, 20 euro). Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi, «Papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato “fascista” durato fino al 1980». Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell’accoglienza, l’antinazionalismo radicale.
Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, S.Agata di Puglia. Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l’onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall’ala più “movimentista” dell’Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell’antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché consideraval’oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.
In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del «papulismo» di Bergoglio, della sua teologia «improvvisata e arruffona», della sua resa all’Islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga. Lo reputa «uno strumento dell’anticristo», funzionale sia al progressismo radical dell’accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l’internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere. Ma del suo passato argentino, al tempo di Peron, del giustizialismo e poi della dittatura militare, Bergoglio preferisce non parlare. Anche gli estroversi a volte tacciono.
(Marcello Veneziani, “Camerata Bergoglio”, da “La Verità” del 31 gennaio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).
Fonte: www.libreidee.org
lunedì 4 marzo 2019
martedì 29 gennaio 2019
Blog Emanuela Orlandi: Federica Orlandi “Anche io avvicinata da Felix sull’autobus”
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venerdì 25 gennaio 2019
Caso Orlandi, perchè l'esponente della banda della Magliana De Pedis sepolto nella Chiesa di Sant'Apollinare?
Tra i misteri del caso Orlandi la sepoltura dell'esponente della banda della Magliana De Pedis nella chiesa di Sant'Apollinare, ultimo luogo in cui Emanuela fu vista.
www.la7.it
giovedì 24 gennaio 2019
Caso Orlandi, Avv. Sgrò: 'Fonti indicano la sepoltura del corpo di Emanuela in Vaticano'
L'Avv. Laura Sgrò afferma che alcune fonti e documenti indicano il Vaticano il luogo di sepoltura di Emanuela Orlandi
venerdì 18 gennaio 2019
Krishna, Horus, Mithra: era già Natale, ben prima di Cristo
L'etimologia del termine "Natale", come sostantivo maschile, deriva dal latino "Natalis (nascita); "dies Natalis" significa "il giorno della nascita". Il termine "nascere" proviene dal latino "noscere", che significa "cominciare a conoscere" e ha le sue radici in altre lingue; è un termine collegato ai termini: notizia, nobile, celebre, konig, king. Il significato etimologico di Natale è quindi legato sia alla nascita, sia alla conoscenza. Per i Popoli del Nord, le notti dal 25 dicembre al 6 gennaio erano particolarmente sacre. Nei paesi scandinavi venivano celebrati i natali di Frey, figlio di Wodan (Wuotan: Odino), dio della natura, e di Berchta (Frigga: Holda) sua sposa, con la festa scandinava di Yule. Riservati al culto solare erano in epoca megalitica il monumento di Stonehenge (Inghilterra) e i Menhir di Carnac (Bretagna), orientati verso Est (il Sole levante). Fra i popoli celti si accendevano e si accendono tutt'ora il 25 dicembre dei sacri fuochi al dio Lug (luminoso) detto Griamainech (Viso del Sole), corrispondente al greco Hermes e al latino Mercurius. Questi fuochi sono ancor oggi conosciuti fra gli irlandesi e i montanari della Scozia, e vengono accesi in onore di Cristo.
