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venerdì 10 gennaio 2020

A Belfast avevo visto i primi scontri e i primi morti. Mi avevano preparato per il Medio Oriente


Rispetto al Medio Oriente, l’Irlanda del Nord era una destinazione tranquilla. Tragica, settaria, brutale, ipocrita; la piccola guerra civile, per quello che era, era ciò che quelli dell’intelligence militare britannica definivano un conflitto a “bassa intensità.” Noi giornalisti scrivevamo le nostre storie. Poi tornavamo nei nostri alloggi in affitto di Belfast. E vivevamo (o almeno così pensavamo) nel Regno Unito.
Ho assistito alle mie prime, vere battaglie in Falls Road e a Derry e ho corso per tutta Belfast nel Venerdì di Sangue, nel luglio 1972, e ho visto i resti di esseri umani, dopo che 20 bombe dell’IRA erano esplose in tutta la città, in un’ora e mezza. C’erano stati nove morti, cinque civili, la maggior parte di loro alla stazione degli autobus. L’IRA aveva affermato di aver avvisato. La polizia aveva detto di essere oberata di lavoro. Ero furioso quando avevo visto il risultato. Era stato quando avevo capito che la guerra non è una questione di vittoria o di sconfitta, ma di fallimento totale dello spirito umano, da entrambe le parti.
Sì, è a Belfast che ho visto i miei primi cadaveri: un soldato britannico che cadeva dal retro del suo veicolo blindato ad Andersonstown, il suo fucile che rimbalzava sull’asfalto, ucciso da un Provisional dell’IRA con i capelli molto lunghi che si nascondeva dietro una pattumiera; e un paramilitare protestante che giaceva nella bara, circondato da persone in lutto con la camicia bruna, che erano, come si sarebbe poi scoperto, i suoi assassini. Il padre aveva sollevato la mano del figlio morto per farmi vedere che gli avevano spezzato le dita.
Ma nell’Irlanda del Nord (in preparazione per quello che sarebbe poi successo in Medio Oriente, cosa che allora non avrei neanche potuto immaginare) c’era stata soprattutto l’esperienza di confrontarsi con i funzionari governativi e i colonnelli dell’esercito britannico, quando mentivano mentre cercavo di farli parlare. Se riportavo la notizia di soldati britannici che brutalizzavano i Cattolici, mi dicevano che ero “pro-IRA” o “filo-terrorista” (un’accusa quest’ultima a cui mi sarei tristemente abituato in Medio Oriente), mentre quando viaggiavo con le pattuglie dell’esercito britannico o della polizia mi stavo alleando con le “forze della Corona,” o ero malignamente accusato di essere un funzionario dell’intelligence.
E quando avevo scritto un articolo che aveva offeso l’ufficiale in capo delle truppe britanniche nell’Irlanda del Nord, ero stato bandito dai briefing dell’esercito, un boicottaggio che, in seguito, avevo a mia volta imposto all’esercito, quando avevano deciso di perdonare le mie trasgressioni. Rifiutarsi di parlare con i colonnelli era stata la decisione giusta, perché, dopo averla presa,  capitani e maggiori freschi di nomina mi affiancavano nelle strade di Belfast e mi consegnavano buste con istruzioni militari riservate che ritenevano moralmente discutibili.
