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lunedì 13 agosto 2018

Roma Capitale fa memoria virtuale di Rita Atria e ignora da 9 mesi la richiesta di cittadinanza onoraria



Leggiamo tra le news del sito di Roma Capitale (26 luglio 2018) il ricordo della giunta capitolina alla Memoria di Rita Atria. 
Esprimiamo sconcerto per quanto letto perché ci sono errori sostanziali nel titolo («Mafia, Roma ricorda Rita Atria, la prima giovane che si è ribellata al sistema dell'omertà»), nella definizione di Rita come Collaboratrice e non correttamente come Testimone di Giustizia (ben due leggi ne hanno definito la differenza, se uniamo il titolo alla definizione di collaboratrice… diciamo che l'orrore semantico è fatto) e per aver "liquidato" una giornata di Memoria e Rispetto con un comodo comunicato senza nessuna azione di vera e reale commemorazione.

Infatti, nonostante i sollecitidopo quasi 9 mesi, come Associazione Antimafie “Rita Atria” non abbiamo ancora ricevuto, ad oggi, alcun cenno di risposta, solo un assordante silenzioda parte del Comune di Roma alla nostra richiesta, inoltrata, nel novembre dello scorso anno, alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, per il conferimento della cittadinanza onoraria a Rita Atria, la giovane Testimone di Giustizia, “uccisa” perché abbandonata dallo Stato, dall’indifferenza della società civile e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla e invece l’hanno lasciata nella completa solitudine di una casa estranea, in un palazzo di sette piani al civico 23 di Viale Amelia, proprio nella Capitale, luogo in cui risiedeva sotto protezione per le sue denunce contro le famiglie mafiose del partannese.
Vogliamo ribadire che nessun esponente delle Istituzioni, in particolare di quelle territoriali, pur invitate, ha ritenuto di dover essere presente fisicamente il 26 luglio scorso, a Roma in viale Amelia, che la vide lanciarsi nel vuoto in quel “volo” di solitudine, mentre noi, come ogni anno, abbiamo voluto tenere viva la testimonianza di Rita - come a Partanna, nel luogo in cui è sepolta -: eravamo lì per raccontare la storia di Rita, nel segno della Memoria Attiva, per condividere la sua scelta netta verso, come disse il giudice Paolo Borsellino, « il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale ». 
Non basta, quindi, scrivere sul sito di Roma Capitale, peraltro in un articolo inserito insieme a tanti altri nella sezione « Notizie», «Roma ricorda Rita Atria», con le dichiarazioni della Sindaca Virginia Raggi e dell’Assessore allo sport, politiche giovanili e grandi eventi cittadini Daniele Frongia, che in assenza di azioni concrete permangono dei meri slogan senza sostanza. È poi grave che nell’articolo di un sito isituzionale, come già accennato, si commetta l’errore macroscopico di definire Rita Atria «collaboratrice di giustizia»: no, lei era una «testimone di giustizia», che a differenza dei collaboratori non ha mai commesso reati, ma ha soltanto appreso o assistito ad eventi criminosi; Rita aveva deciso di denunciare la mafia partannese e i politici con essa collusi perché sognava un « altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore». 
Denunciamo a gran voce questa indifferenza da parte delle Istituzioni, spesso assenti quando si tratta di prendere posizioni concrete e responsabilità precise. Denunciamo ciò non per noi, ma per la Memoria di Rita, perché sia dato un segnale forte di giustizia ai cittadini, per non lasciare da solo chi decide di stare dalla parte giusta, dalla parte dello Stato, per dovere civico
Vorremmo che le Istituzioni tutte uscissero veramente dal silenzio, senza trincerarsi dietro dichiarazioni di circostanza, si assumessero responsabilità concrete, dandoci una risposta, riconoscendo finalmente la cittadinanza onoraria a Rita, sostenendo effettivamente i testimoni di giustizia. 
Noi continueremo ad andare avanti con le persone che vogliono esserci per testimoniare che Rita, la Verità vive, per dare voce a chi non ce l’ha più e per sostenere, per quanto possiamo, chi ha bisogno di amplificarla, affinché non resti isolato e non debbano esserci altre “Rita”.
Associazione Antimafie Rita Atria
Direttivo Nazionale

La Petizionehttps://www.change.org/p/sindaca-di-roma-rita-atria-chiediamo-alla-sindaca-di-roma-il-conferimento-della-cittadinanza-onoraria-0dea22f0-cb53-4779-bbee-8a86931d23cd

domenica 12 agosto 2018

P2 Story. La vera storia della P2 o dei misteri d’Italia

Prodotto nel 1985 dalla GVR di Prato con il patrocinio della Fondazione Lelio e Lisli Basso, il video dossier è andato in onda sulla Rai l'anno successivo. P2 Story è un documentario in 5 puntate della durata di circa un'ora ciascuno, in cui lo stesso Giuseppe Ferrara, nel ruolo di conduttore, ci svela le trame intricate e complesse della struttura e del modus operandi della loggia massonica Propaganda 2.
La ricostruzione è frutto del lavoro della Commissione Anselmi, commissione parlamentare che dall'82 all'84 ha indagato sulla P2 producendo una pila di faldoni impressionante.
All'inizio del film vengono introdotti alcuni dei personaggi principali, soffermandosi innanzitutto sulla figura di Ligio Gelli, Maestro Venerabile a capo della loggia.
Scopriamo qui che Gelli era una persona di umili origini, poco colta, il cui "talento" risiederebbe nella capacità di creare connessioni tra i personaggi chiave, un "ufficiale di collegamento" che mette in relazione le diverse istituzioni funzionali ai suoi scopi.
Altri personaggi importanti di questo primo episodio sono Michele Sindona, banchiere e criminale siciliano, mandante dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli, ucciso proprio per le indagini sulla Banca Privata Italiana dello stesso Sindona; l'arcivescovo Marcinkus, a capo dello IOR, figura poco trasparente, allontanata da Papa Giovanni Paolo II proprio per opporsi agli intrighi P2-IOR.




Dopodiché scopriamo il carattere internazionale dell'organizzazione. Soprattutto il traffico di droga e di armi in Sudamerica, uno dei capitoli più importanti della P2, per un giro d'affari da diverse centinaia di milioni di dollari all'interno di un'operazione denominata "South America Connection".
Inevitabile, è anche il riferimento alle stragi: Brescia (28/5/1974), l'Italicus (4/8/1974) la  stazione di Bologna (2/8/1980). Si parla anche del caso Moro, ucciso perché "i comunisti non dovevano salire al governo".
Non mancano nel documentario anche immagini di fiction, in cui vengono rappresentati l'omicidio di Boris Giuliano, il quale, indagava anch'egli su Sindona e sui flussi di droga provenienti dal Sudamerica e, l'omicidio di Pier Santi Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia, divenuto scomodo per i tentativi di analizzare i flussi finanziari della regione.