La festa del solstizio d'inverno è sempre stata associata alla celebrazione della Rinascita della Luce e dell'attesa di un "parto" miracoloso della "Vergine celeste", "Regina del Mondo", con la nascita del suo divino "Infante". Il Rito della Natività del Sole, celebrato in Siria e in Egitto, era molto solenne. Al solstizio d'inverno i celebranti si riunivano in particolari santuari sotterranei (hipógei), da cui uscivano a mezzanotte esultando: «La Vergine ha partorito! La Luce cresce!». Gli antichi egiziani rappresentavano il Sole appena nato, Horus, con una "Imagine" di un Infante in cera o argilla, che mostravano ai fedeli di Iside e Osiride. La figura di Iside col bimbo Horo somiglia talmente alla Madonna col Bambin Gesù che a volte ricevette l'adorazione inconsapevole dei primi cristiani (dal "Libro dei Morti" egiziano). Iside d'Egitto, come Maria di Nazareth era la Nostra Signora Immacolata, la Stella del Mare (Stella Maris), la Regina del Cielo e Madre di Dio, ed era rappresentata in piedi sulla falce della Luna e coronata di stelle. La figura della "Vergine" dello zodiaco (Virgo) nelle antiche immagini appare come una donna che allatta un bambino, archètipo di tutte le future madonne col divino fanciullo.In India, l'antichissima religione dei primi Brahmani vedici, nei più antichi inni del "Rig-Veda", chiama Sûrya (il Sole) e Aghni (il Fuoco) il Regolatore dell'Universo, Signore degli Uomini e il Re Saggio,e la Madre Devakî è similmente raffigurata col divino Krishna tra le braccia. Per i babilonesi, la Madre Mylitta o Istar di Babilonia era raffigurata con la consueta corona di stelle e con il divino figlio Tammuz, la cui nascita veniva commemorata nelle rituali Sacee babilonesi, feste della nascita analoghe al nostro Natale. Il periodo del solstizio al 25 dicembre ricorre anche per la nascita verginale del principe Siddharta, che fu adombrato da Buddha (l'Illuminato) allo stesso modo in cui Gesù fu adombrato da Cristo. Per la storia dell'antica Cina, Buddha nasce dalla vergine Mâyâdevi. Per i persiani, al solstizio d'inverno nacque Mithra, divinità solare di origine indo-iranica, anch'egli "nato" in una grotta, da una vergine. Fra i suoi sacerdoti si ricordano i Magi citati nel Vangelo di Matteo, sapienti astrologi e discepoli di Zarathustra-Zoroastro, che attendevano da tempo il ritorno di Mithra-Maitreia, secondo antiche profezie.
Per i nabatei, popolazione araba che nel I secolo a.C. dominò la Giordania Orientale, la divinità Dusares era unita al Sole, portava l'attributo di "invincibile", congiunto a Mithra, e il suo giorno natalizio cadeva sempre il 25 dicembre. Nel 274 d.C. Aureliano fece erigere a Roma un sontuoso tempio in onore di Mithra, e numerosi "mithrei" sorsero e si conservano tutt'ora in altre zone d'Italia, noti sotto il nome di "Hipógei". Nell'antica Grecia veniva celebrata la festa della "Ghenesìa" (il giorno del Natalizio). Il mito di Hermes (Mercurio) presenta particolari analogie con la figura di Gesù. Nato in una grotta, figlio di Zeus (Iuppiter: Giove-Padre) e da Maia (la maggiore delle Pleiadi), Hermes è spesso rappresentato con un agnello sulle spalle, da cui deriva il suo nome di Crioforo (portatore dell'agnello). E' anche ricordato come Guida delle Anime nella dimora dei morti (Ade-inferno). Da tale funzione deriva il nome di Ermes-Psicopompo, "accompagnatore delle anime", e in tali vesti servì di immagine ai primi cristiani per figurare il Buon Pastore, al punto che queste identificazioni si fusero con la figura del Christo.
La data del solstizio d'inverno fu ripresa dal cristianesimo per il Natale di Gesù, in coincidenza con altre feste confluite a Roma, come il "dies Natalis Solis Invicti" il Natale del Sole Invitto (il sole invincibile), il Natale di Mithra, la Nascita di Horus in Egitto e quella di Tammuz a Babilonia. Storicamente la più antica fonte conosciuta, che fissa al 25 dicembre la nascita di Gesù, è di Ippolito di Roma (170 circa- 235) che già nel 204 riferiva della celebrazione del Natale, nell'Urbe, proprio in quella data; e soprattutto Sesto Giulio Africano (211 d.C.) nella sua "Cronografia" del mondo. Inoltre ci sono anche le prove, indirette ma evidenti, contenute nei Rotoli di Qumran ("Cronaca dei Giubilei") che confermano la tradizione apostolica secondo la quale vi erano la festività dell'Annuncio a Zaccaria il 23 settembre, la festa dell'Annuncio a Maria sei mesi dopo (25 marzo) e la nascita di Gesù nove mesi dopo (25 dicembre).