Quando avevo ricevuto i documenti che indicavano che gli Inglesi intendevano ricattare i politici protestanti che non avevano intenzione di sostenere la loro politica nell’Irlanda del Nord, avevo pubblicato la storia. Due giorni dopo, tre detective si erano presentati a casa mia prima dell’alba per interrogarmi sulle mie fonti. Ero fuggito nella Repubblica Irlandese, mi ero registrato in un hotel di Dublino ed ero stato subito affrontato dal funzionario del MI6 dell’ambasciata britannica. Avevo minacciato di chiamare la polizia irlandese se non avesse smesso di molestarmi. Se n’era andato. All’epoca non era stato così divertente come sembra adesso. Ma era stata una lezione. Avevo poi pubblicato la storia dell’intrusione da parte del funzionario dell’ambasciata.
Mai, mai, non arrendersi mai, come aveva detto una volta Churchill (che non è mai stato un mio eroe, dovrei aggiungere, anche se il suo ritratto era appeso sopra il camino nella biblioteca di mio padre), ma, in questa sfida, l’uomo del 1940 aveva ragione. Non cedere mai all’autorità. Quando hai una grande storia e chi ha veramente il potere vorrebbe calpestarti (qualche volta con l’aiuto dei tuoi stessi colleghi), non scusarti mai. Rimani fedele alla storia. Avrei imparato anni dopo (quando ero a Beirut, in guerre in cui solo la mia esperienza di Belfast mi avrebbe aiutato a sopravvivere) che i documenti ricattatori che erano venuti in mio possesso e che avevo pubblicato erano solo una piccola parte di quello che sarebbe poi diventato lo scandalo di Kincora, una sordida storia in cui era coinvolta l’intelligence britannica, che avrebbe fornito bambini orfani a noti pedofili, per poi ricattarli a livello politico. Una feroce disputa su ciò che è accaduto a Kincora continua ancora oggi, con un’inchiesta governativa già respinta dalle vittime.
Molti di quelli che avevo intervistato a Belfast e a Derry (o Londonderry, come la chiamavamo allora), crudeli rappresentanti dell’UDA, spietati Provisional, uomini delle pubbliche relazioni governative, vecchi soldati, sono già morti. Ma è stato (pensandoci a mente fredda) un importante campo di allenamento per i tradimenti, i massacri e il cinismo del Medio Oriente. Noi giornalisti dobbiamo combattere i Trump così come i dittatori arabi, i lobbisti filo-israeliani e le fazioni mussulmane e, talvolta, certo, tollerare anche la rabbia dei nostri stessi colleghi.
Il passaggio da Belfast [al Medio Oriente] non è stato dalla padella alla brace. E’ stato da una violenza immaginabile ad una crudeltà inimmaginabile su larga scala. Sono grato per quegli anni nell’Irlanda del Nord. Penso che mi abbiano aiutato a sopravvivere in quelli successivi.
Torno ancora a Belfast, per tenere conferenze sul Medio Oriente o per stare con il mio vecchio amico David McKittrick, che era poi diventato il corrispondente dell’Independent a Belfast, e vorrei anche che ci fosse un Buon Venerdì per il Medio Oriente. Ahimè, non ci sarà. Gli accordi di pace non vanno molto lontano. Ma ora a Belfast, quando sono lì, vedo le vecchie inimicizie scongelate e riscaldate dal folle desiderio del Regno Unito di suicidarsi sulla Brexit. E temo che la creatura di Downing Street e i suoi nani di governo faranno a pezzi l’Irlanda del Nord. Io prego di no. Ma, se così fosse, lo vedrò standomene al sicuro in Medio Oriente.
Robert Fisk