L'ultima parte si apre con una considerazione che dà speranza e fiducia verso le istituzioni: esiste ancora una parte sana, la commissione parlamentare, i giudici e i funzionari che hanno fatto il loro lavoro, altrimenti non sarebbe potuto emergere e denunciare il "golpe strisciante".
Alcuni esponenti della Commissione asseriscono che Andreotti sia stato l'uomo che più si è servito della P2, usandola come mezzo per la conservazione del potere, in un complesso intrigo che coinvolge soprattutto i servizi segreti americani.
Tra le riflessioni finali, spiccano quelle della scrittrice Rossana Rossanda: "Le istituzioni, se rimangono separate dal controllo popolare, diventano terreno di colture dei poteri forti".
Questa enorme opera di Ferrara rappresenta un documento imprescindibile per tutti quelli che vogliano studiare il fenomeno piduista.
Il docufilm è del 1985 e già da allora il rapimento di Emanuela Orlandi viene classificato come un "sinistro messaggio ricattatorio verso il pontefice". I ricattatori chiedono cose impossibili per avere segrete cose possibili. Il rapimento Sindona ricattava il governo italiano, il rapimento Orlandi quello vaticano.


                            Docufilm intero

L'articolo P2 Story. La vera storia della P2 o dei misteri d'Italia proviene da Blog di Emanuela Orlandi.

venerdì 10 agosto 2018

Rita Atria: racconto di due giornate di Memoria Attiva

www.ritaatria.it

Pubblichiamo due articoli che raccontano la giornata di Memoria Attiva dedicata a Rita Atria.

Una giornata intensa con due eventi di grande intensità.

fonte: www.articolo21.org

26 luglio 2018. In un torrido e silente pomeriggio d’estate romano, una melodia si diffonde in Viale Amelia, accarezzando le persone, i portoni e le finestre con la dolcezza sublime delle sue note: è l’Ave Maria di Shubert. Rita Atria, giovane donna, testimone giustizia a soli 17 anni, Lei che voleva vivere e crescere in «un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle…»,  aveva affidato al suo diario, molto prima di quel Volo di solitudine il 26 luglio 1992, il desiderio che fossero le note dell’Ave Maria ad accompagnarla nell’ultimo viaggio, temeva che i mafiosi l’avrebbero uccisa… dopo la morte del giudice Paolo Borsellino ad ucciderla è stata l’assenza dello Stato, l’indifferenza della società civile e di tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla e invece l’hanno lasciata nella completa solitudine di una casa estranea, in quel palazzo di sette piani al civico 23 di Viale Amelia, lontana da qualsiasi affetto, senza sostegno. Rita sa, probabilmente ha capito tutto, Lei che ha denunciato non solo i boss di Partanna, ma anche i politici collusi, ha fatto nomi e cognomi: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi… Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta».
Iniziare a raccontare dalla “fine” ascoltando l’Ave Maria, per riprendere il filo della memoria risvegliandola con le emozioni prima che con le parole. Un filo di Memoria Attiva, tessuto giorno dopo giorno, questo l’impegno dell’Associazione Antimafie “Rita Atria”, per tenere viva la testimonianza di Rita, di cui la tragica fine è simbolo di un percorso tanto travagliato, quanto coerente e fermo, per combattere quotidianamente quel pensiero mafioso diffuso: «Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci».
Quest’anno ripartiamo da noi – come sottolineato dalle fondatrici dell’Associazione, Santina Latella e Nadia Furnari, rispettivamente Presidente e Vicepresidente -, senza ”personalità importanti”, dalle persone del quartiere che sono presenti, da chi da ogni anno è qui per ricordare Rita, da chi non la conosceva e sentendo risuonare l’Ave Maria si è avvicinato, vuole capire, sapere… Quindi ripartire da un esame di coscienza collettivo, dal partecipare tutti attivamente, affinché la storia di Rita, la sua scelta netta verso, come disse il giudice Paolo Borsellino, « il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale », si incarni nelle persone, nella lotta quotidiana per la ricerca di verità e giustizia, di liberazione, attraverso la denuncia concreta delle violenze mafiose e quindi nell’impegno per la difesa dei diritti e della dignità.
Per questo, ognuno dei presenti è chiamato a prendere la parole ed esprimere un pensiero, come in un passaggio di testimone. «Sono qui per me», dice Paolo, un giovane studente universitario, e si legge negli occhi l’urgenza di sapere, comprendere ciò che è stato e sottrarlo all’oblio, farsene carico.
Annamaria, che abita nel palazzo di fronte al civico 23, è qui con noi ogni anno: «Quel giorno non ero a Roma», dice con rammarico, quasi volesse prendersi il peso dell’assenza collettiva, «Sento di doverci essere», la presenza come testimonianza, affinché il racconto di Rita sia d’esempio oggi per tutti. Eppure Rita – ricorda Nadia Furnari – almeno negli ultimi istanti, dopo quel Volo, non era sola: c’erano con lei alcune donne che abitavano nel palazzo, che le hanno stretto la mano, l’hanno abbracciata come delle madri, dandole quel conforto che non ha ricevuto in vita dalla vera madre, che l’ha “disconosciuta”. Una di queste donne, tutti gli anni ci ascolta affacciata dalla finestra, quasi che il dolore del ricordo non le permettesse di avvicinarsi…
Eppure, per evitare che le persone vengano isolate occorre avvicinarsi alle storie degli altri, affinché la testimonianza e la denuncia diventi un dovere civico diffuso e collettivo e che finalmente emergano le responsabilità delle stragi del 1992-1993: Rita è la settima vittima di Via D’Amelio, insieme al giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Oggi è scritto in una sentenza che vi furono depistaggi da parte di uomini delle istituzioni. «Noi vogliamo sapere la verità. Per quanto brutta possa essere», esclama Rossella, nel corso del suo intervento.
Già nel 1960, Leonardo Sciascia, ne Il giorno della civetta,  utilizzando la metafora della ”linea della palma” che saliva da sud a nord, fino a Roma e oltre, descriveva la mutazione dell’Italia, la diffusione capillare della mafia, del pensiero mafioso, dei metodi mafiosi. Quella metafora è da tempo realtà: perché la mafia è a Roma, come centro di potere, è stata ed è una questione di classi dirigenti, esiste una “borghesia mafiosa” che inquina questo paese… Lo sapeva bene il giudice Borsellino e nei suoi ultimi giorni di vita gli si manifestò senza “maschere” e ne rimase sconvolto, lui che si ritrovò da solo, come Falcone, «servitore dello Stato in terra infidelium»: «Ho visto la mafia in diretta»… «Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».
Rita Atria, donna che aveva spezzato il patriarcato mafioso, non è a conoscenza di quello che ha visto Borsellino, ma sa che cosa è veramente la mafia, conosce i suoi codici e le collusioni di cui si alimenta. Rita, stella luminosa in particolare per le tutte le donne e per tutti giovani, rosa rossa che emana il fresco profumo di libertà, ci lascia un testamento prezioso da raccogliere: «L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo…».
Per questo l’Associazione Antimafie “Rita Atria” sta chiedendo da mesi alla Sindaca di Roma, Virginia Raggi, che venga riconosciuta la cittadinanza onoraria a Rita Atria. Mentre nell’aula capitolina si è purtroppo dato spazio alla mozione se intitolare una via della città al fascista Almirante (sic!), invece non è degna neanche di un minimo cenno di risposta e quindi giace inascoltata la richiesta dell’Associazione per la cittadinanza onoraria a Rita, che ha incarnato senza compromessi con la sua testimonianza i valori costituzionali. Inoltre, a questo ventiseiesimo anniversario dalla sua morte, le istituzioni del territorio, pur invitate, hanno ritenuto di non essere presenti neanche per un “saluto”. Questa assenza pesa oggi come allora, ma andiamo avanti con i nostri compagni di viaggio, con le persone che vogliono esserci per testimoniare che la Verità vive.
Foto di Valentina Ersilia Matrascia


