mercoledì 19 aprile 2017

Novità: "La Dea Dimenticata" di Giorgio Baietti



LA DEA DIMENTICATA

di Giorgio Baietti
Questo libro, frutto di una attenta ricerca da parte di Giorgio Baietti, racconta la storia di Don Grignaschi, sacerdote di un piccolo paese di montagna che fece molto discutere e che è tuttora ricordato con grande reverenza nei luoghi dove si svolse la sua storia. Grazie a lui un grande sogno diventa realtà: il vero Regno di Dio prende forma, e la Gerusalemme Celeste di colpo si realizza in un paese della collina piemontese della metà dell'Ottocento. Un credo in cui la donna, il "femminino sacro", rappresenta il punto focale e la base su cui edificare una religione che è nuova ma, allo stesso tempo, antichissima, perché affonda le radici nel cristianesimo delle origini e nei culti precedenti. Questo è ciò che crea Francesco Grignaschi il quale, durante la celebrazione di una messa domenicale, sente una voce misteriosa che gli annuncia un grande compito; da quel momento diventa l'incarnazione di Gesù Cristo e come tale dovrà redimere l'umanità intera.
Altro personaggio di spicco di questo libro è David Lazzaretti, il profeta che dalle colline toscane lancia un messaggio universale di pace e giustizia sociale. La sua voce è molto ascoltata, soprattutto in Francia, ma incute terrore nei benpensanti nostrani. L'insegnamento di questo uomo leggendario caratterizzerà tutta un'epoca ed è assolutamente attuale anche oggi a più di un secolo di distanza. David aveva un solo scopo nella vita: creare il Regno di Dio su questa terra, aiutando i deboli e i poveri e portando a tutte le genti il proprio messaggio di salvezza e di amore.

L'AUTORE
Giorgio Baietti è laureato in Lettere e in Sociologia, insegnante e giornalista del settimanale Cartabianca, accademico dell'Accademia Tiberina di Roma. Nel 1986, leggendo un manoscritto, ha avuto una folgorazione sulla via di Genova (città dove studiava), coniugando per sempre il proprio nome con quello di Rennes le Chateau, villaggio francese dei misteri, a cui ha dedicato una serie di saggi, una guida, un racconto e un romanzo (I guardiani del tempo, ed. Piemme). Da allora in poi è stato tutto un susseguirsi di incontri, conferenze e seminari in tutta Italia (Svizzera e San Marino compresi) che hanno convinto molte persone ad ammalarsi dello stesso virus, a comprare i succitati testi (per fortuna) e a compiere pellegrinaggi verso la Francia. Ultimamente si è dedicato a fenomeni nostrani ed ha trovato in Liguria, Piemonte e Toscana molti enigmi di immenso fascino (Vedi il romanzo Buio come il vetro, ed. Minerva e il saggio Una valle di misteri, ed. Età dell'Acquario). Ha scritto questo libro con lo scopo di illustrare le figure altissime dei due protagonisti e lanciare un messaggio di pace e di amore universali.
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Via Terme, 51 - 35041 BATTAGLIA TERME (PD)