martedì 7 gennaio 2020

Democracy Now!: Soleimani's Death Could Galvanize Shia Coalitions Against One "Foreign Aggressor" — The U.S. | Daily Digest 01/06/2020



Democracy Now! Daily Digest

A Daily Independent Global News Hour with Amy Goodman & Juan González

Monday, January 6, 2020

Stories


Fallout continues to mount following the U.S. assassination of Iran's top military commander Qassem Soleimani in Baghdad last week. Iranian media reports ... Read More →

The Iraqi Parliament voted Sunday to expel all U.S. military forces from Iraq. President Trump responded by threatening to impose sanctions on Iraq "like they've ... Read More →

Over the weekend, Democracy Now! spoke with New York Congressmember Alexandria Ocasio-Cortez and asked her response to the assassination of Iranian ... Read More →

We look at the Trump administration's assassination of Iran's top military commander Qassem Soleimani with Lawrence Wilkerson, a retired United States Army ... Read More →

Col. Lawrence Wilkerson, who served as Secretary of State Colin Powell's chief of staff from 2002 to 2005, discusses the U.S. assassination of Iranian military ... Read More →

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lunedì 6 gennaio 2020

IL GIALLO ENRICO FORTI / DA 20 ANNI NEGLI STATES IN GALERA SENZA PROVE


In galera da 20 anni nei “democratici” States senza uno straccio di prova, senza un giusto processo, senza un movente per un omicidio che non ha mai commesso.
E’ l’incredibile story di Enrico ‘Chico’ Forti, del quale appunto ricorrono i vent’anni di folle detenzione nelle galere a stelle e strisce e sulla cui vicenda ha appena presentato un’interrogazione parlamentare alla Camera Michela Rostan di Liberi e Uguali.

Michela Rostan. In apertura la spiaggia di Miami e Chico Forti
Chiede al ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “Forti dal 2000 si trova in carcere negli Stati Uniti, con una condanna all’ergastolo per omicidio avvenuto in base a un processo lampo, indiziario e senza prove. Il procedimento giudiziario in cui è stato coinvolto in nostro concittadino è, a detta di molti, lacunoso e parziale. A Forti sono stati negati diritti elementari di garanzia per difendersi. Cinque anni fa la Camera ha approvato una mozione per chiedere al Governo un impegno forte a tutela del nostro concittadino. Da allora si è mosso poco. L’esecutivo attivi i suoi buoni rapporti con gli Stati Uniti, sempre molto solerti quando si tratta di difendere i diritti di un connazionale, e avanzi con decisione la richiesta di un giusto processo con le giuste garanzie”.

IL PEGGIOR CASO DI MALAGIUSTIZIA NEGLI STATES
Ricostruiamo per sommi capi l’incredibile vicenda, etichettata dal legale di Forti, Joseph Tacopina (proprietario tra l’altro del Venezia Calcio) come “il peggior caso di malagiustizia che abbia mai visto negli Stati Uniti”. Non poco.
Di Forti si hanno le prime notizie quasi trent’anni fa, nel 1990, quando partecipa con successo ad una puntata di “Telemike”, vincendo la bella somma di 80 milioni. Ed è così che può soddisfare il sogno di una new life, volando negli amati States con la moglie per iniziare la nuova vita. Diventa videomaker e produttore televisivo, un vero dream; realizza soprattutto reportage sugli sport estremi che vende a diverse emittenti a stelle e strisce.

Joseph Tacopina
Le cose vanno ok e riesce a addirittura a trasferirsi in un quartiere esclusivo di Miami, in Florida. Decide di diversificare le sue attività e comincia ad investire nel settore immobiliare. Ed ecco che arriva una buona chance, ossia l’acquisto di un albergo che va per la maggiore – ma in quel periodo si trova in difficoltà – il Pike’s Hotel di Ibiza. Il proprietario, Tony Pike, entra in contatto con Chico Forti, la trattativa pare incanalarsi per il verso giusto. A questo punto Tony Pike decide di far venire a Miami il fratello, Dale, per avere il suo avallo alla vendita.
Chico va a prendere Dale all’aeroporto ma poche ore dopo il cadavere dello stesso Dale viene trovato sulla spiaggia di Miami con due proiettili nella testa, nelle tasche il biglietto aereo comprato da Forte. Il quale viene immediatamente fermato dalla polizia e trascinato senza complimenti in galera.
Seguirà un processo sommario, tipo Far West e alla conclusione manca solo il cappio al collo. Invece, sarà un continuo vagare per le galere statunitensi.