Rita Atria, 26 anni dopo la morte commemorazione a Partanna



“L’ho capito da lei cosa vuol dire avere coraggio. Ho imparato che nella vita non ci si deve inchinare alla prepotenza e che alla giustizia non servono parole tonanti, ma racconti veri, fatti concreti”. Scriveva così Rita Atria, in una lettera indirizzata allo zio Paolo, Borsellino. Amareggiata perché definita “pentita” pur non avendo nessuna colpa, se non l’onta “gravissima” di aver denunciato a 17 anni mafiosi e politici del suo paese, trasformando l’iniziale voglia di vendetta per l’uccisione di padre e fratello in sete di giustizia, grazie a quel giudice che credette alle sue dichiarazioni prendendola sotto la propria ala. Rita Atria, la “picciridda” di Borsellino, la settima vittima di via d’Amelio che quasi mai nessuno cita. Per lei stamattina un fiore sulla tomba a Partanna: un modo semplice scelto dall’Associazione Antimafie Rita Atria per ricordarla nel 26esimo anniversario della morte, avvenuta in solitudine dopo un volo dal settimo piano di una palazzina di viale Amelia a Roma, a una settimana dalla strage in cui persero la vita il magistrato e la sua scorta. “Siamo qui per ricordarla con coerenza. Nel Paese dell’apparenza abbiamo preferito dare un taglio discreto – è intervenuta la fondatrice dell’associazione, Nadia Furnari – Rita vive nelle parole che ha scritto, nelle sue denunce e nel suo gesto, tanto estremo che definirla vittima della sola mafia ci pare riduttivo”. Presenti i presìdi dell’associazione sul territorio e la testimone di giustizia Michela Buscemi, che con le donne del digiuno portò a spalla la bara di Rita. L’associazione ha organizzato anche un altro momento di memoria nella Capitale, dove da tempo chiede venga conferita la cittadinanza onoraria a Rita, ma attende ancora una risposta dalla Giunta capitolina.

Nel pomeriggio, un folto corteo ha colorato le vie di Partanna, quello delle bandiere di Libera sventolate dai ragazzi arrivati per rendere omaggio a Rita, da Torino a Vibo Valentia. “Vedere così tanti giovani in un luogo simbolo fa ben sperare – ha detto il sindaco Nicola Catania – Rita è stata e continua a essere per noi un segnale di positività, pur nella tragicità della sua vicenda. Il suo coraggio, la sua determinazione e forza di ribellione sono elementi portanti di una comunità ancora in cerca di riscatto per i soprusi subiti quotidianamente”. A Partanna anche i rappresentanti di tutte le forze dell’ordine che hanno ricordato come sia importante “non abbassare mai la guardia”, e Vincenzo Agostino, padre dell’agente ucciso Antonino insieme alla moglie, che ha parlato di fenomeno mafioso presente a tutti i livelli, da combattere con maggior vigore. Salvatore Inguì, di Libera Trapani, ha ricordato: “Rita Atria parlava della mafiosità che c’è in ognuno di noi. Senza la capacità di metterci costantemente in discussione e il desiderio di realizzare una vera giustizia sociale, la lotta alla mafia non è che un’ipocrisia”.


mercoledì 8 agosto 2018

RAI / BURIONI ATTACCA IL CANDIDATO FOA SUI VACCINI: UN CAVERNICOLO



Attacco su tutti i fronti a 360 gradi dai media di regime al candidato presidente Rai Marcello Foa. Da Repubblica al Corsera una velina pressocchè identica: "ultrà di Putin", "contro le Ong", "sovranista", "no euro" e – tanto per aggiungere un ingrediente al minestrone che non guasta mai – anche "No Vax".
Su quest'ultimo fronte entra in scena (anzi in sceneggiata) il solito scienziato (sic) pret a porter, Roberto Burioni, il Verbo Unico sul tema, il solo degno di dare il suo parere e gli altri tutti zitti, muti e "somari" (dal titolo della sua ultima illeggibile fatica letteraria), in ginocchio ad ascoltare il verbo del Vate.
In perfetto conflitto d'interessi, Burioni, come la Voce ha più volte documetato, per i suoi rapporti d'affari con svariate società farmaceutiche in tema di brevetti.
E già ce lo immaginiamo, Fratel Burioni, tra alambicchi & provette, cappucci & grembiulini per inventare le sue miracolose pozioni: visto è iscritto al Grande Oriente d'Italia. Il fatto è che Burioni se ne vergogna, non lo ammette, dice che non è vero. Mostrando un indomito coraggio che non sarà poi tanto gradito ai confratelli del GOI, fieri invece di esserlo.
Ma eccoci all'ultima polemica.