Ufficialmente la festa del Natale cristiano fu fissata nel 335 d.C. dall'imperatore Costantino, che sostituì la festa natalizia di Mithra-Sole del 25 dicembre con il Natale di Cristo, chiamato dal profeta Malachia "Sole di Giustizia" e da Giovanni Evangelista "Luce del Mondo". Da Roma la nuova festa del Natale cristiano si diffuse rapidamente in Oriente (seppure con qualche resistenza), come attestato da San Giovanni Crisostomo nell'omelia pronunciata nel 386, in cui asseriva che la festa era stata introdotta ad Antiochia una decina d'anni prima (circa nel 375) mentre non era in uso né a Gerusalemme, né ad Alessandria, né in Armenia, dove invece nelle chiese locali osservavano già la festa della "Manifestazione" al 6 gennaio, cioè la triplice epifania del Salvatore: la nascita di Gesù, l'adorazione dei Magi, il battesimo nel Giordano (Christòs). Risulta quindi che verso la fine del IV secolo s'era esteso a tutta la Chiesa l'uso di celebrare l'anniversario della nascita di Gesù-Cristo, in Oriente al 6 gennaio e in Occidente al 25 dicembre.
La Novena di Natale è strettamente legata al culto ufficiale, ma va precisato che il Natale fa parte di un ciclo di dodici giorni, conosciuto col nome di "Calende", di origine molto antica. Infatti il Natale segnava l'inizio del nuovo anno. Nelle case dei nostri antichi avi si accendeva a Natale un ceppo di quercia, dai poteri propiziatori, che doveva bruciare per 12 giorni consecutivi, e dal modo in cui bruciava si intuivano i presagi sul nuovo anno in arrivo. Il ceppo doveva essere preferibilmente di quercia, perché il suo legno simboleggia forza e solidità. Simbolicamente si bruciava il passato e si coglievano i segni del prossimo futuro; infatti le scintille che salivano nella cappa simboleggiavano il ritorno dei giorni lunghi, la cenere veniva raccolta e sparsa nei campi per sperare in abbondanti raccolti. Si tratta di un'usanza le cui radici risalgono alle popolazioni del Nord Europa. Abbiamo la testimonianza di Lucano, nel "Bellum civile" (III, 400) in cui ha descritto come gli alberi assumessero un ruolo fondamentale nel culto delle popolazioni celtiche che i romani si trovarono a fronteggiare: un culto in cui simbolismo e ritualità si fondevano in modo straordinariamente armonico.
In particolare i Teutoni, nei giorni più bui dell'anno, piantavano davanti alle case un abete ornato di ghirlande e bruciavano un enorme ceppo nel camino. Questi simboli sono sopravvissuti nell'albero di Natale, che rimane verde tutto l'anno e non perde le foglie durante l'inverno come fanno gli altri alberi. L'albero rappresenta anche il simbolo del corpo umano e più precisamente il suo sistema nervoso compreso il cervello, nel quale deve brillare la luce, ovvero la conoscenza che viene dal "cielo" del pensiero e dalla coscienza universale, simboleggiata dalla stella di Natale, che indica l'illuminazione, la conoscenza e la consapevolezza dell'amore che mantiene vivente il creato. Quest'usanza si è oggi trasformata nelle luci che addobbano gli alberi, le case e le strade nel periodo natalizio. A tale tradizione si collega la celebrazione del Natale per indicare l'avvento della "luce del mondo", che giunge a squarciare le pericolosità del buio. È il Bambino, che venendo al mondo, inaugura una nuova vita, e porta la Luce a tutti gli uomini. Infatti le case e le abitazioni sono il simbolo della personalità che deve illuminarsi; per questo motivo in questo periodo le case e le città si riempiono di luci, perché devono portare la conoscenza di sé stessi, l'amore e la giustizia tra gli uomini.