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lunedì 10 aprile 2017

Moby Prince, la pista Usa

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«Mayday, Mayday, Mayday, Moby Prince, siamo in collisione, prendiamo fuoco! Ci serve aiuto!»: questo il drammatico messaggio trasmesso venticinque anni fa, alle 22:25:27 del 10 aprile 1991, dal traghetto Moby Prince, entrato in collisione, nella rada del porto di Livorno, con la petroliera Agip Abruzzo.
Richiesta di aiuto inascoltata: muoiono in 140, dopo aver atteso per ore invano i soccorsi. Richiesta di giustizia inascoltata: da venticinque anni, i familiari chiedono invano la verità. Dopo tre inchieste e due processi. Eppure essa emerge prepotentemente dai fatti.
Quella sera nella rada di Livorno c’è un intenso traffico di navi militari e militarizzate degli Stati uniti, che riportano alla base Usa di Camp Darby (limitrofa al porto) parte delle armi usate nella prima guerra del Golfo.
Ci sono anche altre misteriose navi. La Gallant II (nome in codi-ce Theresa), nave militarizzata Usa che, subito dopo l’incidente, lascia precipitosamente la rada di Livorno. La 21 Oktoobar II della società Shifco, la cui flotta, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca, viene usata per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia.
Per aver trovato le prove di tale traf-fico, la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin vengono assassinati nel 1994 a Mogadiscio in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani [1].
Con tutta probabilità, la sera del 10 aprile, è in corso nella rada di Livorno il trasbordo di armi Usa che, invece di rientrare a Camp Darby, vengono segretamente inviate in Somalia, Croazia e altre zone, non esclusi depositi di Gladio in Italia [2]. Quando avviene la collisione, chi dirige l’operazione – sicuramente il comando Usa di Camp Darby – cerca subito di cancellare qualsiasi prova. Ciò spiega una serie di «punti oscuri»: il segnale del Moby Prince, ad appena 2 miglia dal porto, che giunge fortemente disturbato; il silenzio di Livorno Radio, il gestore pubblico delle telecomunicazioni, che non chiama il Moby Prince; il comandante del porto Sergio Albanese, «impegnato in altre comunicazioni radio», che non guida i soccorsi e viene subito dopo promosso ammiraglio per i suoi meriti; la mancanza (o meglio sparizione) di tracciati radar e immagini satellitari, in particolare sulla posizione dell’Agip Abruzzo, appena arrivata a Livorno dall’Egitto stranamente in tempo record (4,5 giorni invece di 14); le manomissioni sul traghetto sotto sequestro, dove spariscono strumenti essenziali alle indagini. Così da far apparire quello del Moby Prince un banale incidente, anche per responsabilità del comandante.
I familiari delle vittime sono riusciti ora a ottenere l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, non solo per dare giustizia ai loro cari, ma per «chiudere un capitolo indegno della storia italiana». Capitolo che resterà aperto se la commissione limiterà come al solito l’inchiesta all’esterno di Camp Darby, la base Usa al centro della strage del Moby Prince. La stessa inquisita dai giudici Casson e Mastelloni nell’inchiesta sull’organizzazione golpista «Gladio». Una delle basi Usa/Nato che – scrive Ferdinan-do Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione – fornirono gli esplosivi per le stragi, da Piazza Fontana a Capaci e Via d’Amelio. Basi in cui «si riunivano terroristi neri, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici italiani e massoni, alla vigilia di attentati».
Il Mayday del Moby Prince è il Mayday della nostra democrazia.