Roberto Burioni. In apertura, Foa

Scrive il Corsera: "ora riemerge dalla memoria della Rete un intervento assai dubbioso del giornalista italo svizzero sull'efficacia dei vaccini. Lo ha scoperto il virologo Roberto Burioni che ha ripescato un'intervista concessa al sito Informarexresistere in cui Foa ricorda che 'in Svizzera i vaccini non sono obbligatori. La gente può scegliere di non vaccinarsi eppure la popolazione non è particolarmente malata".
Suona la fanfara Repubblica: "Il 3 dicembre 2017 in una videointervista al videoblog 'Crescere informandosi', Foa esprime un punto critico sull'obbligatorietà dei vaccini. 'Iniettare 12 vaccini in un arco temporale di tempo molto stretto nel corpo di un bambino, provoca uno choc nel corpo. I vaccini dovrebbero esere limitati allo stretto indispensabile e solo per le malattie davvero gravi".
Ecco i commenti di Mago Burioni via twitter alle estrapolazioni effettuate dai due media di Palazzo.
Scrivono sul quotidiano di via Soferino: secondo Burioni "il presidente Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti. Sulla salute ci vuole corretta informazione, non la diffusione di balle mortali con i soldi del canone". A valutare se siano o meno balle abbiamo un Giudice Unico, il Mago Burioni.
Più conciso il quotidiano diretto da Mario Calabresi: "Foa dice menzogne sui vaccini, quelle degli antivaccinisti cavernicoli, ignoranti ed egoisti".
Come del resto "cavernicoli, ignoranti ed egoisti" sono il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier e il virologo Giulio Tarro, allievo di Albert Sabin, l'inventore del vaccino antipolio. Forse qualcosina in più di Burioni ne sanno (ce ne vuol poco, del resto), forse qualche titoluccio accademico in più lo hanno nel loro curriculum, forse quel diritto alla Verità che il solo Burioni si arroga andrebbe un momentino rivisto.
Sorge spontanea la domanda: ma come mai l'Onnisciente Burioni non accetta un confronto pubblico con Montagnier e Tarro? Ha paura di qualcosa? Teme una figura barbina? O si scopra che il re è nudo?
E non hanno diritto di parola coloro i quali non mettono in dubbio l'utilità dei vaccini, ma le modalità di produzione (lo abbiamo scritto altre volte) e di utilizzo, da effettuare basandosi nel modo più assoluto sul principio di "Precauzione", come hanno stabilito un quarto di secolo fa la Nazioni Unite, ribadito 18 anni fa l'Unione Europea e ripetuto ad ogni convegno Montagnier, Tarro e altri scienziati che non la pensano come Mago Burioni.

To see the article visit www.lavocedellevoci.it


lunedì 6 agosto 2018

A Partanna il ricordo di Rita Atria



Nel cimitero di Partanna, nel trapanese, la commemorazione di Rita Atria, la ragazza 17enne suicida a Roma subito dopo la strage di Via D'Amelio.

Aveva affidato a Paolo Borsellino le sue accuse contro i clan della provincia di Trapani, dopo gli omicidi del padre Vito e del fratello Nicolò.

A Partanna nel pomeriggio ci saranno i ragazzi di Libera, arrivati da tutta Italia, con Don Luigi Ciotti. Manifestazioni per ricordarla anche a Roma.

Il servizio di Ernesto Oliva

www.rainews.it

sabato 4 agosto 2018

Marcello Foa, wikipedia e fake news: come si distrugge la reputazione di un giornalista scomodo


