mercoledì 20 ottobre 2010

Sakineh sì e Teresa no?

Sulla legittimità e sulla giustezza della mobilitazione in favore della cittadina iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani non credo alcuno abbia dubbi, non solo per la particolare crudeltà della tecnica di assassinio di stato, la lapidazione, ancorché ora apparentemente cambiata in impiccagione, ma, e a mio parere soprattutto, per l'assurdità e la violenza della pratica e della teoria della pena di morte, nella quale uno stato si arroga un diritto che, sempre a mio parere, non ha mai e in nessun caso. Sakineh è stata condannata da un tribunale del suo paese – sul quale purtroppo solo scarne notizie abbiamo ‒ per avere commesso crimini per i quali il diritto del suo paese prevede la pena di morte, ma è questo diritto che vogliamo mettere in discussione.

La mobilitazione in questo senso è stata però largamente sottolineata dai mezzi di comunicazione di massa, con tanto più gusto e speranza di condivisione in occidente a causa della cattiveria intrinseca dello Stato Iraniano, che non si sottomette facilmente ai consigli e soprattutto alle pretese degli stati forti e che quindi automaticamente acquista il rango di stato canaglia. Stato che, poi, vuole anche la tecnologia nucleare, inaudito, figuriamoci, questa spetta solo ad alcuni stati ben scelti con appositi criteri che non staremo neanche qui a indicare tanto sono ovvi e oggettivi.

Come mai ho la sensazione che quello che commuove l'opinione pubblica occidentale sia soprattutto la particolare efferatezza del sistema scelto, appunto ‒ in un primo tempo ‒ la lapidazione, più ancora che la pratica della pena di morte?

Forse la ragione sta qui: se si facesse un analogo scandalo per la pena di morte in sé, perché non mobilitarsi con analoghi anatemi nei confronti di coloro che legalmente ‒ sempre secondo il diritto vigente nel loro paese ‒ hanno da pochi giorni, senza tanti clamori né complimenti, praticato una bella iniezione letale alla cittadina statunitense Teresa Lewis, nel ridente stato della Virginia, il Commonwealth of Virginia, old Dominion, culla degli Stati Uniti d'America, che si vanta di aver dato i natali ad almeno otto presidenti, tra cui Washington e Jefferson e Monroe, ecc. , perché?

Credete che l'iniezione letale sia più indolore dell'impiccagione? Non è così, o per lo meno non è sempre così, vi sono stati casi in passato nei quali il miscuglio di sostanze iniettate allo scopo nelle vene dell'assassinando ha provocato una morte dolorosa, lunga e complicata. Non a caso stavolta il portavoce del Greensville Correctional Center a Jarratt, nel sud della Virginia, si è affannato a dichiarare che "non si erano verificate complicazioni", come potete sentire qui, sul sito del Corriere della Sera.
Notate come singolare sia il nome Correctional Center, la somministrazione della morte è la suprema correzione?

Teresa Lewis è stata la dodicesima donna vittima della pena di morte, da quando tale pena fu rimessa in vigore dalla Corte Suprema degli USA nel 1976, con un vero escamotage giuridico (che potete andarvi a leggere qua, se volete ricordarvi che al delirio non c'è limite), Gerald Ford (ma ve lo ricordate?) regnante, repubblicano, ex vice di Nixon, che salì inopinatamente al trono quando Nixon ne fu cacciato in malo modo. La dodicesima donna, dico, ma non dimentichiamo che, sempre dal 1976, 1200 sono state le esecuzioni capitali negli Stati Uniti, circa tre ogni mese, in media. Come non capire che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, l'altro giorno in un suo discorso al clero islamico a New York, in occasione dell'assemblea delle Nazioni Unite, abbia fatto dell'ironia su tutte queste proteste per Sakineh, che non ha neppure l'alibi ‒ scusate la macabra ironia ‒ del ritardo mentale?
Teresa Lewis aveva infatti un coefficiente intellettuale di 72, appena due punti sopra il valore che segna il limite legale al disotto del quale un'esecuzione è negli Stati Uniti incostituzionale (70 o meno): perché tutto è previsto dalla Suprema Corte, se il coefficiente è meno di 70 allora proprio non ce la sentiamo di uccidere, ma Teresa, in base a misurazioni senz'altro oggettive ‒ come sappiamo essere tutte le misurazioni del coefficiente d'intelligenza ‒ era due punti sopra, e questo le è costato la vita.

Questa, per dire, è stata la valutazione di Amnesty International: A psychologist tested Teresa Lewis prior to her plea and found that she had an I.Q. (intelligence quotient) of 72, indicating that her intellectual function was in the "borderline mental retardation" range. Post-conviction investigations raised additional evidence of her mental disabilities. A second psychologist, selected by the state, assessed her I.Q. at 70. Medical experts have diagnosed her with Dependent Personality Disorder and an addiction to painkillers before the crimes, calling into further question the "mastermind" label attached to her. (citato qui, dove appunto si parla della protesta iraniana.)
Ma il governatore dello stato Robert F. McDonnell è inossidabile: "no medical professional has concluded that Teresa Lewis meets the medical or statutory definition of mentally retarded."
Teresa Lewis (questa la cronaca del New York Times) aveva commesso crimini che aveva confessato: aveva fatto uccidere marito e figlio adottivo di questi da due sicari prezzolati. I quali sicari hanno preso, perché non furono così depravati (testualmente) come la Lewis, "soltanto" l'ergastolo ancorché uno di essi (l'altro si è suicidato in carcere) abbia esplicitamente ammesso di avere in realtà manipolato la Lewis ‒ mentalmente senz'altro più debole ‒ e convinta a portare a termine il suo progetto insensato.

L'unica protesta che si è levata in Europa, a parte piccoli comitati di minoranze già sensibili alla questione ma con scarsissima incidenza sulla pubblica opinione, è stata una lettera dell'Unione Europea al governatore McDonnell, ovviamente andata inascoltata. Qui da noi, qualche notizia, subito sparita. Ormai l'hanno ammazzata, via, via.

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Sakineh sì e Teresa no?


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tramite Nazione Indiana di antonio sparzani il 01/10/10

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