E' documentato che in Romagna, l'antica Romandìola, l'usanza di iniziare l'anno partendo dal 25 dicembre di ogni anno, durò fino ai tempi di Dante, come si riscontra dal "Codice di Lottieri della Tosa" – n. 217 – pubblicato a Faenza nel 1979 a cura di don Giovanni Lucchesi. Ogni anno al solstizio d'inverno accade qualcosa di magico e straordinario: nel giorno più corto dell'anno, il sole tocca a mezzogiorno il punto più basso dell'orizzonte, ovvero simbolicamente "muore", per rinascere successivamente, dodici giorni dopo, al perigeo, quando il sole riprende il suo moto, perpetuando e rinnovando il ciclo infinito della vita. Per questo il solstizio d'inverno è considerato il giorno più sacro dell'anno e del bene che regna sul mondo. A partire dal solstizio d'inverno il nostro pianeta è permeato dalle potenti radiazioni della "luce cristica", che continua a manifestarsi con forza fino all'Epifania.
(Andrea Fontana, "Il Natale nella storia", estratto da "Il presepio rivelato", intervento pubblicato su "Scienze Astratte" il 25 dicembre 2011).
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domenica 9 dicembre 2018
venerdì 30 novembre 2018
Blog Emanuela Orlandi: La nostra genetista forense è pronta ad esami paralleli su quei resti
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mercoledì 28 novembre 2018
Coce Rossa Italiana in rosso. Dove sono finiti i soldi?
Incredibile. C’è un’emergenza umanitaria in corso e nessuno ne parla. Una crisi grande come il campo profughi di Daadab in Kenia, (la più grande tendopoli-dormitorio del mondo) e nessuno dice niente. Ma proprio nessuno, da destra a sinistra. Come nessun giornale, dalla Verità, all’Avvenire(noto quotidiano della CEI) a Topolino. Solo qualche isolata voce fuori dal coro nel deserto dell’informazione (i pochi che ancora osano andare controcorrente).
Ma non stiamo parlando di un genocidio nel Sud Sudan o delle migliaia di persone in fuga dalle guerre che insanguinano il continente africano. Nemmeno dell’emergenza profughi sulle Navi che attraccano nei porti o i centri di accoglienza stracolmi di migranti. Stiamo parlando della colossale voragine nei conti della Croce Rossa Italiana che versa in una situazione economica disastrosa che rischia seriamente di condannare a morte una delle più nobili istituzioni assistenziali a livello mondiale.
La Prestigiosa organizzazione italiana che ha lottato a tutte le latitudini per combattere povertà e fame è in croce. Ed è in rosso. L’organizzazione che è sempre stata in prima fila nei paesi più poveri per alleviare denutrizione e carestie sta morendo di stenti. Una prodigiosa realtà in rapido disfacimento. Oltre 150.000 ‘volontari’ (molti dei quali veri e propri dipendenti mascherati da volontari), con all’attivo 5000 dipendenti e 3000 unità in mobilità coatta, senza risposte e TFR.
Un’eccellenza italiana ridotta a colabrodo, tanto è vero che piu’ volte negli ultimi trent’anni e’ stata sottoposta a commissariamento nell’utopica ipotesi d’un risanamento. Non sorprende che siano spuntati fuori qua e là come funghi comitati spontanei di aficionados indignati per la decadenza della nobile istituzione.
Eppure, non più tardi di quest’estate, la Croce Rossa Italiana ha sottoscritto un’intesa con la Ong maltese Moas–Migrant Offshore Aid Station, scucendo sull’unghia 400.000 euro (al mese), sfrattando Emergency dalle operazioni di salvataggio in mare. L’organizzazione fondata da Gino Strada ora purtroppo non è più presente nel Mediterraneo per soccorrere i migranti (cosa che faceva egregiamente). Non si capisce bene se quì la missione è quella di salvare vite umane o fare fare a gara per scialacquare quattrini.
I soldi a pioggia comunque di per sé non possono spiegare il perché di un dissesto così imponente. Forse neanche gli stipendi da nababbi della classe dirigente della Croce Rossa Italiana (da 100.000 in su i top managers mentre migliaia di volontari non prendono il becco d’un quattrino). Il Presidente, l’Avv. Francesco Rocca s’intasca la bellezza di 263.995 Euro più 126.525 euro per spesucce varie, totale 390.520 euro. Circa 32.000 euro al mese più o meno (quasi sotto la soglia di sopravvivenza).