Wikipedia: e Foa diventa un complottista
È così che si distrugge la reputazione di un giornalista scomodo: il 28 luglio alle 16:37 (cioè soltanto sabato, “casualmente” nel pieno della discussione per la sua nomina alla presidenza RAI!) è stata modificata la pagina wikipedia di Marcello Foa aggiungendo la sezione “Controversie” (prima inesistente, basta controllare la cronologia che riporto qui sotto) in cui viene denigrato come un “complottista” per aver sostenuto l’esistenza di false flag e per aver parlato della teoria gender (che viene liquidata come una “teoria del complotto nata nell’ambito ecclesiastico negli anni ’90”).
…Quando conobbi Foa 
Ho la fortuna di conoscere personalmente Foa da qualche anno. Ci siamo incontrati a una riunione per il WAC (Web Activists Community) a Roma nello studio di Giulietto Chiesaquando scesi in rappresentanza della UNO Editori per discutere del progetto. Ovviamente lo conoscevo già di fama, lo avevo spesso citato nelle mie opere, a partire dal mio libro inchiesta su Renzi. Lo avevo sentito telefonicamente ma non lo avevo mai incontrato di persona. Mi sono trovata davanti un uomo gentilissimo, tanto umile quando disponibile, dotato di carisma e di ironia (dote rara), mentalmente elastico e al contempo metodico. Da quel momento ho potuto soltanto rafforzare la stima che ho di lui.
Mi rammarica ora assistere a un’ondata pretestuosa di violenza mediatica contro Foa.
Parte la campagna denigratoria
L’attuale campagna denigratoria che si è scatenata in queste ore intende trasformare Foa nell’esatto contrario di ciò che è: un serio, leale e onesto giornalista. Si vuole cioè screditarlo, additarlo come un venditore di fumo, un arrivista un ambizioso, persino un fascista (lui che è ebreo!) spulciando nei suoi vecchi post di Twitter o di Facebook, come se la carriera o l’onestà di un professionista si dimostrasse da alcuni post decontestualizzati. Quello che stanno scrivendo? Nulla di più lontano dalla verità.
Vi era già stata nelle precedenti settimana un’inchiesta dell’Espresso a cui era seguita la querela di Foa.
Ora le testate giornalistiche progressiste si scatenano seguendo lo stesso topos:
• è un sovranista (e allora? Meglio coloro che hanno svenduto il nostro Paese alla tecnocrazia europeista?),
• un populista,
• è filo-russo,
• diffonde fake news. Ebbene, per me questo non è giornalismo, è gossip.
Qualunque testata può scrivere qualunque cosa di chiunque citando fonti non pervenute o distorcendo dei post, perché è evidente dalla lettura approfondita degli articoli che chi scrive o non conosce Foa o è in malafede. Nell’epoca del politicamente corretto, la violenza dei guardiani del pensiero unico si abbatte come una furia su coloro che osano dissentire.
Tecniche “orwelliane” per manipolare l’opinione pubblica, tra spin e fake news
Quello che ovviamente si vuole fare è creare un frame, una cornice negativa in cui inserire l’immagine di Marcello Foa in modo da offrire all’opinione pubblica un’immagine distorta, falsa, dell’uomo e del professionista che è.
Il riflesso del bipensiero orwelliano è concentrato però nella seguente accusa:
lo definiscono ora lo “spin doctor” di Salvini, quando − paradossalmente − è stato proprio Foa a sdoganare al grande pubblico il fenomeno dello spin, spiegando e documentando in maniera magistrale come il potere orienta e all’occorrenza manipola l’informazione, servendosi anche dei media di massa. Quello che in origine era uno stato d’accusa documentato da anni di ricerche, si è rivolto contro di lui rendendolo mediaticamente “colpevole” di ciò che da anni condanna. E ora, come forma di contrappasso, lo spin si è rivolto contro di lui denigrandolo.
Nel suo Gli stregoni della notiziaAtto II, Foa documentava il fenomeno dello spin e mostrava persino come esistano società private che si occupano di confezionare materiale giornalistico ad hoc. Si tratta cioè di spin privati che vengono ingaggiati anche dai governi in segreto – Foa riporta ampi esempi di società assoldate dal governostatunitense − per rendere efficace e persuasiva una campagna, anche ricorrendo a menzogne e falsificazione per di raggiungere l’obiettivo desiderato.
Sì: falsificazione. False notizie come quelle che circolano in questi giorni sui media di massa, volte a terrorizzare l’opinione pubblica e a screditare il candidato alla presidenza RAI.
Breve ripasso dei VERI fatti: la Maggioni e la Commissione Trilaterale
Bisognerebbe invece ricordare a coloro che passivi si bevono queste menzogne, che l’ex presidente RAI, Monica Maggioni, è alla guida della Trilaterale Italia. Ricordo che la Commissione Trilaterale è  un gruppo di studio non governativo con sede a New York, fondato tra il luglio 1972 e il 1973 per iniziativa di David Rockefeller, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski. Conta più di trecento membri (uomini d’affari, politici, intellettuali) provenienti dall’Europa, dal Giappone e dall’America settentrionale. A tutt’oggi le riunioni sono dei vertici a porte chiuse di altro profilo.
Quello che i membri della Trilateral vogliono è creare un potere economico mondiale superiore a quello politico dei singoli governi nazionali. Il fine era ed è tuttora una costante collaborazione tra le élite dominanti dell’Europa occidentale, del Giappone e degli Stati Uniti, e a coordinare le loro politiche nelle tre principali sfere di influenza.
La Trilaterale (come il Club Bilderberg) si preoccupa che la gente possa ribellarsi ai suoi progetti e quindi necessita della stampa per manipolare l’opinione pubblica e creare un adeguato “stato di spirito”: in passato propose anche limitazioni alla libertà di stampa nel senso di «restrizioni di quello che i giornali possono pubblicare in particolari e delicate circostanze».
L’idea di fondo, espressa nel libro La Crisi della democrazia pubblicato a firma di Crozier, Huntigton e Watanuki nel 1975, è come già spiegava Paolo Barnard, di “uccidere” la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendone in vita solo l’involucro. Si vuole cioè svuotare da un lato le nazioni del proprio potere e della propria sovranità (ecco perché ora la parola “sovranista” fa così paura), facendo diventare dall’altro tutti noi dei soggetti passivi degli eventi, dei meri spettatori/lavoratori/consumatori.
I media servono cioè ad annientarci come protagonisti della democrazia, distraendoci con notizie inutili, terrorizzandoci di continuo o saturandoci con lo show spazzatura.
I media che attaccano Foa fanno il gioco di un potere incancrenito 
Un giornalista, degno del suo nome, dovrebbe ricoprire invece anche una funzione sociale, etica, civile. Ha una responsabilità. Non deve plasmare l’opinione pubblica al soldo dei lobbisti. Foa al contrario di molti suoi “colleghi” che ora lo attaccano ha la schiena dritta e denuncia da anni la manipolazione e il controllo sociale a danno dei cittadini.
I media che oggi lo attaccano stanno facendo il gioco di un potere incancrenito che teme l’ondata di rivoluzione che sta soffiando in Italia. Alcuni parassiti temono evidentemente di vedersi soffiare la linfa vitale da cui traggono da anni il sostentamento.
Non so se questa ondata si fermerà qui, se porterà a una débâcle o a veri e stabili cambiamenti.
So però che Marcello Foa può apportare pluralismo, rigore e spessore intellettuale al servizio pubblico televisivo, sempre che mercoledì mattina la Commissione di Vigilanza che dovrà ratificare o meno la sua nomina, riesca a compattarsi su almeno 27 voti. La maggioranza ne ha solo 21 e dunque i voti di Forza Italia diventano decisivi.
Tutto il resto è propaganda.
Il pensiero critico e l’informazione alternativa ai media mainstream oggi vengono perseguitati per silenziare il dissenso.
Non sono questi i metodi dei sistemi totalitari che si ammantano di slogan politicamente corretti e perseguitano con violenza chi non si piega ai loro diktat?
State attenti a chi non vuole che esprimiate la vostra coscienza critica ma che vi vuole passivi alla sua volontà; ne vale del vostro e del nostro futuro. 
Enrica Perucchietti

giovedì 2 agosto 2018

Stazione di Bologna e Ustica: due stragi collegate: tutti hanno visto tutti hanno taciuto