giovedì 30 marzo 2017

Appello a Papa Francesco di Pietro Orlandi

Per il diritto alla Verità su Emanuela ORLANDI.
Papa Francesco,
sono Pietro Orlandi e dopo tanti anni sono ancora qui a chiedere la Verità sul rapimento di mia sorella Emanuela, cittadina vaticana, avvenuto il 22 giugno 1983.
Una ragazzina innocente di 15 anni alla quale è stato impedito di scegliere della propria vita, negandole, ancora oggi, ogni forma di Giustizia, dimenticandosi che la vita di ogni essere umano è sacra e non può essere considerata  un pezzo di carta sul quale apporre il timbro " archiviata".
Una vicenda che nel corso degli anni è stata caratterizzata da depistaggi, insabbiamenti, omertà e soprattutto mancanza di collaborazione da parte della Santa Sede.
Lei disse: "Chi tace è complice". E' vero.  In Vaticano c'è chi sa e da tanti anni tace, diventando complice di quanti hanno avuto responsabilità in questa vicenda.
A tal riguardo, in Vaticano, ci sono carte secretate, a conoscenza di alcune autorità della Santa Sede, che contengono passi importanti di questa disumana vicenda e che potrebbero permetterci di riabbracciare Emanuela o darle una degna sepoltura.
Il dossier "Rapporto Emanuela Orlandi" a disposizione, nel 2012,  della Segreteria Particolare di Papa Benedetto XVI, contenente  informazioni e nomi che potevano condurci alla Verità, stava per essere consegnato ad un magistrato italiano, ma in Vaticano vennero meno alla parola data e il fascicolo rimase occultato.
Dopo 33 anni mi chiedo perché si continua a negare ad una famiglia la possibilità di dare Luce e Pace alla propria figlia, alla propria sorella.
Abbiamo il diritto di conoscere la Verità contenuta in quei documenti e se sulla scomparsa di Emanuela fu posto il Segreto Pontificio, La prego di sciogliere i sigilli a tale imposizione che osteggia il raggiungimento della Verità e della Giustizia.
Non possono esistere segreti in uno Stato che si erge a centro della Cristianità perché è contrario alle parole e agli insegnamenti di Gesù:
"Non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato e di segreto che non debba essere manifestato".
Papa Francesco Lei ha indicato agli uomini la via giusta "Costruire ponti e non alzare muri invalicabili" ed io lo stesso chiedo a Lei, per Emanuela.
La Verità, la Giustizia  non possono essere un'utopia, un sogno irraggiungibile  ma i principi fondamentali, per ogni Stato che si reputa civile.
Principi fondamentali che in questa vicenda sono stati vergognosamente calpestati per oltre 33 anni.
La mia è una voce tenace, priva di rassegnazione, che mi guiderà, in questa vita ed oltre,  a cercare  Verità e Giustizia, affinché questo grido  appartenga a tutte le vittime innocenti ed  alle persone private della  Libertà.
Non ci lasceremo mai rubare la speranza.
Pietro Orlandi
28 marzo 2017
Per aderire all’Appello di Pietro ORLANDI cliccare sull’immagine

mercoledì 29 marzo 2017

Rete Voltaire: Rivelazioni: il jihad di Lafarge-Holcim 24 marzo 2017


Rete Voltaire
Rivelazioni: il jihad di Lafarge-Holcim
di Thierry Meyssan
In occasione dell'uscita del libro di Thierry Meyssan, «Sous nos yeux. Du 11-Septembre à Donald Trump» ("Sotto i nostri occhi. Dall'11 settembre a Donald Trump"), pubblichiamo una serie di articoli che sviluppano alcune tra le numerosissime informazioni in esso contenute.
Dopo l'intervento di Jean-Luc Mélenchon in occasione del dibattito delle elezioni presidenziali francesi, cominciamo con la vera storia del caso Holcim-Lafarge in Siria.
Rete Voltaire | Damasco (Siria) | 24 marzo 2017
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Il 2 marzo 2017, la società Lafarge-Holcim ha riconosciuto che la sua filiale siriana «ha rimesso dei fondi a terzi al fine di trovare accordi con un certo numero di gruppi armati, inclusi dei terzi fatti oggetto di sanzioni, al fine di mantenere l'attività e per garantire il passaggio sicuro dei dipendenti e delle forniture da e per la fabbrica». [1]
Già ora, questa industria cementizia costituisce l'oggetto di due indagini. La prima è stata avviata dalle associazioni Sherpa e ECCHR, il 15 novembre 2016, mentre la seconda è stata lanciata dal Ministero francese dell'Economia. Entrambe reagiscono a presunte rivelazioni di Le Monde, secondo cui Lafarge ha versato denaro a Daesh, in violazione delle risoluzioni dell'Onu.
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È importante notare che gli articoli pubblicati il 2 marzo su Intelligence Online (lettera confidenziale appartenente a Le Monde) e dallo stesso Le Monde, il 22 giugno, sono stati redatti da una giornalista esterna a queste pubblicazioni, Dorothy Myriam Kellou. Questa giovane donna ha studiato presso la Georgetown University, e nota per i suoi legami con la CIA, ha ricoperto l'incarico di addetto stampa presso il consolato francese a Gerusalemme. Queste pubblicazioni sono state confermate da un libro di Jacob Waerness, Risikosjef i Syra, nel quale questo ex dipendente descrive la grave situazione della sicurezza del personale della Lafarge in Siria. L'autore ha continuato a lavorare con l'azienda cementizia dopo la pubblicazione del suo libro.
Le pseudo-rivelazioni di Le Monde sono state organizzate in combutta con Lafarge-Holcim per deviare l'attenzione dell'opinione pubblica e dei giudici rispetto a un punto particolare: accettare o non accettare di pagare un riscatto a Daesh.
La verità è molto più grave.