Guglielmo Stagno D’Alcontres (ex Presidente di CRI Sicilia) percepiva il più modesto compenso di 260.000 euro all’anno (120.000 euro di indennità da Presidente, 120.000 Euro indennità di Amministratore Delegato più altri 20.000 Euro come indennità di Consigliere + lauti indennizzi per spese personali con rimborsi a piè di lista). Da reddito di cittadinanza.
Forse la spiegazione può arrivare dagli sprechi pazzeschi, le ruberie, gli sperperi e le consulenze d’oro? Non si sa bene. Come si sia arrivati a questa grave crisi è difficile da riassumere in poche parole ed è comunque la storia di uno sfacelo che parte da molto lontano. Per non andar tanto distante potremo tentare di risalire agli anni più recenti. Ad esempio dal 2016 in poi.
Proprio da quando l’INPS (l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) è andato a bussare alla porta della Croce Rossa Italiana reclamando oltre 90 milioni di euro tra TFR ed altre indennità non versate. €116.647.835,59 per l’esattezza. Soldi che, si scoprirà poi, la Croce Rossa Italiana non ha mai corrisposto all’ente previdenziale come avrebbe dovuto. Cosa davvero molto strana. Perchè il Trattamento di Fine Rapporto (il TFR) è un tributo che dovrebbe esser subito accantonato in attesa della fine del rapporto di lavoro dipendente.
Comunque, se il Dott. Tito Boeri volesse racimolare un po’ di spiccioletti (e s’accontentasse di dollari) potrebbe fare una capatina in questo magazzinetto della Croce Rossa con un paio di TIR e molettti al seguito (purtroppo il contante non è bancalizzato).
Eppure, strano a dirsi, la C.R.I., da sempre, ha ricevuto ingenti contributi sia dallo Stato italiano che da privati. Basti pensare che solo quest’anno dal Governo centrale ha in budget d’introitare 74 milioni di euro più altri 21 milioni di euro (senza calcolare gli ingenti proventi di Asl, Ministeri, Comuni, Province, il 5 x 1000 etc etc.). Non abbiamo contato le donazioni e i lasciti che ha accumulato in 150 anni, nonché le varie agevolazioni e i comodati gratuiti. Inoltre tenete ben presente che negli anni passati la Croce Rossa Italiana ha regolarmente percepito per il suo funzionamento una media di 150-200 milioni di euro l’anno dallo Stato. Mancando all’appello questi capitali, sorge spontanea la domanda: ma che fine han fatto tutti sti soldi?
Se dovessimo applicare il parametro delle normali società commerciali (con i bilanci in rosso spinto) la C.R.I. dovrebbe portare immediatamente i libri in Tribunale dichiarando fallimento. Chiudere bottega insomma come son obbligate a fare migliaia di aziende che non ce la fanno più o le normali Associazioni di volontariato che non godono di queste generose provvidenze e devono far quadrare i conti.
Giusto in nome della “Par condicio creditorum”. Invece che avviene? Per la C.R.I. (che non è quasi soggetta alle rigorose ispezioni e/o controlli come tutte le imprese gestite da noi poveri mortali) , si studia invece una via di fuga sul modello Alitalia. La si privatizza. Da Ente Governativo a controllo pubblico diventa Ente privato, una sorta di Federazione con tanti Comitati Locali autonomi in ogni provincia, ognuno dotato di propria partita iva, molti dei quali con fatturati da capogiro.
Vedi gli appalti milionari per il numero di emergenza 118, i Centri di Accoglienza, la gestione dei primi soccorsi nelle zone terremotate e post-calamità naturali, i CIE etc etc. (una bella pensata, così il default di un’ entità non può coinvolgere tutte le altre). Tanto per farvi un esempio che renda l’idea, uno dei CIE più noti, quello di Cara di Mineo ha costi base di gestioneche superano i 16 milioni di euro l’anno per un totale di quasi 100 milioni di euro in un triennio (96.907.500 euro per la precisione).