Franco Di Carlo - Riccardo Castagneri -  2 agosto 1980, una data che purtroppo evoca nell'immaginario collettivo una tragedia immane: la strage alla stazione di Bologna.
Anche quest'anno le solite passerelle, personalità delle istituzioni, della politica, le solite liturgie trite e ritrite "Si deve conoscere la verità". Naturalmente le promesse che, come sempre, si arriverà a conoscere i motivi, il perché di questa strage, senza però che nessuno ufficialmente ponga l'accento sui depistaggi che hanno contrassegnato questa, così come le altre stragi, soprattutto una: strettamente collegata.
Poco si è anche parlato del depistaggio in merito all'aereo militare libico, precipitato sulle alture della Sila, in Calabria. Aereo caduto la stessa sera della strage di Ustica, il 27 giugno 1980, e opportunamente ritrovato o meglio, fatto ritrovare il 18 luglio successivo, tre settimane dopo, con un cadavere evidentemente deceduto da tempo, mentre ne volevano far figurare la morte e la caduta del caccia, lo stesso giorno del ritrovamento.
Questo quale maldestro tentativo di depistaggio atto ad evitare collegamenti con quanto accaduto il 27 giugno precedente nei cieli di Ustica.
Il 2 agosto la strage alla stazione di Bologna, conseguenza della tragedia di quaranta giorni prima.
Tutti hanno visto, tutti hanno taciuto, e coloro che non hanno taciuto, uno ad uno sono morti in circostanze anomale, misteriose, omicidi irrisolti, incidenti stradali o aerei, suicidi, infarti improvvisi.
Continuando a depistare, raccontando inverosimili favole all'opinione pubblica, parlando di attentati terroristici. Fino ad arrivare per la strage del 2 agosto alla condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i quali pur essendosi autoaccusati di altri omicidi e scontando i relativi ergastoli , non hanno mai accettato di essere ritenuti i responsabili della strage di Bologna, dichiarandosi sempre del tutto estranei e innocenti.
Singolare, in merito a questa strage, la circostanza che il presidente dell'associazione familiari delle vittime, abbia fatto carriera politica perseveri nel sostenere l'insostenibile tesi del terrorismo di destra nostrano, senza capire o voler sentir parlare dei depistaggi di Stato che avvolgono la mattanza della stazione di Bologna.
Teoremi, sull'affaire Ustica, da quel 27 giugno 1980 ne sono stati elaborati un'infinità.
Le danze, macabre  hanno inizio a pochi giorni dalla tragedia, con la favola che il Dc9 fosse un aereo molto vecchio e quindi si era verificato un cedimento strutturale dovuto a pessima manutenzione: bugia grossolana.
Poi si inizia a parlare di atto terroristico con una bomba piazzata a bordo, precisamente nel bagno dell'aereo.
Ma come avviene nel caso di menzogne esagerate, certe verità cominciano ad emergere-
Gli inquirenti cominciano a sentire le persone che quella sera erano impegnate in attività di controllo, le indagini procedono ed emerge che nei primi anni 80 in Italia esisteva una loggia massonica segreta denominata P2 che faceva capo a Licio Gelli.
Loggia con una lista di nomi eccellenti: vi appartenevano generali di tutte le Forze Armate, Carabinieri, Guardia di Finanza, esercito, marina, aviazione, questori, qualche prefetto, uomini politici e imprenditori di chiara fama.
E ci si domanda ancora se nel Bel Paese ci sia la volontà di fare luce sulle stragi? Ecco la necessità di assemblare i depistaggi, per dare in pasto all'opinione pubblica fatti anni luce lontani dalla realtà.
Va ricordato che l'allora Capo dello Stato, Francesco Cossiga, dopo aver fatto visita a terroristi rossi e neri, in un'intervista aveva ammesso che a Bologna si erano attuati depistaggi, ma che in quel preciso contesto storico non si sarebbe potuto agire diversamente.
Questa l'Italia di allora, non così dissimile dall'Italia di adesso
Anche il giudice istruttore Rosario Priore, l'ultimo magistrato ad indagare sulle stragi del 1980, arrivò ad un passo dalla verità sulla strage di Ustica.
Priore si trovò di fronte a muri di gomma: militari estremamente riottosi a collaborare, Stati che si rifugiavano in sdegnati silenzi. Priore, tetragono e imperturbabile, ha continuato ad indagare fino al 1996, sino a quando da Londra rientrò in Italia un detenuto, per terminare di scontare una condanna subita in Gran Bretagna.
Il giudice Priore e il pm Giovanni Salvi lo sentirono e da quel momento si intravide uno spiraglio di verità sulle stragi di Ustica e Bologna, grazie ad un lungo e circostanziato racconto.
Considerata la gravità delle affermazioni, i due magistrati predisposero che il detenuto arrivato da Londra fosse trasferito in una struttura di massima sicurezza, temendo per la sua incolumità.
Quel detenuto era Franco Di Carlo, che dopo aver scontato 12 anni nelle carceri inglesi, aveva voluto tornare in Italia per il residuo di pena. Di Carlo cominciò a raccontare ai magistrati quanto aveva saputo sulle stragi di Ustica e Bologna.
L'ex boss di Altofonte per molti anni era stato ospite di diversi istituti di pena inglesi, dove aveva incontrato un arabo palestinese, Nizar Hindawi, che proveniva dai campi di addestramento libanesi, fino ad essere ammesso tra i ranghi dei servizi segreti siriani.
L'agente siriano ha condiviso con Franco Di Carlo i propri segreti e i mille misteri. Good Father, come rispettosamente lo chiamavano, intervenne perché Hindawi fosse lasciato in pace dalle guardie  e questi, si legò a lui riconoscente, raccontandogli la sua vita.
L'arabo fu una miniera di notizie sulle pagine più fosche della nostra Repubblica, la strage di Bologna e il mistero di Ustica.Hindawi svelò che i motivi dell'eccidio della stazione erano da ricercarsi nella strage dell'aereo Itavia  esploso in volo un mese prima.
La sera del 27 giugno i servizi di mezza Europa e la Cia avevano saputo che la Libia aveva preparato un piano di volo per il presidente Gheddafi, un viaggio segretissimo, che tanto segreto però non si rivelò e venne progettata l'eliminazione del Raìs.
I servizi italiani, americani e francesi pensarono di mettere un caccia sulla scia del velivolo sul quale volava Gheddafi e il volo Itavia avrebbe garantito l'invisibilità ai radar, ma qualcosa non funzionò a dovere, in quanto i servizi libici vennero avvisati e allertati.
Quella sera sul Mediterraneo si scatenò una battaglia, l'aereo americano venne intercettato dai libici, intervenne un secondo aereo che colpito, precipitò in mare, sino all'epilogo: il disastro di Ustica.
Lo stesso colonnello Gheddafi ammise, anni dopo, che Ustica aveva a che fare con un attentato alla sua persona.
Racconta Di Carlo "Ai libici non era andato giù che i servizi italiani e alcuni politici avessero complottato con gli americani per uccidere il colonnello. Programmarono un attentato per farcela pagare. Bologna non fu scelta a caso, era la città dal quale era partito l'aereo Itavia".
Depistaggi, trattative e mentalità mafiosa esistono e sempre sono esistite nel nostro Paese, verità emerse in tutta la loro evidenza, continuano ad essere negate e, nel contempo, si attacca coloro che lottano per la legalità, per affossare ciò che ormai è sotto gli occhi di tutti.

martedì 31 luglio 2018

CHIAMALE SE VUOI DONAZIONI / LE MAZZETTE MILIONARIE DAI MARCUCCI A POGGIOLINI



Sempre più bollente il processo per la strage del sangue infetto in corso a Napoli (il 19 luglio l'ultima udienza prima della pausa estiva) e che ha provocato almeno 5000 morti per la trasfusione di emoderivati non testati. Vittime e familiari da vent'anni (20) attendono giustizia, visto che il processo iniziò a Trento nel 1998. Fino ad oggi un muro di gomma.
L'ultima benzina sul fuoco arriva dalla risposta ad un fresco articolo della Voce che riportava testualmente la verbalizzazione di Duilio Poggiolini, l'ex re Mida della Sanità e braccio destro di Sua Sanità Franco De Lorenzo, resa ai carabinieri la bellezza di 23 anni fa e solo adesso venuta alla luce.
Ne ha ricevuto copia la Voce alla sua redazione, ma fa parte anche parte del fascicolo processuale davanti al giudice della sesta sezione civile del tribunale di Napoli, Antonio Palumbo, che ha condotto il processo per due anni e mezzo e si avvia alla battute conclusive: a settembre ci saranno le arringhe del pm, delle parti civili e dei difensori degli imputati, ossia di Duilio Poggiolini e di alcuni ex funzionari-dipendenti del gruppo Marcucci, all'epoca oligopolista nella lavorazione e distribuzione di emoderivati.