La preparazione della guerra contro la Siria

Nel giugno 2008, la NATO organizzò la riunione annuale del gruppo Bilderberg [2] a Chantilly (Stati Uniti), nel corso della quale Hillary Clinton e Barack Obama si presentarono ai partecipanti.
Tra i 120 presenti si trovavano Basma Kodmani (futuro portavoce della Coalizione Nazionale siriana) e Volker Perthes (futuro assistente di Jeffrey Feltman all'ONU per la Siria). Nel corso di un dibattito sulla permanenza della politica estera statunitense, essi intervennero per presentare l'importanza dei Fratelli Musulmani e il ruolo che avrebbero potuto svolgere nella "democratizzazione" del mondo arabo.
Jean-Pierre Jouyet (futuro segretario generale dell'Eliseo), Manuel Valls (futuro primo ministro) e Bertrand Collomb (il padrone della Lafarge) erano presenti al fianco di Henry R. Kravis (futuro coordinatore finanziario di Daesh).

Lafarge in Siria

Lafarge è leader mondiale dell'industria del cemento. La NATO gli ha affidato la costruzione di bunker jihadisti in Siria e la ricostruzione della parte sunnita dell'Iraq. In cambio, Lafarge lascia che l'Alleanza gestisca i suoi impianti in entrambi i paesi, specie gli impianti di Jalabiyeh (al confine con la Turchia, a nord di Aleppo). Per due anni, la multinazionale ha fornito i materiali da costruzione per le gigantesche fortificazioni sotterranee che permettono ai jihadisti di sfidare l'esercito arabo siriano.
Lafarge è ora guidata dallo statunitense Eric Olsen, che ha integrato nell'azienda le fabbriche dei fratelli Sawiris e di Firas Tlass. Quest'ultimo è il figlio del generale Mustafa Tlass, ex ministro della Difesa del presidente Hafez al-Assad. È il fratello del generale Manas Tlass, che nei sogni della Francia sarebbe stato il prossimo presidente siriano. È anche il fratello di Nahed Tlass-Ojjeh, vedova del mercante d'armi saudita Akram Ojjeh, che lavora con il giornalista Franz-Olivier Giesbert.
I legami tra Lafarge e le forze speciali francesi sono facilitati dall'amicizia tra Bertrand Collomb (diventato presidente onorario della multinazionale) e il generale Benoît Puga (Capo di Stato Maggiore dei presidenti Sarkozy e Hollande).

La menzogna di Le Monde

Inizialmente, la rivista online dei mercenari anti-siriani, Zaman Al-Wasl, pubblica delle e-mail che dimostrano che la Lafarge versa denaro a Daesh. In un secondo momento, Le Monde pubblica i suoi articoli e i documenti di Zaman Al-Wasl vengono rimossi dal proprio sito web (li troverete comunque qui, sul nostro sito).
Secondo Le Monde, la multinazionale si riforniva di petrolio per far funzionare il suo impianto. Il che è falso, poiché questa installazione funziona principalmente a carbone, che ha continuato a essere spedito dalla Turchia. Senza rendersi conto dell'enormità della sua ammissione, il quotidiano in pratica confessa che Lafarge stava producendo 2,6 milioni di tonnellate di cemento all'anno, destinate alle "aree ribelli".
Ora, durante questa terribile guerra, niente avrebbe potuto essere costruito da civili in quelle zone.
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Soldati di Daesh presso la fabbrica di Lafarge-Holcim a Jalabiyeh (Siria)