COME TI INCASTRO MEGLIO
Ecco alcune frasi dei parenti o di chi si è occupato del caso.
Sottolinea lo zio Gianni che si è venduto anche la casa per pagare le spese legali e tutto quanto potesse aiutare il nipote: “E’ stato condannato per aver pianificato l’omicidio di una persona che non aveva mai visto né incontrato in vita sua”.
“E’ tutta una costruzione della colpevolezza. Ciò che era a sgravio nel processo è stato eliminato o non si trova più”.
La madre novantunenne: “Devo mantenermi giovane per aspettare che esca”.
L’avvocato Tacopina: “Non ci sono prove né dai magistrati né dalla polizia che Chico sia l’assassino. Sono rimasto scioccato quando ho letto la trascrizione del processo. Ci sono dozzine di motivi che fano dubitare della sua colpevolezza”. E ancora: “anche un novellino dell’investigazione capirebbe che tutto è stato studiato per incastrarlo. Non c’è niente, è tragicamente ridicolo. Sembra una commedia di Benigni”. O una tragedia di Sofocle.
Un amico di vecchia data, Francesco Guidetti, fa notare: “viveva un momento felice e fortunato della sua vita, non aveva il minimo motivo per ipotizzare un omicidio del genere”.

Lorenzo Matassa
Ferdinando Imposimato, il magistrato coraggio che per decenni ha denunciato mafie & terrorismi e si è battuto con vigore per l’innocenza di Chico Forti: “In tutta la storia non esiste un solo indizio concreto. Nelle mie molteplici letture dei fascicoli processuali non ne ho trovato uno, uno solo”.
Ed infatti, a quanto pare, tutto dipende da pochi granelli di sabbia. Quelli trovati nelle tasche di Chico Forti e che proverrebbero dalla spiaggia dove è stato trovato il corpo della vittima.
Osserva Lorenzo Matassa, un altro ex magistrato che ha studiato a lungo il giallo: “Negli Stati Uniti, per condannare qualcuno, devi superare ogni ragionevole dubbio. Qui non esiste alcun movente. Non può esistere un delitto senza movente: a cosa giovava l’assassinio di questo ragazzo?”.
Secondo i giudici a stelle e strisce il movente sarebbe stato di interesse: ritengono, senza peraltro poterlo in alcun modo provare, che Dale fosse contrario alla vendita del Pike e che proprio per questo Forti avrebbe deciso di farlo fuori. Davvero ‘fuori’ dal mondo!

SERVIZI DI POLIZIA
La realtà è invece esattamente un’altra. E fa balzare evidenti tutte le responsabilità della polizia. Chico, infatti, aveva osato produrre un docufilm da novanta sull’omicidio di Gianni Versace facendo risaltare, nella pellicola, il pessimo operato della polizia di Miami in tutta la vicenda.

Gianni Versace
Ecco cosa scrive un sito americano a proposito dell’assassino del famoso stilista, Andrew Cunanan, e non solo: “Dopo una lunga caccia all’uomo, Cunanan venne trovato morto a Miami. Chico Forti realizzò un documentario in cui veniva dato spazio all’ipotesi che Cunanan sarebbe stato ucciso altrove e poi spostato nella casa in cui è stato ritrovato per inscenare un suicidio. Il documentario mise in cattiva luce l’operato della polizia di Miami. E’ da lì che sono cominciati i suoi problemi. Per esempio, la giudice che condannò Chico faceva parte del team che aveva condotto le indagini sulla morte di Cunanan”. Se vi par poco per depistare!
Ma c’è ancora una ciliegina sulla torta. In tutto il corso del processo, l’accusato non ha MAI avuto modo di difendersi né di dire la sua. Infatti non è MAI stato interrogato né MAI ha potuto verbalizzare in aula, al pubblico dibattimento nel corso del quale perfino il più efferato killer ha tutto il diritto di parlare.
Qui un innocente non ha potuto dire neanche una sillaba.
E’ questa la giustizia nei super democratici Usa?

venerdì 3 gennaio 2020

La vaccinazione obbligatoria non è la soluzione per il morbillo in Europa


L’ondata di obbligo vaccinale che registriamo in Europa non serve a prevenire i focolai di morbillo e crea un vulnus democratico alla libertà delle persone. La maggior parte dei dubbiosi non sono estremisti, bensì genitori prudenti che hanno bisogno di un confronto professionale e trasparente e di servizi vaccinali facilmente accessibili.