Curiosità: il bando di gara di Cara di Mineo del 2014, per l’aggiudicazione prevedeva dei requisiti minimi tassativi (pena l’esclusione) come l’iscrizione alla Camera di Commercio. La locale C.R.I. Comitato di Catania non era iscritta alla CCIAA (come si evince dalla visura camerale si è iscritta solo il 31 ottobre 2017) eppure ha vinto ugualmente la gara! Uno dei tanti Misteri. Invece nel 2018, mentre i 150 disperati erano “sequestrati” sulla nave Diciottiammorbati dalla scabbia, presso la Prefettura di Catania si perfezionava l’appaltuccio da 41 milioni di euro per il Centro di Prima accoglienza di CARA di Mineo, dove probabilmente sarebbero andati a finire i palestratissimi naufraghi. Come diceva il gran visir delle Coop Rosse Salvatore Buzzi in un’intercettazione: “gli immigrati rendono più della droga”. Giusto per farvi capire cos’è il Business dell’accoglienza.
Ma attenzione, nel caso della Croce Rossa Italiana si privatizzeranno solo gli attivi. I debiti no, quelli se li accollerà poi qualcun’altro (Voi che siete dotati di fantasia indovinate chi?) Beh, che discorsi, sarà ovviamente lo Stato a farsi carico del problema. Ossia tutti noi e voi. Tanto esiste il solito escamotage, come si dice in gergo legalese delle “Bad company” e delle “Newco” che ha sempre hanno funzionato con le privatizzazioni di Stato. Si portano gli attivi e gli assets monetizzabili in seno alla “New Company” e la spazzatura, le sofferenze e le passività si tengono in pancia alla società decotta.
Tra l’altro la C.R.I. ha un grande patrimonio immobiliare, che potrebbe valorizzare (migliaia tra appartamenti, uffici, locali commerciali, terreni, garages, magazzini etc etc), volendo potrebbe tranquillamente scorporare le attività costituendo una sua società di “Real Estate”). Solo che i suoi immobili non li ha voluti manco l’INPS (neppure a parziale conguaglio del debito). In compenso il patrimonio abitativo è stato apprezzato da un fortunato acquirente di Correggio (Reggio Emilia) che s’è aggiudicato un bell’appartamento della C.R.I. per la stratosferica cifra di 5.000 euro!! Diconsi cinquemilaeuro (è già partita la corsa alla s-vendita?).
Questo sì che è business altro che corsa all’oro del Klondike. Inoltre tra mezzi di soccorso, autobus, automezzi, auto blu ed ambulanze la Croce ha oltre 10.000 veicoli in dote; roba da far concorrenza e far impallidire le più grandi aziende di trasporti. E non abbiam ancora parlato delle macchine speciali (per ogni tipo di emergenza), dei moduli abitativi da utilizzare per il sistema sanitario, interi ospedali da campo, gruppi elettrogeni, sale operatorie e chirurgiche motorizzate, laboratori mobili, ambienti per la decontaminazione campale, cucine industriali da campo, torrette di illuminazione, idrovore, potabilizzatori, ruspe, motoslitte, Gru, macchine per il movimento terra, SUV e chi più ne ha più ne metta.
Questo il quadro. Un dato positivo però (di questa fallimentare privatizzazione) è che nelle more della procedura è saltato fuori questo primo grosso “buco nero” di 90 milioni che manca all’appello (se no non ci saremo mai accorti di niente), facendo emergere un ritratto della C.R.I. ch’era per certi versi sin’oggi inedito. L’esperienza c’insegna che queste disgrazie poi non viaggiano mai da sole, chissà quali altri ammanchi dovranno ancora venir fuori.
Non stiamo parlando d’un deficit fisiologico, ma di una vera e propria voragine debitoria. E si badi ben, che lo scenario è ben peggiore di quello quì delineato (non è giusto “sparare sulla Croce Rossa”). Perchè se dovessimo scendere nei dettagli dovremmo parlare anche di Mafia Capitale, (ennesima prova di come politica e malavita vanno a braccetto alla luce del “sole”), dell’ex Sindaco di Roma Gianni Allemanno, dell’inchiesta “Mondo di Mezzo”, diAngelo Scozzafava, del sig. Paolo Pizzonia (ex terrorista dei NAR Nuclei Armati Rivoluzionari nonché segretario particolare e braccio destro del Presidente CRI Avv. Francesco Rocca), dovremmo parlare del patrimonio immobiliare sommerso della CRI (mai dichiarato fiscalmente), delle compravendite immobiliari fantasma e tante porcherie che non abbiam il tempo (e sinceramente neanche la voglia) di elencare.