QUELLE SUPER MAZZETTE PER GLI EMODERIVATI
Ma procediamo con ordine, in modo cronologico, perchè la vicenda è non poco articolata.
La Voce, dicevamo, il 1 giugno scrive un'inchiesta basata su un verbale d'interrogatorio di Poggiolini.



Uno stabilimento del gruppo Marcucci. In apertura l'ingresso del Tribunale di Napoli con una "pioggia" di globuli rossi
Per completezza d'informazione, a questo punto, in basso potete leggere integralmente quel verbale da brividi. Si parla di 280 milioni (in lire) di mazzette consegnate da un funzionario del gruppo Marcucci, Edo Rinaldi, al responsabile della Commissione Unica del Farmaco, Poggiolini appunto. "Mittente" della bustarellona è il gruppo Marcucci, in particolare il patròn di famiglia, Guelfo Marcucci, passato a miglior vita circa due anni fa e ovviamente non presente al processo. Così come non è presente Edo Rinaldi, il latore della ricca missiva, anche lui passato a miglior vita.
Nel verbale redatto davanti ai carabinieri, Poggiolini ammette con estremo candore di aver ricevuto soldi & regali per 280 milioni di lire, solo per aver dato alcuni consigli e pareri circa le pratiche amministrative da svolgere per presentare istanze e domande al ministero della Salute, sul fronte degli emoderivati.
Riposte che avrebbe potuto fornire, in cambio di una cena, un qualsiasi dipendente, anche il più idiota, dello stesso ministero.
E invece i Marcucci puntano in alto, al Mago del Farmaco, al Re Mida della Sanità, al Profeta che – unico – può dar Vaticini: Poggiolini.
Un disgustoso spartito – quel verbale – a base di dazioni & pareri, consigli & soldi a palate, regali & relazioni: e il tutto sulla pelle dei cittadini.
Cosa fa a questo punto il legale della famiglia Rinaldi, Massimilano Capecchi, il cui studio si trova a Fornaci di Barga, a un tiro di schioppo dal quartier generale di casa Marcucci e dove era residente lo stesso Rinaldi?
Ci invia una lettera (che per completezza di cronaca pubblichiamo in un link in basso) nella quale viene in primo luogo contestato il fatto che l'articolo è diventato "virale" via internet e quindi gli effetti si allargano a macchia d'olio.
Poi l'avvocato contesta due fatti: il diritto all'oblio, dal momento che la vicenda risale a 23 anni fa. E la circostanza che nel frattempo – per la precisione nel 2002 – la Corte d'Appello di Napoli ha pronunciato una sentenza che assolve Edo Rinaldi dagli addebiti contestatigli, e per i quali aveva subito una condanna in primo grado.
Queste le espressioni utilizzate da Capecchi: "Lei classifica addirittura come clamorosa una notizia ampiamente coperta dal diritto di oblio, ma soprattutto completamente inveritiera perchè nell'enfasi di una narrazione scandalistica per un evento di nessun interesse pubblico verificatosi ben ventitrè anni fa si dimentica completamente di precisare che Edo Rinaldi fu definitivamente prosciolto dalla Corte d'Appello di Napoli con sentenza del 28 febbraio 2002 insieme a Duilio Poggiolini poichè il fatto non costituiva reato".

ALTRO CHE DIRITTO ALL'OBLIO

Duilio Poggiolini

Così risponde la Voce all'avvocato Capecchi: "La ringrazio della comunicazione, che le propongo, visti i contenuti e i toni, di pubblicare integralmente insieme alla nota che le sto inviando. Mi pare infatti corretto darne contezza ai lettori, in modo che abbiamo una visione completa sulla vicenda: il punto di vista dell'erede del Dr. Edo Rinaldi da un lato, compresa la sentenza di assoluzione, quello della redazione dall'altro".
Prosegue la nota della Voce: "Quanto al diritto all'oblio, vorrei attirare la sua attenzione sul fatto che l'interesse è attualissimo in relazione al processo penale che si sta svolgendo a Napoli e che riguarda condotte degli anni '70 e '80, e morti di persone emofiliache avvenute recentemente, in cui il Dr. Poggiolini è imputato e nel quale, in fase di indagini, prima del decesso, era stato coinvolto il medesimo Dr. Edo Rinaldi. La notizia data, che riguarda i rapporti avvenuti tra il gruppo Marcucci, ove il Rinaldi lavorava, ed il direttore del servizio ministeriale che controllava i farmaci plasmaderivati, è pertanto sicuramente di interesse attuale e concreto".
Questa è la risposta della Voce.
Alla quale ovviamente in tempo reale l'avvocato Capecchi replica: "apprezzo il garbo della sua risposta. Tuttavia il dileggio del padre accusato di aver commesso un reato dal quale è stato prosciolto in via definitiva (come da Lei richiesto allego la sentenza di proscioglimento) è motivo di sofferenza troppo grande per il mio assistito per lasciare sul web un articolo il cui presupposto è falso e che non rende giustizia alla verità. Le ricordo inoltre che il processo di Napoli non ha per niente visto coinvolto il Dott. Rinaldi che può, pertanto, liberamente opporre il diritto all'oblio, che gli compete sicuramente".
Ci sono svariati punti da chiarire. Ma è meglio partire dalla sentenza di assoluzione del 2002 cortesemente inviataci dall'avvocato Capecchi. Una sentenza che assolve tutti gli imputati (ben compreso Edo Rinaldi). Ma che, se letta con un minimo di attenzione, parla da sola. E ne racconta delle belle.
A pronunciarla, il 24 maggio 2002, il presidente della sesta sezione della Corte d'Appello di Napoli  Michele Morelli, affiancato dai consiglieri Fernando Giannelli e Francesco Paolo Caiati (relatore).
Una sentenza che in qualche modo "mescola" le due vicende "storiche" dalla sanità d'affari & morti in Campania: quella della "Farmatruffa"(per la quale De Lorenzo e Poggiolini sono stati condannati a 5 miliardi di lire di risarcimento a testa per danno all'immagine dello Stato); e quella degli emoderivati, dalla quale Sua Sanità ha sempre teso a scindere ogni sua responsabilità, pur essendo legato a doppio filo sia al re Mida Poggiolini che ai maggiori distributori di emoderivati, appunto i Marcucci: tanto che il figlio Andrea Marcucci – oggi capogruppo del PD al Senato – nel '91 si presentò alle politiche sotto l'ala protettiva di Sua Sanità con i vessilli del PLI, e il fratello Renato De Lorenzo è stato membro del CdA della Scalvo, per un paio d'anni perla dell'impero Marcucci.