Di Vageesh Jain, 15 novembre 2019


I casi di morbillo globalmente nei primi sei mesi del 2019 hanno raggiunto i livelli più alti dal 2006. Mentre i paesi di tutto il mondo lottano per contenere i focolai, le politiche governative in materia di vaccinazioni sono state messe sotto accusa. La Germania è stata l’ultima  a cedere alla pressione.

Data la libera circolazione dei cittadini tra i paesi dell’UE, una politica coerente in materia di sanità pubblica è particolarmente importante. Ad esempio, nel primo trimestre del 2019 nel Regno Unito si sono verificati oltre 230 casi di morbillo, la maggior parte dei quali collegati a viaggi in Europa.

Anche se i casi di morbillo sono ai massimi storici, nella regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i bambini che vengono vaccinati non sono mai stati così tanti. Gli incrementi dei tassi di vaccinazione vengono messi in ombra da piccoli gruppi di persone vulnerabili, che continuano ad agire da serbatoio per la malattia. Nessun paese dell’UE può sperare di controllare adeguatamente il morbillo senza un successo diffuso all’intera regione. Quindi la domanda è: la vaccinazione obbligatoria è la chiave del successo?

Nove paesi europei su 30 hanno la vaccinazione obbligatoria per il morbillo, che prevede due dosi, una nei primi due anni di vita (MCV 1) e una più tardi nell’infanzia (MCV 2). Non vi è alcuna differenza evidente nella copertura vaccinale tra i paesi con vaccinazione obbligatoria rispetto a quelli senza vaccinazione obbligatoria.

Diffusione del vaccino contro il morbillo nei paesi UE/UEA (2018) ECDC, OMS


Anche guardando al numero di casi di morbillo nei bambini per paese, non vi è alcuna differenza consistente: alcuni paesi che hanno la vaccinazione obbligatoria, come Bulgaria e Slovacchia, hanno tassi di morbillo molto elevati.

Numero di casi di morbillo ogni 100.000 bambini nei paesi dell’UE/SEE. ECDC, Banca Mondiale


La vaccinazione obbligatoria è antidemocratica

Il problema più evidente con la vaccinazione obbligatoria è che incide sui diritti delle persone, un aspetto fondamentale nella democrazia liberale. Fu proprio la percezione diffusa che i ricchi avessero imposto la loro volontà a scapito dell’autonomia individuale a portare alla fine della vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo in Inghilterra nel 1946.

Tuttavia, c’è chi potrebbe sostenere che è compito del governo adottare misure rigide nell’interesse della salute pubblica. Le differenze negli approcci dei paesi dell’UE riflettono quindi i diversi sistemi politici e la loro volontà di prevalere sull’autonomia individuale per un maggiore beneficio comune percepito.

Un indice democratico dell’Economist Intelligence Unit, basato su 60 indicatori, tra cui le libertà civili e i diritti umani, mostra che i paesi dell’UE in cui la vaccinazione contro il morbillo è obbligatoria sono tutti classificati come “democrazie imperfette”. Tra i paesi in cui la vaccinazione non è obbligatoria, il 62% è stato classificato come “democrazia completa”.

Paesi UE classificati per Indice di democrazia EIU. Economist Intelligence Unit (EIU)


Considerando tutti gli elementi, è chiaro che i sistemi democratici deboli di alcuni paesi dell’UE consentono l’attuazione dell’obbligo vaccinale, con benefici scarsi o inesistenti per la salute pubblica.

Le alternative

Sulle ragioni dell’esitazione vaccinale sappiamo molto. I genitori che rifiutano il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MMR) spesso credono che i vaccini siano insicuri e inefficaci e che le malattie che prevengono siano lievi e non comuni. Alcuni non hanno fiducia nei professionisti della salute né nella scienza. Esistono soluzioni a questo riguardo: diversi studi con controllo randomizzati (lo standard aureo della ricerca medica) hanno dimostrato che l’atteggiamento dei genitori può essere cambiato con i giusti programmi di formazione.