La costruzione dei bunker dei jihadisti

2,6 milioni di tonnellate l'anno in due anni, questo fa almeno 6 milioni di tonnellate prodotte per i "ribelli". Metto la parola "ribelli" tra virgolette perché questi combattenti non sono dei siriani, ma provengono da tutto il mondo musulmano e anche dall'Europa.
Questa quantità di cemento è paragonabile a quella utilizzata dal Reich tedesco, nel 1916-17, per costruire la linea Sigfrido. Dal luglio 2012, la NATO — compresa la Francia — ha organizzato una guerra di posizione in accordo con la strategia descritta da Abu Musab "Il Siriano" nel suo libro del 2004, The Management of Savagery.
Si può immaginare quale sia il numero di ingegneri militari del Genio della NATO — inclusi i francesi — che ci è voluto per costruire questo insieme di opere.

Lafarge, i Clinton e la CIA

Nel corso degli anni '80, la Lafarge fu difesa al suo processo per l'inquinamento in Alabama da un famoso avvocato, Hillary Rodham-Clinton. Ella riuscì a ridurre l'ammenda inflitta dall'Agenzia di Protezione Ambientale ad appena 1,8 milioni di dollari.
Durante il mandato di George Bush padre, Lafarge ha reso dei servizi alla CIA trasportando illegalmente in Iraq le armi che dovevano successivamente servire alla ribellione quando l'Iraq avrebbe invaso il Kuwait e la Coalizione internazionale lo avrebbe liberato.
Nello stesso periodo, Hillary Rodham-Clinton divenne amministratrice della multinazionale, una posizione che ha lasciato quando il marito è stato eletto alla Casa Bianca. Il presidente Bill Clinton ridusse allora a 600 mila dollari la multa che la moglie non aveva potuto evitare a Lafarge. I buoni rapporti sono continuati, poiché la società ha versato 100 mila dollari alla Fondazione Clinton nel 2015 e il suo nuovo Amministratore Delegato, Eric Olsen, non esita a farsi fotografare con Hillary Clinton.

L'intervento militare russo

Trincerati nei loro bunker, i jihadisti non temevano l'esercito arabo siriano e non avevano alcuna difficoltà a mantenere le proprie posizioni. Per due anni, il paese si è trovato diviso in due, visto che il governo sceglieva di proteggere la popolazione e, quindi, di abbandonare il campo.
Quando la Russia è intervenuta militarmente su richiesta del governo siriano, la sua missione era quella di distruggere con le bombe a penetrazione i bunker jihadisti. L'operazione è durata tre mesi, dal settembre 2015 al Natale ortodosso (6 gennaio 2016). Tuttavia, l'ampiezza delle costruzioni di Lafarge-Holcim si è dimostrata così importante che l'esercito russo ha avuto bisogno di sei mesi per annientarle.

Conclusione

Quando la transnazionale Lafarge-Holcim ha concluso la sua missione al servizio del genio militare della NATO, ha chiuso il suo impianto e lo ha prestato all'Alleanza. La fabbrica di Jalabiyeh è stata trasformata in quartier generale delle forze speciali degli Stati Uniti, della Francia, della Norvegia e del Regno Unito che occupavano illegalmente il nord della Siria.
A differenza della cortina di fumo di Le Monde, non si tratta quindi della triste storia di un'impresa di costruzioni che ha negoziato con i jihadisti per salvare il suo personale. La responsabilità di Lafarge-Holcim risiede nel suo ruolo centrale in una grande operazione militare volta a distruggere la Siria: una guerra segreta che è costata la vita a centinaia di migliaia di persone.
Thierry Meyssan
Traduzione
Matzu Yagi
Per saperne di più sulla guerre segreta contro il Medio oriente allargato: si legga Sous nos yeux. Du 11-Septembre à Donald Trump.
[1] « Communiqué de Lafarge-Holcim sur ses activités en Syrie », Réseau Voltaire, 2 March 2017.
[2] "Quel che non sapete del Gruppo Bilderberg", di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 10 aprile 2011.
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lunedì 20 marzo 2017