DUE SENTENZE CONTRO: CORRUZIONE O DONAZIONI ? 

Andrea Marcucci

Nella prima parte della sentenza del 2002 viene fatto un sunto della "Farmatruffa", dell'associazione a delinquere messa in piedi dallo stesso titolare della Sanità, dal suo segretario particolare Giovanni Marone (l'uomo che soleva bruciare i documenti bollenti in un calderone) e lo stesso Poggiolini (uso invece nascondere i milioni spiccioli nei puff del salotto).
Ma eccoci al clou. Al capo 192, pagina 460 della sentenza, alla voce "Imputati Poggiolini Duilio, Rinaldi Elio", così si legge: "Il Tribunale (di primo grado, ndr) ha dichiarato Poggiolini Duilio e Rinaldi Edo colpevoli del reato loro ascritto. Avverso detta decisione ha proposto appello il Poggiolini chiedendo la assoluzione dal reato ascritto, considerato che il Rinaldi, tratto in arresto in base alle sue rivelazioni, aveva espressamente riferito di aver spontaneamente effettuato i versamenti per gli utili consigli ricevuti".
"Spontaneamente"? "Utili consigli" pagati la bellezza di 280 milioni di lire? Da neurodeliri.
Ma la catena dei fatti ai confini della realtà è appena all'inizio.
Scrivono i togati capeggiati da Morello: "Ha inoltre proposto appello il Rinaldi chiedendo la assoluzione dal reato ascrittogli, assumendo che le sue dazioni in denaro erano state spontanee e non frutto di un accordo corruttivo". Di nuovo spontanee? Beneficenza? Regali sotto l'albero della cuccagna? Corrotti e corruttori di tutto il mondo unitevi in questa linea difensiva – peraltro incredibilmente avallata da un tribunale italiano – e la farete franca a vita!
Ma la sceneggiata, tipicamente partenopea, continua.
Scrivono le toghe della sesta corte: "In sede dibattimentale Poggiolini ha dichiarato che: 'Rinaldi Edo si era recato spesso da lui per chiedere consigli sui prodotti dell'impresa di cui era titolare insieme ai fratelli Marcucci; detta impresa si interessava soprattutto di 'emoderivati'; in particolare Rinaldi gli chiedeva precisazioni tecniche sulle metodiche da seguire per istituire, nelle tecniche di produzione, quei controlli e procedure".


Piermannuccio Mannucci

Sorge spontanea a domanda: ma cosa ci stanno a fare consulenti e super esperti che un gruppo stramilionario come quello di casa Marcucci si poteva abbondantemente permettere? Uno per tutti, quel Piermannuccio Mannucci, il primo teste nella lista stilata dal pm al processo di Napoli: un pomposo pedigree, ma un un teste in palese conflitto d'interessi essendo stato, appunto, più volte consulente del gruppo Kedrion (che oggi raduna le perle di casa Marcucci).
La ciliegina sulla torta è in arrivo: "Per questi suoi consigli il Rinaldi, spontaneamente e sotto forma di regali natalizi, dagli anni '80 sino al 1992, gli aveva versato la complessiva somma di 280 milioni di lire, confluiti in parte sul suo conto corrente personale acceso presso la Banca di Roma ed in parte su quello acceso presso la Comit".
Non basta: così prosegue la sentenza della Corte d'Appello di Napoli: "successivamente, due – tre volte l'anno, a Natale e a Pasqua, aveva continuato a portare somme di danaro a Poggiolini pari a 5 milioni di lire a volta, gradualmente aumentate prima a 10 e poi a 20 milioni di lire; complessivamente aveva erogato a Poggiolini la somma di 180 miloni di lire, prelevati da un fondo 'ISI' destinato al fondo spese". Sicuramente si tratta dell'Istituto Serioterapico Italiano, del quale a inizio anni '90 Edo Rinaldi è stato al vertice del cda.
Ma ecco – comica finale – il commento delle toghe: "In cambio il Poggiolini non gli aveva fatto alcuna agevolazione, ma dallo stesso aveva ricevuto solo cortesie": evidentemente, a base di colombe pasquali d'oro massiccio e tempestate di diamanti. Uno spirito francescano coltivato negli anni? Un sorta di ipnotismo infinito? Un masochismo spinto agli estremi?
Una perizia psichiatrica potrebbe sciogliere l'arcano.
Così concludeva la sesta sezione della Corte d'Appello di Napoli nel 2002: "Orbene, ritiene la Corte di non poter condividere il ragionamento seguito dal primo Giudice. Invero, sostenere che ogni rapporto intercorso tra Poggiolini – sia pur gravemenre scorretto o censurabile sotto il profilo disciplinare per il pubblico funzionario – debba essere automaticamente ricondotto nello schema di una intesa corruttiva sol perchè inserito in un più ampio contesto effettivamente caratterizzato da una vasta serie di rapporti di tale natura, significa generalizzare senza tenere conto delle peculiari caratteristiche del caso specifico e delle risultanze probatorie".
Ma Mani pulite ce la siamo sognata o no? La Corruzione se la sono inventata i giornalisti o chi altro? E Big Pharma s'è improvvisamente trasfigurata nello Spirito Santo?

DOPO 20 ANNI, GESU' FATE LUCE
Ma non c'è mai limite alla psichiatria forense: "Nel caso in esame, dalle dichiarazioni pienamente concordanti rese dal Poggiolini e dal Rinaldi si ricava che le dazioni in questione furono davvero elargite spontaneamente dal Rinaldi a fronte dei consigli che solo un esperto come il Poggiolini poteva fornire su un settore tanto specifico e delicato, quale quello della produzione di farmaci emoderivati". Il Messia sceso in terra a miracol spiegare, l'allora Poggiolini?
Arieccoci, gli emoderivati. La tragedia che da vent'anni tormenta migliaia e migliaia di famiglie.
A questo punto, ci par d'obbigo porci e porre qualche interrogativo.
Vale il tanto celebrato diritto all'oblio rispetto ad una vera e propria carneficina per la quale dovrebbe decidere, a questo punto, solo il tribunale dell'Aja per i crimini contro l'umanità?


Una manifestazione di protesta degli ammalati per sangue infetto

Secondo noi, rispetto ad ogni diritto all'oblio, deve prevalere il diritto-dovere alla memoria, la memoria storica..

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