È anche importante avere abbastanza centri che effettuino le vaccinazioni. La sanità pubblica sembra essere stata un facile obiettivo per i tagli di bilancio in molti paesi europei. In molti paesi, la maggior parte delle persone scettiche sui vaccini non sono veementi “no-vax”, ma persone che hanno una  posizione prudente sulla vaccinazione. Per persone come queste, avere servizi di vaccinazione accessibili e convenienti e una guida professionale di supporto sono fondamentali per una strategia efficace.

Uno studio francese del 2019 ha mostrato che un anno dopo che era stata resa obbligatoria la vaccinazione, la copertura vaccinale per il morbillo è aumentata. Questo dato è però fuorviante. È probabile che rifletta il successo delle diverse azioni derivate da un significativo impegno politico, tra cui il finanziamento dei servizi sanitari pubblici, campagne di sensibilizzazione pubblica e in generale attività di sensibilizzazione, piuttosto che l’effetto della legge sull’obbligo in sé.

Per affrontare il morbillo, la politica dell’UE deve essere coerente, equa ed efficace. Esistono ragioni ben comprese e documentate alla base dei bassi tassi di vaccinazione. È importante che siano affrontate, in particolare nei gruppi sociali difficili da raggiungere, prima di passare a misure drastiche supportate da prove deboli, sotto l’apparenza dell’azione.


Vageesh Jain è medico, attualmente è in formazione per la specializzazione in Salute pubblica a Londra. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni su riviste sottoposte a “peer review” in materia di epidemiologia e politica sanitaria. Nel suo ruolo attuale, lavora sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari nel borgo londinese di Hackney e part-time presso l’International Rescue Committee (IRC) sulla gestione delle malattie non trasmissibili in contesti umanitari. Ha una posizione clinica accademica NIHR all’Istituto per la Salute Globale presso l’UCL.

mercoledì 1 gennaio 2020

GLIFOSATO KILLER / CLASS ACTION IN CANADA CONTRO BAYER-MONSANTO


Class action in Canada anti glifosato killer.
E’ la prima azione del genere compiuta fino ad oggi in tutto il mondo contro il Roundup, l’erbicida prodotto dal colosso Bayer-Monsanto, quest’ultima proprio canadese.
Già negli Stati Uniti sono ogni giorno centinaia le cause intentate soprattutto dagli agricoltori, prime vittime per l’uso del prodotto ma anche da tanti cittadini costretti a nutrirsi con frutte e ortaggi coltivati a botte di glifosato. Un anno fa si sono segnalate tre cause di risarcimento milionarie, ma adesso a quanto pare i ricorsi si contano a decine di migliaia.
La notizia della class action canadese è stata data dalla CBS,che ha fornito una serie di dettagli. Sono una sessantina i denuncianti – un numero destinato di tutta evidenza a crescere – i quali chiedono un risarcimento danni da 500 milioni di dollari.
Lo studio legale che patrocina i danneggiati è molto agguerrito sul fronte delle class action, negli States famose per le incredibili vittorie contro i colossi dell’auto già una ventina d’anni fa. Si tratta dello studio Diamond e Diamond, il cui responsabile del contenzioso commerciale e civile contro Bayer-MonsantoDarryl Singer, così dice davanti ai microfoni di Cbs: “Se non ci sono queste cause legali che costringono aziende come la Monsantoa sborsare ingenti somme, le aziende non hanno alcun incentivo a cambiare il modo di produrre”.
Gli aderenti all’azione, infatti, hanno dichiarato che non cercano solo una compensazione economica per quanto subito, ma anche una “modifica di comportamento” da parte delle aziende dell’agrofarma in modo che simili effetti sulla salute umana non accadano più in futuro.
Da rammentare che, dopo una lunga trattativa, un anno e mezzo fa è andata in porto l’incorporazione della corazzata Monsanto in una corazzata ancor più potente, Bayer.Un’operazione d 65 miliardi di dollari. Not nuts.