La scottante verità di Ilaria Alpi

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Ilaria Alpi
La docufiction «Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio» (visibile sul sito di Rai Tre) [1] getta luce, soprattutto grazie a prove scoperte dal giornalista Luigi Grimaldi, sull’omicidio della giornalista e del suo operatore Miran Hrovatin il 20 marzo 1994 a Mo-gadiscio. Furono assassinati, in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani, perché ave-vano scoperto un traffico di armi gestito dalla Cia attraverso la flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione ita-liana alla Somalia ufficialmente per la pesca.
In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shifco erano usate, in-sieme a navi della Lettonia, per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia. Anche se nella docu-fiction non se ne parla, risulta che una nave della Shifco, la 21 Oktoobar II (poi sotto bandiera panamense col nome di Urgull), si trovava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso una operazione segreta di trasbordo di armi Usa rientrate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq, e dove si con-sumò la tragedia della Moby Prince in cui morirono 140 per-sone.
Sul caso Alpi, dopo otto processi (con la condanna di un somalo ritenuto innocente dagli stessi genitori di Ilaria) e quattro commissioni parlamentari, sta venendo alla luce la verità, ossia ciò che Ilaria aveva scoperto e appuntato sui tac-cuini, fatti sparire dai servizi segreti. Una verità di scottante, drammatica attualità.
L’operazione «Restore Hope», lanciata nel dicembre 1992 in Somalia (paese di grande importanza geostrategica) dal presidente Bush, con l’assenso del neo-presidente Clinton, è stata la prima missione di «ingerenza umanitaria».
Con la stessa motivazione, ossia che occorre in-tervenire militarmente quando è in pericolo la sopravvivenza di un popolo, sono state lanciate le successive guerre Usa/Nato contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria e altre operazioni come quelle nello Yemen e in Ucraina. Preparate e accompagnate, sotto la veste «umanita-ria», da attività segrete. Una inchiesta del New York Times [2] ha confermato l’esistenza di una rete inter-nazionale della Cia, che con aerei qatariani, giordani e sauditi fornisce ai «ribelli» in Siria, attraverso la Turchia, armi pro-venienti anche dalla Croazia, che restituisce così alla Cia il «favore» ricevuto negli anni Novanta.
Quando il 29 maggio scorso il quotidiano turco Cumhuriyet ha pubblicato un video che mostra il transito di tali armi attraverso la Turchia, il pre-sidente Erdogan ha dichiarato che il direttore del giornale pa-gherà «un prezzo pesante».
Ventun anni fa Ilaria Alpi pagò con la vita il tentativo di dimostrare che la realtà della guerra non è solo quella che viene fatta apparire ai nostri occhi. Da allora la guerra è divenuta sempre più «coperta». Lo conferma un servizio del New York Times [3] sulla «Team 6», unità supersegreta del Comando Usa per le operazioni speciali, incaricata delle «uccisioni silenziose». I suoi specia-listi «hanno tramato azioni mortali da basi segrete sui calan-chi della Somalia, in Afghanistan si sono impegnati in com-battimenti così ravvicinati da ritornare imbevuti di sangue non loro», uccidendo anche con «primitivi tomahawks». Usando «stazioni di spionaggio in tutto il mondo», camuffan-dosi da «impiegati civili di compagnie o funzionari di amba-sciate», seguono coloro che «gli Stati uniti vogliono uccidere o catturare».
La «Team 6» è divenuta «una macchina globale di caccia all’uomo». I killer di Ilaria Alpi sono oggi ancora più potenti.
Ma la verità è dura da uccidere.