Dovremmo scendere anche in una rispettosa e garbata polemica con il Presidente di C.R.I. Avv. Francesco Rocca per i suoi conflitti d’interesse (gestisce l’immenso patrimonio immobiliare della C.R.I. e contemporaneamente è proprietario della società immobiliare Ciak Servizi … “capisci ammè”…), nonché accennare a qualche suo vecchio precedente penale (una passata condanna a 3 anni di reclusione per detenzione spaccio di eroinain conbutta con una banda di nigeriani).
Un “EX” trafficante di droga (sottolineo “ex” a scanso di querele) alla guida della Croce Rossa Italiana non è certo un bel biglietto da visita, anche se è pentito degli errori commessi nel passato e ha cambiato vita (chapeau). Beninteso lo dico davvero senza intento polemico e/o denigratorio alcuno. Chi scrive ha un vastissimo “background criminale” io però non sono stato chiamato a dirigere l’UNICEF.
Ma l‘ Avv. Francesco Rocca avrà certamente tutti i requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza richiesti agli Amministratori di società (v. art. 2387 del Codice Civile e cause di ineleggibilità) sennò, oltre a Presidente della Croce Rossa Italiana, non sarebbe stato promosso a Presidente della Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa(il più grande network globale umanitario del mondo) e della MezzalunaRossa.
Mi rendo conto che il tema delle modalità con cui andrebbero scelte le figure che ricoprono determinate cariche di vertice è molto complesso e non si può esaurire in poche righe. Possiamo però avere dei termini di paragone se guardiamo analoghi soggetti che operano nel sociale. Ad es. in Save The Children c’è un validissimo avvocato come Presidente, l’Avv. Claudio Tesauro. Curiculum chilometrico e un background con i controfiocchi, (partner come avvocato d’affari nel prestigioso studio legale Bonelli-Erede-Pappalardo), fedina penale immacolata, neanche una multa per eccesso di velocità. Mentre dirige un’altra benemerita ong (Medici Senza Frontiere) la dott.ssa Claudia Lodesani, valente medico infettivologo, incensurata.
Tornando ai conti della Croce Rossa Italiana, il merito di questo stato di cose và a chi ha sponsorizzato questa geniale privatizzazione (che stando al Tar del Lazio sarebbe pure incostituzionale), dando avvio a questa de-statalizzazione priva di logica del buon senso (e forse dell’onesta buona fede), che doveva prevedere anzitutto che prima di una qualunque riforma si conoscesse esattamente la situazione economico/patrimoniale, focalizzando obiettivi e strategie da mettere in atto per il loro raggiungimento (per inquadrare bene la situazione patrimoniale sarebbe bastata una banale “Due Diligence” contabile che nessuno ha mai pensato di fare).
Come pure merito dei vari decreti legge ad personam, i decreti “salva Croce Rossa”, il “Decreto Milleproroghe” etc etc. Il merito è tutto dei Governi che vanno da Berlusconi in poi (ma anche prima). In primis il Governo Monti, a seguire il Governo Renzi e dulcis in fundo il Governo Gentiloni (casualmente noto una preponderante area di sinistra), che hanno sostituito il vecchio “carrozzone” della C.R.I. con una carretta sgangherata che perde pezzi di giorno in giorno. Un carrozzone decrepito che è il perfetto specchio della politica che l’ha sostenuto. L’ennesimo caso di come anche stavolta la cura si è rivelata molto peggiore del male. Per un pelo è quasi caduto nel tranello anche il nuovo governo pentaleghista. Ricordate l‘articolo fantasma “pro Croce Rossa” del Decreto Fisco all’insaputa di tutti? (altri 84 milioni di euro ch’erano pronti a volatilizzarsi per continuare a foraggiare la gestione liquidatoria del “carrozzone”).
Domanda dell’uomo della strada che forse potrebbe condividere anche Gino Strada: visto che stiamo parlando di una montagna di soldi pubblici (ed ora finalmente c’è il “nuovo che avanza”), una bella Commissione d’inchiesta la mettiamo su?
So già la risposta.
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